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Nanda Roscioli (Direzione Generale Detenuti e Trattamento del D.A.P.)
Credo che, per quanto riguarda gli impegni di spesa, non sono proprio io la persona che può dare delle risposte, perché questo fa parte dei misteri del D.A.P., rispetto ai quali è difficile che un funzionario come me abbia possibilità di accedere e capire queste scelte politiche. Sicuramente oggi andiamo verso un periodo che è molto più forcaiolo di un tempo, anche all’interno del D.A.P.. Lo vediamo con la rinnovata marzialità della polizia penitenziaria, lo vediamo con tutta una serie di scelte che fanno capo esclusivamente alla polizia penitenziaria. Per converso, per quello che ci riguarda, noi ci stiamo muovendo, come Direzione Generale Detenuti e Trattamento, verso una logica in qualche maniera controcorrente, rispetto alle logiche più grosse. Anche perché, di fatto, abbiamo visto che non possiamo assolutamente rispondere al dettato costituzionale, visti i numeri delle persone che sono disponibili e di quelle che, comunque, sono negli istituti. Non possiamo continuare a chiamare "trattamento" l’intrattenimento dei detenuti. Cioè, io faccio molta distinzione, rispetto a questo, perché se l’intrattenimento, che è il teatrino, il coro, la partita di pallone, sono momenti importanti per smorzare le tensioni, d’altra parte però si devono sicuramente fare delle proposte educative per le persone. Paradossalmente, siamo in un momento in cui queste cose possiamo cominciare a farle. E penso che, entro la fine di luglio, verrà fuori una nuova circolare che definirà i compiti e i metodi delle aree educative. Perché l’area educativa è stata, finora, confusa con il momento dell’equipe. Di fatto, non è questo. L’equipe è un momento formale, nel quale si prendono le decisioni sul singolo detenuto e punto. L’area educativa è molto ma molto più complessa e complessiva e, all’area educativa, devono attendere tutti quelli che ruotano intorno al carcere. Stamattina ho fatto un salto sulla sedia quando ho sentito l’Assessore di Verona parlare degli abbonamenti alla piscina dati in omaggio agli agenti di polizia penitenziaria. Il detenuto ha una sua dignità, ma il personale pure, e ha una dignità diversa da quella del detenuto, perché lui è operatore, lui è libero, non ha bisogno che gli si portino le partite di calcio in istituto, lui ha bisogno di andare nel campetto del territorio circostante per giocare a calcio. Allora, secondo me la prima cosa è che noi, operatori tutti e, veramente, includo anche voi, usciamo da queste logiche assistenziali perché, nei fatti, facciamo solo un danno ai detenuti. Anche perché, da sempre, c’è questo discorso: "Loro possono, io non posso… loro possono, io non posso", riferito ai detenuti. Ma non si può e non si deve mettere sullo stesso piano. Una volta, al D.A.P., c’è stata una signora che è stata male, l’abbiamo ripresa proprio per i capelli, nel senso che c’è stata una fortunata coincidenza per cui siamo riusciti a chiamare l’autoambulanza. Ma, nei corridoi del D.A.P., sapete quello che si diceva? Ai detenuti viene dato tutto, a noi non viene dato niente… Ed è questa la logica rispetto alla quale noi dobbiamo opporci, perché solo in questo modo riusciremo a dare dignità al personale, perché il personale deve riconoscersi la dignità di uomo libero. E dobbiamo dare, al detenuto, la dignità di detenuto, che non deve essere messa sullo stesso piano del poliziotto, o viceversa. Questa è la cosa per la quale sto battagliando da molto tempo. Per quello che riguarda le attività del mio Ufficio, in questo momento sta creando, come dicevo, questa nuova circolare sull’area educativa, nella considerazione che è l’area educativa il centro propulsore della vita educativa degli istituti. Per cui, di fatto, vi piaccia o non vi piaccia, gli educatori saranno pure scarsi, ma è lì che bisogna andare, non è possibile escluderli, da una parte. Dall’altra, nella misura in cui l’area educativa diventa il centro propulsivo dell’istituto, si ha la possibilità ci cambiare in maniera radicale questo tipo di cultura. Per esempio, l’opposizione che mi viene fatta, rispetto a questo, è: ma gli educatori sono pochi… è vero, sono pochi, ma noi abbiamo tutto un volontariato, tutta una serie di persone che circolano intorno al carcere, tanti assessorati, tanti assistenti sociali nel territorio. Abbiamo tanti poliziotti penitenziari, che dobbiamo coordinare e dobbiamo indirizzare a quel fine. Mi rendo conto che non è una cosa semplice, però se non ci proviamo mai non lo faremo mai. E, secondo me, invece, questa è l’unica cosa che si può e si deve fare. In questi anni si è sempre detto: "In questo modo si vanno a scomodare gli interessi di un sacco di gente, sia economici, sia psicologici". Io ho sempre sostenuto che il carcere è un posto dove si mangia tanto e non mangiano i detenuti, mangiano gli altri. Io ho fatto ben 12 anni alla Giudecca ed era una situazione anche abbastanza protetta, perché, per chi l’ha conosciuta, allora c’era suor Saveria che non permetteva tutta una serie di cose… insomma, ma proprio pagandosele sulla sua pelle, in maniera molto pesante, tanto è vero che un anno dopo che ha lasciato il carcere è morta. Ma la cosa che, secondo me, va detta, è che tutti finora hanno parlato del rilancio del lavoro penitenziario. Quasi che il lavoro fosse l’unico elemento salvifico. Ricordiamoci cosa diceva don Milani al piccolo figlio del contadino: "Tu impara mille parole, perché quando ti troverai di fronte al figlio del ricco, lui ti fregherà perché conosce più parole di te". Chi ha vissuto e chi vive in carcere sa che questa è un’esperienza privilegiata, perché il più forte è quello che riesce a gestire il tutto. Questo per dire che, secondo noi - non soltanto per me, ma per la direzione generale di cui faccio parte - è assolutamente importante rilanciare lo sport. È assolutamente importante riprendere in mano il lavoro penitenziario. Allora, il lavoro penitenziario ha avuto un grosso picco con la legge Smuraglia. Ma lo sapete che, quelli che sono stati assunti con la "Smuraglia" non sono detenuti? E che i datori di lavoro si sono fatti fare gli sgravi fiscali su nomi farlocchi? Questo è successo! Lo sapete che, a fronte del lavoro che non c’è, e sappiamo che non c’è perché il lavoro nel carcere è dequalificato, dequalificante, diciamocele tutte… a fronte del lavoro che non c’è ci sono stati dei Provveditorati che hanno mandato in economia i fondi sulle mercedi. Allora, è inutile dire che il lavoro non c’è: utilizziamo tutto quello che abbiamo. Appalti, o non più appalti: questa non è una cosa semplice, perché andiamo a toccare un sacco di interessi, anche abbastanza pesanti. E, su questa cosa, stiamo lavorando in maniera abbastanza significativa. Adesso, per esempio, una delle cose che faremo è la convenzione, per alcuni istituti, con le cooperative che preparano il vitto per i detenuti. Cioè, le cooperative assumono i detenuti, utilizzano, chiaramente, le agevolazioni della Smuraglia, poi confezionano loro il vitto dei detenuti e, l’amministrazione, forse non ci guadagna in termini economici, ma ci guadagna in termini di proposta educativa del lavoro. Sapete cosa è venuto fuori: che le ditte non vogliono, ma è venuto fuori in maniera pesante! Le ditte non vogliono i detenuti, perché loro non possono contare su detenuti che non vanno a lavorare perché la custodia non ce li porta. Le ditte devono avere una unità – uomo che lavora 6 ore – 8 ore al giorno e con continuità. Quindi sul discorso del lavoro stiamo rimettendo mano, anche in maniera piuttosto pregnante, anche se silente. Perché, poi, quando le cose si fanno, si fanno senza mettere grandi manifesti e grancasse. In questo contesto, il volontariato deve collaborare e deve collaborare con gli operatori, insieme agli operatori preposti. Non si può pensare al carcere come a una "terra di conquista", in qualche maniera. Bisogna sicuramente – certo, con tutte le attenuanti di questo mondo, perché gli operatori non ci stanno, perché hanno le scatole piene, insomma, di tutto e di più – intervenire in maniera tale perché questo cambiamento ci sia.
Celso Coppola
Mi pare che sia stato sottolineato, ancora una volta, questo problema che abbiamo, del carcere come unica forma di pena, che attira come un buco nero tutte le energie esistenti: finanziarie, di operatori, di cultura, di sensibilità. Ecco, se si parte dal problema del carcere non se ne esce. Perché il carcere chiede solo un aumento di carceri e un aumento di personale per le carceri. Se noi dovessimo seguire, ad esempio, il modello degli Stati Uniti, dove c’è tolleranza zero per questi problemi, hanno due milioni e mezzo di detenuti che, fatte le debite proporzioni con la popolazione italiana, in Italia dovremmo avere 500.000 detenuti… altro che sovraffollamento! Il che significherebbe che, invece di 200 istituti, quanti ne abbiamo oggi, ne dovremmo avere 2.000, invece di 50.000 agenti di polizia penitenziaria dovremmo averne 500.000. Cioè, ci abbiamo messo 150 anni, dall’unità d’Italia, per riadattare le carceri dei granducati e dei regni vari e per costruirne di nuove, figuratevi per farne altre 1.800… arriveremmo all’anno 3000, una cosa di questo genere… e, poi, non è immaginabile cancerizzare tutta una società. Allora, il problema è che il carcere, visto da solo, è una via senza uscita. Bisogna invece riprendere il problema partendo dalle persone che sono entrate nel circuito penitenziario ma senza particolare riferimento al carcere: c’è il carcere, ovviamente, nessuno lo vuole negare. Ma ci sono le misure alternative, c’è tutto il resto, che gira intorno alla giustizia, alla magistratura di sorveglianza, etc.. Allora, il problema diventa più sfaccettato, diventa più semplice e anche il carcere può trovare una soluzione, se si guarda insieme alle altre cose. Se si guarda da solo non si conclude niente. Allora, qui era previsto un intervento di Livio Ferrari, presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. Livio verrà domani, però abbiamo il nostro amico Maurizio Mazzi, che interviene, perché ci sia anche una voce del volontariato, in questa tavola rotonda. La domanda, per Maurizio, è questa: quale ruolo può avere il volontariato, nel "meno carcere e più impegno sociale"? Quali risorse e quale organizzazione il volontariato può mettere in campo, per lo sviluppo di rapporti con il territorio e la società civile? In questo, qual è il ruolo delle Conferenze Regionali e dei Coordinamenti S.E.A.C.? Abbiamo, cioè, le energie, le risorse e l’organizzazione per far fronte a dei compiti che, come abbiamo sentito da tutti gli interventi, diventano sempre più importanti, perché sono compiti che proiettano il carcere, appunto, e tutte le misure, nel territorio, e che costituiscono il vero cambiamento possibile? Il volontariato è in grado di far fronte a tutto questo?
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