Carlo Alberto Romano

 

S.E.A.C. Triveneto - Conferenza Regionale Volontariato Giustizia

Sportello Giustizia di Rovigo - Ristretti Orizzonti

 

Meno carcere, più impegno sociale

 

Seminario sul volontariato penitenziario

(Padova, 3 - 5 luglio 2003)

 

Volontario nella Casa Circondariale di Como

 

La semidetenzione, com’è attuata adesso, arriva a sei mesi di pena. Ma nessuno li controlla. Se adesso arriva fino a un anno, non è che vanno avanti a non controllarli, senza un programma di trattamento… alla sera arrivano che sono tutto meno che sobri… ma perché non li controllano… perché controllano tutti, meno che quelli in semidetenzione?

 

Carlo Alberto Romano (Vicepresidente dell’Ass.  "Carcere e Territorio" di Brescia)

 

Sulla semidetenzione ci sono grossi problemi applicativi, come un po’ per tutte le misure sostitutive. Come, del resto, anche la semilibertà è sempre stato un ibrido che ha costituito un problema, per l’esecuzione penale. Non so quanto consta alle vostre esperienze, ma per quei semiliberi che non hanno la possibilità di uscire il sabato e la domenica, cioè non hanno un riferimento abitativo, è un inferno. Evidentemente tutti gli strumenti sono perfettibili e ci sono delle situazioni migliorabili. Io credo che più si riesca ad avvicinare il momento dell’eventuale concessione della misura alternativa, al momento del processo, al momento della condanna, tanto meglio sia. Perché la situazione attuale, con il rimando dell’articolo 656 del codice di procedura penale, cioè con il meccanismo della Simeone – Saraceni, voi sapete che esiste quel termine, ridicolo, dei 45 giorni che ha il tribunale di sorveglianza per decidere. Noi, a Brescia, ma credo che più o meno le situazioni sono simili dovunque, stiamo valutando i casi del 2000, cioè le sospensioni fatte dalla Procura nel 2000, dopo tre anni, rispetto a una sentenza di condanna che è già intervenuta dopo un processo, il quale è già intervenuto a distanza di tempo dalla commissione del fatto.

Tutto questo è tempo perso, è tempo che vanifica l’azione della misura alternativa, che trova una persona, tra l’altro, completamente differente. A volte ci si basa su dati relativi al momento del processo di cognizione, relativi alla sua vita in quel momento, per giudicare una persona a 3 o 4 anni di distanza e, magari, per negarle l’accesso ad una misura alternativa, quando questa persona nel frattempo è completamente cambiata.

Corriamo il rischio di anticiparla, questa decisione. Certo, magari in quel momento c’è l’onda emotiva che, in qualche modo, si subisce dalla vicinanza del reato. Però c’è anche la possibilità di operare strategie operative concrete. I magistrati, che saranno quelli del processo di cognizione, educhiamoli a un percorso che i magistrati di sorveglianza hanno già compiuto. Sapete la distinzione: si dice che il magistrato della cognizione opera sul reato, il magistrato di sorveglianza opera sulla persona. Educhiamo anche il magistrato del processo di cognizione ad operare sulla persona, con tutto quello che ne consegue. Più riavviciniamo, in termini temporali, il momento della decisione, al momento della crisi, della rottura sociale, che è stato il reato, tanto più ci guadagniamo tutti. È un percorso lungo, mi rendo conto di dire cose di non facile attuazione, ma è l’unica risposta che abbiamo al fallimento del sistema rieducativo.

 

 

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