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Maurizio Mazzi (Presidente Conferenza Regionale Volontariato Giustizia)
Riagganciandomi al discorso che facevo prima, rispetto alla sicurezza sociale, e rivendicando il ruolo del volontariato, soprattutto come anello di congiunzione tra l’interno e l’esterno, pensavo proprio che la figura del volontario è quella che accompagna un certo processo, che è il processo di uscita, di riaggancio con la famiglia, di riaggancio col il lavoro, con il mondo produttivo, etc. Noi abbiamo visto, nella nostra esperienza, che nessuno di questi momenti: l’alloggio, la casa, il lavoro, la famiglia, di per sé è salvifico in quanto tale, cioè è garanzia di riuscita di una misura alternativa o di una permanenza fuori del carcere per sempre. Sono tutti momenti che possono essere bellissimi, ma che possono anche essere momenti di conflitto e la figura del volontario, in quest’ambito, penso che sia insostituibile, perché non è pensabile che sia un’istituzione a svolgere questo ruolo. Il fatto di riuscire ad accompagnare, di dare delle risposte, o anche solo una pacca sulla spalla, nei momenti in cui uno non ce la fa più… credo che sia questa l’importanza e il ruolo del volontario. È anche controllo sociale, perché garantisce che, finché una persona ce la fa con le sue gambe e, magari, con la manata sulla spalla, sicuramente si comporta negli ambiti della legge. E, rispetto a questo, quando a Verona il carcere era centrale alla città, i semiliberi passavano per l’ufficio del cappellano e, in qualche modo, avevano una relazione con qualche persona che non avesse a che fare o con il mondo del carcere o con il mondo del lavoro. E, quindi, nell’attesa dell’ora del rientro, avevano la possibilità, in qualche modo, di parlare. Adesso che a Verona il carcere è in periferia, questo diventa più difficile. Ma è un momento importante: un semilibero, oltre al problema enorme del sabato e della domenica, ha il problema che non parla con nessuno. Né all’interno del carcere, perché non vede più gli operatori, né all’esterno, perché è legato ai tragitti. A Verona avevamo pensato, proprio per questo, al Centro d’ascolto. Una struttura di collegamento interno – esterno che servisse, di giorno, per le famiglie, per gli incontri, per le comunicazioni, ma che la sera servisse come punto di ritrovo per i semiliberi che rientrano. Per passare quell’ora, che rimane prima del rientro, in una maniera comunicativa, diciamo. E, questo, è un momento nel quale il volontariato, secondo me, può avere un ruolo. Io non lo vedo sostitutivo all’istituzione, o altro. Lo vedo proprio con una peculiarità di un rapporto umano, dove al centro di questo rapporto c’è un’altra persona.
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