Carlo Alberto Romano

 

S.E.A.C. Triveneto - Conferenza Regionale Volontariato Giustizia

Sportello Giustizia di Rovigo - Ristretti Orizzonti

 

Meno carcere, più impegno sociale

 

Seminario sul volontariato penitenziario

(Padova, 3 - 5 luglio 2003)

 

Carlo Alberto Romano

 

Risolverlo è impossibile, ma il quesito è stimolante. Direi che, sostanzialmente, questa domanda riceve una duplice risposta. Da una parte, nelle facilitazioni e nelle agevolazioni, ci metto due componenti. La prima è la legislazione: abbiamo veramente un’ottima legislazione, in tema penitenziario. Ho avuto occasione di confrontarmi, in qualche modo, con operatori stranieri e, forse questo non è ben saputo, ma la nostra riforma penitenziaria ha fatto scuola, è stata copiata in diversi contesti europei, probabilmente da qualcuno è stata anche migliorata, ma testimonia comunque un ottimo livello legislativo raggiunto dal nostro paese nel contesto penitenziario.

E, d’altro canto, metto nelle componenti positive il fatto che gli operatori penitenziari e, sullo stesso piano ma su un altro versante, la Magistratura di sorveglianza, siano ottimamente preparati per applicarla. Come già detto svolgo funzioni di giudice di sorveglianza, e mi confronto, ormai dal ’90, in questa veste, con i colleghi togati; sono estremamente convinto della preparazione della magistratura di sorveglianza, della sensibilità e della volontà di affrontare profondamente il problema.

Questi sono quindi due grossi vantaggi da poter sfruttare: legislazione e capacità applicativa degli operatori dell’amministrazione penitenziaria e della magistratura.

Certo, bisogna anche tener conto del fatto che, non sempre, né gli operatori né i magistrati, né la stessa normativa, può dispiegarsi appieno. Esistono tutta una serie di vincoli – e qui passerei alla definizione della seconda parte della risposta – degli orpelli, delle zavorre, che impediscono alla nostra normativa di esprimersi appieno e conseguentemente di lavorare  al meglio ad operatori e Magistratura di sorveglianza.

Questi orpelli io li classificherei secondo un sistema a scalare. Prima di tutto sono di tipo culturale; qui mi spiace di dover tornare sul discorso di stamattina ma ne sono fortemente convinto e quindi colgo l’occasione per ribadirlo: se non facciamo di tutto, noi per primi, per cambiare il clima culturale attorno alle misure alternative, per dare un senso maggiore all’espiazione della pena, per  individuare come obiettivo quello della giustizia riparativa e non soltanto più quello sanzionatorio pseudo-rieducativo, tutto questo castello di operatori preparati, di magistrati sensibili, di ottima legislazione, crolla.

Quindi, prima di tutto dobbiamo riuscire a preparare il terreno, attraverso un’opera di promozione e di sensibilizzazione. Ora, la promozione e la sensibilizzazione però passa anche attraverso la credibilità. E questo, forse, è un altro punto che vedo un po’ a svantaggio delle possibilità operative.

Qualche volta chi  si occupa del nostro settore non si è presentato in  modo ottimale. Sono casi sporadici,  per fortuna, casi che sono stati velocemente individuati, ma hanno fatto in tempo a creare una qualche confusione. Occorre, invece, che ci sia sempre chiarezza di intenti, di operatività e, soprattutto, di metodologia: premo molto su questo punto, dobbiamo darci una metodologia operativa che possa essere riconosciuta affinché la credibilità  del volontariato e dell’associazionismo possa costituire un cavallo di battaglia da vendere, a propria volta, nei confronti della magistratura di sorveglianza, dell’amministrazione penitenziaria e delle amministrazioni locali.

Altro punto di svantaggio, lo avevo già detto ma lo riprendo velocemente,  è il fatto che le amministrazioni locali non siano sempre così attente ai problemi provenienti dal mondo penitenziario. Credo che questo sia però un discorso facilmente superabile, attraverso la capacità, che dobbiamo recuperare, di attirare l’attenzione dell’amministratore locale un po’ disattento. Tutto sommato, poi, per quanto consta alla mia esperienza che nasce anche dal confronto con altre realtà,  ho potuto vedere che, una volta stimolato, il meccanismo si mette in moto e, con una robusta dose di olio, che in qualche modo è dato dall’energia del volontariato, si riesce a mantenerlo in funzione.

Certo, poi vi sono tutte le piccole incombenze di carattere quotidiano. Su queste non bisogna arenarsi. Vi faccio dei piccoli esempi: l’autobus che non ferma davanti all’istituto penale ma ferma, magari, a un paio di chilometri; per farlo fermare davanti all’istituto penale al fine di permettere ai semiliberi di andare a lavorare al mattino e di rientrare la sera, sembra vi sia una difficoltà insormontabile. Perché quando tu chiedi: “Non si può far fermare l’autobus anche davanti all’istituto penale?” saltano fuori, come minimo, cinque competenze diverse. E questo, di primo acchito, mi rendo conto che possa essere un motivo deterrente per la risoluzione del problema, se non si hanno le spalle coperte almeno da un punto di vista istituzionale. Però non bisogna farsi scoraggiare e si riesce anche a far fermare l’autobus di linea davanti all’istituto penale. Bisogna scoprire quali sono le competenze,  scardinare qualche porta socchiusa e, alla fine,  anche questo piccolo risultato si può ottenere.

Non ci si può permettere di fermarsi di fronte alle difficoltà. Penso, ad esempio in questo momento, alla sanità penitenziaria. Ci è capitato di dover supplire alle carenze della dotazione di risorse dell’amministrazione penitenziaria, nello specifico del sanitario, con i fondi del privato. Ma questo non ci ha scandalizzato, né ci ha fatto gridare all’inconcepibile. Certo, in qualche modo ci ha stupito e in qualche modo ci ha stimolato a lavorare ancora di più. Però, se c’è da fare, si fa. Abbiamo trovato una Fondazione che ha finanziato l’operazione e abbiamo comprato i farmaci antiretrovirali, per i nostri istituti penali, con i soldi del privato, nell’attesa che si riesca in qualche modo a rimettere a posto il bilancio e si riescano ancora a comprare i farmaci antiretrovirali da parte della direzione penitenziaria.

Sono queste le  cose che costituiscono la sfida quotidiana di chi deve occuparsi di carcere.

Ritengo che con la forza di volontà, con le strategie sinergiche e con la voglia di mettersi attorno a un tavolo si possano superare anche questi ostacoli. Certo occorre unione di intenti, se ci si presenta frammentati, allora anche la fermata dell’autobus davanti all’istituto penale diventa una chimera irraggiungibile.

 

 

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