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Salvatore Pirruccio (Direttore della Casa di Reclusione di Padova)
Io devo fare, per l’istituzione di cui mi occupo, un passo indietro, lasciando tutta la problematica che riguarda il condannato quando esce dal carcere, con una misura alternativa, al Centro di Servizio Sociale. A me preme comunicare alcuni dati che, secondo me, determinano, talvolta, il rallentamento nella concessione di misure alternative, o comunque di benefici penitenziari. La cosa di cui più abbiamo bisogno, oggi, sono gli operatori penitenziari. E mi riferisco, in particolare, agli educatori, che sono i principali artefici del trattamento penitenziario. Vi è una assoluta carenza di queste figure professionali, che determinano un rallentamento di tutta quell’istruzione, non solo amministrativo - burocratica delle pratiche, con la magistratura di sorveglianza, che poi valuta e decide sul da farsi, ma proprio nell’approccio con il detenuto - utente. Nei colloqui che normalmente si fanno. Nella conoscenza dell’individuo. Viene meno questa attività, che è fondamentale, poi, per costruire assieme un programma di trattamento e giungere fino alle porte di carcere, cioè giungere, con un programma serio, a fare in modo che il detenuto, una volta che esce, trovi un terreno a lui congeniale, un terreno che gli consenta di rimanere fuori. Perché questa è un’altra cosa importante su cui bisogna confrontarsi: l’uscita dal carcere, con le misure alternative, dei detenuti, oltre che essere ben strutturata, deve essere prevista in modo tale che, laddove il detenuto viene inserito, possibilmente rimanga per il resto della propria vita. Nel senso che, talvolta, purtroppo si denotano delle offerte, all’esterno del carcere, che servono soltanto per fare uscire fuori il detenuto e, questo, scredita un pochino l’azione, ridotta già di per sé, come dicevo prima, perché di operatori del trattamento non ne abbiamo. Ma questo scredita comunque tutto il lavoro che l’istituzione penitenziaria può fare. Perché, se impieghiamo un detenuto in una determinata struttura, e lo facciamo soltanto perché gli mancano tre anni, o cinque anni e, al temine dell’espiazione della pena, fatta in articolo 21, fatta in semilibertà, quel lavoro gli viene meno, perché magari si lascia il posto ad un altro, ed il detenuto si trova un po’ sbandato, magari non ha una famiglia alle spalle, non trova un ambito esterno che lo aiuti a risocializzarsi, noi avremo comunque il persistere della recidiva. Che, disgraziatamente, oggi in Italia è molto alta, come sappiamo tutti. Allora, per certi versi è necessario che il carcere venga potenziato dalle figure che devono attendere al trattamento. Questo è fondamentale. Faccio un esempio sull’Istituto che dirigo, ma anche gli altri del nord sono la stessa cosa. Su circa 700 detenuti definitivi, io ho, costantemente, due educatori, o uno e un altro part-time. Come si fa ad affidare, in teoria, 350 detenuti ad una persona sola? Ma cosa deve fare, questo operatore? Soccorre molto bene il volontariato, in tutto questo, naturalmente. Ma è chiaro che il volontariato ha dei fini e degli scopi – voi lo sapete molto meglio di me – diversi da quelli dell’istituzione. L’istituzione è una cosa, il volontariato è un’altra cosa, che opera molto bene in determinati campi, verso determinate direzioni. Ma tutto quel tipo di lavoro, detto "istituzionale", necessario per legge, noi lo abbiamo molto rallentato e, talvolta, come è stato molte volte rappresentato anche in sedi dipartimentali, si ha un ritardo nel far sì che i detenuti possano beneficiare dei benefici e delle misure alternative proprio perché il lavoro cartaceo non è stato fatto e non si può fare, perché ogni persona umana ha un limite. Chiaramente, con 350 detenuti affidati a un solo operatore, le sintesi non si possono fare nell’ambito dei nove mesi famosi. Poi, se ne fa una, e l’aggiornamento di sintesi non si fa più… per forza, e quando le facciamo?! Pensare di fare gli aggiornamenti delle sintesi, quando ancora dobbiamo fare gli altri, quelli che non l’hanno mai avuta una prima volta, la cosa è un po’ difficile. E, questo, per quanto riguarda l’istituzione penitenziaria. Poi, vi è un’altra cosa importante: le nostre carceri sono sovraffollate. Nella Reclusione di Padova, tutto sommato, mi sembra ci sia ancora una vivibilità abbastanza buona. Anche perché è costruita in determinati modi, le stanze sono da due, etc., etc.. E, di questo sovraffollamento, un buon 50% riguarda persone straniere. Ora, secondo la Costituzione, ma anche secondo il buon senso, gli stranieri vengono trattati allo stesso modo degli italiani. Però è indubbio che riuscire a far sì che un detenuto straniero, con le leggi che abbiamo, con l’espulsione in sentenza, oppure dopo sentenza, etc., si riesca a collocarlo fuori dal carcere con una misura alternativa, diventa molto difficile. Diventa molto difficile perché, comunque, al termine dell’esecuzione della pena non potrà regolarizzarsi e restare in Italia, almeno nella grande maggioranza dei casi.
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