Maurizio Mazzi

 

S.E.A.C. Triveneto - Conferenza Regionale Volontariato Giustizia

Sportello Giustizia di Rovigo - Ristretti Orizzonti

 

Meno carcere, più impegno sociale

 

Seminario sul volontariato penitenziario

(Padova, 3 - 5 luglio 2003)

 

Maurizio Mazzi (Presidente Conferenza Regionale Volontariato Giustizia)

 

Non è una domanda da poco, però non mi pare neanche che sia estranea alla cultura, che in questi anni, anche grazie alle Conferenze, ai seminari vari che sono stati fatti ripetutamente negli anni, sempre su tematiche nuove, si è affermata. Questo ha portato anche a una crescita del volontariato, direi quasi che il volontariato è riuscito, in questi anni, anche con la sollecitazione da parte della società civile, come sottolineava il professor Romano, che chiede anche a noi più sicurezza e maggiori garanzie, a sviluppare la propria funzione di portavoce del territorio.

Noi volontari siamo espressione del territorio, veniamo dal territorio, siamo quella parte del territorio sensibile a questo tipo di problemi, non direi esclusivamente penitenziari ma, come nel nostro caso, parlerei di problemi relativi alla giustizia, quindi un mondo anche che vorrebbe essere più allargati. Vero che nasciamo principalmente come volontariato assistenziale e di questo retaggio, di cui comunque siamo in qualche modo coscienti e che non disconosciamo e che pensiamo abbia avuto una funzione. Oggi crediamo che l’abbia meno, rispetto all’impostazione di qualche anno fa. Oggi ripetiamo più volte che l’impegno del volontario, proprio per questa propensione che ha, di essere espressione del territorio, deve essere orientato soprattutto allo spirito della norma che vuole il reinserimento della persona ristretta nel territorio stesso.

Non solo, una grossa richiesta ci viene fatta anche dalla prevenzione, cioè fare in modo che molte persone, che sembrerebbero destinate, o predestinate, ad entrare in questo circuito, non ci entrino assolutamente. O perché prevenute, nella loro azione, nel reato, oppure che passino, tramite il processo, direttamente alle misure alternative, quindi che il carcere non lo conoscano proprio. Questo in parte sta avvenendo.

Che risorse mettiamo in campo? Un po’ ci stiamo preparando, ma un po’ lo stiamo già facendo. Io, qui davanti, ho un volontario che dall’84 sta facendo servizio nell’ufficio educatori e nel C.S.S.A., e lo ricordo presente ai nostri convegni da parecchio tempo. Nel senso che è uno dei primi che ha iniziato, ma in molte realtà del volontariato sta nascendo questo tipo di attenzione. Nella mia Associazione, che è "La fraternità", tre volontari hanno da poco ottenuto il permesso, ex articolo 78, per frequentare il C.S.S.A.. però, voglio dire, questo ruolo di anello tra il territorio e il carcere credo che il volontariato lo abbia storicamente svolto e in un senso culturale, con la sensibilizzazione del territorio.

Forse pecchiamo di credibilità, questo può essere vero, ma il nostro impegno nel settore culturale, nel tentativo di andare nelle scuole, di andare nelle parrocchie, di andare nei convegni cittadini a parlare della realtà della devianza e del senso della pena, del senso della misura della pena… perché è questo, poi, il nostro mandato, non tanto quello della gestione del problema. Credo che questo lo abbiamo fatto. Mi riferisco ai tentativi, che fanno le associazioni di volontariato, di accompagnare la persona detenuta mettendola in relazione con i servizi sociali, mettendola in relazione con le realtà operative, con il mondo imprenditoriale, con il mondo delle cooperative sociali, mettendo in relazione la persona detenuta con la famiglia. Perché anche questo è un grosso problema del reinserimento: la ricucitura dei legami affettivi che si sono interrotti, o che sono rimasti, come si può dire, marginali, per parecchio tempo, limitati solo ai colloqui. Quindi, questo tipo di accompagnamento, sta nell’opera del volontariato, e credo che questo intervento del volontariato sia a costi zero, o comunque a bassissimi costi.

Le risorse che il volontariato può mettere in campo stanno esclusivamente nella progettualità e, anche questo, è un settore che sta crescendo. È vero che la Regione Veneto, per quanto riguarda l’area giustizia, o l’area penale, stanzia fondi, o ha stanziato, fino ad oggi, fondi, esclusivamente nel campo dei progetti ricreativo – sportivo – culturali e, quindi, all’interno del carcere. però anche qui c’era spazio per interventi esterni.

Il nostro compito, come Conferenza, in questo momento storico, in cui abbiamo gli strumenti operativi, che sono scritti e che, però, non hanno ancora gambe per camminare, com’è il Protocollo d’Intesa Ministero della Giustizia – Conferenza Volontariato Giustizia e il Protocollo tra Regione Veneto e Ministero della Giustizia. Sono questi gli strumenti operativi sui quali riuscire ad avere progettualità. Non ci sarà nessuna difficoltà, se la Regione Veneto stanzierà dei fondi sulle linee operative che ha deciso insieme con il D.A.P., dove le misure esterne, dove la mediazione penale, dove l’accoglienza delle persone dismesse dal carcere o assegnate alle misure alternative ha un grosso capitolato. Se la Regione Veneto supporterà queste idealità con stanziamenti, io credo che la possibilità di intervento del volontariato sia in termini progettuali, quindi presentare dei progetti che vadano a incidere, a inserirsi in questo settore.

Io credo quindi che, un po’ lo stiamo facendo, ed è storia nostra, è nel nostro D.N.A., quello di occuparci della persona integralmente. Quando si mette al centro dell’attenzione la persona, è chiaro che non distingui più se è dentro o se è fuori. È chiaro che l’attenzione alla persona è un accompagnamento continuo, quindi anche fuori. D’altra parte, se la Regione e il D.A.P. regionale daranno fede, presteranno molta attenzione a quello che hanno scritto assieme e firmato, ci sarà uno spazio progettuale e, quindi, una possibilità di reperire risorse per operare in forma organizzata in questo settore.

 

Celso Coppola

 

Grazie, mi pare sia importante sottolineare queste ultime parole, perché di fronte a due Protocolli così importanti, di fronte a due realtà come il Ministero della Giustizia e la Regione Veneto, se non ci si organizza un poco, in battaglioni attivi e ben organizzati, è difficile anche smuoverle. Quindi, c’è bisogno di una mobilitazione delle Associazioni, di un’auto organizzazione delle Associazioni che lavorano nel territorio del Veneto, per ottenere queste cose. Cioè, qui bisogna trovare delle strategie che obblighino l’applicazione dei protocolli. Perché è lecito pensare che, con tutti i pensieri che hanno, facilmente dopo un po’ di tempo queste istanze possano essere attenuate, nell’animo dei nostri amministratori regionali e nazionali. Quindi, questo è l’impegno, diciamo: la necessità di un forte impegno del volontariato, perché questi Protocolli d’Intesa sono un impegno, da una parte e dall’altra, a fare certe cose in una certa direzione.

Capite, questo era impensabile, un po’ di anni fa. Costringere due realtà che erano state separate, autarchiche, ognuna per conto suo, che si sono impegnate a lavorare assieme, per certi fini che condividiamo pienamente… ogni volta che firmano questi Protocolli io resto sbigottito… ma si rendono conto?

Bene, benissimo, ora però bisogna capire – forse ci vorrà un seminario particolare – quali devono essere le strategie per costringere le amministrazioni a fare le cose per le quali si sono impegnate. Perché, così, non credo che le facciano davvero. Sì, ci sarà qualche cosa, ma non come vogliamo noi: si sono impegnati, hanno firmato solennemente, quindi dovrebbe essere un loro impegno d’onore portare aventi fino in fondo quelle cose.

Non siamo degli appaltatori di servizi, non siamo degli utili collaboratori, siamo, a norma della Costituzione, una realtà di pari dignità di quelle delle istituzioni. Il volontariato ha pari dignità. Invece c’è questa strana situazione, per cui siamo sempre un po’ in soggezione, rispetto alle istituzioni. Bisogna quindi riuscire a imporre questa pari dignità.

Perché occorrono tutte e due le cose: la società civile e le istituzioni, nessuno vuole negare il ruolo delle istituzioni, né della Regione, né del Ministero, ma non devono essere il solo protagonista. C’è il terzo polo.

 

 

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