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Atti della Giornata di Studi “Carcere: La salute appesa a un filo” Il disagio mentale in carcere e dopo la detenzione (Venerdì 20 maggio 2005 - Casa di reclusione di Padova)
Enrico Sbriglia
Innanzitutto ringrazio per questa opportunità concessami e soprattutto ringrazio i tanti volontari che qui sono presenti, perché forse, in una accezione diversa rispetto a quella dominante, sono la migliore forma di devoluzione, di federalismo che si potesse fare sul territorio. Spesso i volontari arrivano dove lo Stato, le strutture statali e le istituzioni non riescono ad arrivare, questo è un dato che non può assolutamente essere sottaciuto. Ringrazio anche per un altro motivo molto importante dal mio punto di vista, perché ho l’avventura, la sventura, la fortuna, questo non lo so, di rappresentare anche i direttori penitenziari iscritti al mio sindacato di riferimento che è il sindacato che raccoglie la quasi generalità di direttori di tutta Italia, sia di carceri, sia di centri di servizi sociali. Ringrazio anche perché curo presso l’istituto Internazionale di Studi, un’apposita sezione che riguarda diritti umani e sicurezza, e quindi anche questa occasione mi viene utile per cercare di comprendere quali grosse problematiche dobbiamo affrontare nel quotidiano. Ringrazio anche perché sono un cittadino e come cittadino sono molto preoccupato di sapere che possa esistere un sistema penitenziario, non dico cattivo, ma forse pigro, pigro mi sia consentito di dirlo, sicuramente sì. Ho avuto la sensazione in questi anni che il sistema penitenziario italiano fosse stato collocato al termine di altre problematiche, quasi come se non avesse la stessa dignità di problematica sociale, nel senso che i problemi come quelli del lavoro, delle pensioni, della sanità in senso lato, fossero diversi, maggiori e più importanti. A proposito della giustizia, spero che qualche magistrato mi perdoni, ma stavo pensando a quanto spendiamo ogni anno per intercettazioni telefoniche, penso che sia una somma ben inferiore rispetto a quella che spendiamo per l’intero sistema di salute all’interno del sistema penitenziario. Se soltanto collocassimo questa risorsa da intercettazioni a medicine, forse chissà ci rimarrebbe anche qualche cosa, pensate un po’ com’è strano, come a volte delle scelte possano condizionare facilmente tutta una serie di risultati. Come cittadino ho avuto l’impressione che ci fosse una sorta di disattenzione, quasi come se fosse un problema non-problema, oppure un problema secondario. In realtà non è così, in realtà le carceri sono sempre state un grande problema, personalmente sono 23 anni che sento parlare di problemi della salute in carcere, quindi non è una cosa di oggi, di ieri, di 5 anni fa. Ricordo l’attentato dei NAP presso il manicomio giudiziario di Aversa, dovrebbe essere stato all’inizio degli anni ‘80 e non a caso andavano a toccare quella struttura, quella realtà. Ricordo le file interminabili di detenuti che in alcune carceri pietivano per avere una visita dentistica, ricordo tutte le pratiche che sono state avviate perché fosse chiesta la sospensione della pena, a motivo dello stato di salute eppure ne ricevevano una risposta, e quindi trovo a volte anche singolare che, come un coniglio tolto dal cilindro del prestigiatore, vi siano stagioni della nostra vita, della nostra cittadinanza, dove il coniglio-carcere esce fuori e lo si fa vedere, altre volte viene riposto per essere messo in letargo per poi aspettare altri tempi. Purtroppo è una situazione che esiste, c’è anche un’altra cosa che mi farebbe il piacere di dire: sul carcere non esistono delle verità apodittiche, cioè non è vero che il luogo comune del carcere sia quello che tutti quanti siamo indotti a immaginare. Non a caso stamattina qualcuno diceva che arrivando qua, si passava per quel bellissimo corridoio dove si vedono delle bellissime riproduzioni di pittori importanti. Stiamo qua, siamo in un carcere, però io devo sforzarmi di pensare che sto in un carcere. Potrei pensare di stare in qualunque posto dove si riuniscono delle persone e parlano di certi problemi. Quindi non è vero che il carcere sia sempre quello che ci si induce a pensare, dipende anche da tutta una serie di circostanze, non ultime l’attenzione reale che il territorio pone allo stesso, perché, faccio un altro esempio, all’inizio della mia carriera io ho lavorato in carceri meridionali, può essere un po’ scandaloso, ma è giusto anche dire queste cose: se accadeva, ad esempio, che in una notte il detenuto si suicidava, la reazione della collettività molte volte era del tipo “uno in meno”, se la stessa cosa accade, ad esempio a Padova o a Trieste, o in altre realtà, mi troverò di fronte il comitato delle famiglie dei detenuti, mi troverò di fronte ai parlamentari che vengono a chiedere giustamente il perché sia accaduto, mi troverò di fronte a tutta una serie di soggetti, quindi ho la sensazione che a volte il territorio condizioni e non poco la realtà penitenziaria che esiste su quella parte del suolo nazionale. Quindi le verità, ecco, i manicomi, scusatemi, io non sono perchè vengano aboliti i manicomi o vengano abolite le carceri, sono solo perché vengano abolite le motivazioni che spingono le forze dell’ordine o spingono altri soggetti ad utilizzare i manicomi e a utilizzare le carceri. Il problema credo, consentitemi di dire, aboliamo anche i cimiteri, sarei più felice, aboliamo anche gli ospedali, io credo che la problematica debba spostarsi un po’ prima: perché una persona va in carcere? Questa mattina l’ex senatore Corleone, per me il senatore Corleone è stato tra l’altro un mio amico-nemico, una persona di cui si è parlato tantissimo perché ha lasciato un segno, anche se su tante cose abbiamo delle divergenze, ebbene, indicava che effettivamente ci sono state delle leggi e delle situazioni che, invece di risolvere i problemi, li hanno forse accentuati e c’è anche il rischio che altre leggi possano sortire gli stessi risultati. Ecco perché è importante, dal mio punto di vista, togliere di mezzo per il momento le ideologie e vedere se effettivamente sia possibile, ragionando come si sta facendo in questa sede, trovare delle soluzioni che siano ragionevoli. Un primo ordine di problemi è stato anche ben evidenziato quando si parlava del Codice penale, a prescindere che io da tecnico non so adesso quante leggi penali abbiamo. Una volta facevo riferimento semplicemente ai 4 codici e dai 4 codici prendevo il Codice penale ed era facile. Oggi tra leggi finanziarie che hanno norme penali, leggi fallimentari che hanno norme penali, leggi sull’immigrazione che hanno norme penali, forse se mi seggo troverò qualche disposizione che mi indica che questa sedia potrebbe avere rilevanza penale. Certamente c’è bisogno di andare a reimmaginare il sistema penale e dev’essere chiaramente un sistema penale minimo, ma non perché siamo buoni, ma perché la sanzione penale ha in sé un costo economico per la collettività che è insostenibile. Io negli ultimi anni ormai uso delle formule standard, nel senso che chiedo l’applicazione di misure diverse dalla carcerazione, quale potrebbe essere ad esempio una detenzione domiciliare in un ospedale con la giustificazione che non ci sono i soldi per pagare le cure. Cioè quindi altro che la via legislativa! Semplicemente nel modello 106, che è un modellino che noi usiamo per comunicare lo stato di salute del detenuto all’autorità giudiziaria, sopra c’è la parte dove il medico scrive “ha questa patologia”, mentre sotto io scrivo “è opportuna una misura diversa, perché non ho i soldi per curarla”. Un altro luogo comune che ho sentito, è secondo me è una enorme palla, è l’uguaglianza di assistenza tra il cittadino e il detenuto inteso in sensi normativi, perché vi posso dire ho portato le carte come prova, a volte le carte servono a questo. Il cittadino, se va a fare l’esame per verificare se è ammalato di AIDS, non paga nulla, se soffre di epatite non paga nulla, se deve fare l’esame della tubercolosi, non paga nulla, mentre il detenuto non potendo pagare, fa sì che sia l’Amministrazione a doverlo rimborsare. L’Amministrazione che non ha soldi, ci pensa non una volta, ma cento volte, prima di fare quell’accertamento. Quindi, quella uguaglianza di cui parliamo, di adattamento, risulta poi che non esiste se non soltanto sulla carta. La cosa poi sconcertante è che, se mai i detenuti sono tutti quanti iscritti al Servizio sanitario nazionale, ecco nella mia realtà ogni detenuto viene iscritto, ha il suo tesserino, però mentre può iscriversi, non può contestualmente ricevere alcuna somministrazione di assistenza, se non attraverso l’Amministrazione penitenziaria e attraverso alla capacità di solvenza che poi alla fine l’Amministrazione penitenziaria dovrà dimostrare. Ormai sono diventato debitore nei confronti dell’azienda sanitaria. Sì, perché dai medicinali antiretrovirali, agli accertamenti più modesti, mi viene tutto perfettamente, matematicamente registrato per essere emesso il pagamento e quindi mi arriva la fattura. Ciò mi spinge chiaramente, prima di mandare un detenuto in ospedale, a pensarci non una volta, ma tantissime volte. Ecco allora che siamo costretti a fare riferimento a dati servizi, quale ad esempio l’Ospedale Psichiatrico o ai Centri diagnostici terapeutici, per cercare di arginare questa falla di risorse che non siamo in grado in qualche modo di assicurare. Come anche non credo che sia vero, e avrei voluto sentirlo in questa sede, ma mi è sembrato di non cogliere, forse ero distratto, si parla sempre di Ospedale Psichiatrico Giudiziario come se fosse una sorta di girone infernale. Ma, scusatemi, nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario ci lavorano degli psichiatri, ci lavorano degli infermieri, ci lavorano dei medici, il loro codice deontologico è forse diverso o simile da quello di chi lavora all’azienda sanitaria? E perché dentro l’Ospedale Psichiatrico dovrebbe esserci tutto il male del mondo e dall’altra parte tutto il contrario? Da dove si ricava questo dato con precisione? Con certezza matematica? Ho la sensazione, torno a ripetere, che talvolta si giochi con troppa facilità su dei luoghi comuni. In realtà penso che se tutti coloro che cooperano sul territorio e che operano anche e soprattutto nel sistema penitenziario avessero le risorse, risorse umane, risorse economiche necessarie, molto probabilmente, se l’intento è lo stesso, cioè quello di salvaguardare la salute della persona, molto probabilmente i risultati sarebbero gli stessi. Non lo dico da adesso, lo dicevano i latini: “Primum vivere”, altro che diritto costituzionale! Ancora non si pensava alla Costituzione, era un principio naturale, un principio naturale che però noi col tempo siamo stati capaci di trasformare in fatto normativo per cui se è fatto normativo a un certo punto avrà bisogno di una copertura, perché non c’è legge che non abbia una copertura, allora guardate, non è più un fatto realizzabile concretamente, forse è il momento anche che su queste questioni si impongano i cosiddetti pensieri forti. I pensieri forti sono: esser certi che alcune cose devono essere fatte perché valgono soltanto perché è un nostro bisogno sociale, umanitario, di persona rispettabile.
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