Conclusioni di Giuseppe Mosconi

 

Giornata di studi "Carcere: non lavorare stanca"

9 maggio 2003 - Casa di Reclusione di Padova

 

 

Conclusioni del professor Giuseppe Mosconi (Commissione sui problemi giuridici)

 

In sintesi queste proposte si riassumono in una doppia possibilità: quando la pena è stata conclusa con un periodo di misura alternativa la pena è da intendersi estinta in tutte le sue componenti ed articolazioni; dove invece si è arrivati al fine pena in stato di detenzione, è prevedibile che le varie pene accessorie residue possano essere sostituite da una forma di misura alternativa, come può essere l’affidamento in prova o simili.

Però i temi che abbiamo affrontato si sono posti in un quadro anche più ampio, che ha a che fare da un lato con la ottenibilità delle misure alternative e, dall’altro, col rapporto (che è cruciale nella discussione di questa giornata tra la questione) tra il lavoro - da intendersi come diritto e come risorsa - e l’ottenibilità delle misure alternative stesse.

Dal primo punto di vista si è riproposta l’idea, difficile ma non irrealizzabile, che la misura alternativa venga applicata direttamente nel processo, dal giudice di merito, e non in una fase successiva alla condanna, da parte di un tribunale dell’esecuzione. Questo, sia sottolineato, comporta non irrilevanti difficoltà in termini di reperimento di informazioni e risorse e di organizzazioni procedurali, ma determinerebbe uno stato fin da subito favorevole al reinserimento sostanziale della persona, passando da una dimensione in cui prevale la dichiarazione di colpevolezza a una dimensione in cui prevale la preoccupazione per la risocializzazione.

Il secondo problema di cui ho parlato, cioè la questione del lavoro, si è posta nei termini della possibilità di ottenere il lavoro, da un lato, e la necessarietà della presenza di un lavoro come presupposto per l’ottenimento della misura, dall’altro lato.

Le due cose si presentano come contraddittorie, in qualche modo, cioè se da un lato l’interpretazione della legge è orientata a richiedere il lavoro come condizione necessaria all’ottenimento della misura alternativa (tra i vari presupposti), d’altro canto non ci sono disposizioni di legge, né iter operativi adeguati, per garantire effettivamente il lavoro.

Questo sostanzialmente significa che da questo punto di vista è necessario incentivare la possibilità di ottenere il lavoro, anche se il lavoro stesso non dovrebbe essere previsto come una condizione assolutamente necessaria per ottenere la misura. Come ampliare, quindi, le possibilità di estendere le opportunità occupazionali in termini di diritto, in termini di risorsa reale?

Ci sono state alcune idee, una prima idea è stata quella di pensare alla continuità del lavoro come diritto per le persone che, condannate, possono godere dell’applicazione dell’art. 21 nella stessa condizione lavorativa in cui si trovavano prima di essere detenute e, quindi, di una continuità di attività lavorativa, che non verrebbe interrotta dalla condanna.

Un secondo aspetto è stato quello di analizzare se gli incentivi previsti dalla legge Smuraglia siano adeguati alle logiche oggi presenti sul mercato del lavoro, se cioè quelli che sono i motivi all’assunzione, le dinamiche che riguardano i rapporti tra occupazione e disoccupazione, siano effettivamente ridefiniti dal tipo di vantaggi economici che la legge Smuraglia prevede, o se piuttosto non si debba invece ridefinire il versante dei diritti all’occupazione da un lato e la questione della retributività del lavoro dall’altro.

D’altra parte si è posto anche il problema dell’obbligatorietà dell’assunzione cioè se si possa pensare di definire una forte percentuale di posti di lavoro a livello aziendale riservati, oltre che alle varie categorie di svantaggio sociale che la legge oggi prevede anche alla categoria dei detenuti e degli ex detenuti. Si è pensato che questa cosa non sia così irragionevole ma sia al passo con le proposte che si stanno lavorando sul piano della definizione delle attività lavorative oggi.

Cioè, oggi si ha una articolazione tale del mercato del lavoro, di opportunità, di ruoli, di variabilità, di incentivazione delle forme lavorative autonome, che sembra lasciare spazio a una proposta anche più concreta e più attuabile e di questo tipo di idea, cioè di creare delle condizioni per essere inseriti lavorativamente anche in situazioni che non siano necessariamente protette, com’è la situazione delle Cooperative oggi. Un altro aspetto ha a che fare con la formazione da un lato e il sostegno all’attività occupazionale dall’altro. Il parlare di inserimento lavorativo comporta un processo, magari lungo ed articolato, che si svolge per fasi e può contemplare anche momenti di apertura e di sperimentazione, di tolleranza, di modifica graduale, non ponendo il modello lavorativo delle 8 ore, tipiche del lavoro salariato industriale, come unico modello rigido e predefinito di normalità lavorativa, accettabile in alternativa allo stato detentivo.

Quindi questo significa dare una possibilità di articolazione nel reinserimento, che non fa del reinserimento lavorativo l’unico presupposto rigidamente definito perché ciò avvenga, il che del resto è nello spirito della Legge, perché la stessa Semilibertà non prevede il lavoro come unica condizione che legittima la concessione del beneficio. Il problema allora è come articolare in termini normativi più specifici questo tipo di proposte e l’onorevole Boato si è offerto di promuovere, e l’onorevole Ruggeri anche, per fare avanzare queste proposte che si articoleranno a quanto ha già preparato il dott. Margara.

 

 

Precedente Home Su Successiva