Stefano Trasatti

 

Società senza informazione

I media, i diritti e gli esclusi

Venerdì 21 giugno 2002 - Milano

Stefano Trasatti, direttore dell'agenzia "Redattore Sociale"

 

Come fare per far passare il nostro lavoro sui grandi mezzi d’informazione? Io non sono molto pessimista, questo è dovuto al fatto che lavoro in una testata molto giovane che sta nella fase in cui non sai ancora se ce la fai. Ho vissuto da vicino, il cammino di Vita, quindi so che è dura e soltanto dopo 7 o 8 anni raccogli i frutti del tuo lavoro. Ecco perché ho un ottimismo di fondo sull’uso che, del nostro lavoro, viene fatto dall’informazione grande o piccola. Sul perché non siamo ancora a livelli soddisfacenti cercherò di rispondere facendo degli esempi con argomenti, tre temi abbastanza attuali.

Il primo è attuale… è la droga: dovrebbe esserlo anche perché il 26 di questo mese c’è la giornata mondiale sulla droga, una ricorrenza che negli ultimi anni è stata praticamente taciuta, come avviene per molte giornate mondiali. Quest’anno forse non lo sarà perché il governo, sei ministri del Governo più il vice Presidente del Consiglio, in questa giornata si riuniranno nella scuola di polizia di Roma… anche questo è un luogo… una scelta significativa… e annunceranno delle cose, come è già successo mesi fa a San Patrignano e poi a Vienna e in varie altre occasioni. E qui, ecco che la droga tornerà nell’agenda politica per qualche giorno.

Io seguo questo tema da 10 - 12 anni e devo dire che, se dovessi definire l’informazione sulla droga in Italia, direi che è una brutta informazione, generalmente. È un’informazione dove qualsiasi respiro, qualsiasi starnuto di un personaggio politico, o famoso per altri motivi, ad esempio sulle droghe leggere, viene enfatizzato, drammatizzato, riempiendo pagine di giornali come niente. I toni sono sempre quelli di un linguaggio un po’ di guerra. Per semplificare una questione molto difficile, la situazione dei cosiddetti tossicodipendenti cronici, si parla ancora di "salvare", si usa il termine "salvare", quindi se si salva ci sono i "salvatori"… quindi per fortuna ci sono i salvatori, quindi "noi società" possiamo stare tranquilli, perché c’è gente a cui si può delegare il problema.

Si parla di tunnel, il tunnel è una cosa in cui non si sa se c’è l’uscita, è comunque un luogo oscuro. Si parla di incapacità di intendere e di volere, addirittura: noi abbiamo, proprio oggi, un’intervista di Sotgiu nella quale lui commenta la questione del trattamento coatto, che è stato molto contestato, e spiega un po’ chi usa questo metodo.

Si parla di "spinello libero" con una grandissima libertà, di legalizzazione, liberalizzazione, depenalizzazione, mentre sull’alcool c’è un silenzio di tomba…

Quest’elenco di luoghi comuni è rimasto quasi immutato da 10 - 15 anni a questa parte. Poi c’è il silenzio, rotto ogni tanto da queste… chiamiamole notizie, ma che notizie non sono, non centrano il problema, non riescono a seguirlo.

Quello dell’immigrazione è un tema attualissimo, sul quale si segue molto la tendenza del dibattito politico, più ancora che su altri temi, questo a testimoniare che la grande informazione nasce da lì, da questo vizio di fondo. Si parla di questi temi solo se sono nell’agenda politica e questa è una delle regole del gioco, che tutti dobbiamo accettare.

Però poi un giornalista dovrebbe uscire un po’ dal Palazzo, per parlare di questi temi: cerchiamo di parlare di questo tema cercando di approfondire, andandolo a guardare dal vero e, invece, questo sforzo raramente viene fatto. Sull’immigrazione il discorso è sempre legato alla sicurezza e non al processo di integrazione, a cosa comporta l’inserimento di due milioni di persone nella nostra società, sia dal punto di vista negativo che da quello positivo.

Ho letto, una volta, che c’era la questione di costruire delle moschee, poi c’è chi dice "no", che questo è un approccio sbagliato: io non so rispondere, perché è un tema di cui assolutamente non si parla, è un aspetto dell’integrazione di cui non si parla, non si parla dei problemi degli immigrati, con un approccio che pian piano farebbe passare una cultura più disposta ad usare la razionalità, la solidarietà, etc.; passa il concetto che noi dobbiamo occuparci d’immigrati soltanto come potenziali nemici, potenziali pericoli, o come gente che sta qui solo di passaggio, sta qui per mandare a casa i soldi e non ha diritto ad avere una moglie, degli affetti, sta qui per lavorare e basta.

Terza cosa, invece, è il volontariato stesso. Anche qui c’è una certa confusione tra volontariato puro, il privato sociale, il terzo settore, la cooperazione nazionale: sono tutti volontari, senza tener conto del fatto che i volontari che dedicano un numero di ore significativo senza alcun compenso sono una minoranza, rispetto ai grandi numeri che vengono spesso citati.

Ecco, quindi c’è grande enfasi su questo, molti luoghi comuni su ciò che il volontariato fa e dice: l’opinione del volontario ha una specie di cittadinanza limitata perché, come gli immigrati, anche i volontari sono solo facce, non persone: essi stessi sono portati a presentarsi come il Superman, come il buono che non ha difetti, che fa tanto per fare.

Per quanto ci riguarda noi (il direttore, Ignazi, mi perdonerà il paragone), dobbiamo guardare all’ANSA, cioè di fare un’altra agenzia quotidiana con notizie in più. Noi mettiamo qualche approfondimento, assieme alle notizie, ed essendo su Internet questo è possibile farlo, poi chi vuole leggerlo deve abbonarsi.

Quello che percepisco è innanzitutto la debolezza dei temi sociali, c’è una specie di rifiuto, di fuga quasi istintiva a trattarli. Noi continuiamo a pensare che alcune delle notizie che noi pubblichiamo abbiano lo spazio di un taglio medio, o una spalla di una pagina interna della cronaca di un giornale, al posto di un’altra notizia. Cioè continuiamo a credere che il caporedattore di turno potrebbe scegliere quella notizia e non quell’altra…

C’è un po’ di ottimismo, invece, perché sentiamo, percepiamo che è molto apprezzata la funzione di archivio, di quella banca dati intelligente che Ravelli suggeriva e anche che le idee, gli spunti per trattare certi temi, ci sono. Si è detto che certi argomenti vengono trattati solo quando sono legati all’agenda politica e questo è vero, però è capitato, per qualche settimana l’anno scorso, che di certi argomenti si parlasse sui quotidiani come mai si era parlato: prima del G8.

Noi abbiamo visto pagine fatte molto bene, per le quali il giornale aveva mandato in campo molte delle sue risorse, parlo dei grandi giornali, sugli squilibri mondiali, sulla povertà, etc.. Poi c’è stata la morte di Giuliani, abbiamo visto un’informazione che ha dovuto seguire questi aspetti e ci sono stati anche incidenti…

Qui siamo fra amici, insomma, non abbiamo parlato dei condizionamenti ai quali è sottoposto un giornalista, degli spazi e del tempo, della fretta… però continuo a pensare che i luoghi comuni l’informazione potrebbe lo stesso non seguirli, dovrebbe aggirarli, dovrebbe trovare, appunto, il senso della notizia. È una cosa molto faticosa, purtroppo, ma a volte ne vale la pena.

 

Sergio Segio

 

Grazie a Stefano anche per le parole di speranza. Devo dire che forse il mio pessimismo è influenzato anche dalle sorti dell’Annuario Sociale, che io curavo ed era pubblicato da Feltrinelli. Dopo cinque anni, quest’anno non uscirà più proprio per difficoltà finanziarie. Quello rapporto aveva acquisito una certa autorevolezza, in giro per le redazioni in Italia, e non esce più… la legge dell’economia ci insegna… però, tutto sommato, a me lascia un po’ di pessimismo sulle sinergie possibili tra economia sociale, informazione sociale e sistema dei media. Credo vadano trovate nuove strade e nuovi strumenti.

Tra l’altro proprio, con la C.G.I.L., stiamo vedendosi se sia possibile mantenere questa pubblicazione ma, aldilà dello specifico strumento, io credo bisogni trovare le sedi in cui la grande informazione e l’informazione sociale si parlano, si confrontano, magari si conoscono, e provano delle nuove modalità per fare gioco di squadra. Adesso la parola ad Antonio Palzeri, Segretario generale della Camera del Lavoro.

 

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