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Venerdì 21 giugno 2002 - Milano Riccardo Bonacina, direttore editoriale di "Vita"
Io non sono così pessimista, anzi devo dire che spesso molte cose entrano in circolo, riguardo all’attenzione che noi riusciamo a far passare. Rispetto all’inizio, in questi sei o sette anni, molte cose sono cambiate. Fino al 1994 era impensabile un travaso di attenzioni e di collaborazione anche con altri giornali d’informazione generalista. A parte il giornale riportato dall’agenzia addirittura stiamo guardando a una trasmissione, un network radiofonico de "Il sole 24 ore", tra l’altro riusciamo così a parlare ogni settimana a circa 400.000 persone. Non sono una cifra da buttare via, e quindi se riesci ad inserirti in questo maledetto spot, perché i media fanno lo spot su una realtà e poi si spostano, se riesci a spostarlo ed intervenire, dare un giudizio, si vedono i risultati. La prima cosa che volevo dire me l’ha fatta venire in mente l’intervento sul grande luogo comune, il tic dell’informazione italiana che secondo me era interessante, e mi è venuto in mente un pezzo di una settimana fa, apparso su "La repubblica", che diceva "qui rischiamo di essere tutti cittadini di un paese che non c’è". Mi è sembrata una definizione terribile ed interessantissima, che si riferiva all’uscita, fatta all’estero, di Berlusconi su Santoro e Biagi. Lui diceva: "abbasso le proteste, i girotondi, le manifestazioni..". Uscite così costringono a dibattere, a parlare di questioni assai poco reali, questo mi sembra il rischio vero. Non so se è la politica che fa l’agenda dei media o viceversa, o se è comunque un serpente che si morde la coda, ma spesso si rischia di essere attori di cose poco reali. Non solo noi giornalisti, ma attraverso i media, voglio dire, anche i cittadini. Una delle cose più importanti dell’esperienza di "Vita", è questo cercare di comprometterci molto con la realtà, alla faccia del giornalismo inglese, anglosassone. Cerchiamo di comprometterci anche attraverso fonti d’informazione o collaborazioni assai poco ortodosse, con la realtà che raccontiamo, però è stata un’esperienza straordinaria, anche molto bella, sulla crisi medio orientale, israeliana e palestinese, cioè noi abbiamo fatto le pagine del giornale attraverso le corrispondenze dei volontari che erano giù, mentre nel paese si stava dibattendo se stare con gli israeliani o con i palestinesi, le manifestazioni, insomma veramente una cosa astratta e irrealistica che risponde a interessi di bottega di pochissime persone. Ecco, siamo riusciti a fare delle pagine di giornale e anche, credo, di portata straordinaria, grazie a questa vicinanza, alla possibilità di essere molto vicini alla realtà che si andava raccontando, tramite la corrispondenza di corrispondenti sui generis. Io volevo sottolineare tre cose; voglio dire che "Vita" ha un’esperienza abbastanza fortunata, con tutte le fatiche di questi anni, però ha avuto essenzialmente questa fortuna, e volevo dire quelle che secondo me sono le caratteristiche appunto della nostra storia. Generalmente, quando nasce un media, nasce dall’alto, perché ci sono alcuni intellettuali che hanno un’idea che vogliono propagandare, oppure c’è un interesse economico, qualcosa da vendere, e allora fai anche i media per poterla vendere meglio. Invece "Vita", l’idea del giornale, è nata molto in basso, è nata tra una ventina di associazioni ed organizzazioni del terzo settore che hanno detto "facciamo un progetto comune di comunicazione, proviamo a dar vita ad un settimanale che dia voce a noi e attraverso la nostra voce ad altri". Questa è stata una fortuna perché la nostra indipendenza vuol dire che scegliamo di non ricevere finanziamenti, cerchiamo di avere rapporti con gli inserzionisti pubblicitari gestiti direttamente da noi, insomma tutta l’indipendenza dell’assetto proprietario. Vent’anni fa andava di moda discutere se il proprietario è l’editore… oggi riconduciamo tutto a Berlusconi, insomma anche qua è un discorso che ha un aspetto importante, quello della proprietà del giornale, l’assetto della proprietà: tanto è vero che queste associazioni sono oggi proprietarie del giornale, controllano il 54 - 56 % delle azioni del giornale. "Vita", in questi 7 anni, è riuscita a diventare una componente del terzo settore, e questo per noi è una fortuna, è un privilegio. L’altra caratteristica della nostra storia (qualcuno l’ha già citata) è che "Vita" vuole essere dentro al contesto dei media. Noi abbiamo scelto di starci dentro, quindi ci sono delle regole. La notizia, un certo tipo di linguaggio, insomma non abbiamo voluto fare un giornale alternativo, questo per dire che la nostra storia è importante. Abbiamo voluto fare un giornale che avesse una sua qualità giornalistica secondo i canoni del nostro lavoro, quindi abbiamo scelto di stare dentro il contesto ed il linguaggio del lavoro giornalistico, spingendo molto anche le competenze multimediali della redazione. La ventina di persone che lavorano a "Vita" sanno usare articoli, apparecchi radiofonici, telecamere, e quindi la capacità multimediale è anche accettare le regole del gioco e poi magari sottolineare, andare a fondo, cercare di spostare gli spot dei media su argomenti che in genere l’agenda quotidiana non pone all’ordine del giorno. Noi abbiamo una carta dei principi nel nostro lavoro e, alla fine della carta dei principi, una delle raccomandazioni è quella di lavorare nel cestino delle informazioni, nel cestino dei rifiuti, perché oltre alle 1.500 notizie dell’Ansa, noi facciamo il calcolo che sui nostri computer ne arrivino circa 5.000/5.500, tra altre agenzie e le altre fonti di informazione. C’è quest’imbuto, delle 100/120/200 notizie sulle quali tutti lavorano, ma perché lavorano tutti su quelle 200? L’agenda quotidiana butta via una serie d’informazioni, nel cestino delle informazioni ci sono un sacco di cose di cui nessuno parla. È bello andare a vedere ciò che gli altri hanno buttato via e che invece è più interessante di quello che compare su tutti i giornali. L’altra cosa, poi, è concepire questa fortuna che abbiamo avuto, di un rapporto addirittura fondativo, regolativo e proprietario, con una parte di società italiana: qualche anno dopo la nostra nascita sono usciti anche i numeri, 600 associazioni del terzo settore.
Sergio Segio
Ora parla Stefano Trasatti, direttore dell’Agenzia Redattore Sociale che, rispetto a Vita, è senz’altro più giovane, ma a mio giudizio è altrettanto qualificata.
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