Francesco Maisto

 

Il carcere oggi, tra indulto negato e leggi inattuate

 

Milano, 27 giugno 2003

 

 

Francesco Maisto (Sostituto Procuratore a Milano)

 

Pur sapendo che negli auspici degli organizzatori c’era la volontà di farmi intervenire soprattutto sul tema delle droghe, che avrà prevalenza nel pomeriggio, vi dico francamente che, pur essendo quello un problema che mi torce e mi fa riflettere, la situazione carceraria generale m’interessa particolarmente.

Credo che ci siano alcune cose che vadano dette con estrema chiarezza. E che in questa forma di convegno si debba ancor di più dire se questo fosse il passaggio verso eventi coinvolgenti a livello nazionale.

È sicuramente la scelta principe, quella di una forte resistenza costituzionale attorno alla difesa estrema dei diritti della persona umana. Innanzi tutto i diritti. È anche vero, però, e cercherò di arrivarci alla fine di questo intervento, che nella situazione politica, economica e sociale che noi abbiamo davanti, poco o niente si mette in evidenza che il nostro sistema penitenziario è un sistema antieconomico.

Di fronte al fatto che c’è una maggioranza che ragiona sempre in termini di forza e di soldi, in qualche maniera deve pur essere prospettata e capita questa situazione. E badate bene che non sono soldi buttati in assoluto, sono soldi buttati nelle tasche di pochi, perché è così per chiunque esamini in senso economico il nostro sistema penitenziario.

Qualcun altro avrebbe potuto spiegarvi bene oggi, per le sue competenze professionali, ma non c’è (faccio riferimento esplicito a Cusani, non ho problemi), come un’analisi dei costi, dei benefici, delle spese del nostro sistema penitenziario, porta i soldi nelle tasche di pochi. Per cui, in assoluto, ripeto, non si può dire che siano soldi buttati, sono soldi buttati nelle tasche di pochi.

L’altra cosa che va detta, ma forse non ho capito molto bene il discorso di Anna Muschitiello, riguarda la questione delle misure alternative. In una certa frizione con Alessandro Margara, diceva forse non è proprio così perché le misure alternative sono aumentate.

Questo è sicuramente un ragionamento che va fatto, cioè tenere conto se le misure alternative aumentano o diminuiscono, ma non è soltanto questo il pezzo di discorso che interessa. A noi interessa la globalità del discorso sul carico di repressione penale in generale e, in particolare all’interno del discorso globale, andare a capire quali sono le fasce sociali che hanno il peso del carico della repressione penale.

È questo, probabilmente, il discorso che non si potrà fare a quelli che invece sono sensibili ai soldi, alla tasca. Poi però c’è un’altra fetta che non è sensibile soltanto ai soldi, alla tasca. Un tempo si diceva della relazione tra carcere e fabbrica, tra pena e struttura sociale – ormai è un’analisi superata – ma in qualche modo è un discorso che va ripreso per far capire dove il carico globale della repressione penale va a finire.

Allora, in questo contesto, io non ho difficoltà a dare ragione ad Anna Muschitiello. Se vediamo le statistiche – io cerco di tenerle continuamente aggiornate con quello che ci fornisce il D.A.P. – effettivamente noi vediamo che, nel 2002, la somma delle misure nuove alternative pervenute, cioè ciò che è stato applicato ex novo, non la gestione, è un numero in aumento rispetto al 2001, visto che le nuove misure alternative pervenute nel 2002 sono state 25.682, con l’avvertenza ovviamente che non si tratta soltanto di misure alternative per persone uscite dal carcere, ma anche per quelli dalla libertà, ossia i cosiddetti affidamenti ex novo.

E qui va aperta una parentesi, proprio per dire a quelli che cianciano di certezza delle pene, che a nessuno però crea il minimo fastidio, nemmeno di cattivo odore, il fatto che in Italia circolino 70.000 persone per le quali c’è un regime di sospensione, nel senso che sono in attesa che avvenga la Camera di Consiglio da parte del Tribunale di Sorveglianza. Cioè persone per le quali il Magistrato di Sorveglianza potrebbe anche decidere che invece non sono meritevoli della misura alternativa e che quindi devono andare a scontare la pena in carcere. Queste 70.000 persone vaganti, tante sono le pratiche pendenti dei Tribunali di Sorveglianza, non dicono niente a nessuno.

Effettivamente, vi dicevo, c’è stato un aumento delle misure alternative rispetto al 2001, perché il carico di misure alternative pervenuto nel 2001 era di 18.875. Si dovrà poi capire perché c’è stato questo aumento. Però questa è stata un’oscillazione al ribasso, rispetto all’anno 2000, nel quale le misure alternative pervenute erano state 20.664.

Domanda rozza, che richiede una risposta rozza: "C’è una qualche connessione tra l’aumento delle misure alternative e la maggioranza, oppure non c’è alcuna connessione?". Io ho l’impressione che non ci sia alcuna connessione, perché credo che il livello più basso di misure alternative sia stato toccato nel 1999, con governo di centrosinistra, quando le misure alternative ex novo furono 17.926, quindi con una caduta a picco. Credo che non ci sia alcuna connessione e che le dinamiche siano di tutt’altro tipo.

Perché vi dico tutto questo? Sia per riaffermare le curve quali sono, ossia che c’è un aumento, sia per dirvi che probabilmente abbiamo una ripresa dell’aumento delle misure alternative ma questo non significa che c’è più alternatività e meno carcere. Noi abbiamo un carico complessivo di più alternatività ma anche di più carcere, perciò vi dicevo del carico globale della repressione penale. È tutto il sistema, in espansione.

Io non intendo discutere l’intervento di Anna Muschitiello, che peraltro credo, se me ne dà conferma, ha ricalcato l’introduzione del libro "Dei diritti e delle pene", da lei curato, e quindi anche la parte relativa ai suicidi e agli autolesionismi in carcere.

Anche Segio, sul primo numero di "Sodalidas", con una ricerca molto accurata faceva riferimento alle statistiche ufficiali in tema di condizione carceraria e, quindi, autolesionismo e suicidi. Chiunque esamini l’editoriale dell’ultimo numero di una rivista a voi nota, soprattutto per gli operatori penitenziari, che è la Rassegna penitenziaria e criminologica, vedrà invece che l’editorialista del D.A.P., probabilmente in qualche modo anestetizzato dal clima generale, descrive l’attuale gestione dell’Amministrazione Penitenziaria come un’isola felice, nel senso che è diminuito – ma non ci dice in base a quali statistiche – il numero dei suicidi.

Probabilmente questi dati dipendono da una sorta di gioco delle tre tavolette, per cui fatta la Commissione, presso il D.A.P., in relazione agli atti di autolesionismo e di suicidio, si usano delle terminologie abbastanza ridondanti, o delle circonlocuzioni, per cui uno che muore è come se non fosse morto, praticamente. Ciò che conta non è l’esito finale, ciò che conta è che poi è morto d’infarto, perché quella è la condizione finale nella quale è arrivato in ospedale, se ci è arrivato.

Ma, lo stesso editorialista, continua dicendo che c’è grande impegno, nella amministrazione penitenziaria, che si portano a termine tutta una serie di impegni già presi, e così via… "La pressione del sovraffollamento sembra denunciare una fase di stanchezza. Le presenze nel sistema sono diminuite e nel ritmo incrementale non mancano segni, ancora incerti, di qualche locale lieve flessione. Al contrario, un indice invocato spesso a sproposito, come il tasso dei suicidi, ha visto una considerevole flessione nell’anno in corso, così come sono diminuiti gli atti di autolesionismo. Sono da porre, questi dati, in connessione con il percepibile aumento dei dati dei detenuti lavoranti. È entrato a regime il sistema sanzionatorio affidato al giudice di pace". E non c’è stato un solo lavoro di pubblica utilità. "Occorre insistere perché si completi senza timori il processo che si è avviato". Ecco, questa è la realtà che potete mettere a confronto con il vostro vissuto penitenziario e il vissuto dell’editorialista della Rassegna penitenziaria.

Sull’altro polo, per descrivere la situazione, al di là delle cifre e degli ambienti ufficiali del D.A.P., è interessante seguire un dibattito, che è ancora in corso su una mailing list, aperta qualche mese fa da Giancarlo Caselli, scoraggiato, a Torino, per il fatto che a un seminario di formazione decentrato su "Magistratura e Carcere", abbia partecipato soltanto un magistrato. Per il resto – bene che ci siano andati – ma c’erano solamente operatori penitenziari. Quindi, a un seminario di formazione per magistrati, c’era solamente un magistrato e il resto erano tutti operatori penitenziari.

È interessante capire come, su questo tema "Magistratura e carcere", i magistrati intervenuti siano partiti per la tangente.

Io ricordo il mio insegnate di lettere, quando scriveva fuori tema, i miei sogni notturni erano angustiati da questo fuori tema. Di fronte a questo problema rilevante, gli argomenti vanno trattati. I magistrati sono stati sostanzialmente capiti, tranne alcuni Magistrati di Sorveglianza. Il problema del carcere è diventato il problema dell’esecuzione penale, che è in verità importante, ma che non è il problema del carcere, cioè non parliamo di una condizione materiale storia precisa, precipitati in una condizione di un certo paese.

I problemi dell’alternatività o meno effettiva delle misure previste dalle leggi, a partire dalla legge penitenziaria del ‘75, passando dalla legge Gozzini dell’86, fino alle ultime in materia di incompatibilità del regime detentivo, con le mamme e i bambini e con l’incompatibilità con l’aids, sono diventati i problemi delle prescrizioni risarcitorie o riparatorie o mediatorie in sede di affidamento al servizio sociale.

È tutta un’altra cosa, non è magistratura e carcere, quel che effettivamente si segnala per bocca dei diretti interessati, ma che non si sente dire in giro, ma che se dovesse essere effettivamente in qualche modo avverata è un dato bravo. Ci sono molti che sono partiti per la tangente, però ci sono molti che riferiscono che c’è una invadenza dell’amministrazione penitenziaria nell’ambito della giurisdizione rieducativa, cioè nell’ambito della magistratura di sorveglianza. Voi capite, in termini di dislocazione o di divisione dei poteri, e in termini di autonomia giudiziaria e giurisdizionale, che cosa possa significare una invadenza di questo tipo.

L’amministrazione penitenziaria attuale, che dice ai magistrati: "Questo si fa e questo no". Io li ho qua, i messaggi di questa mailing list, e sono dei magistrati, con nome e cognome, che scrivono e credo non abbiano voglia di andarsi a cercare delle rogne. Questo per quanto riguarda sinteticamente la situazione.

Prospettive: fa male, sicuramente, la querelle in atto, che lo è sostanzialmente tra di noi, perché fuori chi se ne frega di questa roba, i problemi sono altri. La querelle in atto tra retribuzionismo, correzionalismo, nelle varie varianti di certezza della pena, di flessibilità delle pene, pene alternative, misure alternative. Sicuramente questa è una querelle che nuoce alla cultura che è intorno a noi ed è una querelle che va superata.

A molti non sarà sfuggita la posizione che ha preso Giancarlo Caselli, con l’ex dirigente dell’Ufficio Detenuti, già affronta nel penultimo numero di "Micromega", laddove si parla di programmi c’è un articolo, un programma per le carceri di Giancarlo Caselli, che in realtà va in rotta di collisione con un ultimo paragrafo del programma per la giustizia, di Francesco Saverebbo, ma aldilà di questa contraddizione interna c’è un punto fondamentale, che si fa la stessa opzione nelle pene alternative, pur prevedendo e facendo una serie di ragionamenti in termini di certezza, per quanto riguarda il sistema penitenziario.

Siamo quindi nelle pene alternative, sicuramente questa è una questione che in un itinerario di ragionamento interno o di regolazione esterna va ripreso e sul quale bisogna fare dei ragionamenti, ma non si dica che è tutto indifferente. Mi sembrava di avere sentito, poco fa, che la Commissione Nordio sta lavorando (come voi saprete ha preso il posto, indegnamente, della Commissione Grosso) attorno a questi punti.

Noi già avevamo espresso le nostre perplessità sulle opzioni in tema di sanzioni sulla Commissione Grosso e, comunque, non posso qui soffermarmi molto e rinvio a quel dibattito. Faccio la pubblicità a un libro della Muschitiello sui diritti e le pene, lì c’è ampio materiale per orientarsi in relazione al dibattito in corso su pene e misure alternative. Credo che però, nel corso di questo ultimo anno e mezzo siamo riusciti anche ad apprezzare, per le varie vicende generali, particolari ed interessanti che hanno attraversato il nostro paese. Ed apprezzare anche il sapore di certi valori e di certe tradizioni, dalle quali pensavamo di poterci allontanare senza molti problemi.

Tra questi il problema delle pene alternative e lo dico molto chiaramente. Nell’ultimo numero della Rassegna penitenziaria criminologica c’è un saggio del carissimo amico Massimo Pavarini – lo dicevo l’altro giorno alla riunione dell’Age.So.L. – che, riprendendo un discorso fatto due anni fa ad un convegno di Antigone all’Università di Pisa, allarga quel discorso del girotondo, il quadro di Van Gogh, il girotondo penitenziario universale, per dire come ci sia un aumento generale della carcerazione in tutto il mondo e, pur non arrivando a dire che ormai inevitabilmente questa è la strada, quel che scoraggia, di questo saggio, è il pessimismo, lo scetticismo di fronte alle possibili prospettive.

Perché, dicevo, quest’anno e mezzo è servito molto, perché anche in relazione alle lotte fatte, vinte o perse non c’interessa, in cui si credeva e si crede effettivamente, noi abbiamo imparato, in relazione alla Costituzione e ai lavori costituzionali, e in relazione ai diritti inviolabili di una persona, ai diritti di personalità, non c’è commercializzazione possibile, non c’è negoziabilità, sono diritti che non si vendono, non si perdono e non si contrattano. Abbiamo anche ulteriormente ricordato a noi stessi, abbiamo rinvigorito la nostra riflessione, se si fosse appannata un pochino, che c’è un intreccio inestricabile che fa parte di un tessuto connettivo sostanziale e profondo che c’è nella nostra carta costituzionale che, per non citare tutti gli articoli, parte dal personalismo e dagli obblighi di solidarietà dell’articolo 2, passa per il principio di uguaglianza dell’articolo 3, per il principio del diritto alla salute – non soltanto come diritto della persona, ma anche come interesse della collettività – di cui all’articolo 32 della Costituzione, e per l’articolo 27, quindi per la funzione tendenzialmente rieducativa della pena.

E qui ha ragione Alessandro Margara: o tutto si tiene, o tutto si perde. Nel momento in cui si apre un fronte nel tessuto connettivo dei valori costituzionali, si apre il confronto. Il discorso di Massimo Pavarini, che è un discorso scientifico fatto sulla base di dati statistici che ci dicono, in modo disincantato: "amici, ex compagni, il mondo va così!". Ma noi non vogliamo che il mondo vada così, questo è un mondo che non ci piace e che deve andare diversamente.

Allora, se la prospettiva è questa e resta saldo il cardine, non romantico, non fittizio, non ipocrita, non velato in superficie, dell’articolo 27 della Costituzione, noi non possiamo consentirci di andare verso quello schema rappresentato da un lato dalla certezza delle pene e, dall’altro, dalle pene alternative, che sono la negazione della certezza delle pene. Questo per tutta una serie di motivi, che abbiamo indicato in una serie di saggi, in accordo con Franco (Corleone?), nel volume curato da Anna Muschitiello.

In tutto questo io credo che si debba ragionare su un punto, che non si portare allo sconforto,ma che ritenuto debitamente in conto che è lo stato della giustizia, perché in realtà l’obiettivo è il passaggio dal carcere e dai problemi della sofferenza è stato spostato sul processo e sulla giustizia. Ma che cosa ci dice lo stato della nostra amministrazione della giustizia, io mai come in questo periodo ho letto serie di accurati appelli di colleghi del sud, che si trovano dal tribunale di Foggia, io sono rimasto allibito, non so in oltre parti ma a foggia dalla settimana prossima fino a febbraio 2004 mancherà la stenotipia, finiti tutti i fondi del 2003 per pagare il 2002, forse si andrà avanti a mano in tutti i processi tranne uno di tangentopoli. La prescrizione si avvicina, ma ne abbiamo un’altra quantità di fatti di questo tifo, sullo stato della giustizia.

Aggiungo un particolare che non è di poco conto, non abbiamo soltanto un dissesto in termini di risorse personali e finanziali ma le recente riforme, come giustamente a sottolineato più volte Franco Corleone, producono come lui chiama! Guasti dell’anima, non ci sarà medicina se continuerà ad andare avanti il guasto dell’anima di questo tipo, e si pretende e vengo a quello che sarebbe stato il piccolo intervento di oggi, di intrecciare ancora di più l’innesto tra pene e terapia, tra giustizia e cura da una parte portando avanti il principio di certezza della pena e dall’altra parte mediante aumenti dei carichi repressivi dall’altra parte, prevedendo immotivatamente delle sospensioni di pene per pene altissime.

Volevo soltanto dire che Grazia Zuffa e Franco Corleone e anche altri che hanno sottoscritto lo stesso mio appello e, aldilà delle cose che abbiamo scritto di recente nel penultimo numero di "Fuoriluogo", probabilmente non abbiamo evidenziato abbastanza qualcosa che mette conto di dire più e cioè di quale sarebbe in termine di forte ricaduta negativa sulla giustizia penale, quelle sarebbe questa ricaduta nel disegno di legge che il governo non ha messo in cantiere, all’ordine del giorno ieri, pare abbiamo spostato. Quel che non abbiamo detto ma che è implicito perché si parla soprattutto in negativo in termini carcerari, sono tre aspetti ma che contano. Il primo, noi avremo tanti più processi in questo stato della questione della giustizia, ma anche più processi per direttissima per detenzione di stupefacenti, come a dire oggi per direttissima si processano gli extracomunitari, più o meno gli avanzi della giustizia.

Secondo, avremo meno impegno, perché è nello stato delle cose e nella natura, perché è più facile non farli. Avremo meno impegno sui grossi processi, mi riferisco ai processi di narcotraffico, le energie sono queste e se si dislocano in un certo settore è chiaro che non possono andare in altri.

Terzo, ed è quello che mi sembra anche grave, grazie o disgrazie ad un maggior numero di processi in questo settore, invece quei processi che richiedono maggiore tutela perché ci sono dei processi che hanno delle vittime effettive e verranno spostati sempre più in là. Allora, vedete che ancora una volta, come dice giustamente Sandro, o tutto si tiene o tutto si perde.

 

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