Antonella Barone

 

Associazione "Diritti umani - Sviluppo umano" di Padova e Associazione "Antigone"

Il difensore civico per le carceri

 

 

Antonella Barone

 

Sacrificherò parte del mio intervento per dare spazio al dibattito anche perché spero che alcune provocazioni lanciate dalla mia collega confluiscano nel dibattito. Mi limiterò a proporre delle considerazioni e degli interrogativi suggeriti dalla realtà concreta, dalla realtà che vivo quotidianamente in carcere e in particolare con l’utenza costituita dagli immigrati. La collega parlava del diritto al rispetto della vita familiare, dicendo che molto spesso gli affetti familiari per molti detenuti vengono mantenuti soltanto attraverso il telefono e accade spesso che i detenuti stiano anche anni senza telefonare. Ciò può succedere perché secondo il nostro ordinamento occorre che il Consolato provveda alla verifica delle utenze telefoniche. Faccio un esempio rapidissimo di ciò che è successo poco tempo fa nella Casa di Reclusione di Padova: alcuni detenuti tunisini hanno avanzato delle rimostranze perché non ottenevano l’autorizzazione a telefonare ai propri parenti; abbiamo fatto dei controlli e ci siamo resi conto che il Consolato, nonostante i numerosi solleciti della Direzione, non rispondeva. Ho telefonato io personalmente perché a volte noi facciamo degli interventi di tutela ibridi, accorati, ci sostituiamo non si sa bene a chi, li improvvisiamo; abbiamo telefonato e abbiamo scoperto che il Consolato tunisino effettua questi controlli consultando gli elenchi telefonici; se non risultano sull’elenco telefonico aspettano che sia la famiglia del detenuto a contattare il Consolato. Inoltre questi controlli vengono fatti per un solo familiare alla volta, quindi è assolutamente indifferente che l’autorizzazione venga chiesta per tutti i familiari con cui il detenuto avrebbe diritto a parlare. Una volta scoperto questo meccanismo è intervenuta la Direzione, si sono informati i detenuti di questo meccanismo, di queste procedure che poi, tra l’altro, cambiano all’interno dei vari Consolati, e alla fine si è riusciti a trovare il modo più idoneo per intervenire. Nel frattempo alcuni detenuti non telefonavano a casa da un paio di anni. In questo caso io ho sentito la mancanza di una figura che potesse senza attivare meccanismi pachidermici, scoraggianti per lentezza, che potesse rilevare l’ingiustizia e ripararla, rilevare il mancato rispetto di un diritto : forse un difensore civico ? forse. Un altro caso di violazione abbastanza frequente, trascurata è quella dell’assistenza religiosa garantito dall’art. 26 e dall’art. 55 della legge penitenziaria, di cui risentono particolarmente i detenuti di fede musulmana che sono la maggior parte e che sono anche i più osservanti. Non esiste, perché proprio la religione musulmana è restia a crearlo, ma è stato forse anche un po’ colpevole ignorarlo quando si è fatta la legge, non esiste un elenco dei ministri di culto. Padova ha chiesto l’autorizzazione all’ingresso di un ministro di culto quasi un anno fa al Ministero di Grazia e Giustizia che l’ha passata al Ministero degli Interni, attualmente ancora non c’è e questo diritto viene quietamente violato, silenziosamente violato perché va detto anche che, purtroppo, molti detenuti immigrati hanno una soglia di tolleranza alla violazione di certi diritti piuttosto alta e quindi non denunciano queste cose con il clamore di cui magari sono capaci i detenuti italiani. Spesso quindi noi ci facciamo portavoci di queste violazioni. Come immagino un difensore civico in questi casi ? lo immagino come un interprete, poiché sono casi in cui la violazione del diritto viene provocata dalla mancanza di comunicazione, da una approssimativa conoscenza delle normative reciproche, lo vedo quindi come un interprete, un soggetto che sia in grado di comunicare, di rappresentare il nostro diritto, di fare da canale di trasmissione di tendenze tra i vari ordinamenti internazionali. Ci sono poi altri diritti di cui sarebbe importante la promozione tra cui credo il diritto alla conservazione della propria cultura da parte dei detenuti extracomunitari. Tutto nei nostri istituti è pensato per i detenuti italiani : gli extracomunitari studiano italiano, si vedono film italiani, ci sono libri, giornali italiani oppure francesi ed è già tanto. Credo invece che sia molto importante che queste persone possano accedere anche a delle espressioni della loro cultura e non soltanto essere destinatari di nostre proposte perché in fondo l’immigrazione è risorsa anche in carcere.

 

 

 

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