Associazione "Diritti umani - Sviluppo umano" di Padova e Associazione "Antigone"

Il difensore civico per le carceri

 

 

Paolo Carlotto

 

Prima di parlare di quali siano le possibili forme di controllo sul rispetto dei diritti umani negli uffici e nelle caserme delle varie Forze di polizia, credo sia innanzitutto indispensabile chiarire se questi controlli e se i controlli in generale, sia dal punto di vista generale sia in relazione alla situazione italiana, siano realmente necessari. I popoli liberi e democratici chiedono molto alle proprie Forze di polizia: queste devono essere in grado di proteggere gli individui e le istituzioni, facendo applicare le leggi ed esercitando i loro legittimi poteri e allo stesso tempo però devono esse stesse rispettare e tutelare i diritti umani. Viene chiesta quindi alle Forze di polizia di bilanciare la tutela degli individui con la tutela delle istituzioni dello Stato, interessi che a volte possono anche essere in contrasto tra loro. La Polizia rappresenta quindi da una parte un sistema di protezione degli individui, un organismo al servizio dei cittadini, dall’altra uno strumento di affermazione dell’autorità statuale e di controllo sociale. In un paese civile e democratico queste due nature devono quindi essere correttamente bilanciate in modo tale da garantire le libertà fondamentali sancite dalle leggi nazionali e dagli strumenti internazionali. In ogni caso la protezione degli individui e delle istituzioni non può che passare inevitabilmente attraverso l’attribuzione alle Forze di polizia di poteri e di autorità che la mettono in grado di incidere, certo in maniera legittima, sulle libertà e sui diritti fondamentali delle persone. Non si può dimenticare però che in democrazia l’attribuzione di un potere a un soggetto, ed è già stato detto più volte nel corso di questa giornata, qualunque esso sia questo soggetto non può essere disgiunto da una qualche forma di controllo da parte di un altro soggetto, possibilmente esterno o imparziale, pena il costante pericolo di abusi, eccessi oppure sviamenti del potere stesso. A quanto finora detto bisogna anche aggiungere il fatto che gli uffici, le caserme delle varie Forze di polizia sono spesso effettivamente dei luoghi di detenzione, anche se magari per brevi o brevissimi periodi. I casi in cui una persona può essere detenuta in uffici di Polizia o dei Carabinieri o anche della Guardia di Finanza sono quelli previsti dal codice di procedura penale e cioè il fermo di identificazione fino a 12 ore, il fermo di polizia giudiziaria fino a 24 ore e nel caso di giudizio direttissimo l’arrestato attenderà il processo nei locali di polizia e quindi arrivando anche fino a 48 ore. Inoltre una parte importante dell’attività di polizia viene ad agire e a limitare in maniera tangibile che è forse il più fondamentale dei diritti umani, e cioè la libertà personale, basti pensare all’arresto o all’interrogatorio o altri atti tipici di polizia giudiziaria per comprendere come gli uffici e le attività di polizie possono essere ritenuti, passatemi il termine, luoghi a rischio di violazione dei diritti umani. Ciò non significa che un atto di polizia violi necessariamente un diritto però è sicuramente un luogo a rischio più di altri. Necessità di controllo quindi come corollario di un potere, come correttivo e prevenzione a non sicuri ma possibili abusi. Questo da un punto di vista generale e abbastanza teorico ma in Italia qual è la situazione ?

Vi è la effettiva necessità di forme di controllo ? Vi sono o si verificano all’interno degli uffici di polizia violazioni dei diritti umani ? Per rispondere a questi interrogativi mi riferirò al rapporto sulla visita che la delegazione del CPT ha effettuato in Italia nel 1992. Il rapporto è stato pubblicato nel 1995. È vero che nel 1995 è stata fatta un’altra visita ma solo pochi giorni fa è stata data, dal governo italiano, l’autorizzazione alla pubblicazione per cui non è ancora stato visto. Prima della sua visita in Italia il CPT non aveva ricevuto segnalazioni relative a maltrattamenti o a torture inflitte nei locali di polizia o dei Carabinieri né aveva scorto durante la visita alcun altro indizio nei locali visitati. Durante la visita nelle carceri molti detenuti però avevano asserito di aver subìto maltrattamenti durante la loro detenzione nei locali di polizia, soprattutto da parte dei Carabinieri e nella maggior parte dei casi nei confronti di stranieri e di tossicodipendenti. La delegazione del CPT consultando il registro 99 che è il registro relativo alla visita medica d’ammissione nelle carceri e in particolare consultando il registro 99 delle carceri di Regina Coeli a Roma e di San Vittore a Milano ha riscontrato casi di lesioni traumatiche compatibili con le segnalazioni di maltrattamenti fatte dai detenuti. In base a ciò il CPT ha concluso che le persone private della libertà dalle Forze di polizia e soprattutto le persone appartenenti a certe categorie particolari, stranieri immigrati, tossicodipendenti, corrono un innegabile rischio di essere sottoposte a maltrattamenti. Ovviamente il Comitato si è anche occupato delle condizioni in cui ha trovato i locali visitati e in particolare le camere di sicurezza che sono le stanze in cui vengono rinchiuse le persone arrestate o fermate in attesa della traduzione in carcere o dell’eventuale rilascio. Si tratta quindi di luoghi ove il soggiorno è relativamente breve, dalle 12 alle 48 ore a seconda del tipo di provvedimento, e di conseguenza non si può ovviamente attendere condizioni di detenzione paragonabili a quelle esistenti o che dovrebbero esistere nelle celle delle carceri ove il soggiorno previsto è chiaramente più lungo. Ciononostante anche nelle celle o camere di sicurezza debbono esistere un certo numero di condizioni materiali basilari : ad esempio uno spazio ragionevole, una adeguata ventilazione, degli standards igienici sufficienti, un arredamento minimale, il vitto, l’illuminazione e altre cose del genere. Nessun rilievo particolare è stato mosso dal CPT in ordine alle condizioni in cui sono stati trovati i locali della Polizia di Stato e dei Carabinieri destinati alla detenzione e visitati dalla delegazione. L’unica eccezione riguarda i Carabinieri: il CPT, a seguito di alcune segnalazioni, ha chiesto informazioni alle autorità italiane sulla regolamentazione in vigore circa la fruizione dei pasti da parte dei detenuti nelle camere di sicurezza dei Carabinieri. La risposta del Ministero della Difesa è stata quanto meno evasiva: "la problematica si pone esclusivamente per i soggetti collaboratori di giustizia nei confronti dei quali vengono adottati specifici programmi di protezione autorizzati dal servizio centrale di protezione del Ministero dell’Interno". Con questa risposta probabilmente si intende dire che, a parte i pentiti, nessuna persona privata della propria libertà soggiorna nei locali dei Carabinieri per un tempo così lungo da rendere necessaria la fruizione di un pasto. Ciò stupisce visto che un arrestato o un fermato può rimanere lì fino a 24 ore o in caso di giudizio direttissimo fino a 48 ore e in 48 ore qualche volta si mangia. Questo è il tenore della visita. Il CPT non ha trovato violazioni estremamente gravi, sicuramente ha trovato una situazione nella media degli Stati europei e degli Stati che aveva visitato fino a quel momento, però ci sono delle violazioni e quindi anche in Italia ritengo che siano necessarie delle forme di controllo del rispetto dei diritti umani in questi luoghi e cioè negli uffici delle Forze di Polizia, forme di controllo che adesso, in qualche misura, esistono ma che attualmente sono estremamente limitate. Da una parte abbiamo il possibile intervento della Magistratura che però non ha alcuna efficacia preventiva in quanto interviene solo ed esclusivamente a seguito di una denuncia e quindi quando la violazione è già avvenuta, dall’altra ci sono dei generici poteri ispettivi e di controllo affidati comunque a soggetti interni alle varie amministrazioni e che possono essere ricondotti nell’ambito della potestà disciplinare. A differenza di quanto accade per le carceri poi negli uffici di Polizia in generale nemmeno i parlamentari hanno un potere di visita all’interno. L’unico organismo che ha poteri di visita, ed è esterno alle amministrazioni, è il CPT del Consiglio d’Europa. Ragionando quindi su quelle che sono le attuali forme di controllo, che sembrano e appaiono insufficienti, e cercando di prendere ispirazione da quelle forme, da quei soggetti che esistono in altri Paesi, penso che si possa dire che istituire anche in Italia un Ombudsperson per la polizia, di nomina parlamentare, o comunque prevedere l’esistenza di un organismo magari composto da appartenenti delle varie amministrazioni e composto contemporaneamente e pariteticamente anche da esperti esterni, sarebbe sicuramente un ulteriore passo avanti nella difesa, tutela e rispetto dei diritti umani. A tale soggetto bisognerebbe ovviamente riconoscere il potere - dovere di visita periodica nei vari luoghi di detenzione, il diritto di ottenere informazioni dalle varie amministrazioni, la facoltà di dare consigli e suggerimenti alle stesse, la possibilità di ricevere segnalazioni su eventuali abusi o comportamenti scorretti, ma anche soprattutto il dovere di riferire periodicamente e pubblicamente sui risultati della propria attività. Un soggetto così individuato, oltre a essere uno degli interlocutori, credo, privilegiati del CPT, avrebbe sicuramente, per il solo fatto di esistere, un indubbio effetto preventivo.