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Rossella Favero Cooperativa AltraCittà
Confesso che mi fa una certa impressione parlare in questa sala, che conoscevo poco, e mi pare bellissima, molto calda oltre che molto ricca dal punto di vista artistico, ma anche è la sala consiliare della Provincia, quindi importante, mi pare un simbolo forte fare un convegno di questo tipo in questa sala. Inoltre ho una sensazione, nella circolarità quasi della sala, di tutte le componenti, le istituzioni e noi cooperative sociali, poi cercherò di dire perché hanno chiamato noi qui, e però vedo anche il Ser.T, gli psicologi che operano all’interno del carcere, vedo il comandante della Polizia Penitenziaria e un forte nucleo di agenti, ispettori, vice ispettori, poi vedo quelli che noi chiamiamo i "ragazzi", e che qualcuno chiama i ristretti, detenuti, Andrea, Stefano e Flavio, che sono venuti qui oggi proprio come portavoce delle attività che si fanno all’interno - vi assicuro che anni fa non succedeva che ci fossero tutte queste componenti - e poi le associazioni di volontariato, comprese quelle storiche che da vent’anni hanno fatto in qualche modo da apripista all’interno delle carceri di Padova. Ecco, questo mi dà il senso di un grande lavoro che si è fatto, in particolare dentro. Lo dà a me che ho lavorato anche come insegnante e ormai da otto anni, bene o male, entro ed esco da quei cancelli. È sicuramente un’impressione positiva. Io non so quanti sindaci siano presenti oltre a quelli che ormai sono coinvolti storicamente. Ecco, anche se ce ne fosse uno solo credo che sarebbe importante, perché l’obiettivo era questo. Perché Nicola Boscoletto mi ha messo molto in crisi dicendo che lui si sente piccolo, perché io volevo iniziare il mio intervento dicendo: dopo un colosso come la cooperativa Giotto e Nicola Boscoletto mi sento molto piccola. Invece, lo dico perché per me è un apripista, lo considero positivamente perché mi rassicura che ci siano delle esperienze come quelle di Volontà di Sapere, della Giotto o di altre cooperative. Però se lui si sente piccolo, e fa riferimento penso soprattutto ad alcune associazioni storiche, io, dal punto di vista delle cooperative, mi sento ancora più piccola perché siamo appena nati. Credo però che si sia voluto farci sedere a questo tavolo proprio come segno del lavoro in positivo che il carcere può offrire, non come richiesta di assistenzialismo ma come richiesta di lavoro di qualità. La presenza dei detenuti qua è in parallelo al fatto che la cartellina e tutti i materiali che sono nella cartellina sono stati commissionati dalla Provincia ai detenuti. Anche questo mi sembra un segno positivo. È un messaggio: guardate che dal carcere può uscire del lavoro utile. Mi riallaccio a quello che diceva prima Nicola Boscoletto, rubandogli una parte dell’intervento che lui ha fatto al convegno a cui alludeva prima, quando ha parlato di utile sociale. Io credo che quello che debbano capire i Comuni, le realtà istituzionali, è che bisogna dare lavoro, e deve essere lavoro di qualità. La cooperativa Giotto, mi ha detto Nicola, è certificata dal punto di vista della qualità, ad esempio. Questo è importantissimo! Le cooperative sociali oggi lavorano con quest’ottica, c’è stata una rivoluzione da questo punto di vista. Oltre al guadagno che ci può essere, perché può essere utile dal punto di vista economico per un Comune commissionare un lavoro a una cooperativa sociale in questi tempi così difficili, però c’è anche l’utile sociale. Riconsegnare alla società, dare lavoro a dei detenuti, riconsegnare alla società delle persone che hanno voglia di fare, di esprimersi, di realizzarsi in lavori di qualità diversi, è comunque un utile per tutta la società, oltre che economico, visti i costi che molti tirano fuori del carcere. Mi pare importantissimo che, come ha detto il dottor Cappelleri, anche il Ministro Castelli abbia detto che non ci sono alternative alle misure alternative, perché la capienza delle carceri non può essere aumentata. Il salto di qualità consiste nel far sì che le misure alternative producano un utile sociale. È la società che risparmia, in termini economici, ma anche, ed è fondamentale, in termini umani, di convivenza. Ecco questo era il messaggio che si voleva portare, per questo si voleva che questo incontro fosse anche una vetrina di tutto quello che si fa all’interno. Io faccio parecchie ore nei laboratori che ci sono nell’area chiamata Rotonda 3 della Casa di Reclusione, dove, grazie a una collaborazione che è cresciuta negli anni con tutti gli operatori, dagli psicologi, agli educatori, agli agenti di polizia penitenziaria, si possono realizzare delle attività di formazione, che diventano attività poi di autoformazione e di crescita e, infine, possibilità di lavoro. La nostra cooperativa nasce proprio per realizzare questo. Questa mattina, sapendo che sarei venuta qui e che i ragazzi avevano lavorato per queste cose in questi giorni, assieme agli altri operatori esterni, li ho riuniti e abbiamo parlato e abbiamo detto guardate che noi oggi andiamo lì per portare fuori questa vitalità; dentro, chi passa in quell’area, ha un’idea di una vitalità, di un lavorio, di una voglia di imparare, di crescere, e anche di acquisizione di abilità, che è anche qualità, e io vorrei essere il portavoce di questa voglia e capacità di fare delle cose, di essere per l’ esterno una risorsa. "AltraCittà", come ha detto l’assessore Arcoraci, è anche il nome della nostra cooperativa, l’altra città che non è solo buia, non è solo sofferenza, è anche luminosità di fervore e di collaborazioni. Questo
credo sia il messaggio forte nell’intento degli organizzatori, portare questa
idea che dal carcere può uscire tutto questo. Cito una piccola esperienza. A
Limena ci sono già stati due detenuti, formati nel centro di documentazione Due
Palazzi, che hanno lavorato come aiuto bibliotecari. Inizialmente mi risulta che
mentre il sindaco era molto sensibile e favorevole, il bibliotecario non ne
voleva sapere, perché l’idea di un detenuto pareva un’idea negativa da
affrontare.
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