|
Antonino Cappelleri Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Venezia
Anziché
diffondermi nei soliti ringraziamenti, che do per sottintesi, dico soltanto due
idee, molto veloci e sintetiche sul convegno, che è intitolato "Per una
nuova cultura sul carcere". Dunque la pena ha senso solo in quanto si tenti un approccio di recupero dell’individuo che vi è incorso. Sperimentazione quindi, impegno concreto quotidiano di tutte le componenti, momenti di riflessione e di pensiero quali sono i convegni come questo, che ogni tanto nel turbinare di tutte le attività che ci prendono, ci consentono di fermarci un attimo e riflettere. Mi veniva da pensare una cosa. Sapete che attualmente è in corso di realizzazione quel provvedimento semiclemenziale che è stato chiamato indultino. L’indultino è un istituto per il quale si sospende la pena nel massimo di due anni, consentendo al condannato di uscire dal carcere purché si sottoponga a determinate prescrizioni che assomigliano a quelle dell’affidamento in prova al sevizio sociale, che è la misura alternativa principale. Bene, l’esperienza di applicazione di questo istituto ci vede - e il collega penso me lo possa confermare - abbastanza scoraggiati quanto all’efficacia, quanto alla centratezza di questo istituto, perché quel che dico è questo: noi misuriamo la riuscita di una misura alternativa, o anche la riuscita dell’indultino, da una cartina di tornasole che è costituita dal numero delle revoche delle misure che sono state ammesse. Mi sembra - mi corregga Gianni Pavarin se sbaglio - che ci avviamo ad avere un numero di revoche degli indultini circa doppio rispetto al numero di revoche che si verificano per le misure alternative. Da
questo io traggo questa riflessione: deve esserci un momento che genera una
differenza così marcata. A mio avviso quello che porta a questa differenza è
il retroterra da cui proviene una persona che viene ammessa all’affidamento,
alla semilibertà, alla detenzione domiciliare da una parte e il retroterra
della persona che viene a essere scarcerata per indultino. Perché mentre la
prima ha "conquistato" la misura alternativa attraverso un percorso
che è stato gestito dall’assistenza, dall’educatore, dai contatti con le
strutture esterne, dalle promesse di lavoro eccetera. È una persona che viene
quindi da un percorso che ha maturato nella intenzione di riaccostarsi a quei
caratteri che sono tipici dei reinserimento sociale: lavoro, contesto familiare
e così via. Invece tutto questo lavorio, che è il lavorio che fanno poi gli
operatori penitenziari, viene saltato per così dire e ritenuto per legge con l’atto
di clemenza che ammette il condannato all’indultino. All’indultino possono
accedere anche persone che non avrebbero alcun titolo ad andare in misura di
sicurezza, è sostanzialmente un misto di perdono clemenziale con le
sovrastrutture delle misure alternative. Certamente non possiamo accontentarci. Il sistema va perfezionato e oggi siamo qui per pensare alle maniere possibili, siamo qui per coinvolgere il più possibile anche strutture esterne nel discorso di offerta rieducazionale. Quindi un pizzico di ottimismo, tutto sommato, ogni tanto può anche starci. Dico un’altra sola cosa e poi smetto immediatamente. Mi sono sempre anche crucciato di un’altra cosa. Mi piacerebbe, lo dico forse in maniera sfrontata, il ruolo dovrebbe indurmi a essere prudente, però siamo tra operatori del settore e quindi mi permetto di dirlo, mi piacerebbe un rilievo statistico di questo tipo, non è mai stato fatto che mi risulti, mi piacerebbe capire quanti condannati che portano la loro vicenda penale secondo la incarcerazione tradizionale, senza godere di misure alternative, recidivano, e mi piacerebbe poterlo confrontare questo dato con un altro, ossia quanti sono quelli che passando dalla misura alternativa ricadono nella recidiva. Se
avessimo questo dato avremmo una risposta dell’utilità, o anche dell’inutilità,
dobbiamo essere pronti naturalmente a metterci in discussione, della nuova
cultura del carcere come carcere teso al recupero e non solo al contenimento. È
chiaro che dico tutto questo più a livello di battuta, mi rendo perfettamente
conto che ci sono delle grossissime difficoltà per realizzare un sondaggio del
genere, che, se basato su rilevazioni sbagliate darebbe dei risultati disastrosi
perché fuorvianti. Pensiamo solo all’impatto sull’opinione pubblica. Però
la butto lì soltanto come idea, forse fuori dal normale, ma come idea che è
quasi un sentimento, sarebbe bello riuscire a capire quanto è utile il lavoro
di questa struttura carceraria aperta e che passa attraverso le alternative
penitenziarie. Forse pian piano, in Italia o all’estero in qualche maniera
avremo qualche prima risposta orientativa e, se la risposta non fosse esaltante
dal punto di vista della riuscita degli impegnativi, questa a mio avviso
dovrebbe soltanto indurre ad un forte sforzo di perfezionamento dei sistemi
attuali, perché magari può dipendere da imperfezioni che un determinato scopo
non venga interamente raggiunto. Certamente lo facciamo con tutta la migliore volontà e con tutta la speranza che questo possa essere il più proficuo possibile.
|