|
Nicola Boscoletto Cooperativa Giotto
Un saluto a tutti, agli organizzatori, alle autorità presenti, a tutti voi che venerdì pomeriggio dedicate il vostro tempo prezioso per affrontare un tema così importante. La prima cosa che mi sento di dire è che provo quasi un senso di inadeguatezza, nel senso che comunque l’esperienza che noi da anni svolgiamo è una esperienza tra le molteplici che in qualche modo caratterizzano ormai il panorama, non solo locale, ma anche provinciale, regionale e nazionale. Pensando a che cosa dire oggi, ho riflettuto parecchio per arrivare a una sintesi, e non è che sia arrivato a una sintesi. In qualche modo vedrò di costruire insieme un percorso. Però sicuramente un pensiero mi ha attraversato la mente e cioè: bisogna fare qualcosa di utile, bisogna comunque arrivare a segnare dei passi, con assoluta lealtà e assoluta concretezza. Da questo punto di vista le due riflessioni vanno da una parte una legata all’arricchimento di esperienze, cioè strada facendo c’è un arricchimento d’esperienze che in qualche modo devono essere messe in comune permettendo, come nel caso delle scoperte scientifiche, che queste esperienze possano essere utilizzate da tutti e diventino una ricchezza per tutti. Quindi un dato di carattere esperienziale. La
seconda considerazione è che secondo me, oggi come oggi, ci devono essere delle
richieste ben precise, cioè bisogna individuare magari anche un solo punto, su
cui trovarci in qualche modo tutti uniti per arrivare a risolvere alcuni
problemi dei molteplici che ci sono. Il dottor Cappelleri ha prima accennato al
problema di questa ricerca, di questa problematica del capire se con misure
alternative o senza misure alternative ci siano delle variazioni nella recidiva.
Sicuramente direi che il pensiero che mi è venuto è che è solo un problema di
sapere che numero viene fuori, ma non di che risultato dal punto di vista del
contenuto. Sarà il problema di sapere se la percentuale è 50, 60, 70 o 100, ma
non se questa percentuale esiste veramente. Ma credo che questa richiesta fosse
anche provocatoria, cioè nel senso di mettere proprio in evidenza, come nell’analisi
fatta sul versante dell’indultino, che senza un recupero che veda all’interno
come, non dico il fattore principale, ma sicuramente uno dei fattori principali
un avviamento al lavoro, a partire dalla detenzione, poi attraverso le misure
alternative e fino al fine pena, sicuramente le probabilità sono bassissime,
visto che lo sono anche attraverso l’utilizzo delle forme alternative, e cioè
articolo 21, semi-libertà e affidamento. Quindi immaginatevi il moltiplicatore dal punto di vista economico. Ritorno al primo punto, mi voglio ricollegare al convegno di Galliera e leggo un pezzettino di quello che ho detto in quell’occasione, così ho dovuto prepararmi meno. A un certo punto io dicevo, in riferimento all’esperienza e alle iniziative che sono state messe in campo a Galliera, Padova, Limena eccetera, per le modalità con cui sono state pensate, che hanno l’handicap di non favorire lo sbocco del mercato del lavoro normale. Per questo è da preferire un percorso di inserimento con tre soggetti implicati, ovvero amministrazione penitenziaria, enti locali e cooperative sociali, nel quale queste ultime hanno proprio il compito e la possibilità di traghettare il detenuto fino all’impiego nell’azienda normale. È fondamentale arrivare fino in fondo al percorso perché è l’assunzione in un’impresa, magari preceduta da un periodo d’inserimento presso una cooperativa, che garantisce quelle condizioni, di cui si faceva cenno prima, necessarie per una uscita dal mondo del carcere non traumatica e con una soluzione positiva. Ad
oggi questi percorsi rappresentano l’unica possibilità reale, ma sono ancora
limitati rispetto al numero complessivo dei detenuti. Quindi la considerazione
era: iniziative, come quelle di cui abbiamo citato, ne stiamo parlando oggi,
sono da incrementare perché c’è la necessità di tutti da questo punto di
vista. Ma per completare questo percorso è importante anche il terzo soggetto,
perché altrimenti il detenuto è come se in qualche modo fosse
"sfruttato" per il minor costo, in quanto sappiamo benissimo che il
detenuto assunto dalla amministrazione penitenziaria ha un costo bassissimo,
perché sono contratti vecchi, perché alcuni istituti non vengono riconosciuti
eccetera. Per cui il detenuto non si inserisce fino in fondo nel mondo del
lavoro cosiddetto normale. Questo sta ad indicare che le agevolazioni economiche comunque non sono sufficienti a superare tutti quegli ostacoli che in qualche modo comportano l’approccio di questa problematica. Dicevamo anche che, da una ricerca dell’Agesol a livello nazionale sull’impresa, è venuto fuori che le imprese non vogliono, tra l’altro, agevolazioni economiche nell’inserimento di persone al lavoro, piuttosto preferiscono un accompagnamento. Questo è comunque un dato oggettivo di cui tener conto. Rileggo un pezzettino, non mio questa volta, ma dall’intervento del dottor Cantone al convegno di Galliera: "La collaborazione tra due amministrazioni pubbliche. Due amministrazioni pubbliche si incontrano e lavorano insieme per realizzare un obiettivo comune, e nel fare questo non sono vincolate a meccanismi di gara, l’una ha bisogno di un servizio, l’amministrazione comunale, ma non ha bisogno di rivolgersi al libero mercato perché ha un altro interlocutore pubblico. Quindi si tratta di un’operazione di obiettivo socialmente fortissimo". Mi citava e diceva "Boscoletto ha sottolineato bene prima come in effetti sia delicato l’inserimento di un condannato all’esterno; questa fase va accompagnata, è delicatissima. Non si può pensare che una persona esca dall’oggi al domani fuori dal carcere senza avere un sostegno, un accompagnamento, senza un ausilio". Quindi siamo tutti invitati considerare il fatto che queste collaborazioni tra amministrazioni pubbliche non siano esclusive. Ripeto, volevamo creare un cuneo su cui inserire questa attività di collaborazione e abbiamo avuto un riscontro su questo territorio, che non è immaginabile in altre regioni del Paese, e abbiamo creato queste convenzioni a due. Ma è giusto che sempre più si pensi a collaborazioni a tre poli, quindi amministrazione locale, territoriale, amministrazione penitenziaria, datore di lavoro, cooperative sociali. Ora volevo fare questo passaggio anche per un senso di continuità rispetto a un lavoro che facciamo, sia durante la quotidianità normale sia attraverso dei momenti pubblici, come possono essere dei convegni. Credo che questo passaggio fatto a Galliera oggi sia sicuramente, rispetto al tema del lavoro, un punto su cui porre l’attenzione. Ora sul problema del lavoro l’attenzione ormai è rivolta da più parti: il mondo dell’impresa sociale, il mondo del volontariato, gli enti locali, perché non dimentichiamo che il Comune di Padova, col progetto carcere, che è stato fatto in collaborazione con la Provincia di Padova ed altri enti, è stato stato il precursore della Smuraglia, che in qualche modo anticipava, questa attenzione a un certo mondo c’è: le cooperative sociali come impresa sociale sono cresciute, il ministero, dalla Smuraglia in poi, e in questo ultimo anno con alcune iniziative sperimentali, sta dimostrando che vuole puntare sul problema del lavoro e della formazione. Quindi, sostanzialmente, a mio avviso, mancano due elementi: un elemento è il collegamento di cui dicevo prima, ma un elemento ancora più importante è l’ente pubblico, l’istituzione che ci deve aiutare rispetto a questo percorso in quanto è il collegamento con il mondo esterno normale; un detenuto che ha fatto un certo percorso di recupero, attraverso l’inserimento in strutture come cooperative sociali, ha bisogno di essere traghettato in strutture e imprese normali, in cui ha chiuso definitivamente, anche da un punto di vista di collocazione lavorativa, la sua partita con la giustizia. Ma per fare questo c’è bisogno di un accompagnamento e qui bisogna trovare forme e strutture che in qualche modo aiutino questo percorso, perché solo questo potrà incrementare il numero di inserimenti lavorativi all’esterno, ma soprattutto potrà dare maggiori garanzie alla direzione, maggiori garanzie ai magistrati nell’accogliere queste richieste, maggiori garanzie nell’ottenimento dell’obiettivo finale. Ora,
rispetto a questo, c’è un secondo punto fondamentale, e io oggi vorrei che
questo fosse chiaro, e cioè il problema delle risorse. Noi non possiamo, cito
Padova ma è una situazione a carattere nazionale, noi non possiamo andare
avanti nel nostro operato con un carcere di 700 detenuti, con due educatori, con
gli agenti sotto organico di 100 unità, con la magistratura che deve far fronte
a un’infinità di domande quali l’indultino, che poi serve solo a impegnare
le loro energie, ma non ha nessuna efficacia perché, tra l’altro, come
beneficio è peggiore della semilibertà e dell’affidamento per cui, quindi da
questo punto di vista, secondo me, occorre anche qui mettere un punto. Allora
le risorse sono quelle che sono. E, come in una famiglia in cui le risorse
scarseggiano, non è che la pastasciutta se ce n’è una la mangia uno e gli
altri guardano, no, in qualche modo si cerca di far bastare per tutti quel che c’è.
Quindi la prima riflessione è che in qualche modo occorre effettivamente che
tutti, già molti lo fanno ma credo che un lavoro di squadra permetterebbe
risultati superiori, debbano effettivamente concentrarsi sulle cose utili, sulle
cose primarie, e parlo per quanto riguarda gli educatori, gli assistenti del
Cssa, gli agenti eccetera. E questo è importante perché quando le risorse sono
poche bisogna stabilire delle priorità e si incomincia dalle cose più
importanti. Lo dicevo lunedì al convegno che ho citato prima: ma se i Comuni, guidati dalla Provincia, dalle ASL, si mettono insieme e, attraverso un progetto che sia riconducibile a dei valori, valorizzano le cooperative sociali, fanno gli inserimenti, sugli inserimenti che fanno danno giustificazione del dato della recidiva, e se comportano un abbassamento di X punti, 5, 10, 15, un risparmio di 51 milioni di euro, le amministrazioni dicano: almeno il 50% riconosceteceli, l’altro 50% tenetelo. Cioè oggi è il momento, le carte da gioco sono sempre 40, io giocavo sempre a tressette con mio nonno e non ho mai vinto, ma non perché non fossi bravo. Giocando con lui ho anche imparato, con i miei amici vincevo spesso, però le sapeva giocare bene lui le sue carte. Oggi credo che occorrono cose nuove, nuove nel senso che vanno ripensate, rigiocate, e sono nuove nel senso che ci chiedono a tutti di fare un passo indietro per farne tre in avanti. Perché noi oggi non possiamo raccogliere quello che in questi anni non è stato seminato. Allora
oggi noi dobbiamo seminare, avremo un periodo in cui non avremo niente, ma ci
sarà il momento, avendo seminato, che raccoglieremo, raccoglieremo per noi o se
non raccoglieremo per noi raccoglierà chi verrà dopo di noi. Ma questo è
importante, è fondamentale. Ora
questo è un punto su cui non parlare, cioè fare un foglio e dire: serve
questo. Concludendo,
il Prefetto ha dato la sua totale approvazione a questa iniziativa, io chiederei
al direttore, come presidente di questa riunione, di far propria questa proposta
e di formalizzarla in un documento scritto, sapendo che le altre realtà
coinvolte in qualche modo hanno già aderito. Il problema di Via Anelli: giusto, non giusto, lasciarla lì, spostarla, fare, non fare. Non entro in merito.Sicuramente facendo si sbaglia, questo lo so, però un conto è risolvere il problema un conto è spostarlo. Spostandolo non lo si risolve. Noi dobbiamo tentare di risolvere i problemi e dobbiamo aiutarci a risolvere i problemi. Ecco che le amministrazioni locali egli enti possono essere utilissimi in questo. Facciamo progetti in cui se dovete spendere di più in certe fasi, ci sia la possibilità di avere un recupero. Fermo restando che io dico sempre che se lo Stato fa leggi per l’evasione fiscale, per il lavoro in nero e così via, è vero che l’amministrazione locale terminale si ritrova senza soldi e per sfalciare i cigli chiama il contadino che gli fa fare 50 milioni invece di 100, perché lavora il sabato e la domenica, senza la 626. A uno di questi è staso chiesto chiesto se aveva il pos? Ha risposto: Sì che ho il Pos, scherza, chi è che non ce l’ha, ho anche la carta di credito. Peccato che il POS sia il Piano Operativo di Sicurezza. È vero che in qualche modo la ristrettezza economica ci costringe a fare questo, perché i conti devono quadrare, però è anche vero che dobbiamo tenere presenti tutti i fattori in gioco, non solo uno. Io vi chiedo scusa se ho fatto un percorso un po’ strano e particolare ma era quello che in qualche modo mi sentivo di dire.
|