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Gianni Lopez
Io sono Gianni Lopez dell’associazione “L’altro diritto di Firenze”, e facciamo attività di consulenza in carcere ad esempio per coloro che non possono permettersi un avvocato. Nel mio intervento parlerò soprattutto degli stranieri, anche se ovviamente noi trattiamo alla stessa maniera qualsiasi detenuto, ma la situazione degli stranieri è particolarmente rilevante. Per quanto riguarda le misure alternative per gli stranieri sappiamo tutti che sono un fatto a sé: sappiamo che ad un certo punto ci sono delle difficoltà di accesso evidenti, che sono state tracciate anche oggi, con pochissimi centri di accoglienza residenziali, occasioni di lavoro che possono essere frustrate dal fatto della condizione di non regolarità, che poi costituisce la gran parte delle situazioni di questo tipo. Poi mancanza di agganci famigliari che possono favorire questo accesso, spesso l’unico interfaccia verso l’esterno è rappresentato dall’avvocato, quando appunto l’avvocato esiste. Sul punto c’è da precisare una cosa interessante: la Cassazione, fin dal 1990, ha adottato una concezione della rieducazione e del reinserimento del detenuto straniero, cioè ha detto che la rieducazione dello straniero è un concetto universale, e noi possiamo rieducare lo straniero qua, ma dopo possiamo tranquillamente espellerlo dicendo che questo beneficio di reinserimento nella nostra realtà può spenderlo anche a casa sua. Ora c’è da dire che la Cassazione nel 2003 ha avuto quell’orientamento che oggi abbiamo sentito, cioè il fatto che lo straniero non regolare non può aver accesso alle misure alternative. E in questo senso diciamo che la Cassazione torna indietro rispetto ancora a quell’indirizzo che poteva essere discutibile già nel 1990. Questo orientamento è chiaramente in contrasto con il principio rieducativo previsto dall’articolo 27 della Costituzione, è in contrasto con i principi del trattamento stesso che sono dati dall’Ordinamento penitenziario, e in contrasto con quella visione precedente che comunque la rieducazione e il reinserimento per il detenuto straniero almeno li prevedeva. E allora cosa fare di fronte a questo orientamento, che peraltro fortunatamente per quello che mi risulta non è applicato dai Tribunali di Sorveglianza? Ho sentito l’esperienza qui del Veneto, dove continuano a concedere misure alternative laddove è possibile, laddove esistano i requisiti, anche a detenuti irregolari, e lo stesso penso sia l’esperienza della Toscana. Però diciamo che non è tanto un problema di misure alternative, ma il problema è che cosa fare dopo per il detenuto straniero. Cioè quali sono le possibilità che si offrono, perché io faccio l’avvocato ma faccio anche il volontario, ed è molto frustrante avviare un progetto di reinserimento, trovare il lavoro, trovare la casa (questo per tutti, ma in particolare appunto per gli stranieri) e poi vedere che tutto viene vanificato perché la persona al termine dell’affidamento in prova viene espulsa. In questo senso io vorrei dare delle piccole indicazioni che inducono ad una certa speranza, perché stiamo provando - verificando volta per volta - a trovare quei meccanismi, quei grimaldelli di cui parlava stamattina Sergio Segio, che possono permettere di scardinare in parte questa legge che è molto restrittiva. Peraltro, per par condicio, c’è da dire che nemmeno la legge precedente offriva dei grandi spazi, nemmeno si poneva tanto il problema per quanto riguardava la situazione sempre difficile del reinserimento del detenuto straniero. Delle possibilità anzitutto emergono dallo stesso testo unico, cioè l’articolo 19 famoso, che prevede delle possibilità ostative all’espulsione nel caso ci sia il pericolo di persecuzione. A noi è capitato il caso di un detenuto che doveva essere espulso verso un paese asiatico, che prevedeva appunto la pena di morte per un reato di spaccio, e in questa maniera siamo riusciti a non farlo espellere. Poi c’è naturalmente la possibilità di sposarsi o riconoscere un bambino di nazionalità italiana, non è una istigazione a sposarsi, ma diciamo che in questo caso non si può essere espulsi. Un’altra possibilità è per quando si ha la cosiddetta “espulsione in sentenza”, cioè l’espulsione come misura di sicurezza, che viene convertita dal Magistrato di sorveglianza in misura di sicurezza della libertà vigilata. Vale a dire “dovevi essere espulso, invece rimani qui sostanzialmente con un obbligo di firma”, quindi con certe prescrizioni, però regolarmente. C’è una persona in Toscana che lavora da tre anni con il rinnovo di anno in anno di questa misura di sicurezza: attenzione perché la persona deve essere valutata non pericolosa, ai fini poi di poter accedere a una riabilitazione decorsi i cinque anni. Come si fa in questo caso, perché bene o male la misura di sicurezza si dà quando una persona è pericolosa, per far risultare che questa persona non era pericolosa? Abbiamo premuto e abbiamo ottenuto che il Magistrato di sorveglianza accogliesse questa nostra valutazione, che la persona non era pericolosa in sé, ma era pericoloso ricacciarlo nella clandestinità. Perché la persona che lavora in misura alternativa e poi successivamente finisce la misura alternativa, e viene rimessa in condizioni di clandestinità, non potendo e non riuscendo a espellerla subito, è chiaro che la situazione della clandestinità può diventare pericolosa. In questo senso la persona non viene valutata pericolosa, ma viene valutata pericolosa la situazione, e dopo cinque anni dal fine pena potrà beneficiare della riabilitazione con la conseguente possibilità di poter ridiscutere la sua situazione, per quanto riguarda il permesso di soggiorno. Un’altra possibilità è offerta dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti umani. L’articolo 8 prevede un limite all’espulsione, il limite è dato dal rispetto della vita famigliare e privata della persona, e in questo caso anche il Tribunale di Torino ha emesso una interessante sentenza, che diceva che nel caso in cui una persona, anche con precedenti, però con una vita famigliare nello Stato italiano, che a un certo punto abbia fatto un percorso di reinserimento, che non sia più stata giudicata pericolosa, che abbia avuto un esito positivo di affidamento in prova, non può essere espulsa. Questa era una donna che aveva dei bambini, ed è stato valutato anche il pregiudizio per questi bambini al fatto di essere espulsi assieme alla madre, bambini che erano nati in Italia e che sarebbero stati riportati in una realtà di un altro Paese che nemmeno conoscevano. Scusate se faccio l’elenco, la lista della lavandaia, però più che altro è per dire no, non ci arrendiamo, non riteniamo che la legge non lasci margini. I margini ci sono, in alcuni casi sono collaudati, in altri casi ancora sono da collaudare. Abbiamo delle persone che purtroppo devono prestarsi a essere cavie di questi esperimenti, però stiamo cercando in tutte le maniere di trovare degli spazi di integrazione. Un’altra possibilità è la conversione della pena pecuniaria in libertà controllata: se una persona non paga perché non è in condizione di pagare la multa a cui è stata condannata, quest’entità pecuniaria viene convertita in libertà controllata, e anche questo periodo di libertà controllata a nostro avviso non consente che la persona venga espulsa. Infine direi che l’importante è l’esito positivo di affidamento in prova per i detenuti stranieri, perché una recentissima sentenza del TAR dell’Emilia-Romagna ha riconosciuto equivalente l’esito positivo di affidamento in prova alla riabilitazione, con tutto quello che ne consegue con un colpo di spugna sul passato a livello di precedente. Delle altre possibilità esistono, alle volte basta veramente trovare questi grimaldelli, cioè bisogna mettersi lì a studiare ed effettivamente i risultati alle volte arrivano. Il problema grosso, è qui vorrei sottolinearlo, dei detenuti in genere, è il problema dell’assistenza difensiva, perché per occuparsi di queste cose occorre un avvocato che segua queste tematiche che non sono delle più semplici, e purtroppo bisogna dire che la legge allo stato attuale, come ad esempio la legge sul gratuito patrocinio, non aiuta. Non aiuta perché gli avvocati giovani sono tagliati fuori, basti pensare che gli avvocati giovani probabilmente sarebbero quelli che potrebbero seguire maggiormente queste vicende, potrebbero prendersi a cuore le situazioni più difficili di persone che evidentemente non sono in grado di pagare. I giovani sono tagliati fuori e gli altri avvocati hanno difficoltà a cedere al pagamento sottoforma di gratuito patrocinio, perché il pagamento è dimezzato, è portato in là nel tempo, a un tempo indefinito, e per questo il problema grosso effettivamente è l’assistenza difensiva. I detenuti sanno cosa vuol dire e qual è la differenza fra essere seguiti e non essere seguiti, in particolare per quanto riguarda il detenuto straniero, e ci stiamo battendo perché ad un certo punto venga fatta una legge che garantisca veramente la difesa e che tuteli veramente il diritto di difesa, e penso sia uno dei diritti fondamentali e imprescindibili della persona umana.
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