Luigi Di Mauro

 

Luigi Di Mauro

 

Vi porto i saluti della Consulta penitenziaria del Comune di Roma, che è composta da 80 organizzazioni del volontariato e della cooperazione sociale. Sono stato chiamato per portarvi l’esperienza romana rispetto all’esecuzione penale, sia in carcere che all’esterno. Il cammino è un po’ lungo, risale a ben dieci anni fa con appunto una delibera che istituiva la Consulta penitenziaria, per far in modo che il comune potesse avere a sua disposizione un organismo di consultazione sugli interventi da realizzare per la popolazione detenuta. Ma la Consulta non si è limitata semplicemente a questo, ha avviato iniziative anche a livello nazionale sulla salute penitenziaria. Abbiamo fatto il percorso sia da quando era in discussione nelle commissioni, fino al sostegno alla sua approvazione e, ad oggi, credo che siamo ancora una delle poche realtà che continuano a lottare affinché la legge 230 venga applicata totalmente e non soltanto il passaggio delle tossicodipendenze e della prevenzione. Abbiamo lottato perché non passasse la riforma sulla giustizia minorile, voluta dall’attuale Ministro, questo scandalo di riforma che, grazie a noi, ai sindacati, ad altri, siamo riusciti a fermare.

La scorsa settimana abbiamo fatto un convegno nazionale, con tutte le senatrici e le parlamentari, per porre il problema quella delle madri detenute con i figli, perché nonostante le leggi approvate, l’ultima è la cosiddetta “Finocchiaro”, in carcere aumentano i bambini, perché sono figli di Rom che compiono recidiva e voi sapete che la legge non consente le pene alternative a questa tipologia di persone.

Il piano inizia otto anni fa, è un percorso lungo, perché poi riuscire a sensibilizzare gli enti locali non è più facile che sensibilizzare l’amministrazione penitenziaria. Abbiamo realizzato uno workshop all’interno di Rebibbia Nuovo Complesso, dove varie commissioni hanno appunto elaborato un’idea di piano per evitare che le amministrazioni intervenissero in maniera estemporanea o dietro indicazioni di una associazione. Noi volevamo che in carcere si pianificasse l’intervento, proprio per razionalizzare sia i pochi fondi che vengono investiti e sia perché gli interventi raggiungano gli obiettivi che sono previsti. Abbiamo richiesto un consiglio comunale in carcere, perché noi partiamo dall’assunto che in una città anche i detenuti sono cittadini di quella città, quindi il carcere può essere un quartiere; a Roma i quartieri si chiamano Municipi e per questo il consiglio comunale lo ha eletto quale XXI Municipio della città.

Nel consiglio comunale abbiamo presentato la proposta di piano e, grazie all’associazione Antigone, la proposta per istituire l’ufficio e la figura del garante per i diritti dei detenuti che è l’ex senatore Luigi Manconi. Questo è il percorso che ci ha condotto al Piano cittadino che è iniziato a settembre ed ha visto attorno ad un tavolo 250 delegati di tutti gli enti e le istituzioni preposte, a partire dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria fino ad arrivare ai detenuti, perché hanno partecipato anche le delegazioni dei detenuti, sia quelli che sono in esecuzione penale esterna sia quelli in carcere, che noi siamo andati a trovare perché presentassero le loro istanze all’interno del piano.

Il Piano è suddiviso in cinque piani diversi: uno si interessa dell’aspetto socio-sanitario; un’ altro delle pari opportunità dentro il quale ci sono stranieri, madri con figli, transessuali, giovani-adulti e over settanta; c’è la formazione, il lavoro; la cultura e la scolarizzazione; lo sport. Abbiamo voluto estenderlo anche al carcere dei minori.

Il Piano nasce perché noi riteniamo che i diritti dei detenuti non debbano essere garantiti solo dall’amministrazione penitenziaria, che ha una grossa responsabilità, ma ci sono leggi che delegano, poi c’è anche il territorio ad intervenire nei confronti dei detenuti, ma, a parte qualche assessore sensibile, il territorio non ha mai fatto delle politiche vere e pianificate per il carcere, sono sempre state un po’ estemporanee. A Roma, che è la capitale d’Italia e che ha carceri abbastanza grandi, l’investimento dell’assessore con delega è di un miliardo l’anno e voi capite che questa è solo una goccia d’acqua in un mare. Ciò nonostante siamo riusciti ad aprire tre case per detenuti maschi, tre case per madri con figli, abbiamo avviato sperimentalmente un kit delle 48 ore che ci serviva come sperimentazione sulla popolazione detenuta tossicodipendente, perché sapevamo che nelle 48 ore compiono di solito la recidiva. Li si mette fuori da un cancello senza sapere cosa fare e dove andare, inevitabilmente si ricade in quel gorgo. Per cui in questo kit, dove ci sono biglietti per gli autobus, buoni pasto per 48 ore, oggetti per l’igiene personale, biglietti kilometrici offerti dalle Ferrovie dello Stato per chi vive in altre città, e soprattutto c’è una carta fornita dall’associazione Sant’Egidio dove sono ubicati tutti i luoghi dove chi esce dal carcere può rivolgersi per essere preso in carico dal territorio, e quindi per dare una continuità al percorso di reinserimento.

Io molto volentieri potrei venire qui a Padova e concretamente trasferire la metodologia di questo piano, che parte dal rilevamento dei dati sulla popolazione detenuta – perché noi per poter fare degli interventi abbiamo bisogno di sapere quante persone ci sono e di cosa hanno bisogno – sulla tipologia ed anche il bisogno per ognuno. Per cui rispetto al socio-sanitario, anche se tutti sappiamo che la legge 230 non è stata approvata e che la sanità è ancora in gestione al Ministero della Giustizia, però ci siamo domandati, nel tempo che impieghiamo nella lotta perché venga applicata e perché il Parlamento faccia quello che deve fare, intanto cosa facciamo? Lasciamo che i detenuti continuino ad essere malati, non curati, che si suicidino…? Non è possibile. Allora abbiamo deciso che al di là delle competenze, dobbiamo fare un intervento serio sulla salute in carcere a Roma, per cui, grazie a convenzioni con gli ospedali come lo Spallanzani, all’apertura del Sandro Pertini, un percorso prioritario per fare analisi cliniche e ricerche, alla Farmacard che è l’associazione delle farmacie del Comune di Roma, abbiamo chiesto la fornitura di medicinali della fascia C, perché non sono compresi nel prontuario del Ministero. Alle associazioni degli odontoiatri ed odontotecnici abbiamo chiesto la fornitura delle protesi, che può sembrare una stupidaggine, ma a Roma ci sono 150 detenuti che hanno problemi di protesi dentaria e quindi non riescono nemmeno a mangiare e si spaccano di conseguenza lo stomaco.

Per quanto riguarda il lavoro abbiamo detto che è ora di finirla con questa formazione estemporanea, che non serve a nessuno, perché al di là di qualche esperienza importante a Roma i detenuti hanno nei loro cassettini montagne di attestati di partecipazione a corsi di vario genere di cui non ci fanno assolutamente nulla, anche perché sono corsi che non tengono conto delle necessità del mercato del lavoro, sono corsi che non inventano percorsi nuovi. Si limitano a fare i pizzaioli, i muratori, i falegnami e quanto altro di cui oggi mi sembra non ce ne sia tutto questo bisogno. In più abbiamo voluto che intorno al tavolo ci fossero imprenditori, enti locali, Ministero, per fare un protocollo d’intesa, dove gli enti locali si impegnano ad erogare per il primo anno le borse lavoro, la formazione mirata alla richiesta dell’azienda e servizio di tutoraggio, ovvero un servizio che accompagni il detenuto nel primo anno di inserimento lavorativo. Per gli altri due anni abbiamo previsto degli sgravi vari dall’ente locale per continuare ad incentivare gli imprenditori a tenere l’ex detenuto presso il posto di lavoro.

Questo è il percorso che parte da gennaio 2005, perché il Piano è triennale, nel 2004 è prevista l’elaborazione e la sottoscrizione dei vari protocolli, perché ci sono tantissimi protocolli. Verrà aperto per la scolarizzazione un Polo universitario a Rebibbia, soprattutto per quei corsi di laurea breve, ad esempio per infermieri. Abbiamo avviato, insieme alla delegata del sindaco per le politiche dell’handicap, un corso sperimentale ai “piantoni” per farli diventare assistenti domiciliari, sono ambiti lavorativi aperti nel territorio, per i maschi. Il piantone che oggi in carcere aiuta il suo compagno portatore di handicap o malato, con questa formazione, uscendo, può appunto entrare in una cooperativa sociale di tipo A e fare assistenza domiciliare agli anziani ed agli handicappati. Queste esperienze già concretamente le stiamo portando avanti.

Per le madri detenute, dicevo, abbiamo aperto tre case, investendo anche come ente locale, moltissimi soldi, ma sono praticamente vuote perché i dispositivi di legge non consentono alle madri detenute di uscire. Allora abbiamo fatto un’altra proposta che, partendo dalla legge attuale, fintanto che il Parlamento non si degnerà di fare un nuova legge migliore, partendo da questa, magari sperimentare una casa protetta per queste donne, perché a Roma, e non so se anche altrove, ma la maggior parte delle madri detenute là sono delle Rom e a Roma quasi tutte le Rom stanno chiedendo di non essere riaccompagnate al campo, perché altrimenti sono costrette a ricompiere il reato, e quindi è necessario creare per queste delle strutture protette che consentano loro di proseguire questo cammino intrapreso.

Abbiamo fatto un progetto per la migliore applicazione della legge Smuraglia, che prevede la messa in rete di tutte le lavorazioni degli istituti. Abbiamo fatto un progetto che prevede una scuola agraria nel carcere di Velletri, dove c’è un grande appezzamento di terreno con attrezzature agricole, e una scuola di florovivaistica al femminile e tutti i laboratori degli altri istituti a partire dalla serigrafia, alla falegnameria… Si possono mettere in rete queste lavorazioni e creare un’unica azienda che ha la possibilità di essere immessa nel mercato anche per la vendita di qualsiasi tipo di prodotto. 

Per noi questo è un modo di garantire effettivamente e concretamente i diritti ai detenuti. Allora colgo l’occasione che c’è anche Corleone: noi sappiamo che i Garanti oggi hanno grosse difficoltà rispetto all’amministrazione penitenziaria perché comunque non c’è una legge che gli consente di poter svolgere appieno il loro ruolo. A Luigi Manconi, che è il Garante di Roma, io ho chiesto di attivarsi sull’ente locale; intanto facciamo in modo che gli assessori preposti garantiscano gli interventi che per legge devono fare. Perché, ripeto, non è soltanto l’amministrazione che da sola non potrà mai dare lavoro, non potrà mai dare una formazione serie e via dicendo. Per i Garanti credo si apra anche uno spazio a livello territoriale per difendere e garantire i diritti in questo senso.

 

 

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