Giornata di studi "Carcere: salviamo gli affetti"

(La giornata di studi si è tenuta il 10 maggio 2002 nella Casa di Reclusione di Padova)

Carlo Mozzi (Volontario nella Casa di Reclusione di Padova)

Più che una domanda, vorrei esporre un’esperienza. Io sono volontario da venticinque anni, anche se con qualche buco nel mezzo, e sono convinto che è assolutamente necessario che il volontario si preoccupi anche dei rapporti con la famiglia. Quando è necessario, ovviamente, non da impiccione, per aiutare a ricucire degli affetti che sono stati lacerati. In questo momento ho tre famiglie con le quali sono in relazione. Ci si telefona, ci si scambiano notizie, ci si aiuta a superare questo brutto periodo. In questi colloqui ho osservato una cosa: che molto spesso il detenuto pesa anche notevolmente sulla famiglia. Perché ogni settimana devono portargli dei soldi e così via. Io credo una cosa: che il detenuto ha dei diritti nel campo degli affetti, ma anche dei doveri. Per il fatto un papà si trova in prigione non significa che sia esentato dal dovere di provvedere ai figli, di guadagnare per i figli.

È il problema del lavoro. Il lavoro in carcere è necessario non perché il detenuto possa comprarsi le sigarette o passi il tempo o perché possa uscire ad assaggiare un pochino la libertà, ma perché sia in grado di mantenere la famiglia. Perché possa realmente fare il padre, il fratello, il figlio. È questo, io penso, uno dei sensi più importanti, uno dei valori più importanti del lavoro in carcere. E bisogna pensarci. Ci sono tante problematiche, tantissime. Anche di tipo burocratico. Non è il momento di parlarne. Però credo che bisogni ribadire questo principio: il detenuto non è esentato dai doveri verso la famiglia, anche dal punto di vista economico. Se si risolvono questi problemi, si risolvono tante cose perché c’è il modo di coltivare gli affetti senza pesare sui famigliari. E questo cambia totalmente la prospettiva.