Alessandro Margara

 

Giornata di studi "Carcere: salviamo gli affetti"

L’affettività e le relazioni famigliari nella vita delle persone detenute

(La giornata di studi si è tenuta il 10 maggio 2002 nella Casa di Reclusione di Padova)

Alessandro Margara (Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze)

 

Non mi aspettavo di essere interpellato così rapidamente, però vorrei chiarire alcune cose. In effetti, gli interventi di carattere legislativo e normativo che hanno accompagnato tutti questi anni, sono stati interventi abbastanza mancanti di un quadro generale.

C’è stato quindi un procedere per parti, per esempio nella parte fondamentale delle misure alternative, che sono state poi il punto centrale di una certa trasformazione che il carcere ha avuto. Ci rendiamo conto che, oggi, c’è in misura alternativa un numero di persone vicino a quello delle persone che sono in esecuzione di pena in carcere. Le misure alternative hanno, oggi, circa 20 mila persone che non sono in carcere e che, se fossero in carcere, renderebbero ingestibile una situazione che è già poco gestibile e tende ad essere ingestibile, ma che senza le alternative diventerebbe sicuramente bloccante, impossibile a gestire. Quindi c’è stata una modifica di questo tipo.

Sono mancati tutti quelli che sono gli aspetti normativi, collaterali, vicini, per cui una persona che esce dal carcere, per esempio, trova difficoltà a lavorare per ragioni specifiche che vengono da norme che non sono state ritoccate, che non sono state modificate in funzione della possibilità di farli inserire e lavorare. E sono tante le norme su cui nessuno ha mai messo l’occhio.

Nel carcere, invece, venendo ad un discorso molto più vicino a noi, ci sono stati tentativi di cambiare l’andamento generale degli istituti, ma non credo che questi tentativi possano lasciare un segno molto rilevante, perché tuttora noi abbiamo dei diritti che sarebbero chiari ma sono evanescenti nelle applicazioni.

C’è un diritto alla salute, per esempio, su cui bisognerebbe approfondire molto le cose e approfondirle dall’inizio, perché un regime di detenzione per cui i detenuti in gran parte stanno 20 ore in cella è un regime che pone subito un problema di salute, di igiene fisica minima; questo è il discorso.

Il discorso dell’affettività è un discorso che ha avuto un tentativo di soluzione nel testo iniziale del nuovo Regolamento di Esecuzione: era previsto il riconoscimento dell’affettività, cioè della possibilità di incontri con la famiglia. Il discorso era impostato in termini di affettività e non di sessualità, quindi un incontro con la famiglia in zone del carcere che erano aree penitenziarie, ma in cui non c’era il controllo visivo della polizia penitenziaria.

Questo progetto, che fu parte del primo testo del Regolamento di Esecuzione alla legge penitenziaria, del 2000, (il lavoro era iniziato nel 1999) venne riconosciuto legittimo e possibile dall’Ufficio legislativo Ministero di Grazia Giustizia, successivamente però non ebbe l’approvazione del Consiglio di Stato, che ritenne che anche questi incontri fossero colloqui, mentre nella legge si sarebbero dovuti definire come permessi interni dati dal direttore.

Il controllo visivo era previsto dalla legge come necessario, per i colloqui, e quindi si doveva concludere che senza controllo visivo non si poteva fare nulla.

Allora venne proposta una modifica di legge, perché il Consiglio di Stato disse che c’era bisogno di una legge al riguardo, però siamo tornati al punto di partenza, perché un progetto in tal senso c’era già nel 1996.

Noi dobbiamo cercare di far capire che anche questo rappresenta un diritto, mentre finora è parso il contrario, una concessione straordinaria che, in definitiva, svuota la pena. Secondo me, invece, questo diritto deve essere rivalutato: questo è il senso che dobbiamo ritrovare, riscoprire e riaffermare.

 

Giovanni Anversa

 

Quindi, in qualche modo, bisogna recuperare lo spirito del 1996, perché c’era già allora una proposta ben precisa, che doveva regolare questa materia. Però, nel frattempo, lei ha descritto molto bene i passaggi, le questioni aperte, cosa accade all’interno delle carceri italiane.

Grazie all’ingresso del mondo dell’associazionismo del volontariato e grazie anche all’attività delle persone detenute, che hanno preso maggiore coscienza maggiore, grazie anche a questo incontro dei diritti e delle necessità di aprire spazi, le aree verdi, ci sono stati, in alcune carceri italiane, degli esperimenti molto interessanti.

Vorrei sapere, però, qual è lo stato dell’arte, da questo punto di vista. Non vorrei sbagliarmi, ma c’è un rappresentante del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria tra di voi, il dottor Ettore Ziccone.

 

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