Apollonia Annunziata

 

Giornata di studi "Carcere: salviamo gli affetti"

L’affettività e le relazioni famigliari nella vita delle persone detenute

(La giornata di studi si è tenuta il 10 maggio 2002 nella Casa di Reclusione di Padova)

Apollonia Annunziata (Responsabile del "Progetto Tonino" a Secondigliano)

 

Prima di parlare del Progetto Tonino, devo dire che sono una volontaria nel carcere di Poggioreale. Il Progetto Tonino è una risposta di affettività, come anche è un impegno di affettività la nostra presenza, a sostegno di quello che il detenuto vive durante il colloquio.

Il discorso sull’affettività è un discorso molto serio, non è solo sessualità, è un’affettività che riguarda l’individuo, che riguarda il rapporto con l’altro anche all’interno del carcere, ma che riguarda il rapporto con gli altri all’esterno, quindi con la famiglia, il minore, il figlio.

È qualcosa di molto più complesso, per cui da questa iniziativa ne nascono tante altre, proprio per poter sostenere, con ancora più responsabilità, i rapporti affettivi, perché il detenuto si senta considerato, si senta effettivamente persona con le altre persone.

Io, in 15 anni, non ho mai portato un pacco in carcere. Ho ritenuto che l’incontro con l’altro fosse la cosa più importante; ero un’operatrice sanitaria e sono stata chiamata nelle carceri per il discorso dell’AIDS. Ho subito capito che la prima terapia era di stare con l’altro, accoglierlo, ascoltarlo, dialogare. Il Progetto Tonino nasce, in fondo, dalle esigenze della persona.

Il Progetto Tonino, in fondo, nasce dalle esigenze della persona. Tonino è il nome che noi abbiamo attribuito al ragazzo di quartiere; Edoardo l’avrebbe chiamato Gennarino, oppure Peppino, noi invece l’abbiamo chiamato Tonino perché è il figlio di quelle persone che abitavano nelle “vele”, di fronte a Secondigliano.

Quindi il ragazzo di quartiere che va a trovare il proprio papà perché è vittima di una situazione, come è anche vittima la sua famiglia. Il papà e la mamma, in un certo qual senso, non sono colpevoli di quello che è accaduto. Il Progetto Tonino non nasce a Secondigliano ma a Poggioreale, nella disgraziatissima Poggioreale. Nasce a Poggioreale ma non è stato realizzabile lì, mentre si è potuto realizzare nella struttura moderna di Secondigliano, dove c’è stata anche la possibilità di essere ascoltati dalla direzione.

Il Progetto Tonino è anche l’integrazione del pubblico con le forze del volontariato: noi siamo riusciti a strappare il contributo della legge 285 del 1997 (legge sulla tutela dell’infanzia), una legge che ormai si scioglie nella “legge quadro” del sociale e speriamo che ne vengano ancora di quei contributi.

Siamo riusciti a coinvolgere il Comune di Napoli in questo progetto. Spesso gli Enti locali non sanno nulla di quelle che sono le loro responsabilità riguardo al carcere, quindi degli interventi che dovrebbero mettere in campo a favore dei detenuti e delle loro famiglie.

“Tonino”, quindi, si realizza a Secondigliano, in una realtà culturale che voi conoscete (perché ogni carcere è un mondo a parte), dove ogni detenuto è un “G.S.”. Il progetto è stato preso in carico dalla Caritas di Napoli, che ha chiesto ad altre associazioni di entrare nella realizzazione, e così operiamo dal 1999.

L’attività si svolge in due direzioni. C’è l’area ludica, quindi l’area dedicata al minore, dove non sto a descrivere quello che accade, so soltanto che quei bambini sono così contenti di ritrovarsi con gli operatori che, talvolta, scelgono di venire al carcere per incontrare gli operatori più che per andare al colloquio. È un bel risultato, significa che gli operatori sono motivati e i bambini sono effettivamente accolti, quindi si sentono in un ambiente armonioso, che certamente favorisce poi il momento del colloquio.

Ma, aldilà dell’attività ludica, noi siamo riusciti ad aprire anche uno sportello per le famiglie, di orientamento ed informazione per la famiglia e anche per le richieste che vengono direttamente dal detenuto.

Dobbiamo lamentare qualcosa, però, di non saperci ancora integrare con le forze del volontariato che sono all’interno della struttura. Se funzionasse meglio questa comunicazione sarebbe più semplice raccogliere le richieste del detenuto, della famiglia, o di altri che sono coinvolti nella situazione.

 

Giovanni Anversa

 

Prima di sentire Massimiliano De Somma, che ci parla di una realtà che merita di essere raccontata in modo particolare: sentiamo Alain Bouregba, direttore della Federazione dei Relais Enfants – Parents.

 

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