Anastasia

 

CONVEGNO

"Difesa di ufficio e gratuito patrocinio: una difesa effettiva?"

21 settembre 2001 ore 9.00 presso la Casa di Reclusione di Padova, via Due Palazzi, 35/A

 

Avv. Luigi Pasini

 

Ringrazio moltissimo il dottor Tamburino per quanto ci ha detto e per avere riannodato un discorso, tra il Foro padovano e il dottor Tamburino, che ha ormai decenni. Proprio su questi temi, sui problemi che pone in relazione al rapporto fiduciario, in relazione alla figura sociale dell’avvocato: intellettuale involontario che rischia e, forse, dovrebbe diventare un intellettuale volontario. E sul punto, più tardi, nel dibattito spero se ne discuta e comunque qualcosa si potrà anche dire. Sono molto contento di dare la parola al dottor Anastasia, anche dopo i problemi posti dal dottor Tamburino: mi pare che in qualche modo si possa tutto conciliare.

 

Dr. Stefano Anastasia (Presidente Nazionale dell’Associazione "Antigone")

 

Grazie, vi ringrazio molto dell’invito e di questa iniziativa. Ovviamente, dopo le tante cose che sono state dette, io credo che posso limitarmi ad alcune considerazioni, nella misura del possibile cercando di suffragarle con dei fatti.

Partirei dal punto di valutazione che è stato espresso da tutti, riguardo alla passata legislatura che ha prodotto queste due leggi sulla difesa d’ufficio e gratuito patrocinio: le modifiche delle leggi previgenti. Si è trattato, in qualche modo (appunto in fine di legislatura, come ricordava l’Onorevole Ruzzante), della giusta posizione, lo dico paradossalmente, di ovvio corollario, a un ovvio principio. La legislatura è stata connotata, in queste materie, diciamo, dalla necessità di affermare nel nostro ordinamento un principio ovvio, e cioè che il processo deve essere giusto e, diciamo così, in fine di legislatura, si è arrivati alla necessità di affermare un ovvio corollario, cioè che il processo deve essere giusto per tutti.

Nel gioco in cui siamo, ovviamente e in qualche modo, questo è stato il provvedimento conclusivo, che prendeva atto del procedimento che si era aperto in termini di politica del diritto (con la legge costituzionale sul giusto processo e con la legge che ne è seguita; con la legge sulle indagini difensive) e prendeva atto della necessità di far sì che questo principio fosse, appunto, un principio rivolto a tutti.

Ma, di tutto questo castello che abbiamo visto, sono queste leggi che incontrano, sposano, affrontano il problema della effettività, laddove ovviamente, sulle normative di carattere generale, noi sappiamo che sono state definiti (sia in termini di legge costituzionale del giusto processo, legge ordinaria sulla valutazione delle prove, sia indagine difensiva) degli strumenti, che in qualche modo sono legati alla capacità dell’interessato e di chi difende l’interessato, di stare in giudizio con tutti gli strumenti che il quadro normativo offre.

Invece, appunto, sulla difesa d’ufficio e sul gratuito patrocinio non possiamo discutere astrattamente, cioè non possiamo discutere solo di ciò che le norme prevedono, ma anche concretamente di come sono: oppure, meglio, saranno applicate.

Perché il quadro che abbiamo è ancora, diciamo, totalmente incerto, nel senso che siamo in condizione ovviamente di rispondere alla domanda del nostro convegno, sulla effettività del diritto alla difesa e del giusto processo per tutti. Oggi non siamo in grado di rispondere, a pochi mesi dalla approvazione di questa legge. Siamo in una fase di rodaggio, di implementazione delle norme, e quindi in qualche modo una valutazione andrà fatta quando ci saranno appunto dati, strumenti, possibilità di capire appunto cosa è effettivamente successo.

Quindi la nostra valutazione oggi non può che fidarsi di ciò che era, cercando di capire che cosa poi nella effettività va cambiato. Si sa, si dice, appunto, che l’effettività delle discipline che erano vigenti fino a qualche mese fa sulla difesa d’ufficio e sul gratuito patrocinio era un’effettività scarsa o nulla. È stato ribadito anche qua: norme diciamo che avevano una valenza poco più che formale. La veridicità di queste affermazioni si ha nei dati che circolano appunto sugli esiti processuali delle diverse modalità di difesa, che ci dicono che c’è uno scarto, nella situazione italiana, di circa 30% in capacità di essere assolti, fra chi è difeso dal legale di fiducia e chi viene difeso invece dal legale d’ufficio.

Nel senso che solo i 20% degli imputati assistiti da un difensore d’ufficio riesce ad essere assolto, mentre circa il 50% degli assistiti dal legale di fiducia riesce ad essere assolto. Si badi bene, non è, diciamo così, una condizione del destino, cioè non è obbligatorio che sia così. È ovvio, ha ragione il dottor Tamburino a ricordarlo, che è preferibile la difesa di fiducia.

Ovviamente ci sono mille motivi che spingono il legale di fiducia ad avere motivazioni, un impegno e, diciamo, in qualche modo con lo stesso cliente a lavorare nella costruzione della linea difensiva più efficace, questo è certo. Però, per esempio, io sono riuscito a rintracciare dei dati che invece vengono dagli Stati Uniti, lo scarto che c’è in termini di esiti processuali, tra persone che sono assistite dal legale di fiducia e persone che sono assistite dall’istituto della difesa pubblica, che esiste negli Stati Uniti e sono scarti, diciamo, sostanzialmente irrilevanti.

Parliamo di circa l’1 - 2% nei casi di processi definiti davanti alle giurisdizioni dei singoli Stati e parliamo, addirittura in questo caso invertiti, cioè si viene più facilmente assolti se difesi dal difensore pubblico, e parliamo di uno scarto dell’1.3% nel caso di processi federali, per reati del tipo federale. Quindi, voglio dire, non è una condanna del destino il fatto che uno con il difensore d’ufficio deve essere per forza condannato di più che col difensore di fiducia. Attiene molto, evidentemente, a come poi concretamente funziona il nostro sistema di tutela dei diritti in fase processuale penale, anche per i non abbienti. Quindi dobbiamo, in qualche modo… io credo che lo sforzo anche di verifica che dovremmo fare, nella applicazione di questa legge, è capire se e quanto questo divario si riesce ad assottigliare se e quanto riusciamo ad individuare anche dei "misuratori di efficacia" di queste leggi.

Da questo punto di vista, ci torno anche io, le norme sul gratuito patrocinio, complementari in qualche modo, anche se distinte ovviamente, da quelle sulla difesa d’ufficio, non garantiscono il principio che vorrebbero viceversa affermare.

E questo ce lo dobbiamo dire chiaramente, diciamo così, come si dice: "Le nozze con i fichi secchi non si fanno". Quando mancano fondi, disponibilità economiche, anche le migliori promesse di riforma normativa poi precipitano. Tanto più e questo anche, diciamo così, va valutato, che nella contingenza (quella che ha motivato l’approvazione di queste leggi, di queste nuove leggi sul gratuito patrocinio e difesa d’ufficio) in cui, in qualche modo, tutto l’ordinamento tende a dare maggiori garanzie alla difesa, dobbiamo essere consapevoli che il fatto che i tetti di reddito previsti dalla legge sul gratuito patrocinio sono rimasti così bassi, (sostanzialmente, appunto, in qualche modo anche questi irrilevanti), come dire, divarica le opportunità di chi affronta un processo.

Quanto più l’ordinamento dà strumenti incisivi di difesa, a tutti, tanto più costruisce una differenziazione tra chi può reggere quegli strumenti di difesa e chi no.

Quindi dobbiamo sapere che il fatto che la legge sul gratuito patrocinio non è riuscita a sfondare quel tetto dei diciotto milioni, in qualche modo apre una possibilità di maggiore diseguaglianza di trattamento tra le persone che possono sostenere una propria difesa tecnica e le persone che viceversa non lo possono fare, perché oggi le persone che possono sostenere una propria difesa tecnica hanno dall’ordinamento, dalla legge sulle indagini difensive, dal complesso di nuove norme del codice di procedura penale, opportunità in più. Mentre chi, viceversa, queste cose non le ha, dobbiamo sapere che resta sostanzialmente a terra.

Questo è, credo, in qualche modo un problema che va affrontato: o capiamo quale sarà l’applicazione, però io credo che nel momento in cui si dà concretezza ad un principio costituzionale come quello del diritto alla difesa, bisogna anche, in qualche modo, trarne le conseguenze.

Da questo punto di vista, alcune delle proposte che nella scorsa legislatura erano state presentate e che prevedevano una forma di gratuito patrocinio in qualche modo correlata ai livelli di reddito e che potesse arrivare fino alla soglia dei sessanta milioni, nel senso che chi arrivava fino alla soglia dei sessanta milioni (se il procedimento cui andava incontro era un procedimento particolarmente oneroso) poteva comunque avere una parte di rimborso delle spese.

Una soluzione di questo genere probabilmente tutelava di più e, i sessanta milioni, mi ricordano il tetto delle esenzioni dal ticket sanitario, e non è un caso che me lo ricordi, nel senso che, così come nel processo penale, nell’affermazione della tutela della salute abbiamo a che fare con i diritti fondamentali della persona. Sono in ballo cose grosse, per le persone che ci capitano dentro, e quindi è bene misurarsi su parametri appunto di effettività, come questi evidentemente sono.

Sulla applicazione della legge del gratuito patrocinio (sempre normativa previgente), io resto ai dati dell’ultima relazione ministeriale, che ho avuto modo vedere e che è quella del ‘99 (che si riferiva ancora al primo semestre del ’98), e sono dati che dicono sì di una crescita costante del ricorso al gratuito patrocinio anche con un relativo successo, nel senso che poi, parti consistenti di coloro che lo chiedono, riescono effettivamente a conseguire il gratuito patrocinio.

Quindi, diciamo così, di una legge che via via che viene applicata, viene sempre più conosciuta e sempre più chi ne ha diritto cerca di utilizzarla. Però ci sono alcuni dati paradossali, sulla distribuzione del gratuito patrocinio in Italia, che invece dicono che un problema grosso di informazione c’è ed esiste ancora. Cioè il fatto che il gratuito patrocinio più spesso viene utilizzato al nord rispetto che al sud, laddove vi sono invece livelli di reddito più alti, rispetto che al sud.

Poi so bene che gli autori di reato non sono quelli che hanno i livelli di reddito più alto, però il fatto che riescano più facilmente ad usufruire del gratuito patrocinio gli italiani rispetto agli stranieri, danno la dimensione del problema di effettività delle norme che c’erano e danno la dimensione anche di un problema d’informazione.

Cioè che molti di coloro che ne avrebbero diritto non sanno: per quanto positiva possa essere la normativa di legge (non per quelli in regime di detenzione, ma per gli altri), per essere informati sull’opportunità gratuito patrocinio non basta la riga nella notifica, probabilmente bisognerebbe in qualche modo costruire delle forme comunicative più intense e questa è una cosa, ovviamente, che interessa tutti noi.

Sia chi si occupa volontariamente di questi temi, sia chi se ne occupa professionalmente, sia chi comunque frequenta queste questioni. Quindi, questo dato ci dice che è una legge che già nel passato cresceva e aveva però ulteriori possibilità espansive. Cosa che ovviamente può essere portata a compimento se gli si fa una cornice anche di sostegno economico finanziario adeguato, che in qualche modo possa rispondere alle reali esigenze che ci sono.

Il problema dell’informazione, diciamo così, è il problema che ha ripreso anche Annamaria Alborghetti prima di me, riguardo ai procedimenti davanti al Tribunale di Sorveglianza. Da questo punto di vista, la relazione che sono andato a rivedere dà dati davvero impressionanti, nel senso che la metà di coloro che hanno usufruito del gratuito patrocinio davanti al Tribunale di Sorveglianza ne hanno usufruito a Torino e a Perugia: cinquecento su mille, nel primo semestre del 1998. Torino e Perugia. Gli altri spazi sul territorio nazionale.

Zero, cioè nessuno ha usufruito del gratuito patrocinio, a Venezia, Bologna, Roma e Palermo, per citare diciamo realtà significative, poi molte altre minori, ma non ve le sto a dire, cioè posti dove sicuramente ci sarà stato qualcuno che ha fatto un’istanza che non aveva una lira…

Rimarco questo tema, non solo per quello che diceva Annamaria, con cui ovviamente concordo, ma anche perché io credo che ci sia un interesse di carattere generale alla migliore applicazione, non solo specifica di chi va davanti al Tribunale di Sorveglianza, ma in generale, la migliore applicazione dell’Ordinamento Penitenziario, delle misure alternative alla detenzione.

Credo che la presenza di un difensore, di un difensore competente, di un difensore motivato, nel procedimento di sorveglianza, può in qualche modo attenuare la dimensione, che è, so bene, connaturata alla legge, diciamo così, che in qualche modo è dentro ai principi stessi del nostro Ordinamento Penitenziario: quella dimensione, prevalentemente paternalistica, che ha il procedimento di sorveglianza.

Quanto poi noi riusciamo a costruire, anche in quella sede, anche nel Tribunale di Sorveglianza, anche davanti al giudice, la dimensione di contraddittorio, la dimensione del soggetto che chiede di far valere dei propri diritti, non solo viene bonariamente trattato dal Magistrato, dal Tribunale, gli vengono concessi o meno, in qualche modo, dei privilegi dispensati dall’ufficio.

Ora sto forzando un po’ la caricatura, però dobbiamo sapere che è questo il problema del procedimento di sorveglianza è anche questo, il problema delle misure alternative alla detenzione è anche questo: cioè che la dimensione del diritto esigibile non esiste, e questo, diciamo così, non esiste per legge…

Ma che, da questo, si debba necessariamente arrivare a una cosa in cui la dimensione paternalistica, la dimensione di concessione, ecco, prevalga in modo così rilevante come spesso e frequentemente prevale…

Secondo me la presenza di un avvocato, un difensore motivato, capace, competente, in quel momento, può cambiare anche in qualche modo la concezione stessa del procedimento di sorveglianza e in qualche modo delle misure alternative alla detenzione. Sul fatto tecnico, il fatto che siano avvisati delle loro opportunità, che non gli venga soltanto con la fissazione dell’udienza la nomina del difensore, io credo che, aldilà delle proposte di modifica normativa, che ovviamente sono sempre esperibili con le difficoltà che ci sono, e con le lungaggini dei tempi che ci sono, io credo che in questo senso un impegno dell’amministrazione penitenziaria probabilmente sarebbe più che sufficiente. Cioè, se i formulari attraverso cui nella gran parte dei casi i detenuti fanno istanza di una misura, di un permesso, di quello che sia, fossero già corredati di tutte queste informazioni, e questa è una cosa che l’amministrazione può fare amministrare, non c’è bisogno di fare una legge. L’amministrazione penitenziaria dovrebbe fare le famose "domandine" con su scritto come uno può avere il difensore d’ufficio, può avere il gratuito patrocinio: nulla vieta all’amministrazione penitenziaria un impegno di questo genere, che in qualche modo già garantirebbe, per cui, nel momento in cui fa l’istanza può accedere a benefici di questo genere.

Il punto però della dimenticanza, di cui Annamaria Alborghetti ha parlato, cioè della dimenticanza del procedimento di sorveglianza in quella norma in cui si dice: "Si informano i destinatari di questi provvedimenti".

Il punto di questa assenza, diciamo così, dell’applicabilità di queste cose nel procedimento di sorveglianza attiene a un tema di carattere più generale che il direttore Cantone, all’inizio, ha accennato, e che io voglio riprendere.

È il problema che nella opinione comune, purtroppo spesso anche di tantissimi operatori, operatori del diritto, operatori della giustizia, etc., i detenuti non esistono. Questo dobbiamo dircelo: sembra il sistema della giustizia si ferma al momento della condanna, poi, di quello che succede… ci si può anche dimenticare, in una legge, di prevedere che anche quelli hanno titolo e quindi devono essere informati, etc, etc..

Ecco, allora io, da questo punto di vista, per chiudere e sollecitare anche le Camere Penali, l’Ordine degli Avvocati, a impegnarsi su questo terreno, che non riguarda direttamente la difesa d’ufficio e il patrocinio gratuito, ma ritengo sia egualmente rilevante e parli della stessa cosa: io credo che, più in generale, il tema dei diritti delle persone in stato di detenzione, della loro tutela effettiva, sia un tema che in qualche modo ha a che fare anche con la difesa d’ufficio e il patrocinio gratuito.

Il direttore citava la sentenza della Corte costituzionale sulla tutela giurisdizionale dei diritti delle persone in stato di detenzione: qualsiasi cosa, che dentro l’ordinamento e le leggi c’è scritto, che si prevede che sia nei diritti dei detenuti, dovrebbe poi essere in qualche modo esigibile.

Così non è, così non è: sono passati due anni e, ancora, la sentenza non ha avuto seguito, e la proposta che effettivamente è stata fatta era una proposta assai discutibile.

Io credo che questo tema, connesso alla proposta che noi abbiamo avanzato già da tempo, con cui stiamo lavorando con molti amici e amiche anche qui presenti, che è quello dell’istituzione di un Difensore Civico delle persone private della libertà personale, anche se non riguarda fatti e questioni penalmente rilevanti, che riguardino l’esecuzione della pena direttamente, etc., etc., è in qualche modo un tema che evoca il punto di vista, la cifra culturale con un guardiano al mondo della detenzione.

Cioè, se noi pensiamo che le persone detenute sono persone che sono titolari di diritti, che quei diritti esigibili, che gli devono essere garantiti dall’Ordinamento, etc., etc., allora forse ci ricorderemo anche di mettere nella legge sul patrocinio gratuito che devono essere avvisati, che hanno questa opportunità. Se continuiamo a pensare che, tanto ormai sono stati condannati, sono stati buttati là e poi vediamo che cosa succede, continueremo a dimenticarci di mettere nelle leggi i riferimenti a loro necessari.

 

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