IN-VENETO: INFORMAZIONE TRA IL CARCERE E IL TERRITORIO Edizione n° 44, del 7 novembre 2008
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Ricerca sulla sicurezza in una classe del Duca d’Aosta
La IV B del Liceo Socio-Psico-Pedagogico "Duca D’Aosta" di Padova lo scorso anno ha partecipato al progetto "Il carcere entra a scuola - Le scuole entrano in carcere", e uno studente e una studentessa di quella classe hanno anche fatto uno stage presso la redazione interna di "Ristretti Orizzonti". Al centro del progetto c’è stata una interessante indagine svolta dalla classe sul territorio intervistando 320 persone. Il tema dell’indagine era la sicurezza, le fasce d’età degli intervistati tra i 16 e i 20’anni, e tra i 40 e i 50 anni. Dieci le domande poste, interessanti i risultati. La ricerca è stata condotta, come ci ha spiegato la docente Aida Pavan, con lo strumento della intervista semi strutturata, non cioè un’analisi quantitativa, bensì un’analisi qualitativa, con l’obiettivo di analizzare i punti di vista dei cittadini di Padova e provincia sullo stato-qualità della sicurezza di Padova. Lunedì 3 novembre la ricerca è stata presentata in Power Point e poi discussa dalla classe alla presenza di alcuni rappresentanti della rivista Ristretti Orizzonti - Ornella Favero, direttore della rivista e responsabile del progetto e un ex detenuto e una ex detenuta che lo scorso anno hanno portato la loro testimonianza ai ragazzi. Si è avviata una discussione per cercare di riflettere sui risultati dell’indagine, per formulare poi delle proposte. Innanzitutto si è visto come la sicurezza sia stata definita come : tranquillità e senso di protezione, e come senso di libertà. Poi come l’immigrazione è percepita come principale fattore che minaccia la sicurezza. Qui si è osservato che invece di vedere nel non rispetto delle leggi e nella criminalità i principali fattori di minaccia, ci si accontenta di un generico "l’immigrazione". Non è un caso che, parlando delle persone che maggiormente generano insicurezza, il maggior numero degli intervistati pensa agli immigrati, ma alcuni vedono anche un pericolo nei trasandati. Del resto siamo la società dell’immagine: bisogna vestirsi "bene"! Naturalmente quasi tutti pensano che la sicurezza sia peggiorata rispetto al passato, ma ciò che ha colpito, non solo noi che ci occupiamo quasi solo esclusivamente di questo tema, ma anche gli studenti, che il progetto carcere lo stanno seguendo da due anni, è che poche persone hanno pensato che a creare insicurezza sono spesso anche le persone che, uscite dal carcere, tornano a commettere reati, perché spesso la detenzione non rieduca, o meglio non dà alle persone gli strumenti per cambiare. Questo dimostra una assoluta "non conoscenza" del mondo carcerario (nel sito del Ministero della Giustizia c’è il link che riguarda il carcere denominato "Pianeta carcere", come se il carcere non fosse parte di questo mondo, ma fosse un pianeta diverso, e questo la dice lunga sulla percezione che persino gli addetti ai lavori hanno del carcere). Una delle cose che ci ha più colpito è che una alta percentuale ha risposto alla settima domanda dicendo di non fidarsi delle informazioni passate dai media perché manipolatorie, dimostrazione che una certa informazione urlata e spesso basata sulla semplificazione ha perso molta credibilità. Altro dato interessante è quello per cui le persone che pensano che la sicurezza sia una emergenza sono in percentuale quasi pari a quelle che pensano che sia invece un problema, quindi vada affrontato in modo più strutturato e responsabile. Quello che invece sorprende è che in pochissimi si rendano conto che la sicurezza è anche un enorme business. I reati che più minacciano la sicurezza sono, sempre secondo la maggioranza degli intervistati, le violenze, intese come comportamenti violenti, mentre lo spaccio e gli omicidi hanno percentuali piuttosto basse. Ma altre osservazioni interessanti emergono dalla ricerca: la prima è che la "militarizzazione" del territorio con una maggior presenza delle forze dell’ordine non viene assolutamente percepita come fattore di maggior sicurezza, la seconda è che c’è poca attenzione alla prevenzione, e quasi nessuno richiama l’attenzione sul fatto che bisogna lavorare di più per prevenire i comportamenti a rischio, come l’abuso di alcol, in particolare da parte di tanti giovani.
"Si può fare": ruolo del tutor nei reinserimenti lavorativi
Il percorso del progetto "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto" sta volgendo a termine, dopo che negli ultimi mesi era avvenuta una modifica al bando, che apriva a tutti i detenuti o ex (anche non beneficiari d’indulto) la possibilità di accedere alle borse di tirocinio. Ancora per poche settimane possono avvenire inserimenti e avvii di tirocini presso aziende, poi da dicembre fino ad Aprile 2009 avverrà il monitoraggio dei percorsi di reinserimento lavorativo avviati. Per cui sarà compito dei Tutor di progetto far sì che ci sia il minor abbandono del posto di lavoro da parte dei tirocinanti meno motivati e la sensibilizzazione dei datori di lavoro in funzione dell’assunzione. Queste due azioni sono le principali in quanto lo scopo primo di queste borse è dare continuità al percorso lavorativo. Per un detenuto alla prima esperienza lavorativa post-pena questa possibilità di inserimento lavorativo seguito/guidato sarà molto utile: dopo anni di detenzione, magari senza nessun impiego all’interno del carcere, per cui una persona si disabitua ai ritmi lavorativi, al rapporto coi superiori e quello con i colleghi. L’affiancamento del tutor è importante per lui anche per discutere, confrontarsi e magari sfogarsi, in quanto le difficoltà ad affrontare un ambiente lavorativo nuovo ci sono per tutti, immaginiamo per chi è stato separato per anni e anni dalla società. Sapere che al suo fianco c’è un punto di riferimento dà sicurezza, tanto che si è notato che la responsabilità che viene impiegata nello svolgere il proprio lavoro è più seria e costante. Tanto che, temendo di perdere il lavoro, in certi casi è stata pure trascurata la salute per presentarsi ugualmente sul posto di lavoro. Per il datore di lavoro la presenza del Tutor è essenziale: primo, perché ha la funzione di sensibilizzare le persone nei confronti dell’importanza dell’inserimento lavorativo e dei significati che hanno questi percorsi (uno di questi significati è che offrendo lavoro-stipendio si toglie dal territorio un possibile recidivo, per cui inserimento lavorativo come generatore di sicurezza sociale); secondo, perché durante il corso del tirocinio per qualsiasi richiesta (burocratica, relazionale, personale) il tutor è disponibile. Per aiutare a superare ostacoli, per agevolare l’assunzione, per stimolare a parlare della propria condizione con colleghi e amici. C’è da fare una distinzione: alcune persone sono state inserite all’interno di cooperative sociali (ambienti già abituati ad accogliere situazioni segnate da un qualche tipo di passato particolare) con cui non è servito un appoggio particolare, in quanto già abituate alla gestione di questi contesti relazionali. Nel caso in cui ci si sia cimentati nell’inserimento all’interno di enti profit, qui lo sforzo è stato maggiore, in quanto questo ambiente non è ancora abituato completamente ad un’azione simile, ma si è messo alla prova in questo percorso grazie alla sensibilità di certi imprenditori che sono stati informati e aggiornati sul significato degli inserimenti lavorativi. E il mantenimento del rapporto con loro è importante per il Tutor, che è ben consapevole che un intoppo nel percorso di reinserimento può generare diffidenza e distacco da parte dei colleghi, del "capo" o di chi dovrà decidere sul’assunzione o meno. Ad oggi, quindi, partiranno le ultime borse di tirocinio e fra alcuni mesi potremo fornire un aggiornamento anche in termini di statistiche e bilancio dell’importanza di questo progetto-azione. Per concludere vi invitiamo ad andare al cinema, a vedere "Si può fare", ottimo film che racconta una storia vera, che ha in comune col lavoro del tutor per il reinserimento di detenuti ed ex detenuti la missione (l’inserimento lavorativo), anche se non l’utenza (nel film, soggetti psichiatrici), ma sempre con l’impegno di fondo di chi come noi si dedica a cause difficili, che richiedono pazienza, attenzione e anche voglia di affrontare questioni complesse con coraggio e senza inutili semplificazioni.
Notizie da Venezia
Storia di una mamma detenuta e del suo difficile ritorno a casa
Natasa, dal Montenegro dove è tornata ad abbracciare i suoi figli dopo 5 anni passati nel carcere della Giudecca senza vederli, ci ha scritto una breve testimonianza su quello che ha provato nell’essere lontana da loro. Natasa ha due figli, un maschio di 23 anni, un ragazzo che è oggi uno studente universitario molto brillante, e una bambina di 8 anni e mezzo. Natasa, che, come dice lei con un gran senso dell’umorismo, "da giovane ero bella e stupida, ora sono solo stupida", è una donna molto bella, che proprio per "colpa" della sua bellezza è stata per alcuni anni in Italia la compagna di un uomo, suo connazionale, molto ricco e potente, ma anche invischiato in traffici illegali. E proprio per aver avuto il coraggio di lasciarlo ha subito la sua vendetta. In un processo in Italia, di cui lei non era a conoscenza, lui ha fatto in modo che anche Natasa venisse coinvolta nel reato di traffico di droga in un processo in contumacia, dove lei non ha potuto nemmeno difendersi. È stata condannata in primo grado a 14 anni (con il solo articolo 73, cioè quello di spaccio, e non con l’aggravante dell’articolo 80, per cui la pena era davvero enorme) e in secondo grado a 11 anni (l’avvocato d’ufficio si era preso, per la "fortuna" di Natasa, a cuore il caso ed è ricorso in appello di sua iniziativa). In un viaggio dal Montenegro, dove era stata in vacanza, a Parigi, dove si era trasferita a vivere con il nuovo compagno e la sua bambina di 3 anni, è passata per l’Italia. Al suo ingresso a Trieste, l’hanno arrestata, l’hanno portata in questura, le hanno comunicato la pena da scontare e le hanno tolto la bambina. Possiamo immaginare lo shock! Le abbiamo chiesto di mandarci un breve scritto che ci possa far capire il dolore lacerante che si può provare in una situazione del genere. "Anche se cerco di dimenticare non posso! È stato molto brutto e doloroso. Mia figlia aveva tre anni e mezzo ed era con me. Sono venuti i carabinieri e ci hanno portato in questura. Io non credevo che tutto questo stava capitando a me. Mi sembrava un brutto sogno, e, invece, era realtà. Una realtà che è durata troppo a lungo. Dico troppo a lungo perché essere lontano dai figli è sempre troppo lungo, anche se si tratta di pochi giorni. Immaginiamoci se si tratta di cinque anni! E anche oggi, dopo 5 anni, sento la voce di mia figlia che piangendo mi supplica di non lasciarla. È stato un trauma per tutte e due. Era troppo piccola per capire cosa stava succedendo e sicuramente nella sua testa ero io che la stavo abbandonando. Penso che quello che mi è successo l’abbiano pagato più i miei figli che io, soprattutto la mia bambina, che era piccolissima. I miei genitori l’hanno cresciuta con amore, però tutti gli altri bambini hanno avuto mamma e papà, lei solo i nonni. Quando sono tornata dal carcere Heleni mi ha detto: "Mi sembra di non averti più visto da ben più di otto anni". Heleni ha 8 anni e mezzo. Cosa significava la sua frase? Che è come se non mi avesse mai conosciuta?, che è come se mi avesse dimenticata? Che, velatamente, voleva comunicarmi che io non c’ero per niente, non esistevo nella sua vita? Il mio rientro a casa è stata una cosa che ho sognato per cinque anni. Posso dire che è stato bello, anche se ne ero terrorizzata. Per primo ho visto mio figlio che, essendo all’università, non vive con i nonni e la sorellina. Siamo stati a pranzo insieme e io gli ho detto:" Tu chiedi tutto quello che vuoi sapere e io ti dirò la verità". Abbiamo parlato e io mi sono sentita molto rasserenata. Lui è una persona adulta e ho dovuto imparare a considerarlo come tale. Con la piccola è stato più semplice perche lei voleva a tutti costi la sua mamma, anche se in attesa del mio ritorno era molto nervosa ed era dimagrita. Credo che anche lei non ne potesse più. Penso che se una persona sbaglia sia giusto che paghi. Quello che non trovo giusto è che altri, innocenti, paghino altrettanto o forse più del reo. Si dovrebbe trovare il modo di evitargli per quanto possibile delle sofferenze inutili. Io vedo che a mia figlia manca sicurezza e penso che l’unico motivo è che è cresciuta senza di me".
Notizie da Verona
Detenuti al lavoro: rifarsi una vita risarcendo il danno
Sono 68 i lavoratori dipendenti di "Lavoro&Futuro", l’azienda che dal 2005 ha sede nella casa circondariale di Montorio per offrire contratti da metalmeccanico a lavoratori a domicilio, dove domicilio in questo caso sta per carcere. Il numero è rilevante se si pensa che - come ha sottolineato uno dei due imprenditori che ha dato vita all’azienda, Giuseppe Ongaro - "in tutta Italia il totale della popolazione che lavora all’interno del carcere per conto di esterni è di 647 detenuti, di cui 459 impiegati da cooperative private, e solo la rimanente parte da imprese". E dei 188 detenuti impiegati in aziende in tutta Italia, ben 68 sono dipendenti di Lavoro&Futuro, una srl che si occupa di assemblaggio e costruzione per terzi (per il Comune vengono realizzati i portabiciclette), e che si colloca seconda per numero di dipendenti solo a una società di Milano. Durante l’estate i due imprenditori hanno dato vita a una cooperativa sociale - che si chiama "Segni" - per poter dare lavoro anche a chi è in uscita dal carcere. Forti di tanta esperienza, e con in cantiere anche un’associazione per la gestione di microcrediti che finanzino progetti di lavoro di detenuti in uscita, Giuseppe Ongaro e il socio Edgardo Somma la settimana scorsa hanno incontrato la Commissione sicurezza del Consiglio comunale, che è entrata in carcere per far visita alla loro azienda. Lavoro&Futuro da quando è nata a oggi ha dato lavoro a circa 200 detenuti, che per l’86% dei casi non hanno più fatto ritorno in carcere, a dimostrazione che offrire l’opportunità di rifarsi una vita a chi ha sbagliato, rappresenta la strada migliore contro la recidiva. Un progetto degno di essere replicato quello dei due imprenditori veronesi, che in effetti stanno già pensando di esportarlo in altre carceri.
A Montorio manca la guida spirituale per i detenuti ortodossi
È da metà settembre che Padre Gabriel Codrea aspetta una risposta alla richiesta dell’articolo 17 necessario all’accesso a Montorio. Direzione e Magistrato di Sorveglianza devono ancora pronunciarsi, e intanto la comunità rumena rinchiusa nella casa circondariale di Verona rimane sprovvista di una guida spirituale e di un sostegno. Il mandato di padre Gabriel era scaduto già a maggio ed è stata fatta la richiesta di rinnovo dopo l’estate. Con l’accesso a Montorio il sacerdote ortodosso potrebbe anche tornare a partecipare agli incontri di intercultura organizzati dall’associazione La Fraternità per favorire la conoscenza reciproca tra le diverse etnie e culture presenti a Montorio.
Mafie al nord, tra stereotipi e realtà
Sabato 8 novembre arriverà al polo Zanotto dell’Università di Verona la Carovana Antimafie promossa dalle associazioni Avviso Pubblico e Libera, che hanno come scopo l’educazione alla legalità. In questi giorni la Carovana sta girando l’Italia per parlare di diritti, democrazia e giustizia sociale. E sabato raggiungerà Verona per un incontro-dibattito, con inizio alle 18, dal titolo "Mafie al Nord tra stereotipi e realtà". Tra gli 8.129 beni confiscati alla mafia, 71 si trovano nella Regione Veneto e 22 di questi tra Verona e provincia: la mafia non è quindi una questione che riguarda esclusivamente il Mezzogiorno. Spiega Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso Pubblico che sarà presente all’incontro: "In Italia la vera emergenza sicurezza sono mafie e corruzione". Tra gli ospiti di sabato anche Enrico Variabili, avvocato ed esperto di immigrazione e Guido Papalia, a lungo procuratore di Verona e adesso procuratore generale della Corte d’appello di Brescia. A moderare l’incontro il giornalista e scrittore Ferruccio Pinotti. Dopo il dibattito, dalle 20 alle 21, sarà offerto un assaggio di prodotti di "Libera terra" (coltivati nei territori confiscati alla mafia) e alle 21 sarà proposto lo spettacolo "Era di maggio Giovanni" di Federica Iacobelli.
Corso di formazione per volontari: "Il racconto autobiografico come progetto di vita"
Prenderà il via sabato 8 novembre il corso di formazione per volontari "Dio ha creato gli uomini perché adora i racconti" ovvero "Il racconto autobiografico come progetto di vita". Promosso dal Centro Servizi per il Volontariato di Verona e dall’associazione "La Fraternità", il corso tratterà del tema delle biografie e autobiografie nella pratica di sostegno e cura, a partire dall’unione di due filoni paralleli: Vangelo e racconto. Un’idea nata dall’esperienza epistolare con i detenuti e dalla considerazione che anche la Bibbia si sviluppa su base narrativa. I relatori saranno la consulente in scrittura autobiografica Simona Polzot e il teologo Marco Dal Corso. Il corso si terrà nella sala incontri del Centro Pastorale Immigrati della Diocesi di Verona in Via Provolo 27, e si svilupperà in tre incontri teorico-pratici (8, 22 29 novembre dalle 9 alle 13) e uno serale con audiovisione (11 novembre dalle 18 alle 20). Per maggiori informazioni: www.lafraternita.it.
Appuntamenti
Padova: Exposcuola 2008
Padova: Fiera, via Tommaseo. 6 - 7 - 8 novembre ore 9.00-18.00. L’Asa società cooperativa di via del Commissario organizza anche quest’anno Exposcuola, evento dedicato al mondo della scuola e della formazione dedicato a giovani ed adulti. Info: Asa società cooperativa tel. 049.684932 fax 049.8809559 asa@ethike.it
Venezia: Muri Porte Persone, il disinteresse non è civiltà
"Muri, Porte, Persone - Il disinteresse non è civiltà" - Mostra del Laboratorio di pittura della Comunità S. Alvise - a cura di Maurizio Favaretto con la collaborazione di Nerio Comisso, Serena Nono, Ana Maria Reque. Venezia: Centro espositivo Sala s. Leonardo Cannareggio 1584. 8 - 15 novembre 10.00 - 19.00. Inaugurazione sabato 8 novembre ore 18.00. In mostra selezione di lavori del Laboratorio creativo della Casa dell’Ospitalità di Mestre
Verona: una città allo specchio, tra stereotipi e realtà
Verona: sala "Berto Perotti", Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea Via Cantarane 26. Venerdì 7 novembre, ore 21. "Una città allo specchio. Verona tra stereotipi e realtà". Ne parlerà Guido Papalia, attuale procuratore della Repubblica a Brescia, per anni a capo della Procura di Verona. L’incontro è organizzato dall’Istituto presso cui si svolge la serata e si inserisce nel ciclo di incontri "Calma apparente. I giovani, la violenza, la città". Ingresso libero. Info: 045.9615368.
Verona: "Immigrazione: sicurezza, legalità, qualità della vita sociale"
Verona (San Zeno): Sala Convegni dell’ATER, Piazza Pozza 1. Sabato 8 novembre ore 9 alle 13 Tema: "Immigrazione: sicurezza, legalità, qualità della vita sociale". Il convegno è organizzato da Cgil, Cisl e Uil. Oltre ai Segretari di Uil e Cgil Verona - rispettivamente Gianluigi Meggiolaro e Carla Pellegatta - interverranno all’incontro Maurizio Cecchetto della Segreteria Regionale Cisl Veneto e Fabrizio Maritan del Dipartimento Mercato del Lavoro Cgil Veneto. Dalle 11 tavola rotonda "L’immigrazione fra paura, necessità, opportunità, risorsa per il presente e per il futuro" con Oberdan Ciucci (Responsabile Immigrazione Cisl Nazionale), Bruno Tosoni (Vice Presidente di Confindustria di Verona), Alberto Tosi (Vice Presidente di Apindustria di Verona), Stefano Valdegamberi (Assessore alle Politiche Sociali Regione Veneto) e Fernando Sudath (Rappresentante della Comunità dello Sri Lanka). Modera i lavori Lucia Perina, Segretaria Generale Uil Verona.
Verona: Minori Indifesi. Circuito oscuro di sfruttamento e violenza
Villafranca di Verona: Auditorium Comunale. Sabato 8 novembre ore 16. "Minori indifesi. Circuito oscuro di sfruttamento e violenza", organizzato dall’Associazione "Donne Insieme". Incontro con don Antonio Mazzi (Presidente della Fondazione Exodus. Onlus), la dottoressa Antonella Cinquetti (Assistente Sociale Servizio Minori Ulss 22 di Villafranca di Verona), il dott. Ciro Pellone (Dirigente di Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni "Veneto", Primo Dirigente della Polizia di Stato), la dottoressa Paola Tessarolo (Responsabile la Sezione Polizia Postale e delle Comunicazioni di Verona, Sostituto Commissario della Polizia di Stato) e la dottoressa Elena Chemello (Giornalista Rai del Veneto). Ore 21 proiezione del film "Il principe delle maree" di Barbara Streisand. L’evento è promosso dalla Comunità Emmaus di Villafranca con il contributo della Regione del Veneto e con il patrocinio del Comune di Villafranca di Verona e del Comune di Sommacampagna e si inserisce nell’ambito delle iniziative organizzate in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti umani. Direttore: Ornella Favero Redazione: Chiara Bazzanella, Francesca Carbone, Livio Ferrari, Vera Mantengoli, Paola Marchetti, Maurizio Mazzi, Francesco Morelli, Riccardo Munari, Franco Pavan, Paolo Pasimeni, Jaouhar Redouane, Daniele Zanella. Iniziativa realizzata nell'ambito del Progetto "Il Carcere dentro le Città", realizzato grazie al contributo del "Comitato di Gestione del Fondo speciale per il Volontariato del Veneto" |