IN-VENETO: INFORMAZIONE TRA IL CARCERE E IL TERRITORIO

Edizione n° 43, del 31 ottobre 2008

 

Notizie da Padova

Incontro del Csv sulla "messa alla prova" di minori

Ad Arzergrande a parlare di legge e droga

Notizie da Venezia

Finalmente la detenzione domiciliare per una madre che ritrova le due figlie

Notizie da Verona

Da 40 anni con i detenuti. Si è conclusa la settimana di iniziative della Fraternità

Dentro ci vanno i poveracci. Un convegno a Verona per "liberare la pena"

Educazione e lavoro per i detenuti. Se ne parla a Verona

Notizie da Rovigo

I 20 anni del Centro francescano d’Ascolto

Notizie da Vicenza

Progetto Jonathan: cosa stiamo facendo

Appuntamenti

Padova: il Csv propone "elaboriamo il bilancio sociale"

Verona: intolleranza in città, parliamone

Notizie da Padova

 

Incontro del Csv per la messa alla prova di minori

 

Da molti anni ormai, è avviato nel territorio padovano un servizio molto utile per il sostegno al recupero di ragazzi adolescenti che hanno avuto problemi con la legge. Comportamenti devianti che, per la giovane età di commissione di reato, vengono puniti con forme alternative alla detenzione: una di queste è la "messa alla prova".

A Padova questa misura veniva applicata affidando il giovane alla Cooperativa Arca, in collaborazione col negozio di commercio equo e solidale "Il Brigantino": durante questo periodo il ragazzo trascorreva del tempo in negozio fornendo un servizio utile per la società e conoscendo anche una realtà impegnata e importante come il commercio equo e solidale. Una forma di cittadinanza attiva e di impegno civico che, col sostegno anche di educatori della cooperativa, poteva smuovere un diverso modo di vivere e pensare nel giovane.

In seguito alle prime esperienze positive e gratificanti (per tutte le parti in causa) l’attività del Brigantino e della Coop. Arca si è estesa fino al territorio dell’USL 17 (Este, Monselice e dintorni) in collaborazione col Ser.T. per seguire, affiancare e sostenere il percorso di ragazzi che hanno avuto problemi legati al consumo di sostanze o allo spaccio.

E arriviamo ad oggi, ad un bilancio sempre più positivo di quest’esperienza e alla voglia di coinvolgere più soggetti padovani per collaborare in una fitta rete di servizi a sostegno della "messa alla prova". Per cui l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Padova coinvolge il Centro Servizi Volontariato volendo estendere alle associazioni di volontariato del territorio padovano queste esperienze, la loro utilità e la possibilità da parte di queste organizzazioni di aderire al progetto prendendo in carico un ragazzo da impiegare all’interno delle attività e della vita associativa.

Un punto di forza è che il progetto di Messa Alla Prova non prevede controlli da parte delle forze dell’ordine, in quanto è lo stesso servizio che sostiene e controlla l’adesione e la riuscita del progetto.

Martedì 28 ottobre si è tenuto un incontro di presentazione del progetto alle associazioni, sia per raccogliere adesioni sia per istruire su questa misura rivolta ai giovani. Nel prossimo mese ci saranno due ulteriori incontri per poi iniziare operativamente nel 2009 con percorsi sia di presa in carico che di educazione alla legalità.

Una prospettiva interessante anche per rafforzare la Messa Alla Prova in quanto percorso umanamente importante per il giovane che ha attuato comportamenti devianti.

 

Ad Arzergrande a parlare di legge e droga

 

Come Granello di Senape, siamo stati invitati dai Servizi sociali del Comune di Arzergrande ad un incontro, di una serie di tre, con la cittadinanza sui giovani e la droga. Il tema della serata era "le conseguenze penali della dipendenza" ed era organizzato dall’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune. L’argomento è delicato e estremamente attuale, e, come ci diceva l’assessore, anche se il problema è ben presente in zona, sembra quasi che le famiglie lo vogliano rimuovere. La partecipazione non è stata massiccia. Anzi... Complice forse la serata piovosa, c’erano poche persone all’incontro. Dopo un’introduzione su alcuni aspetti penali della tossicodipendenza, abbiamo preferito dare spazio alle domande dei presenti, e da qui è nato uno scambio piuttosto interessante sui vari risvolti e sulle conseguenze a cui porta la nuova (del 2006) legislazione in materia di droghe. Tutti hanno convenuto che l’Italia non ha una legislazione di prevenzione, ma quasi solo di repressione, che dimostra un’incapacità di programmazione e di visione del futuro.

Purtroppo verso la fine della serata si è scivolati sul terreno ambiguo dello "spaccio in mano agli stranieri", quasi che, solo perché più visibili, perché in strada, fosse degli stranieri la responsabilità del consumo di droga in Italia. Fortunatamente è intervenuta una signora che, da giudice popolare, aveva presenziato ad alcuni processi per droga, e che ha confermato quello che sostenevamo: cioè che il vero traffico di droga, per la maggior parte, è in mano a italiani, i quali si servono di manovalanza straniera per lo spaccio "al minuto".

La serata è stata comunque proficua, perché, anche se partecipano in pochi, non bisogna mai perdere nessuna occasione per riflettere su temi, su cui è importante sperimentare strade nuove di comunicazione e di informazione.

 

Notizie da Venezia

 

Finalmente la detenzione domiciliare per una madre che ritrova le due figlie

 

Abbiamo chiesto a una madre a cui hanno concesso, dopo 4 tentativi rigettati, la detenzione domiciliare speciale, ex art. 47 quinquies, o meglio definita "la legge delle detenute madri" di spiegarci cosa significa essere strappati dai propri figli per andare in carcere e poi riuscire a tornare da loro. Questa madre è andata in carcere a distanza di anni dalla commissione del reato, dopo che si era costruita una famiglia, quando le due figlie avevano meno di cinque anni. Pubblichiamo qui uno stralcio della sua lettera. L’articolo completo verrà pubblicato nel prossimo numero di Ristretti Orizzonti.

"Al pensiero di risentire ciò che accadde allora, al momento di entrare in carcere, ricado in un terribile vortice di panico, disperazione e abbandono. In quel momento vedevo davanti a me solo le sbarre e mi sono detta: "La mia vita è finita e quella delle mie figlie è seriamente compromessa!".

Le gemelle avevano compiuto cinque anni da appena un mese. Pensavo: che ne sarà della famiglia che ho costruito e perché devo pagare il mio debito dopo 9 anni dall’accaduto? Perché proprio ora che ho dato un senso ed un valore alla mia vita, perché proprio ora che ho capito quanto ho sbagliato.... Si dice che sia contro-natura separare i genitori dai propri figli. ecco, io ho sentito la violenza di tutto ciò su ogni millimetro della mia pelle. 

In quei lunghi tre anni e tre mesi che sono stata in carcere, le mie bambine sono cresciute con il loro papà, il quale non è mai mancato ad un colloquio e che ha cercato di mantenere vivo il ricordo della mamma, non come una persona che si va a trovare quasi ogni settimana, ma come "la mamma". L’hanno vissuta male, continuando però a "maturare" e a sviluppare il loro percorso psicomotorio in maniera eccellente. In tutto questo "cammino" c’è stato l’impegno costante di mio marito che ha saputo dare il meglio di sé, farle partecipare anche nei momenti di sconforto, di pianto, spiegando loro il perché e non dicendo "perché sono stanco".

Ora che sono tornata a casa, i primi giorni ero confusa, mi sentivo "inadeguata", fuori luogo, come se stessi "usurpando" le abitudini che ormai i miei tre amori si erano creati "per sopravvivere più che potevano". Mi sono disperata perché mi è crollato il mondo addosso a sapere che in questi ultimi tre anni si sono dovuti "arrangiare alla meglio"... e non è umano. Loro tre non hanno commesso nessun reato, mio marito è il più onesto e preciso, scrupoloso cittadino che possa esistere... e le due bambine poi!... ed invece loro hanno pagato quasi come me!

Oggi mio marito è più sereno, riesce a fare tante cose e dedicarsi un pochino di tempo... se lo merita davvero tanto! Mi riempiono di attenzioni, mi rendono partecipe a ciò che fanno, l’inizio della scuola è stato fantastico... Io finalmente sto riuscendo a capire "dove sono" e piano piano sto prendendo il ritmo di casa e non quello "inframurario" che mi era entrato nell’anima come un organo vitale aggiuntivo! Le bambine "mi puniscono molto spesso per la mia assenza", con una sottile, pungente ma spontanea frase che ricorre spesso "...perché quando tu ci hai lasciate sole con babbo..." quasi sempre reazione ostile ai rimproveri che, come mamma, ho ripreso a fare loro ogni qual volta combinano marachelle che vanno corrette e va spiegato il perché non si fa una data cosa!

Quando sentono "la necessità di dovermi ricordare che io non ci sono stata per tre anni e tre mesi", allora lì è tremendo... e per adesso è necessario che loro sfoghino tutto il loro risentimento e la rabbia per tutto ciò. Credo sia un’arma di difesa, hanno ancora paura che io vada via e che i carabinieri mi portino "in quel posto antipatico"... è così che descrivono il carcere!

Negli ultimi tempi manifestavano la mancanza della mamma, con urli, tic facciali, aggressività e pianti notturni. Era comparsa la figura della "morte". Purtroppo spiegare queste cose è difficile e se siamo noi mamme detenute a raccontarle è ancora peggio, potrebbe apparire un tentativo squallido di sfruttare la figura del bambino per i propri scopi, motivo per cui ho sempre evitato, durante i colloqui con gli operatori, di andare in certi particolari drammatici... le mie bambine sono mie, punto e basta! Mai avrei potuto utilizzare le loro figure come strumento di facile uscita dal carcere... La loro mancanza in questi anni passati è stata lacerante. Ancora faccio incubi notturni dove sogno di essere lontana da loro, da mio marito ed al risveglio provo quella sofferenza terribile che mi lascia senza fiato per ore!

Credo che la legge delle mamme detenute, oltre a dare un senso alla vita di una donna che ha sbagliato e che con la maternità può esprimere nel migliore dei modi il reinserimento nella società e l’impegno nel prendersi cura e responsabilità di una vita che cresce, sia un atto dovuto al bambino, il quale non può capire né sapere, specialmente nei primi anni della sua vita, quale o quanto sia grande il prezzo da pagare dalla sua mamma!"

 

Notizie da Verona

 

Da 40 anni con i detenuti. Si è conclusa la settimana di iniziative della Fraternità

 

Quadri e sculture dei detenuti di Montorio, ma anche una cella in dimensione reale e una mostra per accostare le emozioni di chi è libero a quelle di chi è recluso: il tutto esposto nelle splendido scenario del convento di San Bernardino, in occasione dei quarant’anni di attività dell’associazione veronese La Fraternità. Si è conclusa la scorsa domenica, la settimana di appuntamenti e iniziative organizzata dall’associazione per stimolare la cittadinanza a conoscere più da vicino chi sta rinchiuso dietro le sbarre, e avvicinarsi con maggiore consapevolezza a una realtà tanto complessa.

"Mi auguro che queste manifestazioni possano avere l’effetto di sensibilizzare sempre più persone sui problemi del carcere, e nello stesso tempo infondere nei detenuti maggiore fiducia verso la persona esterna e sentirsi meno soli" appunta un visitatore sul quaderno delle firme presente alla decima edizione di Tra Mura Les. "Quante riflessioni che smuovono lo spirito" scrive un altro. E ancora: "questa mostra esprime grande speranza", "che la creatività sia il preludio della libertà, interiore e fisica", "nel segno della speranza, nell’augurio di crescere ricordandosi sempre dell’altro, dimenticando l’indifferenza, non aver paura mai".

Un chiostro pieno di quadri, di suggestioni e spunti di riflessione quindi, ma anche due convegni importanti e attesi: l’uno sul rapporto tra la cultura e la pena organizzato all’Università di Verona, l’altro realizzato con la Caritas di Verona e altre associazioni, per invitare la comunità cristiana, e in particolare i più giovani, a interrogarsi su quello che il sottotitolo dell’evento ha definito: "il problema dello smaltimento dei rifiutati".

E poi momenti di condivisione con alcuni detenuti in permesso, che dal Polo Universitario del carcere di Prato sono arrivati a Verona non solo come diretti protagonisti dell’incontro che si è svolto nell’ateneo veronese sull’importanza della formazione e dello studio nella realtà di chi è detenuto, ma anche per concedersi una passeggiata nella città scaligera, nei luoghi che sono stati sede di carcere. Un percorso guidato da Francesca Viviani, coautrice del volume Carceri e pene nella storia di Verona, che si è snodato tra Piazza Erbe e Piazza dei Signori, fino a via Scalzi e al Campone. E se non si è arrivati a Montorio è perché, come spiega la Viviani "il carcere è una realtà che si è cercato e si cerca sempre più di far uscire dalla città: come una spirale, dal centro storico si è sempre più spostato in periferia, dove può effettivamente restare lontano sia dalla mente che dalla vista". La Fraternità da 40 anni si impegna perché ciò non avvenga, nella consapevolezza che, come non si stanca di ripetere il fondatore dell’associazione Fra Beppe Prioli: "dietro ad ogni fascicolo, vi è una persona che necessita prima di tutto di essere ascoltata".

 

Dentro ci vanno i poveracci. Un convegno a Verona per "liberare la pena"

 

"Sembra quasi che la vista dei miserabili dia fastidio alla vista. Si preferisce chiuderli in gabbia e assimilare la condizione di povertà a una vergogna da relegare ai Cpt o alle carceri". Parole crude quelle pronunciate da Paola Marchetti durante il convegno organizzato sabato scorso a Verona sul tema "Liberare la pena - la comunità cristiana e il problema dello smaltimento dei rifiutati". La Marchetti - che fa parte delle redazione che realizza la rivista "Ristretti Orizzonti" in uscita periodica dal carcere di Padova - parla di una realtà che conosce bene, avendola vissuta in prima persona, e continua: "In carcere ci va chi ha problemi psichiatrici, ci vanno i tossicodipendenti o chi è straniero e non ha lasciato il Paese dopo esserne stato espulso. Mentre sotto gli occhi di tutti, ma con meno sdegno o addirittura indifferenza, si depenalizza il falso in bilancio". Dentro ci vanno insomma i poveracci, secondo una logica che sembra quella del voler nascondere le realtà che danno più fastidio. Di fronte a una tale situazionecarceraria, Don Mario Golesano, parroco del quartiere Brancaccio a Palermo e presidente della Fondazione Don Giuseppe Puglisi, invita ognuno a chiedersi: "Ma tu da che parte stai?". E se la riposta fosse per tutti: "dalla parte dei deboli", allora sì che si lotterebbe davvero per la giustizia, e si potrebbe smascherare "il gioco di quei potenti che cercano di eliminare i deboli dalla vista". Ma il vero mostro - secondo la giornalista di "Io Donna", Emanuela Zuccalà - è in assoluta libertà: "il mostro dell’opinione pubblica, che cerca il capro espiatorio, come risposta alla paura per la crisi economica in atto". Spiega la giornalista: "invece di considerare i dati sull’andamento dei reati e i numeri che ne rendono oggettiva la pericolosità, la gente è portata ad ascoltare dal fondo della pancia una percezione irrazionale, più sensibile alla propaganda dell’informazione". Del resto, secondo il direttore della Caritas, Mons. Giuliano Ceschi: "i poveri sono percepiti come nemici da combattere, anche da chi sostiene la difesa delle tradizioni cristiane". Nell’ultimo intervento Giampaolo Trevisi, vicequestore di Verona, racconta di aver visto passare, dal ‘93 a oggi, il ruolo del capro espiatorio prima ai "terroni", poi agli "immigrati" e ora agli "irregolari e clandestini". "Ma chi è il vero clandestino? - si chiede Trevisi -. La donna che senza permesso di soggiorno da tre anni va a lavorare come domestica tutta elegante, o anche la famiglia di Borgo Trento che da tre anni la accoglie con un lavoro in nero, senza sapere che vive in baracche in mezzo alla spazzatura e ai ratti?".

"Liberare il carcere dalla pena significa creare i presupposti per prevenire l’entrata in carcere", ha dichiarato il vescovo di Verona, Mons. Giuseppe Zenti in apertura del convegno. Un convegno destinato soprattutto ai più giovani, i ragazzi delle scuole superiori di cui la sala del cinema K2 sabato era piena. Ed è a loro che il vescovo ha voluto rivolgersi, invitandoli a "non essere prima di tutto prigionieri di se stessi".

"Non siamo qui per chiedere delle sanatorie di massa - ha aggiunto ancora il direttore della Caritas - ma piuttosto per invitare a guardare le persone con rispetto, a non avere fretta nel pronunciare dei giudizi".

Il convegno - promosso da Caritas diocesana con alcune associazioni veronesi impegnate sui temi della giustizia, dell’emarginazione e del carcere (La Fraternità, Soc. San Vincenzo dè Paoli, Coop. Il Samaritano, Ass. Don Tonino Bello, Ass. Ripresa Responsabile e Telepace) - ha voluto chiamare le comunità cristiane, e in particolare i giovani, a riflettere sul rapporto con le povertà emergenti. "I ragazzi - citando ancora la Marchetti - possono rappresentare una grande speranza per il futuro. Se si dà loro l’informazione giusta, forse troveranno la forza per cambiare le cose, o almeno per scandalizzarsi e alzare la voce".

 

Educazione e lavoro per i detenuti. Se ne è parlato a Verona

 

Dei 57 mila detenuti in tutta Italia, solo lo 0,3% di loro frequenta corsi universitari. Un dato emerso durante il convegno che si è svolto il 24 ottobre all’Università di Scienze della Formazione di Verona, dal titolo "Cultura e Pena, mondi a confronto tra esperienze e prospettive".

Promosso dall’associazione La Fraternità con le facoltà di Giurisprudenza e Scienze della Formazione dell’Università di Verona, le direzioni di carcere e l’Uepe di Verona, il seminario di studio si è strutturato in due principali momenti. Una prima parte dedicata alle testimonianze di alcuni detenuti, docenti e volontari dei poli universitari delle carceri di Prato, Torino e Padova, e un secondo momento focalizzato sulla convenzione tra Università e Carcere di Verona, in vista delle nuove opportunità formative e lavorative all’interno di quest’ultimo.

Nonostante la mancanza di alcuni relatori (tra cui il direttore della casa circondariale di Montorio e il preside della facoltà di Giurisprudenza) e le manifestazioni in corso contro il decreto Gelmini, la giornata ha offerto numerose testimonianze e spunti di riflessioni, a partire dal diritto all’istruzione, che la legge prevede venga garantito a tutti i cittadini, siano essi reclusi o meno. "Solo la scuola può far uscire dall’illegalità", si legge in una lettera scritta da tre detenuti di Padova, che proseguono: "Abbiamo iniziato a sentirci diversi e vorremmo che lo stesso entusiasmo si diffondesse anche nelle altre carceri". "La cosa più bella - spiega un altro detenuto di Padova - è vedere qualcuno che crede in te, che ti dà fiducia, una spinta: che ti fa credere in te". Commenti che lasciano intendere quella che il professore Tacconi della facoltà di Scienze della Formazione di Verona definisce "una valenza trasformativa dell’istruzione, che permette di guardarsi con occhi diversi".

 

Ma quali sono le possibilità educative, e quelle lavorative, di chi è detenuto?

 

Chiara Ghetti, direttrice dell’Uepe di Verona, è intervenuta alla giornata di studi per ribadire l’importanza e il carattere innovativo della Legge Gozzini, che permette misure alternative quali l’affidamento ai servizi sociali, la semilibertà e gli arresti domiciliari. Spiega la Ghetti: "Nel 2007 nel Triveneto i detenuti che hanno fruito di tali alternative alla detenzione sono stati il 3.96%. Il 96% di questi ha concluso positivamente il percorso. Non serve un grande matematico per capirne l’efficacia, anche perché il 4% rimanente non risulta aver fallito per commissione di nuovi reati o per irreperibilità".

Secondo il Comandante del carcere di Montorio, Paolo Presti, il ruolo delle Polizia Penitenziaria non dovrebbe poi essere solo quello della sorveglianza, ma anche quello dell’osservazione e del trattamento. Lavorare nel e sul carcere è importante perché "il carcere è allo stesso tempo specchio e prodotto della società". Precisa il comandante: "le misure alternative sono comunque sempre "pena", anzi, servono per darle effettiva utilità". Come quella che riesce ad ottenere Giuseppe Ongaro che, con la sua azienda "Lavoro e Futuro" dà lavoro a 68 detenuti di Montorio. "Un record, quello veronese - sottolinea l’imprenditore - se si pensa che il totale della popolazione carceraria occupata lavorativamente in tutta Italia in lavori non alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria è di 800 detenuti, di cui 647 impiegati in cooperative private, senza scopo di lucro".

Un’altra buona notizia - segnalata al termine della giornata dal preside della Facoltà di Scienze della Formazione, Mario Longo - è quella che riguarda la delibera in senso positivo da parte del Consiglio di Facoltà sull’avvio di un corso interdisciplinare di formazione destinato agli studenti di Scienze della Formazione e di Giurisprudenza interessati al tema della pena. La convenzione tra Università e carcere di Verona, firmata nei primi giorni di luglio, inizia a dare il via ai primi atti concreti con questo corso di formazione, che verrà diviso in due livelli: il primo, che partirà a gennaio per concludersi ad aprile, aperto a tutti gli studenti interessati. Il secondo (a cui si potrà accedere dopo una selezione tra i partecipanti del primo) come parte integrante del tirocinio che si svolgerà nella sessione estiva. Dopo la selezione quindi, chi è interessato potrà proseguire la sua conoscenza del mondo della pena, con un tirocinio presso lo sportello di informazione giuridica che sarà istituito all’interno di Montorio, oppure nella sede dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Verona, o ancora al seguito di una delle associazioni veronesi impegnate nella realtà carceraria.

Oltre che per un record nell’ambio lavorativo in carcere, Verona si distingue così anche come prima città in grado di proporre un’occasione di dialogo inter-universitario in ambito carcerario, con la possibilità di un futuro lavoro in rete tra i partecipanti.

 

Notizie da Rovigo

 

I 20 anni del Centro francescano d’Ascolto

 

"Rovigo non è più un’isola felice. Questo territorio negli ultimi 20 anni ha visto aumentare la solidarietà, ma accanto a problemi che 20 anni fa affrontavamo già, come la tossicodipendenza e l’alcolismo, tuttavia in ben altre dimensioni, e che oggi sono cresciuti insieme ad altri come la prostituzione, che restano ignorati dalla realtà". Così inizia l’articolo pubblicato sul Gazzettino di venerdì 24 ottobre, il giorno dopo il convegno "20 anni accanto agli ultimi senza andare fuori tempo", che ha visto come relatori don Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e dell’associazione Libera, Alessandro Margara della Fondazione Michelucci, magistrato che fu tra i "padri" della legge Gozzini, don Nozza, direttore della Caritas Italiana e il prof. Giuseppe Mosconi, dell’Università di Padova.

Il centro ha "compiuto" Vent’anni, e nella Sala degli Arazzi dell’Accademia dei Concordi si sono incontrate persone che con gli "ultimi", gli emarginati, il carcere hanno a che fare da tempo.

Il fondatore e direttore del Centro d’ascolto Livio Ferrari, dopo i saluti di benvenuto del professor Ennio Raimondi, ha raccontato come è avvenuta la fondazione dell’associazione "20 anni fa, in una serata di nebbia, con don Ciotti che intervenne alla presentazione" e poi ha spiegato come opera oggi il Centro francescano, con i mezzi dell’ascolto e della riconciliazione, per cercare giustizia e pace sociale.

Ma un dato che fa riflettere è il seguente: ci sono più night club in Polesine che nell’intera provincia di Padova. E spesso questo significa prostituzione e/o spaccio di droga.

Don Luigi Ciotti ha lanciato un messaggio di speranza e umiltà: "Alimentiamo la speranza, perché non si arrende mai, nonostante tutto. È necessario fare così in un Paese come l’Italia sommerso di negatività: perché è nostro dovere e responsabilità far emergere le cose positive che ci sono". Al termine dell’incontro è stato distribuito al folto pubblico un cofanetto contenente un volume sulla storia dell’associazione, i progetti e le iniziative prodotte, i servizi e gli sportelli attivati, le proposte per il futuro; inoltre, un dvd che raccoglie filmati sulla vita del Centro d’ascolto e fotografie che ne ricordano volti e momenti.

L’incontro è servito anche a denunciare una regressione in materia di politiche sociali statali. "Noi speravamo davvero che ormai non ci fosse più bisogno di noi - racconta Livio Ferrari - mentre invece le cose, anziché migliorare, peggiorano. Ci siamo illusi che la situazione stesse cambiando in meglio ma era, appunto, un’illusione. Il Governo non si interessa della povertà, anzi ne crea di nuove. Nelle carceri sono tornate a esserci condizioni invivibili. Si reprime di più, se si pensa anche all’idea della polizia nelle scuole. A questo punto il volontariato si dovrà necessariamente interrogare sul proprio rapporto con lo Stato Appena nati, nell’88 scoprimmo che il nostro territorio, seppur piccolo, aveva un grande bisogno di aiuto. - ricorda Ferrari - Basti pensare che solo pochi giorni dopo la nostra nascita venimmo contattati da un detenuto, che ci chiese di fargli visita perché voleva raccontarci qual era lo stato delle cose e come venivano trattati nella struttura. Ora c’è molto di più una emarginazione sommersa, quella delle persone che vengono lasciate e vivono da sole. Vivere in questo periodo comporta una fatica diversa rispetto al passato, perché siamo lasciati a noi stessi, senza aiuto né punti di riferimento. C’è davvero molta solitudine". Parole che denotano una analisi spietata di una situazione sociale davvero difficile, ma ci consola il fatto di sapere che l’associazione non chiude certo la sua attività, né si arrende di fronte alla complessità del disagio sociale.

 

Notizie da Vicenza

 

Progetto Jonathan: cosa stiamo facendo

 

Ci ha raccontato Davide del Progetto Jonathan: "Attualmente stiamo accogliendo 5 persone in modo residenziale e ne stiamo appoggiando 2 che non vivono con noi ma fanno riferimento al PJ. La media di età è molto alta: ci sono due 70enni, un 65enne e due giovani (21 e 27 anni). Il cammino comunitario è molto semplice: dopo una conoscenza in carcere tramite colloqui ci sono i permessi premio che ci consentono una conoscenza migliore. Se poi si decide di condividere il tempo qui (non accogliamo né persone con problemi di dipendenze né persone con problematiche di tipo psichiatrico) il progetto è articolato su 4 punti fondamentali: i documenti (accogliamo anche stranieri senza documenti fino al fine pena, ma abbiamo avuto anche molti italiani che dopo lunghe carcerazioni non avevano documenti, né residenza...); la salute (quanti acciacchi vengono fuori quando si esce!); gli affetti (analizzare ciò che c’è o rimane della sfera affettiva... questa è l’impresa più difficile); infine il lavoro (abbiamo un piccolo laboratorio interno che garantisce una borsa lavoro di 150 euro mensili per le piccole spese e serve anche per la spesa del cibo per la comunità). Siamo in contatto con l’agenzia di inserimento lavorativo del Consorzio Prisma. Non riceviamo nessun contributo se non quello della Caritas Diocesana di 15000 euro annuali. Abbiamo un’attività sul territorio, specialmente nelle parrocchie con più di 30 incontri quest’anno. Partecipiamo attivamente alla Commissione Carcere Caritas e siamo promotori della Mostra RiEsistenze che racconta di carcere. In questi mesi è stata esposta in tre luoghi del circondario ed è attualmente a Verona in occasione dei 40 anni della "Fraternità". Collaboriamo con il CSV e partecipiamo ogni 2 mesi all’incontro con la Direzione del carcere. Siamo 2 operatori: uno part-time e uno a tempo pieno.

Nel 2008 sono state accolte 9 persone e seguite 2 persone, una in semilibertà e un’altra in fine pena. Un operatore fa colloqui anche al penale di Padova. In totale i colloqui sono stati 107, le persone incontrate 91. Questo nei primi sei mesi dell’anno.

 

Appuntamenti

 

Padova: il Csv propone "elaboriamo il bilancio sociale"

 

C.S.V.: Elaboriamo il bilancio sociale. 8 novembre ore 10.00-16.00. Il Csv, nell’ambito del bando "Elaboriamo il bilancio sociale", organizza, aperto anche a chi non partecipa a tale bando, un corso di formazione per conoscere e imparare ad apprezzare tale prezioso strumento. Il corso è gratuito. Tema: "Il bilancio sociale come strumento di comunicazione". Relatore: Sergio Ricci - consulente enti non profit - Terzo Settore - Il Sole 24 ore. Altre date saranno: 14 - 21 - 28 novembre ore 17.30-19.30

 

Verona: intolleranza in città, parliamone

 

Verona: Centro Missionario in via Duomo 18. Giovedì 30 ottobre alle 20.45. Incontro organizzato da Pax Christi di Verona per parlare della preoccupante situazione di intolleranza che si respira in città. Ospite Maria Luisa Albrigi, già assessore nella precedente Giunta comunale di Verona, oggi consigliere comunale. L’invito è esteso a tutti quelli che cercano una città e un mondo migliore.

Direttore: Ornella Favero

Redazione: Chiara Bazzanella, Francesca Carbone, Livio Ferrari, Vera Mantengoli, Paola Marchetti, Maurizio Mazzi, Francesco Morelli, Riccardo Munari, Franco Pavan, Paolo Pasimeni, Jaouhar Redouane, Daniele Zanella.

Iniziativa realizzata nell'ambito del Progetto "Il Carcere dentro le Città", realizzato grazie al contributo del "Comitato di Gestione del Fondo speciale per il Volontariato del Veneto"

 

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