IN-VENETO: INFORMAZIONE TRA IL CARCERE E IL TERRITORIO
Edizione n° 42, del 24 ottobre 2008
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Notizie da Padova
Polo universitario
C’è interesse sulla stampa rispetto all’esperienza del Polo universitario in carcere: Avvenire del 7 ottobre parla del Polo universitario di Padova, mentre il magazine 24 del Sole 24 ore del 10 ottobre dedica un lungo servizio ai Poli universitari carcerari, da cui anche noi abbiamo tratto molte informazioni nuove su quella realtà.
Ma cos’è un Polo universitario?
L’Amministrazione penitenziaria ha stretto convenzioni con i senati accademici, per permettere ai detenuti di dedicarsi agli studi universitari in apposite sezioni. Scrive il magazine del Sole 24 ore: "Il primo Polo nasce a Torino nel 1998, con un protocollo d’intesa tra il carcere e le facoltà di Scienze politiche e Giurisprudenza. Da allora, nelle 22 celle riservate agli studenti, sono passati settanta detenuti e 13 hanno raggiunto la laurea. A Torino, unico caso in Italia, i professori, che accettano l’incarico su base volontaria, oltre a dare esami, entrano anche per tenere un regolare corso di lezioni, come si fa per gli studenti "liberi". In quattordici istituti di pena italiani ai detenuti più meritevoli è data la possibilità di frequentare un corso universitario e laurearsi. I docenti contribuiscono su base volontaria. Un’esperienza che non ha pari in Europa. In Toscana la realtà è più strutturata: l’insegnamento in carcere è un compito istituzionale dei docenti e tutte le università della regione sono coinvolte; i detenuti lo scorso anno accademico hanno raggiunto quota 111 e sono distribuiti nelle carceri di Prato, Sollicciano, Porto Azzurro, San Gimignano e Pisa. In otto anni di vita del Polo toscano sono stati sostenuti più di mille esami; fino al 2007 vi sono stati ben 14 laureati".
Ma veniamo al caso di Padova, unico Polo del Veneto, anche se ancora per poco, visto che si sta trattando per la convenzione anche tra l’Università di Verona e il carcere di Montorio.
Lorenzo Contri, 86 anni, emerito professore di Scienza delle costruzioni della facoltà di Ingegneria di Padova, è il precursore dell’insegnamento agli studenti reclusi. "Alla fine degli anni Sessanta - racconta Contri - si manifestò un problema insolito: un gruppetto di detenuti del carcere di Alessandria, diplomati geometri, espresse il desiderio di laurearsi in Ingegneria. Spostati a Padova, divennero matricole alla facoltà di Ingegneria civile e io ebbi il compito di seguirli. Ho in mente uno di loro, dentro per un brutto reato: si dedicava allo studio della matematica quasi con fanatismo. E questo gli permise di sgombrare la mente dai pensieri ossessivi a cui l’inattività in carcere porta. Oggi è fuori, si è sposato e vive una vita normale".
Scrive Avvenire: "Dei 22 detenuti-studenti di Padova, solo 8 vivono nelle celle riservate al Polo universitario; gli altri, per mancanza di spazio, risiedono assieme agli altri detenuti. Al Polo le celle sono aperte dalle 8 alle 20, i detenuti ricevono visite di volontari e professori. Con il controllo di un agente di polizia penitenziaria, possono anche accedere a Internet per cercare testi di studio o scrivere ai docenti".
Nelle sezioni normali invece la vita per gli studenti richiede una dose ulteriore di tenacia: le celle comuni non sono silenziose aule di studio e, a volte, per riuscire a prendere in mano un libro, si deve aspettare il silenzio della notte. In questo senso conosce bene il problema l’unica donna, "residente" fino a un anno fa alla Giudecca, iscritta a Padova, attualmente in regime di affidamento ai servizi sociali, che non è ancora riuscita a completare il ciclo di studi proprio per motivi contingenti: "Dato l’esiguo numero di donne in carcere, rispetto agli uomini, c’è un’attenzione praticamente nulla per le esigenze delle donne. Prima la battaglia per riuscire a ottenere l’iscrizione con il Polo di Padova. Poi le difficoltà del dover studiare in celle dove si conviveva con 10-12 persone - anche se devo dire, per onor del vero, che la Direzione del carcere veneziano ha cercato di venirmi incontro con la messa a disposizione delle aule scolastiche dell’istituto, che però a periodi alterni, mi venivano chiuse "per motivi di sicurezza" -. Poi il dover studiare completamente da autodidatta, senza l’uso di internet, come invece viene permesso ai maschi - anche se controllato e limitato -. Infine l’essere uno studente-lavoratore (sia in carcere che ora in affidamento ho sempre lavorato per potermi mantenere), mi ha oltremodo rallentato il raggiungimento della laurea. Ora, dato che non posso più essere finanziata dal Polo, dovrò pagarmi le tasse universitarie, ma sono decisa ad affrontare il sacrificio, anche in virtù del fatto che la mia media è alta e mi pare un peccato non portare a termine una cosa così importante".
"L’esperienza del Polo universitario produce nel detenuto un cambiamento radicale - ha dichiarato ai giornalisti del Sole24ore con soddisfazione Salvatore Pirruccio, direttore della casa circondariale di Padova -. Notiamo un distacco completo dalle idee della vita pregressa. Gli studenti non discutono più tra loro solo di detenzione e avvocati; parlano invece della vita quotidiana, come le persone libere. C’è una revisione critica del passato, e la recidiva crolla fino a percentuali irrilevanti".
Sono quattro gli agenti al lavoro nel Polo universitario padovano. "La nostra esperienza è positiva - conferma Carlo Torres, Commissario di Polizia Penitenziaria -. Avere un detenuto impegnato in attività come questa ci facilita senza dubbio il lavoro".
Purtroppo la sfida non ancora vinta dei Poli carcerari rimane quella di un reale inserimento nel mondo del lavoro. "Oggi lo studente universitario medio, dopo la laurea rimane a lungo precario - ricorda Giuseppe Mosconi, professore di Sociologia del diritto e delegato al Polo universitario per l’università di Padova -. Mi chiedo che possibilità di trovare lavoro abbia uno studente laureato in stato di detenzione". Due sono i già laureati del polo di Padova Elton Kalica si è laureato in scienze politiche pochi mesi fa con 110 e lode. Viene dall’Albania, sogna di fare il giornalista, per ora scrive sulla rivista ‘ Ristretti orizzonti’ che viene pubblicata all’interno del carcere Due Palazzi di Padova. Anche Dario è un carcerato neo-laureato, gode del regime di semilibertà: di giorno lavora in città, la sera torna in cella. Loro due ce l’hanno fatta. Quest’anno le matricole saranno undici. In cinque anni sono stati coinvolti una quarantina di detenuti.
In questi anni Maurizio Padovan ha seguito come tutor per conto dell’ateneo il percorso di molti detenuti, aiutandoli nella scelta della facoltà più rispondente alle loro capacità e aspettative, nell’elaborazione del piano di studi e, in molti casi, nella costruzione di un metodo di studio, visto che tra loro c’è anche gente che da anni non prende in mano un libro. «Non mi sono mai occupato del loro passato: per dirla col Vangelo guardo sempre l’uomo nuovo piuttosto che quello vecchio".
Festa di Laurea al Polo universitario di Padova
Il laureato si chiama Bortolo Giuseppe Zanini. Si è laureato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea in "Geografia dei processi territoriali". La tesi di laurea era sul "Dualismo impresa-ambiente". È stato festeggiato il 22 ottobre dai suoi compagni, da docenti universitari e volontari.
Riparte lo "scambio" scuola-carcere
Lunedì 20 è ripartito, per il quinto anno, il progetto finanziato dal Comune di Padova . Settore Servizi sociali e dal Centro di Servizi per il Volontariato della Provincia "Il carcere entra a scuola - le scuole entrano in carcere", con il primo incontro tra detenuti e studenti dell’istituto Natta, una delle prime scuole ad aderire al progetto. Al Natta si è partiti cinque anni fa con una sola classe. Ora è stata coinvolta praticamente tutta la scuola, genitori compresi. Si terrà infatti un incontro serale, organizzato appositamente per i genitori degli alunni, nel tentativo di coinvolgere anche le famiglie in questo progetto in modo da stimolare dialogo e discussioni, scambi di idee tra genitori e figli sui temi della sicurezza, della giustizia, della pena. Perché dal dialogo, dall’abitudine a scambiarsi le idee, a scontrarsi sulle proprie idee, nasce la comprensione reciproca. Quando qualcuno crede in un percorso, nell’importanza di un argomento "scomodo", i risultati a lungo andare si vedono.
Questo progetto sta dimostrando che i ragazzi vanno stimolati a pensare, a sviluppare un punto di vista critico anche su temi complessi come questi, e alla fine riescono a sorprenderci in modo importante. Il primo incontro è stato intenso. I ragazzi erano interessati, incuriositi, attenti. E molto giovani! 15 - 16 anni.
Lo scorso anno il progetto ha coinvolte le seguenti scuole superiori: Liceo Scientifico Curiel, Liceo Scientifico Fermi, Liceo delle Scienze Sociali Duca D’Aosta, Enaip, Liceo delle Scienze Sociali Marchesi-Fusinato, Istituto Tecnico industriale Natta, Istituto Tecnico Pietro Scalcerle, Liceo scientifico Rogazionisti, Istituto Mattei di Conselve, Istituto d’arte P. Selvatico, Liceo scientifico Cornaro, Liceo scientifico Nievo, Istituto tecnico commerciale Calvi, Istituto Professionale Leonardo da Vinci, Istituto tecnico Alberti di Abano, Liceo Newton di Camposampiero, Istituto Tecnico Kennedy di Monselice;
Scuole medie: Falconetto, scuola media Levi Civita, scuola media di Conselve, Rubano e Sarmeola, scuola media di Saletto (Megliadino San Fidenzio e Megliadino San Vitale), Ospedaletto, Monselice.
C’è stato poi un incontro anche con studenti della Facoltà di Sociologia, organizzato dalla docente Laura Balbo, che è stata anche ministro delle Pari Opportunità.
Fuori provincia, con l’istituto tecnico commerciale Beltrame di Vittorio Veneto, Istituto magistrale Veronese di Montebelluna, il Liceo delle Scienze Sociali La Rosa Bianca di Cavalese. In tutto ci sono stati 112 incontri dei quali 30 in carcere. Quest’anno ci aspettano un aumento delle scuole che parteciperanno al progetto. E questo aumento ci sembra importante!
Notizie da Verona
La giustizia e le povertà. Un convegno per interrogarsi
Sabato 25 ottobre - dalle 9 alle 12.30 - al cinema K2 di via Rosmini si svolgerà il 2° convegno "Liberare la pena" sul tema "la comunità cristiana e il problema dello smaltimento dei rifiutati".
Organizzato dalla Caritas diocesana, in stretta collaborazione con le associazioni impegnate sui temi della giustizia, dell’emarginazione e del carcere, il convegno tratterà del rapporto tra povertà e giustizia, considerato sotto gli aspetti degli interventi legislativi, dell’informazione, della situazione locale veronese e dell’insegnamento biblico. Il Convegno sarà aperto dal direttore della Caritas Diocesana Veronese, Mons. Giuliano Ceschi, al quale seguirà un intervento videoregistrato del Vescovo di Verona, Giuseppe Zenti.
A seguire gli interventi di: don Mario Golesano, parroco del quartiere Brancaccio di Palermo, presidente della Fondazione Don Giuseppe Pugliesi; Emanuela Zuccalà, giornalista di "Io Donna"; Giampaolo Trevisi, vicequestore della Questura di Verona e Paola Marchetti di Ristretti Orizzonti- Gruppo redazionale di detenuti di Padova e Vicenza. A moderare l’incontro Roberto Zoppi, giornalista di Telepace.
Un’occasione per puntare i riflettori su una realtà, quella del carcere, complessa e piena di contraddizioni nelle sue enormi problematiche, che pur appartenendo alla città e alla sua provincia, poca attenzione suscita. L’obiettivo del seminario è quello di risalire i vicoli delle povertà alla ricerca di quella barriera invisibile ma concreta che attribuisce sempre all’altro, anzi, alle categorie di "altri" la responsabilità della nostra condizione di malessere e insoddisfazione. L’incontro di sabato intende quindi richiamare la comunità cristiana tutta a riflettere sul rapporto tra noi e le povertà emergenti che vengono a "toccarci" e "disturbarci": gli altri, i poveri, i diversi per etnia o per provenienza o per emarginazione, sono i nostri nemici o ancora nostri fratelli? Sono fonte di paura, capro espiatorio del nostro malessere o nostro prossimo con cui condividere il bisogno di solidarietà e legalità?
Seminario: "Cultura e Pena, mondi a confronto tra esperienze e prospettive"
Venerdì 24 ottobre all’Università di Verona i rappresentanti dei poli universitari delle carceri di Prato, Torino e Padova, insieme a docenti, volontari e agli stessi studenti, terranno un incontro sul ruolo della cultura nei progetti di vita nel mondo della pena. Oltre alle esperienze consolidate di cui porteranno testimonianza i tre poli universitari in questione (cui si aggiunge l’esperienza veronese della Facoltà di Scienze della Formazione) il seminario rappresenterà l’occasione per far emergere le nuove possibilità e l’importanza della convenzione tra Università e carcere di Verona. Promosso dall’associazione La Fraternità con le facoltà di Giurisprudenza e Scienze della Formazione dell’Università di Verona, le direzioni di carcere e l’Uepe di Verona, il seminario di studio si svolgerà dalle 9 alle 18 nell’aula T2 del Polo Zanotto.
Continuano i festeggiamenti per i 40 anni della Fraternità
Dopo l’inaugurazione di sabato scorso della mostra di quadri e opere realizzate dai detenuti di Montorio - che quest’anno è arrivata alla decima edizione e resterà aperta al pubblico nel convento di San Bernardino fino a domenica 26 - La Fraternità prosegue i festeggiamenti per i suoi 40 anni di attività con una settimana ricca di iniziative. Tra queste, una passeggiata per la città nei luoghi che sono stati sede di carcere, in compagnia di una della autrici del volume Carceri e pene nella storia di Verona realizzato con la collaborazione del Centro Turistico Giovanile. Al percorso - che si svolgerà il 23 ottobre con partenza alle 15 da San Bernardino - parteciperanno alcuni detenuti del polo universitario del carcere di Prato, in visita a Verona in occasione del seminario che si terrà il giorno seguente all’Università di Verona. Il 25, oltre al secondo convegno "Liberare la pena" sul tema "la comunità cristiana e il problema dello smaltimento dei rifiutati", organizzato insieme a Caritas e ad altre associazioni, il vescovo di Verona Mons. Zenti celebrerà una messa alle 18.30 nel convento di San Bernardino.
Domenica 26 ottobre saranno invece quattro le messe, questa volta celebrate dai frati e destinate alla varie sezioni del carcere di Montorio. Per maggiori informazione visitare il sito dell’associazione: www.lafraternita.it
I cappellani del Triveneto tra racconti, auspici e riflessioni
Un’occasione, per la pastorale carceraria, di guardarsi in faccia, raccontarsi, ribadire il volto di Gesù in situazioni limite, dove non si vuole la morte del peccatore ma la sua conversione; dove si condanna ancora il peccato, ma non il peccatore. A questo scopo lo scorso 9 ottobre si è svolto a Verona il periodico convegno dei cappellani del Triveneto, per la prima volta allargato ai cappellani della Lombardia, a qualche suora e volontario. La figura da cui si è preso spunto è quella di San Paolo che, più volte detenuto, nel corso della sua vita ha voluto difendere la qualità del suo ministero, pur non essendo un carismatico e senza nemmeno seguire un cliché predefinito.
"Essere diaconi - ha dichiarato Don Laiti, dello studio teologico San Zeno - significa essere esortatori, indicare un’opportunità. L’atteggiamento da mettere in atto è ambivalente: agire e resistere allo stesso tempo. Combattere per far realizzare chiunque per quello che è, secondo il suo valore". L’esperienza carceraria rappresenta per chi è detenuto un obbligo a fermarsi a pensare. Per questo risulta necessario un accompagnamento, in cui i cappellani non sono solamente presenze di passaggio, ma veri e propri "compagni di carcere".
Suor Massimina ha poi ricordato un nodo fondamentale dell’operare in carcere: "oltre che con detenuti, si ha a che fare con uomini e donne, e l’approccio ad essi dovrebbe essere di amorevole com-passione, basata non obbligatoriamente su questioni esistenziali ma anche su gesti semplici, concreti e veri: da uomo a uomo e non da detenuto a non-detenuto. Carcerato con il carcerato, per vedere insieme come tirare fuori l’unica forza che abbiamo".
Un occhio di riguardo va poi alle famiglie dei detenuti, allo stare vicino a chi si chiede dove ha sbagliato, se ha una colpa, una responsabilità. Anche in questo caso non si tratta obbligatoriamente di dare soluzioni, ma di accoglierle. Dare loro ascolto è dimostrarsi ancora una volta "collaboratori di Dio".
Chi entra in carcere come cappellano, suora o volontario, si trova però a fare i conti con il rischio di un assistenzialismo senza voce. È una volontaria presente all’incontro a interrogarsi su quanto valga il suo contributo se, per poter entrare in carcere ad aiutare, deve essa stessa cedere a compromessi e silenzi.
A questo proposito, la giornalista di Telepace Francesca Martini ha portato a termine il convegno con un’ultima provocatoria domanda: "perché interessarsi al mondo carcerario?". Per i presenti, oltre che in termini altruistici, la questione può essere posta in termini "utilitaristici": abbiamo tutti l’interesse a vivere in una società senza delinquenza e, non potendo risolvere il "Mistero del Male" con un colpo di bacchetta magica, l’impegno ricade su tutta la società.
Chi opera col mondo carcerario dovrebbe far sapere cosa avviene nella pratica quotidiana. Le testimonianze della Chiesa-Carcere, delle altre Chiese e in generale di tutti gli operatori, dovrebbero essere condivise, per un proficuo dialogo tra realtà al momento divise e non comunicanti.
L’auspicio dei cappellani del Triveneto è di stimolare la fantasia di cristiani e cittadini, per trovare un’alternativa al carcere, che a oggi si è dimostrata essere una "medicina sbagliata", dato il continuo aumento del numero dei detenuti e l’alta percentuale della recidiva.
Ma i sogni si avverano? I ragazzi delle medie incontrano il carcere
Sono due le terze medie di Pieve di Colognola con cui i volontari dell’associazione "La Fraternità" si sono recentemente incontrati per parlare della realtà carceraria.
Secondo una ragazza in servizio civile alla Fraternità e presente all’incontro "come accade con la gran parte delle persone che non hanno rapporti diretti con la detenzione, l’idea che ne è emersa è risultata distorta".
Racconta ancora la ragazza: "la barriera che separa chi sta "dentro" e chi sta "fuori", ancor più che nelle mura, è nelle menti della persone. Parlando con i ragazzi, il collegamento tra detenuti e assassini era immediato. Molte le domande su come si fa ad essere sicuri che uno quando esce non ucciderà ancora, sull’eccessiva brevità delle condanne o su come i volontari non abbiamo paura a entrare in carcere. I volontari che hanno tenuto l’incontro, hanno spiegato che l’esperienza insegna che le misure alternative sono le uniche che danno la reale possibilità di un recupero sociale del carcerato, nonostante l’opinione pubblica sia ancora ancorata a un’idea di pena intesa come vendetta. Ma in questo modo a quale modello possono rifarsi i detenuti? È come se si pretendesse di insegnare a nuotare, a chi sta chiuso in un rifugio di montagna.
Molti ragazzi hanno parlato favorevolmente della pena di morte o del sistema repressivo americano, lasciando intendere di non aver capito che il senso della pena non è fare del male, né far intendere che prevale il più forte e violento. Dopo aver visionato il filmato-documentario "Raccontamela giusta" che raccoglie varie interviste fatte ai detenuti di Montorio, una studentessa si è mostrata colpita dalla rassegnazione di un marocchino arrestato per spaccio, che da piccolo sognava una vita felice come tutti i bambini e poi ha capito che i sogni non si avverano. "Ma i sogni si avverano?",h a chiesto la ragazza, riportando l’attenzione sulla fragilità del vivere umano che accomuna sia chi sta dentro che chi sta fuori".
Appuntamenti
Padova: da Csv appello alle associazioni; la "messa in prova"
Padova: Centro Sociale all’interno dell’ospedale Ai Colli, via dei Colli 4. Martedì 28 ottobre ore 18. L’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni fornisce assistenza ai minorenni autori di reato in ogni stato e grado del procedimento penale, finalizzandola al loro reinserimento sociale e maturazione personale. Un’importante opportunità per questi giovani è la "Messa alla Prova" (art. 28 del D.P.R. 448/88). Questo progetto, realizzato in collaborazione con il CSV, prevede una forte adesione da parte del giovane che si impegna attivamente, valorizzando lui stesso l’intervento, nello svolgimento di un’attività di volontariato, nel rispetto delle norme di convivenza con il beneficio di estinzione del reato commesso. Il progetto di M.A.P. non prevede controlli da parte delle forze dell’ordine, in quanto è lo stesso servizio che sostiene e controlla l’adesione e la riuscita del progetto.
Il progetto non potrebbe divenire concreto senza l’aiuto di Voi associazioni e della Vostra disponibilità nell’accogliere questi ragazzi! Per tutte le associazioni disponibili, anche solo per avere qualche informazione in più.
Verona: "Straniero a chi?"
Verona: Sala della Comunità del Teatro Cinema Aurora, via Fracastoro, Venerdì 24 ottobre alle 21. Tema: "Straniero a chi?". Organizzato dall’Azione Cattolica della Parrocchia di San Giuseppe fuori le mura in Verona, l’incontro vedrà come relatori il direttore del Cestim, Centro Studi Immigrazione, Carlo Melegari, e il vicequestore di Verona Giampaolo Trevisi, autore del libro "Fogli Di Via".
Direttore: Ornella Favero
Redazione: Chiara Bazzanella, Francesca Carbone, Livio Ferrari, Vera Mantengoli, Paola Marchetti, Maurizio Mazzi, Francesco Morelli, Riccardo Munari, Franco Pavan, Paolo Pasimeni, Jaouhar Redouane, Daniele Zanella.
Iniziativa realizzata nell'ambito del Progetto "Il Carcere dentro le Città", realizzato grazie al contributo del "Comitato di Gestione del Fondo speciale per il Volontariato del Veneto"