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Promemoria per il Ministro Paolo Ferrero dopo l'incontro del 5 settembre scorso
È quello che hanno stilato enti locali, associazioni, organizzazioni sindacali, realtà del terzo settore il 5 settembre a Roma, al tavolo di coordinamento per il reinserimento di coloro che hanno beneficiato dell'indulto
Più di tre ore di attenzione vera, tanti appunti, la voglia di ricucire in fretta quei buchi che si sono aperti nella rete dei servizi alle persone in condizioni di disagio, o meglio che si sono rivelati bruscamente nel dopo indulto: così il Ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero ha gestito il 5 settembre il tavolo di coordinamento per il reinserimento degli ex detenuti che hanno beneficiato dell'indulto. Alla riunione, che si è svolta a Roma presso la sede del Ministero della Solidarietà sociale, hanno preso parte rappresentanti dei Ministeri del Lavoro, della Giustizia, della Salute e degli Interni, delle Regioni, delle Province e dei Comuni, della confederazioni sindacali e delle associazioni che si occupano di carcere ed ex detenuti. E anche noi di Ristretti Orizzonti, che ci occupiamo principalmente di informazione, tema "bollente" del dopo-indulto.
I dati da cui partire
Degli oltre 23.000 detenuti che hanno beneficiato dell'indulto, poco meno di 5.000 fruivano già di misure alternative. Del numero complessivo di detenuti che usciranno con il provvedimento dell’indulto, 8.250 sono stranieri. Oltre 6 mila, invece, sono tossicodipendenti. A soffrire di patologie psichiatriche sono circa 2.400.
Promemoria
Dare sistematicità e metodi chiari di lavoro agli interventi sul "dopo", dopo indulto, ma pure dopo carcere, nel senso che va preparata l’uscita graduale dal carcere, anche di quelli che possono accedere alle misure alternative. Non dimentichiamo che ogni anno escono dalle carceri 80.000 persone, è ora di considerare le uscite, di qualsiasi tipo esse siano, per scadenza termini, misure alternative, fine pena, non una emergenza ma una normalità. E occuparsi anche di progettare percorsi di reinserimento graduali per chi sta dentro, perché l’indulto ha "fotografato" una situazione che fa riflettere: sono uscite circa 18.000 persone con pene definitive inferiori ai tre anni, che quindi per la gran parte avrebbero potuto già essere fuori in misura alternativa. All’incontro di Roma, non a caso, erano presenti molti rappresentanti degli Enti locali, in parecchi casi gli Assessori alle Politiche sociali in prima persona hanno deciso di esserci per testimoniare che Comuni, Province, Regioni vogliono dare un senso a questa emergenza, lavorando, dove non esiste, a promuovere un Coordinamento stabile di tutte le realtà che si occupano di reinserimento delle persone detenute ed ex detenute, e dove già c’è a consolidarlo (interessanti, da questo punto di vista, le esperienze del Piemonte con i Gruppi Operativi Locali, della Consulta per le carceri del Comune di Roma e dell’Ufficio carceri del Comune di Firenze).
Lavoro
Sono 17 i milioni di euro messi a disposizione per il reinserimento di chi esce dal carcere: 11 milioni dal Ministero del Lavoro, 3 dal Ministero della Solidarietà sociale, nell’ambito delle tossicodipendenze, 3 dal Ministero della Giustizia (fondi della Cassa delle Ammende). Si tratta dell'inizio di un percorso che dovrà proseguire con la Finanziaria perché, ha detto il Ministro, "dobbiamo garantire le risorse adeguate per realizzare una politica di reinserimento degli ex detenuti, che nel nostro paese non è mai stata strutturata". Quello che è importante è che i bandi siano chiari e vengano monitorati l’uso dei fondi e soprattutto i percorsi delle persone prese in carico, che devono essere sì accompagnate (sono previsti fondi proprio per l’accompagnamento al lavoro), ma in una prospettiva precisa di assunzione alla fine del percorso. Al Ministro è stato fatto presente, da parte di diversi rappresentanti del Terzo settore, che una delle difficoltà maggiori che si stanno incontrando nel dare lavoro a chi esce dal carcere con l’indulto è che il detenuto a fine pena non è considerato (tranne per i primi sei mesi previsti dalla Legge Smuraglia) un soggetto disagiato ai fini degli sgravi fiscali previsti dalla Legge 381 sulle cooperative sociali, e su questo c’è un invito chiaro a intervenire a livello legislativo.
Alloggi
Una vera "emergenza nell’emergenza" del dopo indulto è quella dell’alloggio, che ha travolto anche quei detenuti, che erano già fuori in semilibertà, e quindi rientravano in carcere alla sera. Le soluzioni trovate sono state precarie, con ospitalità in case di accoglienza e strutture simili, che sono però assolutamente provvisorie. Il Ministro Ferrero su questa questione, forse la più spinosa in assoluto, ha comunicato che è in corso una serie di iniziative interministeriali per ripartire con un programma nazionale per la casa che aumenti l’offerta di alloggi pubblici. Serve che Enti Locali, Terzo settore e volontariato collaborino a un potenziamento di strutture per l’accoglienza, ma anche a soluzioni più durature nel tempo (nostro suggerimento: da studiare il progetto di housing sociale in alcune città della Lombardia, ne è un esempio la gestione che fa della questione alloggi per ex detenuti l’associazione "Carcere e Territorio" di Brescia).
Stranieri
Più di un terzo dei detenuti che hanno beneficiato dell’indulto sono stranieri, che ora in gran parte vagano per le città in stato di abbandono. Ma davvero non esiste nessuna possibilità di dare, almeno a quelli che hanno iniziato durante la carcerazione un percorso proficuo di reinserimento, una opportunità di regolarizzazione? Ci sono cooperative che hanno sperimentato la professionalità e la serietà di alcuni detenuti stranieri nel lavoro in carcere o all’esterno, in articolo 21 o in semilibertà, e sono disposte a dar loro lavoro anche da liberi. In qualche città (Padova, per esempio, ma anche in Emilia Romagna ci sono iniziative del genere) si tenta qualche percorso individualizzato che passa attraverso la revoca della pericolosità sociale e la libertà vigilata con l’obbligo di firma. È da rilevare che, sempre a Padova, allo sportello S.O.S. Indulto, gestito dall’Assessorato alle Politiche sociali del Comune grazie all’attività di volontariato di alcune associazioni, hanno collaborato attivamente gli avvocati del progetto "Avvocato di strada" per aiutare le persone uscite con l’indulto ad affrontare alcuni problemi legali (assistenza agli stranieri, ma anche a parecchi italiani, residenti in carcere, hanno avuto problemi con l’ottenimento della residenza, senza la quale non si accede neppure all’assistenza sanitaria). Se procederanno in fretta i lavori per una revisione della Bossi-Fini, sarebbe utile che chi, come le associazioni di volontariato, si occupa attivamente della condizione dei detenuti stranieri avanzasse una propria proposta, per dare un senso alle attività di risocializzazione, per esempio proponendo che nella nuova legge ci sia un meccanismo di regolarizzazione per quei detenuti stranieri che hanno iniziato dal carcere un percorso di reinserimento con le misure alternative e abbiano, a fine pena, una offerta di lavoro e la disponibilità di un alloggio.
Salute
Degli oltre 6.000 tossicodipendenti usciti con l’indulto, pare che la metà non si sia ancora rivolta ai Ser.T. E che dire dei circa 2400 che soffrono di patologie psichiatriche? C’è già stata una circolare del Ministero della Salute su questi temi, e un impegno alla riunione del 5 settembre a riaffrontare la questione irrisolta della riforma della Medicina Penitenziaria, e del suo passaggio al Sistema Sanitario Nazionale. Per ora, gli sportelli allestiti per gestire il dopo indulto in molte città hanno affrontato alcune emergenze sulla salute (mancanza di farmaci, difficoltà ad avere l’iscrizione al S.S.N.), ma anche qui l’indulto ha "fotografato" una modalità di uscita dal carcere, come l’ha definita più in generale il Ministro Ferrero, "non governata". C’è urgenza, sostiene sempre il Ministro, "che le persone vengano prese in carico complessivamente, e non ‘spezzettate’ a seconda dei problemi e dei servizi disponibili". E questo riguarda più che mai la salute, e quella mentale in particolare, che dovrebbe richiamare i Dipartimenti di Salute Mentale a una presenza più continua e organizzata nelle carceri e nella gestione del "dopo".
Informazione
L’indulto è stato, per le persone che si occupano da anni di carcere e reinserimento, una "catastrofe mediatica" di cui si pagheranno pesantemente le conseguenze: un faticoso, e mai sufficiente, lavoro di informazione e sensibilizzazione sul territorio, vanificato da una informazione terroristica, urlata, tutta improntata all’andare a scovare i "nomi illustri" che beneficiavano dell’indulto e a gridare allo scandalo. Da questo punto di vista, sarebbe importante:
Infine, da più parti è arrivato un invito a metter mano alle tre leggi, che altrimenti rischiano di rimandare in carcere una valanga di persone, con pene altissime per reati di microcriminalità: Bossi-Fini, Fini-Giovanardi sulle droghe e ex Cirielli, per la parte sulla recidiva, sono leggi che renderanno, se non vengono modificate, vani i risultati dell’indulto.
Oggi ci sono meno di 40.000 detenuti, è il momento quindi, da una parte, di rivedere queste leggi, per non tornare a riempire in pochi mesi le galere, dall’altra di mantenere viva l’attenzione sul dopo indulto "fuori", ma anche "dentro", per non perdere un’occasione storica di rendere più vivibili le carceri (non dimentichiamoci che c’è una proposta di riforma della Riforma penitenziaria, di cui è autore uno dei padri della precedente riforma, Alessandro Margara, in collaborazione con un altro magistrato, Francesco Maisto).
A cura della redazione di Ristretti Orizzonti
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