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Io sto scontando la mia pesante pena perché la Giustizia italiana non è quella che racconta Travaglio
Ad "Anno zero", la trasmissione di Michele Santoro, va in onda la banalizzazione di tutto quello che ha a che fare con i reati, le pene, l’indulto
Graziano Scialpi - Redazione di Ristretti Orizzonti
Che faccia bisogna avere per piazzarsi davanti a una telecamera e spiegare agli italiani con dovizia di particolari che "piuttosto che pagare salatissimi divorzi, conviene uccidere la moglie, tanto non si fa nemmeno un giorno di galera o quasi"? Bisogna avere la faccia di Marco Travaglio. Beh, se l’accuratezza, la precisione e l’onestà intellettuale del giornalista corrisponde sempre a quella che ha dimostrato riguardo al nostro sistema penale durante la trasmissione di Santoro "Anno Zero" del 23 novembre, non meraviglia che venga denunciato sette volte alla settimana. Ma che una persona possa banalizzare questioni serie senza alcun fondamento è anche umanamente comprensibile. Molto meno comprensibile è che lo possa fare di fronte a un pubblico di "addetti del settore" quali magistrati, ex ministri della Giustizia e altri giornalisti senza essere smentito brutalmente. Anzi, tutti ad ascoltarlo annuendo, come se finalmente avessero incontrato qualcuno che ha il coraggio di dire la verità. Ma quale verità? Che razza di conti ha fatto Travaglio? Come mai nessuno ha avuto il barlume di intelligenza di chiedergli: "Senti un po’, ma se, come dici, non si va in galera nemmeno se si uccide qualcuno, come mai la popolazione carceraria italiana fino all’indulto aumentava di due-tremila unità all’anno?". Eppure basta solo un po’ di buon senso per rispondere a una domanda del genere: i detenuti aumentavano perché finiva in carcere, e vi restava, molta più gente di quanta ne usciva. Nessuno gli ha chiesto: "Come mai, caro Travaglio, se, come tu affermi, gli ultimi tre anni di carcere non li sconta nessuno perché si esce in affidamento ai servizi sociali, con l’indulto sono state scarcerate 17mila persone? Cosa ci facevano in galera con meno di tre anni di pena? Non lo sapevano che lì non potevano starci e dovevano uscire?". E se io fossi stato presente alla trasmissione gli avrei chiesto: "Come mai io che ho commesso un reato simile a quello di cui hai parlato tu, non ho usufruito di tutti quegli sconti di pena di cui hai parlato e che, magicamente e automaticamente, avrebbero dovuto portare la mia pena da 30 a 3 anni, da scontare fuori in affidamento ai servizi sociali o, addirittura, da "annullare" con l’indulto? Come mai nel mio caso, e nel caso di molti altri, la mia pena non è passata da 30 a 3 anni, ma da 28, in primo grado, a 30 in appello, e li sto scontando?". Ma io non ho bisogno che mi risponda Travaglio per sapere perché sto scontando 30 anni, invece di essere libero come dovrei essere secondo le sue tesi. Sto scontando la mia pesante pena perché la Giustizia italiana non è quella che racconta lui. Ci vuole ben altro che spulciare, senza arte né parte, un codice penale per sapere come funziona un processo e per sapere come funziona l’esecuzione della pena. La Giustizia è una cosa seria e dovrebbe essere trattata da persone serie. E la serietà dimostrata da Travaglio ricorda da vicino quella di Jerome K. Jerome quando, all’inizio di "Tre uomini in barca", si mette a leggere un manuale di patologia medica convincendosi di essere affetto da tutte le malattie descritte, tranne il gomito della lavandaia, e in tale convinzione resta finché il suo medico lo ammonisce a lasciar perdere quei libri perché non fanno per lui. Ecco, mi sento di dare a Travaglio lo stesso consiglio: forse sarebbe meglio se lasciassi perdere la Giustizia, perché occupandotene in questo modo rischi di fare anche grossi danni. Perché se per caso qualche italiano ti ha creduto e ha preso sul serio le tue parole (e come non crederti con un ex ministro della Giustizia e un magistrato che non si opponevano in alcun modo alle tue parole?) e si convince che può accoppare la moglie senza scontare nemmeno un giorno di carcere, rischi di ritrovarti sulla coscienza una persona assassinata e un’altra che dovrà passare in gabbia il resto dei suoi giorni.
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