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La violenza tra i giovani vista dall'interno del carcere A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 27 novembre 2006
"Preferisci un bullo o un secchione?": è questa la domanda che è stata posta, a ragazze giovanissime, in un servizio indecente sul bullismo durante una trasmissione di una televisione privata. Viene da piangere, a vedere certa informazione su temi delicati come questi: e allora bisogna parlarne di più e cercare di andare a fondo di certi fenomeni. Anche in carcere ne abbiamo parlato per capire come si riesce ad affrontare un problema, quello dell’uso della violenza, della prepotenza, della sopraffazione fra i giovani, che, se non "governato", può essere l’inizio di un percorso che rischia di chiudersi con la galera. E le riflessioni di chi in galera ci sta davvero servono per lo meno a questo, a mettere in guardia, a individuare, per averli vissuti, i comportamenti a rischio, a testimoniare, con le proprie storie, che c’è un’età difficile degli adolescenti della quale spesso si parla con superficialità, rischiando di incentivare quei comportamenti che si vorrebbe invece scoraggiare.
Si gioca anche a chi ammazza di più!
In questi giorni si parla tanto di "bullismo" e si vanno a cercare nella scuola o nella famiglia le cause di certe manifestazioni di violenza e di prepotenza dei ragazzi, ma c’è un aspetto che non è molto da sottovalutare: la televisione e i video giochi. Io sono un estimatore della playstation, ma so anche che esistono in commercio dei giochi che secondo il mio punto di vista non sono assolutamente adatti per un adolescente. Già l’adolescenza è un momento abbastanza delicato, in più i ragazzi usano dei videogiochi in cui tu puoi entrare nei panni di un killer e devi far fuori più persone possibili per finire le "missioni", il gioco è ambientato in America e tu fai parte di una vera e propria "gang". Per me, che sto in carcere e vengo considerato un delinquente, è incredibile pensare che la gente, che magari mi giudica e mi condanna senza pietà, compri poi dei giochi per i suoi figli, dove si gioca a chi ammazza di più. Il fenomeno playstation è dilagato fra i giovanissimi, e questo può portare ad un’emulazione da parte loro dei comportamenti degli "eroi" di questi giochi: è naturale che così alcuni, i più deboli, quelli con una personalità più influenzabile, si sentiranno incentivati a fare bravate. Per fare un altro piccolo esempio sulla pericolosità di certi tipi di giochi, ce ne sono alcuni che ti fanno vedere vere e proprie scene di sesso, e poi non si sa cosa può scattare all’interno della testa di un adolescente. Io proibirei a mio figlio l’acquisto di questi giochi, ma non è facile farlo se invece per gli altri genitori è tutto normale e nessuno si scandalizza più Guardando un po’ la televisione poi ho notato che i ragazzi che fanno i "bulli" sono abbastanza facili da individuare perché si vestono e si muovono in una certa maniera. Se uno osserva attentamente, molti dei ragazzi che si vestono come i rapper hanno spesso anche atteggiamenti da "bulli", ma qualcuno si chiede mai il perché? Provate ad ascoltare un certo tipo di musica e sentite qual è il tema delle canzoni: la vita delle gang americane. Ecco che poi succede che parecchi giovani vogliono essere simili a quei cantanti e tante volte mettono in atto quello che dicono le canzoni. Insomma, dalla musica ai videogiochi, quello che conta è solo il business e non si pensa certo a cosa tutto questo può causare ai giovani d’oggi. Io certo non saprei come arginare questo problema ma di sicuro, avendo visto quanto presto si fa a passare dal gioco alla realtà, e a rovinarsi la vita con certi comportamenti, e avendo vissuto sulla mia pelle il carcere, starò molto attento con i miei figli, di sicuro non li farò giocare con quei giochi o ascoltare un certo tipo di musica o almeno proverò a dialogare con loro per fargli capire cos’è giusto e cos’è sbagliato.
Alberto
In città esistono davvero le baby gang?
Mi chiamo Marco, ho 25 anni, sono nato e cresciuto nel quartiere Guizza e conosco abbastanza bene quella realtà, tanto da pensare che i giornali esagerino nel pubblicare articoli con titoloni che riportano "le gesta" di ragazzi e ragazzini, che sono soprattutto un po’ troppo annoiati dalla vita. Secondo me forse non si tratta di veri e propri atti criminali, ma di atti irresponsabili di ragazzi. Ragazzate per l’appunto, che non vanno certo minimizzate o giustificate, che vanno sì punite, ma che bisognerebbe evitare di "pubblicizzare" in quel modo, dedicando a queste vicende addirittura intere pagine sui quotidiani. Perché ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che è proprio un tipo di "pubblicità" ad incentivare questi gesti. Dare tanta importanza a queste azioni, che denotano leggerezza e immaturità, rischia di portare alla ribalta della cronaca ragazzini in cerca di fama, che si vogliono imporre all’interno della loro compagnia. Sono ragazzi dai 15 ai 20 anni con il continuo bisogno di affermarsi in un gruppo, che spesso fa della violenza e del bullismo la sua arma migliore. Un gruppo dove esisti solo se sei qualcuno e se osi compiere gesta eclatanti, ma che non può certo essere considerato una Gang. Probabilmente molti di quei ragazzi non aspettavano altro che vedersi riconosciuti proprio come banda, come Gang per l’appunto. Ma loro non sono e non devono essere riconosciuti come una "batteria" di malviventi, perché a quell’età non si può essere considerati malviventi, e perché voglio credere che il loro normale stile di vita non sia tutto al di fuori dalle leggi morali e civili. Sono ragazzi spesso figli di persone per bene, molti di loro di giorno vanno a scuola o lavorano e si ritrovano poi la sera in un angolo della periferia di Padova, senza un vero punto di ritrovo e nelle stesse strade frequentate da spacciatori di varie nazionalità, ma loro non hanno niente a che vedere con la malavita. No, le loro sostanzialmente sono trasgressioni ancora non a livello di atti di un gruppo di criminali, e dovrebbero di conseguenza essere riprese in modo diverso. E se punizione ci deve essere, dopo si pensi anche a far riflettere gli enti locali, che dovrebbero occuparsi del futuro di questi ragazzi invece di lasciarli soli a loro stessi ed essere sempre pronti, però, ad additare, giudicare e condannare, quando per sconfiggere la noia della periferia e sentirsi protagonisti questi "baby" provocano danni a volte anche gravi.
Marco
Non mi bastava più una "vita normale"
Sentir parlare tanto di ragazzi violenti mi ha fatto ripensare al mio passato in Tunisia. Ricordo che, ai tempi della scuola, durante la lunga pausa estiva io e i miei amici del quartiere andavamo tutti i giorni al mare, eravamo all’incirca una dozzina, tutti studenti tranne due che lavoravano come apprendisti. Un pomeriggio, tornando a casa, per fare meno strada abbiamo deciso di attraversare un bosco, dove c’erano delle piccole costruzioni che appartenevano a un albergo, ed erano tutte abitate da turisti. La curiosità ci ha portati a dare un’occhiata, tante di queste stanze erano aperte e dentro c’era di tutto, portafogli, telecamere, macchine fotografiche, vestiti… Abbiamo fatto per andarcene, ma poi la tentazione è stata forte, e allora siamo tornati sui nostri passi e ognuno ha rubato quel che trovava. In quell’epoca riuscire a farmi dare dai miei genitori 5 dinari era una fatica, e invece così mi sono trovato con un sacco di soldi con i quali facevo di tutto, compravo quel che volevo, soddisfacevo ogni desiderio. Quando abbiamo finito i soldi siamo tornati in quell’albergo, perché ormai ci eravamo abituati troppo bene, ma non c’era più neanche una camera aperta e cosi siamo passati al "piano di riserva": forzare la serratura e prendere quel che ci serviva. Poi sono finite le vacanze e siamo tornati a scuola, ma non siamo più riusciti a fermarci in quella corsa ad avere di più: e così abbiamo continuato a rubare fino a quando ci hanno arrestato tutti e dodici per una soffiata. Siamo finiti su tutti i giornali e ci hanno soprannominato "la banda del quartiere dello stadio". Dato che eravamo ancora studenti e anche incensurati, abbiamo fatto solo qualche mese nel carcere minorile. Quando siamo usciti, io sono tornato a studiare, ma ben presto ho smesso di andare a scuola. Passavo il tempo a non fare niente, dormivo fino a mezzogiorno, andavo a trovare la mia ragazza poi passavo il resto della giornata e la nottata con i miei amici. Il sabato pomeriggio raccoglievamo il denaro necessario per comperare del vino e alla sera ci ubriacavamo e spesso finivamo a litigare con i ragazzi degli altri quartiere e qualche volta anche con i poliziotti. Avevamo bisogno di andare "al massimo" e ormai sottovalutavamo tutti i rischi, per noi era una sfida continua. Il quartiere dove abitavamo era malfamato e io e i miei amici eravamo etichettati come i ragazzi cattivi della città, tante volte quando succedevano furti la polizia veniva da noi perché voleva trovare a tutti i costi i colpevoli, e noi non riuscivamo in nessun modo a toglierci quell’etichetta di dosso. Io allora ho deciso che la miglior soluzione era di immigrare e, quando ho compiuto 18 anni, sono andato in Germania e poi in Italia, ma ormai di vivere una vita "normale" non ero più capace, e così mi sono trovato di nuovo in mezzo ai casini e sono finito in galera.
Mohamed
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