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A quando una legalizzazione controllata che separi, senza possibilità di retromarcia, la tossicodipendenza dal crimine?
Stefano Bentivogli
Alcune riflessioni sulla modifica della quantità massima di cannabis che il consumatore può possedere.
Ci sono alcune riforme sulle quali è difficile capire dove sta il cambiamento rispetto alla legge vigente, e che fanno dubitare sulla reale volontà di invertire la rotta su una questione delicata come quella delle droghe: mi riferisco alla modifica della quantità massima di cannabis che il consumatore può possedere. Tale quantità è stata raddoppiata, perché, è stato detto, già molte persone sono finite in galera per possesso di piccole quantità di cannabis. Vale comunque la pena di fare delle riflessioni in proposito e di porsi delle domande:
La Jervolino-Vassalli del 1990 fu corretta da un referendum proprio per quel che riguarda questa inutile e pericolosa strategia del bilancino di precisione, Fini-Giovanardi ci sono passati tranquillamente sopra. Ora l’onorevole Livia Turco spera forse di cavarsela raddoppiando la cannabis? Ma anche se questo passo fosse solo il primo verso una radicale riforma, il rischio è che si crei molta confusione e un fuoco di sbarramento nei confronti di un cambiamento della legge, che è invece assolutamente necessario. Che strano Paese l’Italia, dove il numero di consumatori di stupefacenti è considerevole, e la risposta è il proibizionismo, che fa diventare "considerevole" anche il mercato illegale, il prezzo al dettaglio, le migliaia di anni scontati a causa di questa legge. Poi c’è la microcriminalità, spesso legata alla droga, che diventa la misura unica della sicurezza sociale e fa dimenticare tutto il resto, tanto che si pensa ad armarsi e a dare alla persona meno valore della merce che ti può rubare. Una riforma deve rappresentare un cambiamento culturale reale, e forse bisogna dare, tramite l’informazione, qualche dato di realtà in più, ossia ribadire che ormai le droghe in Italia sono di fatto liberalizzate ma sono in mano al crimine organizzato, che attraverso di esse riesce a raccogliere ingenti capitali, tutti in denaro contante, frutto di furti, rapine, prostituzione, truffe. A quando una riforma vera? A quando una legalizzazione controllata che separi, senza possibilità di retromarcia, la tossicodipendenza dal crimine? A quando quindi la fine della clandestinità, dei percorsi obbligati nel crimine come nelle strutture terapeutiche? Credo che, se ci fosse davvero una informazione corretta, l’antiproibizionismo verrebbe sconfitto e sostituito con la legalizzazione e la lotta al traffico di stupefacenti. A queste condizioni forse si potrà passare dalla repressione del consumo, che si è rivelata inutile oltre a decimare intere generazioni, dalla lotta alla droga che diventa automaticamente ulteriore repressione, alla lotta alle dipendenze. Che significa recuperare un senso laico nel contrastare le dipendenze e non i tossicodipendenti o le sostanze. Sedici anni catastrofici che hanno consegnato rassegnati i tossicodipendenti a malattie, morte e tanto carcere hanno ora bisogno di riforme reali, serie, incisive sui veri problemi, che invertano la tendenza e non che semplicemente permettano il doppio degli spinelli in tasca, che non cambiano in nulla le contraddizioni di una legge già vecchia quando venne varata. Quindi, invece di aggiustamenti così parziali, occorre tanta informazione e tanti dati di realtà, che mostrano come la droga sia liberalizzata di fatto, ma formalmente proibita, e che in questo modo le mafie si arricchiscono, lo Stato si accolla enormi costi sociali, i tossicodipendenti diventano materiale da galera. Occorre la forza di fare i conti e prendere decisioni coraggiose dove si scommette sulle persone senza ridurle in cattività. In una situazione del genere le mafie dovranno trovarsi altre entrate e, in condizioni di non clandestinità, i percorsi di liberazione saranno più seri e più veri.
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