Intervista a Stefano Surace

 

L'amnistia non è concessione ma un diritto dei cittadini detenuti

 

Abc Flash, 12 aprile 2005

 

Che ne pensi di questa storia dell’amnistia ripetutamente annunciata in Italia e poi regolarmente rimangiata? Secondo te sarebbe bene concederla o no?

Concederla non è il termine esatto. Si tratta in realtà di un provvedimento semplicemente dovuto, e non tanto per ragioni di opportunità contingente (carceri che scoppiano, ecc.) oppure di semplice clemenza, ma per un principio inderogabile di equità giuridica. Nelle condizioni attuali in cui versano le carceri italiane l’amnistia non è una concessione ma un preciso diritto dei cittadini che vi si trovano detenuti.

 

Hai proprio detto "un preciso diritto"?

Certo. In effetti la legge quando prevede una condanna alla reclusione, stabilisce semplicemente che il condannato debba essere separato per un certo tempo dalla società, in modo da preservare questa dalla sua attività illegale, o addirittura criminosa, e da offrire al condannato condizioni ambientali che lo aiutino a reinserirsi poi nella società come elemento valido e non più negativo.

 

E invece?

E invece nella realtà, quando un condannato entra in un carcere, vi trova condizioni ben diverse: non è semplicemente separato dalla società, ma è immesso in situazioni infinitamente più pesanti di quelle previste dalla legge. E al posto di condizioni che lo aiutino a reinserirsi nella società, ne trova abbondantemente di idonee a renderlo ancor più dannoso per questa, quando sarà rimesso in libertà.

 

In che senso?

Nel senso che si viene a trovare in un ambiente in cui soprusi e sopraffazioni di ogni genere sono all’ordine del giorno, da parte di altri detenuti e talora anche di guardiani, dove di tanto in tanto qualcuno viene "misteriosamente" ucciso, oppure si suicida (quando non viene "suicidato"). C’è stato un periodo in cui si registrava addirittura un omicidio al giorno, in media, nelle carceri italiane. Queste carcerazioni realizzano dunque - del tutto illecitamente, è bene precisarlo - non la semplice reclusione prevista dalla legge, ma una vera e propria situazione di tortura, talora mortale.

Che permette anche di ottenere accuse contro innocenti e coprire i colpevoli. Molti in effetti, distrutti o allettati da promesse di alleviare anche di poco la loro condizione, sono pronti a firmare qualsiasi cosa o il suo contrario. Senza contare le torture fisiche che vanno dai pestaggi di vario tipo fino ai cosiddetti letti di contenzione, con annessi e connessi.

 

E questi sarebbero i "Grand Hotel" di cui parlava il ministro Castelli?

Già… Il poverino sogna. Gliel’ho già detto di farsi un paio di mesi in galera prima di dire scemenze. E pensare che dovrebbe essere lui a trattare coi magistrati per le riforme… Quelli se lo girano e se lo voltano come vogliono. Ma come ha fatto Berlusconi a metterlo lì? Eppure di Berlusconi tutto si può dire meno che sia uno sprovveduto.

 

Il quadro, certo, non sembra entusiasmante.

L’hai detto. E a tutto ciò c’è da aggiungere che migliaia di cittadini si trovano gettati in carcere con accuse fasulle o gonfiate. Le situazioni di costoro sono ufficialmente definite "detenzioni preventive in attesa di giudizio" ma si tratta in realtà di pene comminate ed eseguite senza pubblici giudizi. Dopo anni, nel cinquanta per cento dei casi, secondo le stesse statistiche ufficiali, i tribunali stabiliscono che l’imputato non avrebbe mai dovuto essere incarcerato, ma nel frattempo costui è stato distrutto. C’è poi un altro abuso gravissimo su larga scala, che vede oltre 5000 persone tenute indebitamente nelle carceri italiane per farveli stare anni ed anni, a seguito di condanne emesse in loro assenza (cioè in contumacia) e tuttavia dichiarate abusivamente definitive ed esecutive da tribunali italiani, in piena violazione delle leggi italiane oltre che delle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia. Queste 5000 persone languiscono dunque in carcere per anni ed anni senza aver mai potuto difendersi, e senza poterlo fare neppure ora.

Cioè, in concreto, in Italia non esistono attualmente garanzie giuridiche, il che già esclude di per sè il nostro Paese dal novero delle nazioni civili e democratiche. Stando così le cose, una persona che entra in carcere si trova a subire una pena ben più pesante di quella della semplice reclusione, prevista dalle leggi. Si impone dunque come criterio inderogabile di equità l’esigenza quanto meno di ridurre la durata di una pena che è in realtà molto più pesante di quella prevista. Pene eseguite contro legge.

 

Dunque non è che l’amnistia bisogna darla semplicemente perché le carceri sono sovraffollate.

Bisogna darla soprattutto perché le pene effettive sono molto più pesanti di quelle ammesse dalla legge e dalla Costituzione, e quindi sono semplicemente illegali.

 

Allora i giudici, per attenuare un po’ le cose, dovrebbero dare pene più brevi?

Una frase che circola comunemente nelle carceri - e non tanto fra i detenuti, quanto proprio fra il personale penitenziario - è questa : "Un giudice, prima di cominciare la sua carriera, dovrebbe farsi sei mesi in carcere, così saprebbe realmente dove manderà quelli che condannerà. E ci penserebbe su due volte prima di dare certe pene". Resta tuttavia che un giudice, anche nell’ipotesi che riesca a rendersi conto di tutto ciò, nel dare certe pene non può certo andare al di sotto delle durate minime previste dalle leggi. La soluzione ideale sarebbe quindi che le carceri acquistino anche nella realtà le caratteristiche previste dalla legge cui ho accennato poco fa.

Siccome ciò non sembra possibile a breve scadenza (occorrerebbero strutture ben più vaste e funzionali e personale ben più numeroso e qualificato) si dovrebbero abbreviare decisamente nei codici e nelle leggi la durata delle pene, visto appunto che in realtà non si condanna alla semplice separazione dalla società (con possibilità di rieducazione) ma a molto, molto peggio. Ma neppure questa soluzione sembra realizzabile in tempi brevi, per cui non ne resta che un’altra: accorciare la durata delle pene appunto con l’amnistia.

 

Certi ambienti riterrebbero più consigliabile piuttosto un indulto. O magari un "indultino"…

Dico bene amnistia (che fra l’altro spazza via definitivamente la pena) e non indulto, che solo la sospende. Quanto all’indultino, è una barzelletta. Quando a un detenuto si accorcia la durata della detenzione con l’amnistia, costui in realtà ha già pagato ampiamente la sua pena, in genere molto più che se l’avesse scontata interamente, ma nelle condizioni normali previste dalla legge. L’amnistia diventa dunque non una concessione benevola ma un atto dovuto tendente a rimediare in qualche modo al fatto che in realtà si è sottoposto - del tutto illecitamente - il condannato a una pena molto più pesante di quella prevista dal legislatore e dalla Costituzione. Se uno commette un reato deve pagarlo, ma non ben più pesantemente di quanto la legge prevede.

 

I fautori dell’indulto affermano che esso scoraggerebbe il detenuto liberato dal commettere altri reati, visto che, se li commette, dovrebbe tornare a pagare anche quelli su cui ha avuto il beneficio.

Non si può far pagare due volte un reato che in realtà è stato già ampiamente pagato. Se commetterà un nuovo reato, dovrà pagarlo, ma solo questo.

 

Ma il fatto di liberare prima del tempo previsto dei delinquenti non diventa un pericolo per la società?

Paradossalmente, molto meno che se li si libera alla fine delle pene previste. Una persona che abbia commesso un reato e si veda condannato ad una pena prevista dalla legge, da purgare nelle condizioni anch’esse da questa previste, è più facile che la accetti, essendo portato a pensare "ho sbagliato e dunque pago". Quando sarà liberato, avrà pagato il suo debito verso la società, e cercherà in genere di evitare di cadere nella stessa situazione. Ma se invece, una volta in carcere, si rende conto che la sua pena è in realtà molto più pesante di quella prevista dalla legge, accumula una tale rabbia contro la società che, allorché uscirà, sarà un elemento molto più pericoloso di quando vi era entrato. E così il carcere diventa non certo "redentore" ma addirittura fortemente criminogeno. È dunque molto meno pericoloso per la società che si abbrevi la durata della pena a un detenuto - come, ripeto, preciso diritto di costui date le circostanze - piuttosto che fargliela scontare per intero. Più si prolunga la pena in quelle condizioni, più pericoloso sarà l’individuo una volta rimesso in libertà. Non ha torto il Papa quando afferma che certe detenzioni sono un rimedio peggiore del male per la società. È proprio perché da anni non si sono date amnistie che le condizioni dell’ordine pubblico sono al punto in cui sono.

Poiché per alleggerire la situazione esplosiva nelle carceri, non avendosi voluto usare lo strumento equilibratore dell’amnistia, i giudici non hanno trovato altro modo che rimpiazzarlo largheggiando in "pene alternative" come gli "arresti domiciliari" (il cui rispetto è molto difficile da controllare, per cui non si realizza in realtà la difesa della società dalle attività del condannato; ed inoltre i giudici possono essere facilmente frastornati da "informative" di polizia talvolta davvero singolari) o le "licenze premio" (che danno fra l’altro la possibilità a un condannato a lunghe pene di "evadere" senza bisogno di segare sbarre o scavare tunnel, semplicemente non tornando in carcere).

 

Ma si dice che ogni volta che si è emessa un’amnistia, dopo alcuni mesi molti dei liberati si sono ritrovati di nuovo in carcere.

Ma ciò semplicemente perché alcuni hanno nel frattempo subito altre condanne per fatti commessi prima della loro precedente reclusione.

 

Ma ce ne saranno anche di quelli che, una volta liberati hanno commesso nuovi reati!

Certo, ma sono una piccola parte, e per essi comunque ciò non può non ascriversi, almeno in parte, al fatto che quando erano in carcere non hanno trovato condizioni che li aiutassero a reinserirsi, ma esattamente il contrario. Ma in ogni caso il fatto di tornare nel carcere per pagare questi altri reati non toglie il loro diritto, dopo un certo tempo, a una nuova amnistia, per quel che ho detto prima.

 

Grazie, Surace, per le tue risposte molto precise. Hai espresso un concetto di equità giuridica e di diritto per i detenuti che non ci sembra di avere mai sentito prima.

Come saprai, è una mia vecchia abitudine dire delle cose proprio quando nessuno le dice. Se già le dicono bene gli altri, che bisogno c’è che le dica anch’io?

 

 

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