L'opinione dei detenuti

 

Il canaro: come riproporre all’infinito crimini efferati, crimini davvero "della follia", per rivendere e riciclare sul mercato del "consumo televisivo" notizie che non sono notizie

 

di Flavio Zaghi - Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Chi non ha sentito parlare, negli ultimi tempi, della "scandalosa" scarcerazione di Pietro De Negri, meglio conosciuto come "il canaro della Magliana"? La televisione ha riempito i vari telegiornali, si sono visti servizi e approfondimenti in esclusiva dove la telecamera andava a cercare, scrutare, sondare, provocandolo, quel senso di fastidio tra la stessa gente della Magliana, interrogandola su quanto potesse o fosse in grado di accettare che l’omicida fosse stato rimesso in libertà dopo "soli sedici anni di carcere".

Servizi tarocchi ad hoc, a dimostrare che quell’omicidio è ancora una ferita aperta e sanguinante; l’intervista alla madre della vittima, la quale è pur sempre una madre cui è stato ucciso il figlio, che tra le lacrime e il senso di aver subito un’ingiustizia, forzato e amplificato dalla telecamera, non si sente appagata né in grado di perdonare e tantomeno di capire questa giustizia che ha rimesso in libertà l’assassino di suo figlio.

Mi domando dove si vuole andare a finire.

Pietro De Negri si era reso responsabile della morte di un ex-pugile, tale Giancarlo Ricci, e il delitto è stato uno dei più cruenti e raccapriccianti mai sentiti. Il canaro ammise di aver torturato Ricci fino a causarne la morte. Raccontò anche che l’origine di tutto quell’odio era dettato dai soprusi di tutta una vita. Venne condannato a venti anni di carcere e poi in appello la pena venne aumentata a ventiquattro anni per il fatto che il Canaro non aveva mai mostrato segni di pentimento. La condanna a ventiquattro anni quindi definitiva, parte dei quali da scontare nel manicomio di Montelupo Fiorentino.

L’espiazione della pena ha avuto inizio nell’’89, quindi il canaro ad oggi ha scontato effettivamente in galera, in cella, sedici anni; la legge prevede uno sconto di pena (non automatico, ma legato al comportamento tenuto in carcere) di 45 giorni per ogni semestre di carcerazione, quindi, se la matematica non è un’opinione, scontando sedici anni di galera si può avere uno sconto di pena di quattro anni, due anni defalcati per avvenuto indulto del 1990 e si ha un totale di ventidue anni tondi.

In pratica il canaro ha ottenuto l’affidamento in prova ai servizi sociali per questi due ultimi anni di pena.

Che cosa gli è stato regalato, di che cosa bisogna quindi stupirsi e indignarsi?

Quando, per la gente, per l’opinione pubblica, per la legge, ma soprattutto per la televisione, si può mettere davvero la parola fine su un fatto di cronaca come questo o come molti altri?

Quando, si può dire di avere scontato la propria condanna e soprattutto si possono spegnere telecamere e riflettori?

Sono dell’idea che il silenzio avrebbe fatto meglio a tutti: al canaro, che è arrivato ad uccidere per liberarsi di una persona che lo tormentava, ai parenti della vittima, che hanno dovuto rivedere e rivivere la storia che ha strappato anzitempo alla vita e al loro affetto Giancarlo Ricci, alla gente, perché comunque pur di fare spettacolo, notizia, audience, si ripropongono storie e immagini che non si vorrebbe mai aver visto.

Quello a cui si è costretti ad assistere allora, il più delle volte, non è più informazione, ma è speculazione sui sentimenti, è approfittare delle vittime e dei carnefici, è volontà di non allentare le tensioni che in qualche modo il tempo aveva attenuato.

Mi chiedo se i propositi di voler per forza di cose riproporre crimini efferati, crimini davvero "della follia", siano solo tentativi di rivendere e riciclare sul mercato del "consumo televisivo" notizie che provocano convinzioni distorte e condizionamenti, che causano poi a loro volta altre conseguenze negative.

Non esistono certo scusanti per certi gravissimi fatti di cronaca, ma è ancora più grave l’atteggiamento di chi vuol fornire materiale di facile consumo alla collettività, consumatrice di programmi televisivi che trattano il disagio, l’esasperazione, la mancanza di valori e questioni molto delicate, così, come se parlassero della storia di Al Bano e la Lecciso, con la stessa insopportabile leggerezza. Purtroppo però queste telenovelas continuano e, per rendere ancora più trash questo tipo di televisione e fare il picco d’ascolto, qualcuno vorrebbe magari anche la pena di morte e l’esecuzione del condannato in diretta. Solo allora, forse, si potrebbe mettere la parola fine ad una storia e il termine ad una pena.

 

 

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