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Pensando a Calissano, ma anche alla ballerina brasiliana e ai disastri del punire di Stefano Bentivogli – Redazione di Ristretti Orizzonti
Io, da persona che si è fatta la galera per reati connessi all’uso di stupefacenti, vedo l’antiproibizionismo come unica strada veramente nuova e civile per affrontare il problema. Non è salvando la morale pubblica esteriore con leggi quali quelle attuali che si salvano le vite umane né si offrono stimoli veri all’emancipazione da qualsiasi strumento di schiavitù. È solo la cultura della solidarietà e dell’accoglienza che consente strade nuove
Insomma, questi divi dello spettacolo e della moda sono tutti dei drogati. Calissano, Kate Moss, Vasco Rossi, Emilio Colombo... ah no, lui non cantava e non passeggiava sulle passerelle. Il successo e la cocaina, questo è il nuovo capitolo droga dove i telegiornali ed i programmi di approfondimento si tuffano, e per un po’ di serate, come successe per Marco Pantani, Maradona e tanti altri, assistiamo agli sproloqui di pseudoesperti sia di droga che, a questo punto, di informazione. Da persona che si è fatta la galera per reati connessi all’uso di stupefacenti quale sono, se non sentissi il dolore e la pena per la mia storia, per quella di tutti gli altri che sono dietro le sbarre per molto meno di quello di cui sono accusate queste celebrità, per tutti quelli invece che non ci sono più, che hanno tirato l’ultimo respiro nel cesso di qualche stazione o sulla panchina di qualche giardino pubblico, ma anche in qualche stanza asettica di ospedale in compagnia al massimo dell’infermiere del reparto malattie infettive, cambierei canale. Invece mi piace stare male, ed assistere all’ipocrisia leggera di quanti continuano a fare finta che sulla questione stupefacenti ci sia rimasto molto da dire, almeno per quel che riguarda le scelte politiche e normative. Non si tratta più di stabilire se la droga faccia bene oppure male, nemmeno resta spazio per stare a discutere se vi siano differenze tra l’una e l’altra, o chi con la droga proibita ci guadagna e chi ci rimette. Sono discorsi triti e ritriti, buoni per chi ha tempo da perdere e non cerca di affrontare il problema sul serio, o semplicemente non è in crisi di astinenza. Perché la droga è una realtà ormai gigantesca - basti pensare che dopo sequestri anche ingenti di stupefacenti il mercato non subisce la benché minima variazione – il che copre di ridicolo qualsiasi chiacchiera dei salottieri della televisione, e qualsiasi articolo dei favolieri della carta stampata. Insomma, la droga cattura non solo gli sbandati di borgata o gli emarginati ma anche persone che fino al giorno prima della drammatica scoperta erano simboli, modelli da imitare, i fidanzati ideali per le figlie dell’armata delle telespettatrici che si nutrono di telenovelas tutti i santi giorni. Allora la droga diventa un dramma umano e in questi casi chi la usa diventa una vittima dei suoi gravi problemi personali, perché se uno si droga per gli effetti collaterali del troppo successo e dei troppi soldi va capito, ha un alibi, chi invece sopravvive bucandosi tutto il giorno con la stessa siringa, rubando qua e là in ambienti dove al massimo si girano i documentari sul degrado urbano, è un mostro, un rifiuto umano del quale non avere pietà. A meno che una volta beccato non guarisca subito, obbligatoriamente, l’alternativa è solo galera, comunità, galera e tanta galera. Sia chiaro che provo solidarietà per Calissano, chiunque viva la dipendenza che io per primo ho subito non può che avere tutta la mia comprensione, tanto per quel che conta. Però non ho proprio capito come mai dicono che anche lui si è salvato per miracolo per merito degli infermieri che gli hanno iniettato il Narcan, perché questo farmaco è utile per le overdose di oppiacei, morfina, eroina e codeina, non per la cocaina contro la quale si interviene con altri prodotti. Ad ogni modo alla ballerina di lap dance che, come molte sue colleghe, oltre agli spettacoli nei locali, si esibiva anche in privato, ai "festini" per l’appunto, è andata molto peggio e sembra destino che sia andata così. Perché sono sempre i più deboli a lasciarci la pelle: per comprare i trenta grammi di coca ritrovati dalla polizia, che sono solo il residuo del festino, ce ne vogliono di serate a danzare attorno al tubo. Calissano per fortuna è vivo, sì in arresto, ma in clinica. A quelli della mia specie veniva riservata invece la solita "vivace" nottata in questura ed il giorno dopo magari un bel processo per direttissima, altro che "si rifiuta di rispondere perchè è troppo scosso", noi finivamo davanti al giudice con gli stessi vestiti con cui eri stato fatto strisciare dall’asfalto dove eri "caduto" alla volante che ti aveva portato dentro, fino ai giornali forniti come lenzuola della comoda branda della celletta. Vengono veramente pensieri brutti, e anch’io, di indole depressa. capisco che brutti momenti si passino in situazioni quali quelle di Calissano. Però fa un po’ schifo tutto il discutere sul dramma di quest’uomo, rovinato dai soldi e dal successo, e tanta poca considerazione per la ballerina brasiliana con due figlie, che non si potrà curare né diventare un testimonial contro la droga, né dedicare la sua esperienza (ma quale mi chiedo io?) per aiutare gli altri, come invece Calissano ha promesso di fare. Perché lui ha già capito che ha sbagliato tutto e che si vuole curare. Non mi resta che fargli i miei sinceri auguri, perché non sarà una passeggiata: pensate che le migliori comunità arrivano a barare nel presentare i dati sui loro successi terapeutici per nascondere che le terapie sulle dipendenze hanno un tasso di successo talmente basso, da far mettere in dubbio che il loro vero lavoro sia la cura per la guarigione.
Una persona che dall’uso di droga passa alla dipendenza ha bisogno di un lento e graduale ritorno all’amore verso se stessa e la propria libertà
Pochi hanno oggi però il coraggio di dire che, nonostante da anni si dia agli spacciatori una caccia senza tregua (così almeno dicono), che le pene per i trafficanti (ma non solo per loro) siano altissime, che ogni anno vengano fatte campagne di prevenzione studiate scientificamente (quegli spot dai costi stratosferici che lasciano il più delle volte gli spettatori interdetti), l’Italia è piena di droga, ed esistono ormai sistemi di approvvigionamento e di stockaggio in grado di garantire in maniera costante un mercato gigantesco e trasversale. Ci si dimentica poi di ripetere a sufficienza che con la droga proibita si finanziano le guerre, si mantengono in vita poteri dittatoriali e si condannano alla fame ed allo sfruttamento migliaia di uomini e donne in tutto il mondo. Da questo continuare a discutere del nulla si ottiene comunque un risultato, che sta nelle continue morti di tanti esseri umani di cui nessuno vuol prendersi la responsabilità, nelle esistenze fatte marcire in carceri sovraffollate, nelle sempre maggiori difficoltà a trovare terapie che non siano l’obbligo a guarire (teoria veramente aberrante), nel rendere praticamente impossibile affrontare un problema del genere senza che vengano coinvolti inutilmente magistrati e polizia. Una persona che dall’uso di droga passa alla dipendenza ha bisogno di un lento e graduale ritorno all’amore verso se stessa e la propria libertà, e su questo qualsiasi logica repressiva e proibizionista è solo controproducente. Io vedo l’antiproibizionismo come unica strada veramente nuova e civile per affrontare il problema: non è salvando la morale pubblica esteriore con leggi quali quelle attuali che si salvano le vite umane né si offrono stimoli veri all’emancipazione da qualsiasi strumento di schiavitù. È solo la cultura della solidarietà e dell’accoglienza che consente strade nuove. Ma per fare questo prima bisogna informare chiaramente sul fallimento delle politiche in atto da quindici anni, e sui falsi bilanci delle guarigioni operate dalle comunità del business antidroga, e poi affiancare le cifre dei milioni di morti in tutto il mondo e delle centinaia di anni di carcere scontati, solo in Italia, per reati legati al consumo di droga. Chi si trova in situazioni di dipendenza non dovrà avere come unica possibilità, a meno che non sia uno degli ormai tanti vip, quella di essere costretto all’illegalità, e a subire da subito una frattura ed un meccanismo di esclusione dal vivere sociale. Potrà, se ad attenderlo non c’è automaticamente la repressione, tentare di costruire delle relazioni di aiuto non viziate da ricatti o pregiudizi, ma caratterizzate solo dalla volontà di trovare una strada che consenta a tutti di continuare a camminare insieme. Da persona che queste cose le ha vissute io chiedo che si torni a rivedere la questione tossicodipendenze ripensando veramente alla possibilità di cambiare strada, che significa raccontare onestamente le cose come stanno e non prendendo per oro colato le dichiarazioni dei professionisti del business della guarigione che, se vogliono, potranno comunque continuare a proporre le loro teorie miracolanti. E soprattutto non spacciare l’antiproibizionismo quasi fosse uno stimolo alla diffusione del consumo di droghe: a fare questo ci sta pensando già la cultura attuale, popolata da tutti questi esempi e modelli di successo vittime della polverina, e comunque i dati sui consumi ne sono la prova. L’informazione libera dovrebbe veramente avere il coraggio di riaprire la questione, facendolo però in maniera seria ed onesta e non, come al solito, invitando tuttologi esperti di niente o ragazzi ancora in trattamento, per i quali in alcuni casi si può parlare proprio di lavaggio del cervello, ragazzi che nella gran parte dei casi il rientro alla vita normale non l’hanno ancora fatto e spesso, pochi anni dopo, purtroppo, sono all’angolo di una strada ad aspettare un briciolo di polvere, per sopravvivere ancora qualche ora.
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