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Una legge Gozzini più rigida farebbe aumentare i reati A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 8 ottobre 2007
Si respira sempre di più odio e voglia di vendetta, nella società libera, e in carcere tra le persone detenute cresce l’ansia che nessuno, "fuori", abbia più voglia di riaccogliere chi ha commesso reati, ma ha anche iniziato un faticoso percorso di reinserimento. C’è una legge, che permette a chi sta in galera di avviare un lento rientro nella società fatto di piccoli passi, che vanno dai permessi premio alle misure alternative alla detenzione, e di coltivare la speranza che ci sia sempre un’altra possibilità nella vita, ed è la legge Gozzini. Una legge che le testimonianze dei detenuti che pubblichiamo difendono con forza, perché in questi anni ha permesso a migliaia di persone di ricostruirsi una vita, nonostante la galera.
Una legge Gozzini più rigida farebbe aumentare i reati
Si sta molto discutendo in questi giorni sulla vicenda che ha visto coinvolto Cristoforo Piancone, l’ex brigatista condannato a diversi ergastoli per aver ucciso 6 persone e che, dopo aver scontato circa 25 anni di pena, nel 2004 era stato ammesso alla semilibertà. Ogni mattina usciva di giorno per lavorare e la sera rientrava in carcere, un comportamento impeccabile fino a pochi giorni fa, quando è stato arrestato dopo una rapina in banca. I fatti li conosciamo tutti, giornali e tg non fanno altro che parlarne, e i politici cercano di correre al riparo promettendo di cambiare, inasprire o addirittura abrogare la legge Gozzini, che dal 1986 consente alle persone detenute di accedere alle cosiddette misure alternative alla detenzione. In questi giorni di polemiche vengono crocifissi i magistrati di sorveglianza e perfino gli operatori penitenziari, accusati di non valutare attentamente gli elementi oggettivi e soggettivi necessari alla concessione delle misure alternative. Probabilmente si ritiene che i benefici penitenziari vengano concessi con troppa disinvoltura, basterebbe invece esaminare i numeri per capire che non è così, anche perché gli elementi dei quali i magistrati tengono conto sono molteplici, e non si limitano esclusivamente alla buona condotta o alle relazioni di educatori e psicologi, come invece si vorrebbe far credere. Ciò che è accaduto è grave: mette in allarme l’opinione pubblica, può offendere la memoria delle vittime, e sta mettendo a repentaglio una legislazione prudente ed equilibrata. Anche sulla base di notizie distorte o almeno incomplete, si cerca di demolire una legge che sì, è innegabile che in questo caso abbia mostrato dei limiti, ma che nel complesso funziona eccome. La mia non è una "difesa d’ufficio" ma è necessario distinguere il singolo episodio, pur gravissimo, dalla complessità e anche dai pregi di una legge che, soltanto negli ultimi 10 anni, ha consentito il ritorno ad una vita normale di 500.000 persone che con buona probabilità, altrimenti, sarebbero tornate a delinquere. Viene da sé che non si tratta soltanto di una questione di numeri nudi e crudi, (su 7.304 persone ammesse alle misure alternative nel 2007 soltanto 10, con una percentuale dello 0.14 per cento, ha commesso nuovamente reati), ma i benefici penitenziari possono essere considerati i migliori produttori di quella sicurezza sociale invocata, in questo periodo più che mai, a furor di popolo. Il recupero a una convivenza civile di chi ha commesso reati rappresenta senza ombra di dubbio il miglior strumento di tutela della società, tenere invece in carcere una persona fino alla fine della condanna produce un apparente ed illusorio senso di sicurezza, mentre in realtà il problema è soltanto rimandato: un giro di vite alla legge Gozzini non comporterebbe quindi la diminuzione dei reati, ma semmai un quasi sicuro aumento.
Marino Occhipinti
Certezza della pena significa processi rapidi
Oggi si dice che la società non crede più al recupero di chi commette reati. Sentire questa affermazione mi causa una sensazione di apprensione, perché so che sono tanti a pensarlo e, se poi si parla del recupero di persone che hanno ucciso, al dubbio si unisce la paura che il crimine si possa ripetere. E’ istintivo avere paura, sentirsi insicuri, ma sono troppe le cose di cui abbiamo paura e spesso dimentichiamo le cose positive che aiutano a vivere meglio noi e chi ci sta vicino. Sono in carcere da diversi anni, e qui dentro ho constatato che alcuni detenuti non hanno la capacità e la voglia di cambiare - succede per esempio che delle persone hanno dei forti problemi psichici e non sono in grado di controllare le proprie tendenze violente - ma credo che questo sia dovuto a un sistema che non funziona tanto bene e che a volte non riesce a distinguere le persone con gravi problemi psichici e di autocontrollo da quelle che sono in grado e che hanno la voglia di cambiare. Conosco però anche decine di persone che, nonostante abbiano commesso un reato grave, hanno imparato a controllare i propri istinti, hanno interiorizzato i valori giusti della convivenza civile e adesso escono ogni mattina per andare a lavorare, rispettando gli orari, le regole e le persone. E io sono sicuro che non potrebbero far male nemmeno a una mosca. Il problema è che si fa sempre un gran baccano quando trovano un detenuto in semilibertà che commette rati, ma non si parla quasi mai delle centinaia di persone che invece, grazie alle misure alternative al carcere, come la semilibertà, sono riusciti a lavorare, a formarsi una famiglia e a costruirsi un futuro nella legalità. Si parla giustamente di certezza della pena che, secondo me, deve significare processi più rapidi e che abbiano una fine certa, perché quasi sempre invece viene data la possibilità ai ricchi di portare avanti per anni i procedimenti penali andando in prescrizione; bisogna allora avere l’onestà di chiedere per tutti certezza della giustizia, e dei suoi tempi, e non certezza della galera.
Elton Kalica
Quando c’è più odio c’è sempre meno giustizia
Sento spesso dire che per buona parte della società neppure l’ergastolo è quasi mai una pena proporzionata alla gravità del reato, ma che cosa significa una pena proporzionata? Pena di morte? Occhio per occhio, dente per dente? Io sono un delinquente e ho vissuto buona parte della mia vita in un ambiente, dove la violenza e la vendetta erano il motore di qualsiasi azione. Ma la nostra non era una vita da uomini, era piuttosto una lotta per la sopravvivenza tra bestie feroci. E allora devo dire che mi fa star male l’idea che oggi questa sia la strada che la società vuole percorrere: perché io che l’odio l’ho vissuto sulla mia pelle spero che i miei figli non debbano vivere in una società in cui vige la regola della vendetta. A me sembra che molti giornali, e soprattutto le televisioni abbiano un peso enorme nel costruire un clima di odio e "fastidio sociale" per intere categorie di persone, e credo che noi detenuti siamo spesso il bersaglio di questo tentativo continuo di "coltivare" la cattiveria umana spingendo i cittadini a tornare a desiderare un mondo fatto di "giustizia fai da te": le reazioni violente della gente alla condanna del giovane Rom che, ubriaco, ha travolto e ucciso quattro persone mi hanno fatto pensare che questa è una strada che fa paura, perché io sono sempre più convinto che "più odio vuol dire meno giustizia". Ma è preoccupante anche il fatto che oggi molte persone, che dicono di non volere la pena di morte, poi battono i pugni sul tavolo perché chi ha un "fine pena mai" non abbia neppure una sottilissima speranza di poter tornare alla vita, e alla libertà, dopo anni e anni di galera. Ormai, ogni fatto di cronaca si trasforma in una occasione per sparare a zero contro una legge che permette ai detenuti di ritornare gradualmente nella società. Adesso tutti pensano che la soluzione alla insicurezza sia smantellarla, tenendo la gente in galera fino alla fine, ma sono pochissimi quelli che hanno il coraggio di fare un bilancio serio, e di dire che il senso di umanità verso i condannati, anche quelli col "fine pena mai", è una garanzia per tutti. Certo, lo è per noi che stiamo in carcere, e per i nostri familiari, che spesso sono le nostre prime vittime, ma lo è anche per i cittadini "per bene", perché vivere in una società che sa riaccogliere è una scuola di umanità, di equilibrio e di serenità che, alla lunga, costituisce una garanzia di maggior sicurezza per tutti.
S.C.
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