L'opinione dei detenuti

 

"È già fuori"… ma alla fine la galera arriva!

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 2 febbraio 2009

 

A scatenare in questi ultimi giorni le violente proteste di molti cittadini è stata la concessione degli arresti domiciliari, dopo nemmeno due giorni trascorsi in cella, al "violentatore di Capodanno". Un 22enne che, prima di stuprare una ragazza a una festa alla Fiera di Roma, era da tutti definito un bravo ragazzo, figlio di una buona famiglia e senza alcun precedente penale. Poi c’è stato l’arresto di sei rumeni, anche loro accusati di stupro. E un tentativo di linciaggio. Un giornale ha lanciato un sondaggio tra i suoi lettori chiedendo se è lecito che una vittima di stupro si faccia giustizia da sé, il 76 per cento ha detto di sì. Noi invece ci chiediamo se è lecito e responsabile che tanti mezzi di informazione in questi giorni abbiano operato con modalità, che assomigliano a una "istigazione a delinquere".

 

La decisione del giudice è stata una difficile scelta di civiltà

 

Nella mia lunga esperienza carceraria ho potuto conoscere uomini di ogni provenienza, condannati per ogni tipo di reato. Ognuno con la propria storia, spesso pesantissima. All’arrivo in carcere, alcuni si chiudono nel silenzio della desolazione, ma altri hanno voglia di parlare, di proclamare la propria innocenza o di giustificare le proprie azioni. E allora ti vengono offerti spaccati di vita dove si può toccare con mano la povertà, o la cattiveria che spesso si sviluppa negli esseri umani, oppure ti accorgi del cinismo di cui è capace il destino. Così, i reati più comuni che ho incontrato sono stati quelli legati allo spaccio, il furto, la rapina, la truffa, ma ho incontrato anche molti accusati di stupro. Nella maggior parte a denunciare è stata una amica, una persona di famiglia, una vicina di casa o una collega di lavoro, così come c’è anche quello che ha aggredito una donna a caso, in un vicolo di strada.

Poi arriva l’interrogatorio del giudice dopo il quale, se si tratta di persone incensurate che hanno un contesto famigliare attendibile e quando non c’è il pericolo di inquinare le prove, il magistrato spesso permette di attendere il processo agli arresti domiciliari, in quanto ogni uomo fino alla sua condanna è ritenuto innocente. Quando poi si tratta di ragazzi giovani, credo che farli chiudere in casa piuttosto che in carcere sia una scelta più umana, perché l’esperienza della vita nelle carceri giudiziarie è davvero traumatizzante. Ricordo che c’era un continuo via vai di decine di persone fermate, dallo spacciatore, all’ubriaco cronico all’omicida, e siccome i tempi dei processi, lo sappiamo, in Italia sono lunghissimi, questo produce delle celle sovraffollate dove si fa fatica anche solo a sopravvivere.

Gli arresti domiciliari non sono carcere ma non sono neppure libertà: sei chiuso in casa, con la pattuglia dei carabinieri che ti controlla spessissimo. Ma soprattutto, in vista della condanna, un giovane che ha vicino i genitori si può preparare psicologicamente ad affrontare la carcerazione, e se condannato poi potrà andare in un carcere penale, che è pensato per detenere e rieducare le persone già condannate.

Di fronte a questa realtà, rattrista vedere come alcuni politici, spesso con la complicità dei massmedia, hanno istigato l’opinione pubblica alla indignazione violenta e anche alla vendetta individuale. È triste perché, in uno stato civile, i potenti hanno il dovere di insegnarci che la giustizia va rispettata, e non di screditarla. Invece, io credo che la decisone del giudice è stata un atto di civiltà, perché ha pensato sia alla vittima, chiudendo il ragazzo in casa, sia all’imputato, affidandolo ai genitori fino alla condanna, piuttosto che esporlo subito alla violenza della galera.

 

Elton Kalica

 

Il fascino indiscreto della gogna mediatica

 

Un paese civile deve essere in grado di contenere l’emotività popolare. Creare disordine, intolleranza, permettere di influenzare mediaticamente il pensiero del cittadino al punto che esso si sostituisca allo Stato arrogandosi il diritto di fare giustizia personalmente, è una follia che non possiamo permetterci. In un momento di grave crisi economica, con il pericolo sempre più evidente di una bancarotta sociale dettata dalla incertezza in cui si trovano i nuclei familiari il cui potere di acquisto si è ridotto, con tanti posti di lavoro a rischio, è importante che manteniamo almeno il nostro senso di civiltà.

Quello che è avvenuto a Guidonia alla caserma dei Carabinieri, che vanno elogiati per la tempestività che hanno dimostrato nell’assicurare alla giustizia i colpevoli dello stupro di gruppo avvenuto ai danni di una giovane donna solo pochi giorni fa, è censurabile sotto il punto di vista del decoro umano. Far passare i fermati all’uscita della caserma, uno alla volta in mezzo a due ali di folla inferocita, certamente avvisata da qualcuno dei media a loro volta presenti, è stato indegno di uno Stato civile e vergognoso a livello umano. Possono aver commesso il reato più esecrabile di questo mondo, ma sottoporli a questa gogna mediatica è un ritorno al passato, ai tempi dell’inquisizione con relativa esecuzione pubblica, ed è un atto di grande inciviltà. Dobbiamo fare nostro il senso della legalità, dobbiamo avere la capacità di interrompere ogni comportamento distruttivo, dobbiamo affidarci alla legge, è essa che ci garantisce comunque il giusto prevalere della ragione e di conseguenza permette alla giustizia di raggiungere un giudizio il più equo possibile. I nostri politici dovrebbero dare indicazioni precise per fare in modo che non si creino più le condizioni perché accadano di nuovo fatti così bestiali, ma io mi fido maggiormente dei cittadini e del loro senso civico. Questi fatti sono l’anticamera di un fenomeno che da tempo aleggia nell’aria, striscia sottilmente nella comunicazione dei media riguardo ai reati commessi da stranieri, si chiama razzismo, non bisogna permettere che questo pensiero prenda piede.

 

Franco Garaffoni

 

Io ho applicato la "giustizia fai da te", ma ho solo aggiunto dolore a dolore

 

Sono un cittadino albanese, purtroppo mi trovo in carcere per un reato grave, che ho commesso convinto che dovevo riparare ad un’ingiustizia ricevuta. Certo ero giovane, sicuramente ingenuo, ma ancor di più c’era in me una mentalità, legata a pregiudizi e tradizioni, per cui ritenevo giusta la vendetta.

In questi giorni, in seguito al caso di quel ragazzo accusato di stupro a cui sono stati concessi gli arresti domiciliare, c’è stata una gran campagna mediatica che, gridando allo scandalo, ha di fatto incitato alla violenza, e alla giustizia fai da te. Capisco il dramma della ragazza violentata, la sua rabbia, e le sue affermazioni di volersi vendicare per il male subito, e posso anche immaginare che lei non avrà più una vita normale, e non può certo pensare in modo "normale". Il non fidarsi della giustizia può essere un sentimento comprensibile da parte sua e dei suoi cari, ma l’odio e il desiderio di restituire il male ricevuto, non lascia spazio a nulla, se non al rancore e alla vendetta.

Un altro episodio che ha decisamente esasperato l’opinione pubblica in questi giorni è stato l’arresto di sei rumeni accusati di violenza sessuale. Una cosa gravissima, ma la caccia al rom che ne è seguita credo che non fosse degna di un Paese civile come l’Italia.

Io ho usato la "giustizia fai da te", credendo di "risolvere" i miei problemi, ma non ho fatto altro che aggiungere dolore e sofferenza a una vita già difficile, e oggi, dopo averla prima subita e poi fatta, la vendetta, ritengo che non ci sia niente di onorevole in questo tipo di "giustizia", che immancabilmente scatena una concatenazione di fatti tragici che non ha fine, se non ci si ferma a ragionare e non si capisce che viviamo in una civiltà con delle regole, e chi le trasgredisce è sottoposto al giudizio della Giustizia, che dovrebbe avere un consenso comune dell’intera società. Ecco perché mi rattrista sentire come la pensano oggi tanti cittadini italiani.

Non ho nulla da insegnare a nessuno, ma ora so che per la mia vendetta non ho nientedi cui andare orgoglioso, e allora spero che chi oggi si sente indignato, ci pensi bene prima di intraprendere una strada che non risolve i problemi, non ti fa sentire meglio: fare del male per il semplice fatto di averlo ricevuto non solo non ha giustificazioni, ma non gratifica neppure, non fa star bene nessuno.

 

Pierin Kola

 

Forse anche gli stupratori hanno un padre e una madre come noi

 

Sono donna, madre e, da poco, ex detenuta. E ho provato a mettermi nei panni sia della madre della ragazza stuprata a Roma, sia della madre dello stupratore. Ma vista la mia esperienza in galera posso anche cercare di capire se ha un senso chiedere il carcere preventivo per lo stupratore, che in galera poi se ne andrà senz’altro, quando anche il terzo grado del processo sarà finito (a meno che non si decida per il rito abbreviato),.

Mi ricordo che fino a pochissimi anni fa lo stupro era reato contro la morale pubblica e non contro la persona, ora c’è una legge che condanna gli stupratori a molti anni di carcere, ma il processo questo ragazzo lo attenderà a casa, con una famiglia che si starà disperando di non essere riuscita a insegnargli il rispetto per le donne.

Se mi metto nei panni della vittima, lo vorrei vedere morto, è umano, ma questo è il motivo per cui il giudice è una persona terza rispetto a reo e vittima. Immaginiamoci una società dove il giudice sia anche la vittima del reato! Ci sarebbe la pena di morte anche per il furto di una bicicletta. E nei panni della madre della ragazza violentata? Se penso a mia figlia la reazione è quella che ho descritto sopra: lo vorrei vedere morto. Ma se provo a mettermi nei panni della madre del violentatore, forse mi chiederei dove ho sbagliato, magari odiando mio figlio fino allo sfinimento perché da donna non potrei pensare che ho prodotto un individuo simile. E nei panni dell’autore del reato, un ragazzo di 22 anni, una specie di adolescente, visto che viviamo in una società dove dominano la deresponsabilizzazione e un senso di protezione esagerato nei confronti dei figli: ma poi siamo sicuri che a questo ragazzo la galera farebbe bene? Chi non ci ha mai messo piede non può rendersi conto che il carcere difficilmente ti migliora, e spesso ti rende ancor più deresponsabilizzato, ti fa, in uno strano gioco perverso, sentire "vittima" e non reo.

 

Paola Marchetti

 

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