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Pene più pesanti sono davvero garanzia di maggior sicurezza? A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 25 agosto 2008
Le novità in fatto di sicurezza sono state al centro di accese discussioni anche in carcere, perché sono tutte novità che porteranno più gente in galera. E l’idea che questo faccia vivere più sicuri i cittadini onesti è così diffusa, che si continua a rispondere con il carcere a ogni problema sociale: ergastolo per chi uccide un pubblico ufficiale, più anni di galera per l’omicidio colposo, pene più alte se a commettere reato è un clandestino. Le testimonianze che seguono provano almeno a far venire qualche dubbio a chi è convinto che più galera equivalga a più sicurezza.
Quanto è compatibile l’ergastolo con il recupero di una persona?
Con l’approvazione definitiva dell’ultimo "Pacchetto sicurezza" è stata inserita una modifica al Codice penale che prevede l’ergastolo come aggravante specifica per chi uccide un pubblico ufficiale nell’esecuzione delle sue funzioni. Per l’uccisione di un bambino come Tommaso Onofri, ad esempio, uno dei sequestratori ha subito in primo grado una condanna a venti anni. Se lo stesso uccidesse oggi un vigile urbano durante una rapina, magari la prima, magari da tossicodipendente, la pena non sarebbe di quindici o venti anni ma direttamente l’ergastolo. Dare l’ergastolo a chi uccide un pubblico ufficiale credo sia inutile e improduttivo, in quanto fa riemergere nella società quella vecchia storia dell’occhio per occhio, dente per dente: io Stato faccio a te ciò che tu fai a me. Io Stato decido che, se tocchi qualcuno che mi rappresenta, ti elimino, ti cancello. Se una persona ha commesso dei delitti gravissimi è chiaro che secondo la legge deve essere condannata ad una pena equa. La pena dovrebbe avere tanti significati e non solo quello, ormai dominante, della certezza della galera, e dovrebbe avere soprattutto, così come prevede la Costituzione, una funzione rieducativa e di reinserimento nella società. E non può essere inumana o degradante per la persona che la affronta. Sarebbe importante pensare a ricucire le vite distrutte dei familiari delle vittime, assisterle adeguatamente ed essere sensibili alle loro esigenze di chiarezza e di verità, e nello stesso tempo dare gli strumenti agli autori del reato per rendersi consapevoli del male creato, che potrà essere rielaborato con sincerità durante tutta la durata della pena, e anche al termine della stessa, perché un autore di omicidio non sarà mai un ex omicida, e porterà sempre dentro di sé quel segno indelebile provocato dall’avere distrutto una vita umana. Non esiste rimedio alla morte, ma sicuramente esiste rimedio a una vita sbagliata, violenta, intrisa d’odio. Il recupero e il reinserimento non possono essere realmente efficaci, se si pone un muro invalicabile alla speranza umana chiamato ergastolo o "fine pena mai". Tutti possiamo commettere degli errori anche gravi, ed è chiaro che esiste una risposta dello Stato chiamata giustizia, ma non vendetta! Se la pena deve rieducare e reinserire vanno potenziati tutti gli uffici pubblici destinati a questo fine, non vanno aggiunte fattispecie di reato che prevedono altri ergastoli oltre a quelli che già ci sono, e che speriamo vengano commutati in pene più umane e meno degradanti, come previsto non da noi detenuti, ma dalla Costituzione e dal buon senso, che non dà mai nessuno per perso o spedito all’inferno senza possibilità di ritorno.
Daniele Barosco
E se clandestino fosse tuo figlio?
Oggi è stata un giornata carica di discussioni qui in carcere, nella redazione del giornale Ristetti Orizzonti della quale faccio parte da poco, ma che mi sta facendo crescere tanto per l’intensità e l’importanza delle cose di cui si discute. Oggi al centro della nostra attenzione c’è il nuovo "pacchetto sicurezza": leggi dure, in particolare contro gli stranieri clandestini! Mi vengono in mente tante domande: ma la legge non dovrebbe essere uguale per tutti? Dov’è andata a finire l’eguaglianza di cui tanto si parla nei Paesi civili come il vostro? È forse una colpa essere un clandestino? Queste domande mi fanno fare un tuffo nel passato, quando per tre anni io, appena venuto via dall’Albania, sono stato un clandestino, prima di diventare regolare per 13 anni, e molto probabilmente ritornerò ad essere di nuovo un clandestino anche dopo che avrò pagato con il carcere per il mio primo e unico sbaglio verso la società. Io penso che, se uno si è sempre comportato bene, gli vada riconosciuto tutto il buon comportamento del passato quando per la prima volta sbaglia e commette un reato, e credo anche che non sia giusto che un clandestino venga condannato più di un altro uomo per lo stesso reato commesso con le stese modalità, per colpa della aggravante della clandestinità introdotta nella nuova legge sulla sicurezza. Non sono favorevole a questa legge perché penso davvero che sia fondata sulla differenza tra gli uomini, é una legge che costringe i giudici ad avere un comportamento razzista verso i clandestini. Io ho cercato di capire qualcosa del Codice penale italiano e mi sono letto l’art. 61: circostanze aggravanti comuni. Aggravano il reato le circostanze seguenti 1) L’aver agito per motivi abbietti o futili. 2) L’aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro. 3) L’aver, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento. 4) L’aver adoperate sevizie, o l’aver agito con crudeltà verso le persone. 5) L’aver profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa... Nessuna di queste aggravanti fa differenze fra razze, colori della pelle, nazione o religione, come invece fa, secondo me, l’inserimento dell’aggravante della clandestinità. Forse bisognerebbe che tutti si fermassero soltanto per un attimo a pensare: e se clandestino fosse mio figlio? Sono sicuro che in tanti sarebbero d’accordo che essere un clandestino non è una colpa e che questa legge non è giusta specialmente in un paese democratico come l’Italia, che di persone emigrate ne ha avuto tante, e non erano certo tutte con regolare permesso per l’ingresso in altri Paesi.
Gentian Germani
La "voglia di galera" è una mannaia che può abbattersi su chiunque
In questi weekend di agosto, nelle strade si muovono milioni di veicoli. Vista la mole di traffico, e il caldo che contribuisce a rallentare i riflessi, non voglio nemmeno immaginare quanti incidenti potranno verificarsi. Con l’ultimo decreto sicurezza le pene per l’omicidio colposo sono state elevate notevolmente: ora arrivano fino a 7 anni nel caso di incidenti stradali "normali", e fino a 15 se il guidatore è ubriaco. Lo stesso decreto prevede che la concessione delle attenuanti generiche, finora quasi automatica per le persone incensurate, venga fortemente limitata, indipendentemente che si tratti del primo reato o meno, che lo stesso sia colposo - quindi avvenuto per negligenza, imprudenza o imperizia, come dice il Codice penale - oppure doloso, e cioè volontario. Stamattina, a colloquio con mio fratello, commentavamo queste circostanze, e lui, da onesto cittadino, mi ha fatto notare che se qualcuno investisse un nostro famigliare, forse anche lui desidererebbe per il responsabile una pena esemplare e qualche anno di galera. La sua è una reazione prevedibile, soprattutto perché tutti finiamo per identificarci con la vittima di un reato, e mai con il carnefice o con qualche suo familiare. L’ho invitato a provare a pensare che a investire una persona potrebbero essere i nostri genitori. Una disattenzione, un momento di incertezza, sono tante le cause degli incidenti stradali, che potrebbero riguardare, come parte attiva e non per forza come vittima, anche le persone a noi vicine. "E tu - gli ho chiesto - sei convinto che se succedesse ai nostri genitori, con la loro vita di sacrifici e di onesto lavoro, qualche anno di galera sarebbe la soluzione migliore?". Con questo esempio sono riuscito a incrinare le sue certezze, e a spiegargli che prima del nuovo decreto sicurezza, per l’omicidio colposo finivano in carcere poche persone, e questo dovrebbe essere ritenuto tutt’altro che un male: infatti, la discrezionalità dei magistrati nell’infliggere la pena permetteva di concedere anche le attenuanti generiche, e quindi la sospensione condizionale della pena nella quasi totalità dei casi, mentre ora molte persone rischieranno di finire in carcere, e non credo proprio che questo sia positivo. Forse gioiranno i paladini della certezza della pena, che però si renderanno conto del danno fatto troppo tardi, magari quando ad essere colpiti dalla mannaia della voglia di galera ci saranno anche loro, o qualche loro familiare. In Italia si fanno spesso leggi sulla spinta delle "emergenze" che fioriscono ogni giorno e che continuano all’infinito: viviamo in una società spaventata in cui, benché gran parte dei reati, ad eccezione del furto di motocicli, sia in netto calo - per alcuni, come l’omicidio, la diminuzione è vistosa: nel 2006 gli omicidi sono stati 621, e cioè 393 in meno rispetto al 1995, e addirittura 1.280 in meno rispetto al 1991- non si fa altro che invocare pene sempre più elevate per debellare il crimine. E le cifre, di fronte all’irrazionalità della paura, sembrano non contare niente.
Marino Occhipinti
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