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La libertà dopo il carcere è una lotta per la sopravvivenza a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 22 dicembre 2008
Riconquistare la libertà per una persona detenuta non rappresenta affatto la fine di tutti i problemi, anzi, il più delle volte significa cominciare a lottare per la sopravvivenza, in una realtà sempre più complicata, con la difficoltà di cercarsi un lavoro sapendo di avere una fedina penale "impresentabile" e con la fatica di ricostruirsi gli affetti, in una situazione che sembra un percorso a ostacoli per riuscire a scrollarsi di dosso la galera. Per questo è importante che le persone possano riabituarsi gradualmente alla libertà, e siano accompagnate in questo periodo così faticoso di passaggio dal "dentro" al "fuori".
Gli effetti della detenzione ti seguono ovunque
Quando fui arrestato trent’anni fa, pensai che dal carcere non sarei uscito più, o ne sarei uscito vecchio. Sotto alcuni aspetti avevo ragione, perché solo quest’anno sono stato finalmente scarcerato per fine pena. Ma gli effetti della carcerazione ti seguono ovunque. La prima mattina di libertà è stato come se rinascessi di nuovo. Era una giornata importante, se mia madre e mio padre fossero stati ancora vivi sarebbero stati fuori ad attendermi, ma li ho persi entrambi durante la detenzione. Invece non c’era nessuno ad aspettare la mia uscita, erano tutti molto impegnati perché la vita assorbe il tempo e le energie delle persone libere. Ma io ero veramente felice. Ora la libertà mi si apriva davanti. Avevo mille sogni da realizzare: una casa, un lavoro, una famiglia. Negli ultimi anni a dire il vero ero già fuori in semilibertà, dormivo in carcere ma il giorno dalle 8 alle 21 avevo una vita quasi normale, una semi-vita. Quindi avevo anche una donna, che alle 21 di sera restava senza il suo compagno, e questo lei me lo aveva rimarcato più volte: "La mia vita si ferma alle 21", mi diceva. Ma nel mio primo giorno di libertà ho capito che anche se avessimo continuato a stare insieme, la nostra storia non sarebbe stata più la stessa. Io non ero più lo stesso, non sparivo più, in anticipo anche su Cenerentola, alle 21 ma ero li, libero, 24 ore su 24, non ero più una persona da idealizzare, ma un uomo che voleva vivere una vita vera! E non era affatto facile come avevo pensato. Oggi, dopo pochi mesi di vita libera, sono immerso in non poche difficoltà, e tra l’altro lo Stato mi ha appena chiesto migliaia di euro da pagare in unica soluzione entro trenta giorni, per il mantenimento in carcere. Sono solito pensare che tutto serve nella vita, anche le esperienze negative, ma sono stanco di esperienze negative! desidero cose positive, costruttive, che non creino ansie, ho voglia di serenità e di tanta sana normalità. Ho fatto anche prove per lavori in aziende fuori dal circuito delle cooperative sociali, ma, nonostante i buoni risultati, quando si parla della fedina penale, dei carichi pendenti, del casellario giudiziario... la porta mi si chiude subito sul muso, con molto tatto, ma si chiude. Nonostante tutto quanto mi è successo in questi primi mesi, ho fiducia nella mia volontà di farcela. Sono per così dire vaccinato nei confronti della vita reale, che è molto più dura di quella che un uomo privato della libertà per trenta anni possa immaginare. Ma credo che solo la possibilità che ho avuto di cominciare gradualmente a uscire per lavorare rientrando in carcere la sera, mi ha permesso di essere ancora fuori: non ho commesso reati come la mia indole di qualche anno fa suggerirebbe, ma mi sono rimboccato le maniche e ce la farò! Stringerò i denti, lo sto già facendo tra umiliazioni e nervosismo, so però una cosa: la via della legalità è l’unica che voglio praticare.
Un detenuto che si è chiuso la porta del carcere alle spalle
In cella si dimentica come vive la gente libera
Era il 2004 quando, dopo quasi nove anni di carcere, ho avuto la possibilità di metter piede fuori dalla galera, con un permesso premio da trascorrere in famiglia. Fu un vero e proprio avvenimento, sia per me, sia per la mia famiglia che per l’occasione si riunì e per tutto il tempo mi ricoprì di attenzioni, cercando di dimenticare il carcere, il dolore patito e tutto ciò che mi ero perso in quegli anni vissuti fuori dal mondo. È passato un po’ di tempo da quel giorno, ma lo ricordo sempre come fosse ieri. Fu un rimescolarsi continuo di emozioni: commozione, tensione, felicità, impulsi che così concentrati e tutti assieme non ricevevo da tempo. Passò un anno e poi allargarono il mio percorso di reinserimento. Così, dopo dieci anni ebbi la possibilità di cominciare a inserirmi nella società con un programma che prevedeva ogni giorno l’uscita dal carcere per recarmi sul posto di lavoro e la sera poi tornavo a dormire dentro. Mi rendevo conto che ricominciare a vivere là fuori dopo così tanto tempo non sarebbe stato facile, ma mi sentivo pronto per qualsiasi sfida. E poi a quel tempo ero anche convinto che gli anni di galera mi fossero serviti proprio per capire meglio come vivere fuori. Così ho iniziato l’esperienza di lavoro all’esterno carico di aspettative e sogni. Sì, sono sempre stato consapevole che gli anni passati in galera sono anni di non-vita, ma nel profondo desideravo recuperare almeno una parte di tutto quel tempo perso. In realtà, purtroppo non ci volle molto per capire che io con la mia esperienza avevo imparato solo a sopravvivere in carcere, e al contempo avevo completamente disimparato a vivere là fuori in mezzo alla gente. Non sapevo più come fosse vivere una vita normale, fatta di gioie e delusioni, soddisfazioni e casini. E quando mi sono ritrovato a dover fare i conti, in modo diverso da come avevo sempre fatto finché ero dentro, con ciò che dieci anni prima mi aveva portato in carcere, cioè l’uso di sostanze per cui mi ero già rovinato la vita, mi sono impaurito e ho capito che tutte le mie convinzioni, cresciute in carcere, erano andate a farsi friggere nel momento in cui ho dovuto confrontarmi direttamente con la vera realtà. È stata dura, certo, gli ostacoli sono molti, ma se non mi fosse mai stata data quella possibilità di uscire dal carcere in quel modo, pian piano, e se invece avessi dovuto affrontare tutti quei cambiamenti in un solo botto, tutti assieme, beh... penso sarebbe stata molto, ma molto più dura. E più facile sarebbe stato finire con l’essere un peso in più per le persone che mi stanno attorno, e di conseguenza anche per la società.
Andrea
Quando la vita è più dura di quello che si immagina
Da quando sono uscito dalla galera, mi sono rimboccato le maniche e ho cominciato a lavorare con una lena insospettabile. All’inizio quanto mal di schiena... però ero contento lo stesso perché il lavoro aumentava sempre, e un po’ alla volta, pur non navigando negli euro, abbiamo conquistato addirittura qualche agio. Un giorno c’è stata una vera e propria svolta. Mi è capitato di sapere che c’era un piccolo ristorante che stava andando in rovina, e mi sono ritrovato a visitare una struttura seminuova lasciata in stato d’abbandono. Dopo averlo visto, ho deciso che proprio da quel posto doveva cominciare la mia "rinascita". Nella quiete di una località di montagna, oggi ho sempre meno il desiderio di tornare nel caos della vita cittadina, e non sento alcuna necessità di "nuotare" in acque agitate, è stato faticoso, ma è bello poter dire di aver realizzato qualcosa con le proprie mani. Dopo anni di vita infernale, e dopo aver scontato il mio purgatorio, mi sono rifugiato in un angolo di paradiso, e intendo restarci il più a lungo possibile. Per rilevare l’attività servivano un po’ di soldi: quelli per una cauzione sull’affitto, e qualcosa da spendere in materiali. Bisognava tener conto, inoltre, del mancato guadagno (dedicarmi alla ristrutturazione dell’ambiente mi avrebbe impedito di svolgere altri lavori). Nessuna banca e nessuna società finanziaria ha voluto darmi una mano. Chiedevano garanzie solide o, come minimo, l’ultimo anno di buste paga con reddito soddisfacente: chi mi dava l’una o l’altra cosa? Figuriamoci se poi sapevano che a chiedere un finanziamento era proprio uno di quelli che una volta si presentava nelle banche per rapinarle! L’unico aiuto l’ho ricevuto da un mio vecchio amico: qualche migliaio di euro che ho già cominciato a restituire un po’ alla volta. Una volta vinta la diffidenza iniziale, e ottenute le chiavi del locale, io e la mia compagna ci siamo messi subito al lavoro: io aggiustavo, tinteggiavo, smontavo, rimontavo; lei puliva, puliva, puliva, e poi puliva. Dopo un mese e mezzo di duro lavoro, il "nostro" locale è diventato un vero e proprio gioiello. Abbiamo aperto (con le prime forniture ricevute a credito) quasi in sordina, senza cerimonia d’inaugurazione: sarebbe stato troppo costoso e non ce lo potevamo permettere. A mano a mano abbiamo conquistato una piccola clientela che, con il passaparola, aumenta continuamente e ci permette di tirare avanti in attesa che inizi, con l’ondata di caldo, la "stagione". Ora però mi chiedo se tanta simpatia collezionata, giorno dopo giorno, si azzererà quando sarà di dominio pubblico (è inevitabile) il fatto che nella loro piccola comunità si è inserita una persona che ha trascorso buona parte della sua vita dietro le sbarre.
E. R.
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