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Per noi saranno le peggiori festività degli ultimi anni a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 21 dicembre 2009
Nelle carceri ci si appresta a passare forse il peggior Natale degli ultimi anni: nella Casa circondariale di Padova, con i suoi 98 posti, ci stanno 260 detenuti, alcuni dormono su materassi buttati per terra anche in bagno; nella Casa di reclusione stanno in tre in celle da uno, con la prospettiva di vivere in quelle condizioni per molti anni. E adesso arrivano le feste, che già sono i momenti più tristi dell’anno in galera, e così il dolore della lontananza dalle famiglie si sommerà alla desolazione di condizioni di vita che non è esagerato definire disumane.
Come vivono i detenuti le festività in carcere?
Premesso che per me questo è il ventesimo Natale che sto passando in carcere, posso ben dire di avere una certa esperienza di come si vivono le festività qui dentro, ma paradossalmente, proprio per il fatto di essere da troppo tempo rinchiuso, ho perso buona parte di quei ricordi e di quelle emozioni che sono legati alle Feste. Per le persone libere le feste come Natale e Capodanno sono dei momenti di gioia, in cui si fanno doni e promesse solenni, si mangia, si beve e si cerca di stare in allegria con tutti. Sono questi giorni incantati in cui tutto sembra più bello. Ma per chi sta rinchiuso in carcere come trascorrono queste giornate? Anche chi non è stato mai dietro le sbarre, se si ferma un attimo a riflettere, potrà ben immaginare quale contrasto ci può essere tra il trascorrere le feste fuori, circondato dall’affetto di amici e parenti, e il trascorrerle dentro un carcere lontano (e talvolta lontanissimo) dalla propria famiglia. In carcere le giornate di festa non sono più allegre, ma più tristi delle altre. Le differenze tra i giorni di festa e gli altri giorni sono sostanzialmente queste: la messa domenicale viene celebrata o dallo stesso cappellano o da un celebrante esterno, che predicano la bontà, la fratellanza che ci deve spingere a non perdere mai le speranze e ad aver fiducia nella Divina Provvidenza Dopo di che ci si scambia il segno della pace e si presume che tutti si diventi più buoni. Quando si rientra nelle celle arriva il carrello del vitto, che porta qualcosa di più "speciale" degli altri giorni, il che vale a dire o pasta al forno o un pezzetto di carne in più. I contatti con le famiglie vengono sospesi in quanto nei giorni festivi i colloqui non si possono fare, e vengono anticipati o posticipati. L’unico contatto che si può avere è la telefonata settimanale della durata di dieci minuti. Non tutti però possono fare questa telefonata, perché non tutte le famiglie hanno un apparecchio telefonico a casa loro. E non tutti possono fare i colloqui, ci sono tantissimi detenuti che stanno in carceri lontane centinaia di chilometri da dove risiedono le loro famiglie, basti pensare ai tanti siciliani detenuti nelle carceri del Nord o ai sardi detenuti nelle carceri del continente o peggio ancora agli stranieri. Per questi detenuti che stanno in posti così lontani fare colloqui è un vero problema. Non sempre le famiglie dispongono dei soldi necessari per affrontare il viaggio, oppure sono prese da tanti altri problemi, al punto che venire a fare colloquio con i propri cari è impossibile. Per coloro che non possono telefonare e neppure fare colloqui. le feste in carcere sono veramente tristi.
Antonio F.
Eravamo poveri e modesti, ma forse anche più felici
I miei ricordi tornano indietro di tanti anni: in pratica nella mia infanzia, quando la nonna staccava un ramo dalla quercia, che rappresentava un albero di Natale, e attaccava sopra qualche caramella confezionata con carta della festa, e sul pavimento si creava un letto di paglia su cui appoggiare qualche noce e nocciolina per attirare noi bambini. Eravamo poveri e modesti ma forse anche più felici. Erano i tempi della Jugoslavia di Tito, (che oggi molti considerano uno dei dittatori del dopoguerra), però non c’era guerra. Si festeggiava insieme: tra noi bambini non si sapeva chi era di religione islamica, cattolica, o chi come me di fede ortodossa. Ognuno aveva la religione ereditata dai genitori, ma si disinteressava di quella degli altri, soprattutto quando finiva l’anno e si faceva festa. Poi sono diventato uomo e mi sono sposato con una donna di fede islamica. Madrina del mio matrimonio è stata una donna di religione cattolica, e anche in casa nostra si festeggiava tutto. Senza fare distinzioni, di chi fosse la festa o di quale religione fosse, e perché si festeggiava, bastava che i bambini si divertissero e trovassero i regali sotto l’albero. Oggi mi trovo in carcere da più di dieci anni; non ho mai festeggiato niente. Odio le feste in carcere prima di tutto perché nei giorni festivi il carcere è chiuso e non funziona niente: non puoi ricevere posta, non ci sono attività e di solito si rimane in cella ad aspettare che la giornata passi in fretta, sono i giorni nei quali il carcere è blindato, è staccato dal resto del mondo. Ecco perché anche adesso cerco di scappare da questa realtà, e viaggio indietro nei ricordi, lontano nei tempi felici, quando portavo i bambini a scegliere l’albero di Natale e compravo di nascosto i regali da mettere sotto l’albero. Erano i tempi in cui mi sembrava che fossimo tutti felici, più per i bambini che per noi adulti. Oggi invece, avendo la famiglia in un altro Paese, questi giorni di festa si trasformano in giorni di tristezza e di malinconia, e mi sembra d’essere solo e abbandonato da tutti, in pratica continuo ad aspettare che il tempo passi in fretta per ritornare alla routine del carcere e dimenticare la solitudine.
Milan G.
Per qualcuno qui dentro il Natale può essere anche peggiore che per altri
Sono un lavorante della Casa di Reclusione di Padova e grazie al mio lavoro ho l’opportunità di accedere a tutte le sezioni dell’istituto. La sezione più "confortevole" (o se vogliamo vivibile) è quella in cui sto io, la sezione Polo universitario, in cui ci sono meno detenuti rispetto ai reparti "normali", abbiamo la possibilità di restare aperti e di poter accedere ad una saletta munita di computer, dove possiamo incontrare anche dei tutor e gentilissimi volontari che si danno anima e corpo per aiutarci nella preparazione degli esami. Quest’anno, poi, abbiamo un albero di Natale particolarmente bello, con ogni sorta di addobbo: dalle palline colorate ai fili dorati, dalle luci blu al puntale che ne sormonta la cima. Come ogni anno l’abbiamo sistemato nella saletta-computer, e dovreste vederlo per ammirare la sua bellezza e la pazienza certosina con la quale è stato decorato! È così diverso dall’albero che ho potuto scorgere nel solito giro che faccio ogni settimana per tutte le sezioni, durante il quale mi è capitato di fermarmi nella sezione-infermeria. Appena si entra in questo luogo ci si trova catapultati in un’altra dimensione; eppure è così vicino alla mia sezione, è appena tre metri più in giù dal solaio che separa i due reparti, solo due rampe di scale li dividono. I volti delle persone qui sono più cupi, e anche se cerco di portare un po’ di allegria con qualche battuta, queste non sortiscono alcun effetto sugli occupanti di questa parte del carcere, prigione nella prigione. Il loro alberello sembra un pulcino intirizzito dal freddo, così scarno rispetto al nostro: non ha nessun tipo di addobbo ed è mancante anche della punta. L’hanno collocato in fondo al corridoio della sezione, in un angolo poco illuminato che dona ancora più tristezza a questa sezione simile ad un lazzaretto, con persone affette dalle patologie più diverse, come cecità, gravi handicap motori, che godono di una assistenza ai limiti della legalità. Il loro Natale sarà peggiore del nostro. Noi festeggeremo consumando un bel pranzo in comune, in allegria; loro lo trascorreranno ognuno nella propria cella, con al massimo una fetta di panettone offerta dai volontari e soprattutto, in un’atmosfera angosciante, dovuta alle condizioni di salute precarie in cui versano, così diversa dall’atmosfera frizzante che sicuramente anche quest’anno caratterizzerà l’arrivo delle feste al Polo Universitario.
Pietro P.
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