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Se il carcere investe sulla cultura a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 18 febbraio 2008
Su che cosa si dovrebbe investire per far diventare il carcere davvero un’occasione di cambiamento, e non un luogo dove "si ammazza il tempo" nella noia di giornate inutili? Il lavoro è senz’altro importante, ma lo studio forse è realmente un’occasione unica per crescere, per acquisire gli strumenti per cambiare vita, per uscire da una condizione di povertà culturale. E allora, in galera per fortuna può capitare di iniziare un percorso in cui la scuola assume per gli adulti quel ruolo e quell’importanza, che non ha avuto prima nella loro vita, quando era il momento giusto per studiare. E in galera si può dimostrare che comunque studiare ha un senso sempre, anche in età avanzata.
La cultura non fa danni
In Italia lo studio è un diritto per tutti, che siano cittadini italiani o stranieri, bianchi o neri, e per fortuna questo diritto non viene tolto nemmeno a noi che ci troviamo in carcere. Dico che è una fortuna perché voglio sottolineare il senso di giustizia che questo riconoscimento dà, ma anche perché forse è preoccupante che qualcuno invece si scandalizzi di fronte al fatto che noi possiamo studiare in carcere. Sin da quando ho deciso di impegnare il mio tempo nello studio, mi sono accorto che spesso basta anche solo la vista di un detenuto con i libri in mano per provocare in qualcuno fastidio e disapprovazione. Ci sono persone che sostengono che la galera debba essere soltanto un luogo di sofferenza, mentre lo studio è un lusso da non concedere a chi ha commesso reati. Recentemente ho letto su un importante giornale nazionale un articolo in cui si facevano considerazioni molto negative sul fatto che qualche mafioso si sia iscritto all’università. Si sosteneva in sostanza che per i mafiosi studiare in cella non era altro che un’altra forma per riaffermare il loro predominio sui loro affiliati. Io non sono un condannato per mafia, e so benissimo che il fenomeno mafioso ha causato molti disastri in questo paese, e continua a farlo. Così come mi rendo conto che società civile e magistratura debbano continuamente monitorare i cambiamenti e le trasformazioni che questa organizzazione mette in atto per la propria sopravvivenza. Però trovo abbastanza strano che si arrivi a vedere un pericolo persino nello studio, anzi trovo pericoloso sentir dire che non si deve permettere ai boss mafiosi di studiare. Io credo che se c’è qualcosa che in carcere offre degli strumenti che aiutano i condannati a uscire dalla mentalità dell’illegalità e fa capire loro che si può vivere bene anche facendo dell’altro, questa è soltanto la scuola. Ma anche se si volesse respingere questa mia affermazione, per lo meno sono sicuro che nessuno è in grado di sostenere che la scuola può rendere qualcuno un criminale peggiore. Insomma la cultura non può fare danni, e io credo che un mafioso con un po’ più di cultura di sicuro non sarà un mafioso peggiore di quello che era prima. Quindi trovo rischioso dire che si deve proibire lo studio a questi o a quelli, anche quando si parla di una categoria di persone così pericolosa, perché può sempre succedere di finire in quel vortice di esclusioni che poi vedrà negare il diritto allo studio ad altre categorie che vengono accusate di causare "allarme sociale", come i figli di immigrati clandestini, i tossicodipendenti, le prostitute, i senza fissa dimora. E poi, il diritto allo studio per i detenuti, in fondo, è anche un modo per assicurare alla società un po’ più sicurezza, perché una persona con un libro in mano è comunque meno pericolosa di una che non sa cosa fare del suo tempo.
Elton Kalica
Riscoprire la scuola e la sua disciplina a sessant’anni
Ho quasi sessant’anni e da diverso tempo mi trovo in carcere, e devo dire che sulla base della mia stessa esperienza ho scoperto che la scuola non ha età. Insomma, non è mai tardi per imparare, nemmeno per uno come me. Tutto è cominciato con la mia condanna definitiva. Si è trattato di una sentenza pesante che prevedeva un lunghissimo periodo di detenzione, ma io ho deciso di non farmi abbattere da quel colpo e mi sono chiesto che cosa potevo fare per non sprofondare nell’inerzia e nell’autodistruzione. Come passare tutti quegli anni di carcerazione che mi erano stati inflitti? Certo, all’inizio è stato difficile riprendere l’abitudine allo studio. Sono partito gradualmente cominciando a seguire un corso di alfabetizzatone, poi ho terminato la scuola media e mi sono iscritto all’Istituto tecnico per ragionieri Gramsci, e sono già arrivato al quarto anno. Io sono un immigrato irregolare e provengo dalla Bosnia, che è una delle regioni più povere dell'ex Jugoslavia, sono venuto qui sognando di costruirmi una famiglia e vivere in una condizione di maggior benessere. Non trovando un lavoro in regola, e dopo aver speso tutti i miei risparmi, mi sono arreso e ho deciso di "arrangiarmi", quindi a poco a poco sono finito a commettere reati, e alla fine ho trovato la galera. Ci ho passato dentro già parecchi anni, e mi sono accorto che le esigenze, i bisogni non diminuiscono affatto con la vecchiaia, anzi aumentano, e allora ho deciso di "investire" sul mio futuro studiando. In carcere faccio il lavoro più umile - pulisco i corridoi e le aule scolastiche - ma è un lavoro che mi permette di coprire le necessità più urgenti, di mantenermi per quel poco che mi serve senza pesare sulla mia famiglia, così posso anche andare avanti con gli studi. Il "Due Palazzi" di Padova è considerato un carcere fra i più dignitosi nel panorama carcerario italiano, proprio perché ci sono attività lavorative e una scuola che funziona, e io nella mia disgrazia mi sento anche un po’ fortunato di essere qui invece di stare in uno di quei tanti carceri, dove ci si abbrutisce rimanendo per venti ore in branda senza fare nulla. Qui basta che uno abbia un po’ di buona volontà per poter uscire con un diploma. Io mi reputo una persona perseverante e credo che non mi fermerò, e che arriverò fino alla laurea. E credo anche che è un diritto poter scontare la condanna in modo umano e dignitoso, e la possibilità di studiare ci permette di farlo, insomma anche a sessant’anni, basta un po’ di buona volontà per crescere culturalmente e per migliorare la nostra esistenza.
Milan G.
Ci si può appassionare alla scuola anche in galera
Molti detenuti chiedono di essere trasferiti da altre carceri a Padova per motivi di studio. Per tanti penso che questa richiesta sia un escamotage per "scappare" dall’istituto dove sono rinchiusi. I motivi sono vari: ci sono poche possibilità lavorative, le offerte "educative" non li soddisfano, l’istituto è fatiscente, le misure alternative sono applicate al minimo. Il trasferimento allora diventa un’alternativa, una autentica opportunità per migliorare la loro situazione detentiva. Fanno la richiesta, magari gli viene accettata, arrivano nel nuovo carcere, cominciano la scuola poco convinti, e poi, invece, si appassionano allo studio, lo prendono seriamente e arrivano fino al diploma, nonostante l’enorme impegno che richiede questa attività e il rischio di "perdersi per strada". Per quel che riguarda la mia esperienza, posso dire che io ero tra quelli che hanno fatto la richiesta di trasferimento non tanto per la scuola in sé, ma per andarmene da una situazione che reputavo sfavorevole. Sono arrivato a Padova nell’agosto 2006, a settembre ho cominciato a frequentare il primo anno di ragioneria assieme ad altri ventitre detenuti, dopo circa sei mesi siamo rimasti la metà. Tutti quelli che si sono ritirati sono stati rimandati nell’istituto di provenienza. Io ho quarantasette anni e da trenta non entravo in un’aula di scuola. All’inizio mi sono trovato in difficoltà e un po’ in imbarazzo: vedermi seduto su un banco, con una persona che mi insegnava, alla mia età mi sembrava ridicolo. Ricordo che pensavo: manca solo che adesso se non sto attento mi manda in castigo all’angolo oppure mi fa scrivere sulla lavagna cento volte che sono un somaro, o peggio: domani vieni accompagnato dai genitori… A distanza di due anni devo dire che le cose sono radicalmente cambiate, ora studio con molto impegno, a tal punto che ho saltato un anno, ossia dalla prima classe sono passato direttamente alla terza. La mia paura, e la paura di tanti studenti come me, è che alla fine del percorso di studi, dopo anni di fatica, perché studiare da adulti, e per di più in galera, non è affatto semplice, ci dicano: non c’è più alcun motivo perché rimaniate qui. E ci rispediscano alle carceri da cui siamo arrivati. E invece io credo che sia importante continuare questo percorso, iniziato con la scuola, restando in un carcere come questo, dove il diritto allo studio e alla cultura è garantito a tutti.
Walter Sponga
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