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Riflessioni senza ipocrisie sull'uso delle "sostanze" A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 10 dicembre 2007
Quando in carcere arriva la notizia della morte di un amico per droga, al dolore si aggiunge il desiderio che almeno quella morte serva a qualcuno, che costringa a riflettere sull’uso delle sostanze. È quello che abbiamo cercato di fare, una riflessione senza ipocrisie, con testimonianze di persone che la droga, e i suoi disastri, li hanno conosciuti da vicino.
La verità è che amavo la droga
Cosa spinge una persona a legare la propria esistenza a doppio filo con la droga? E perché non troviamo dentro di noi la capacità per dire: Io non sono tutto qui, deve esserci altro in me? Quante volte mi sono posto queste domande, e mentre pensavo avevo la cocaina che mi guardava dal tavolo di casa, dal cruscotto della mia auto, dalla tasca del mio abito. La verità è che amavo la droga, era la fidanzata che mai tradiva, l’amica fedele a cui rivolgersi nei momenti del bisogno, la porta sempre aperta per entrare nel mondo della felicità, dell’onnipotenza. Ora che sono in carcere è facile dire che era tutto sbagliato, che la libertà è un valore assoluto, che la famiglia e i figli vengono prima di ogni cosa nella vita di un uomo, ora sono convinto di quello che dico, ma sono sicuro che sia veramente quello che penso? Dico la verità, in carcere è facile pensare di essere cambiato, ma rimane sempre una paura, la più dura da combattere, la paura della libertà. Una volta libero la mia vecchia fidanzata, la cocaina, sarà li ad aspettarmi, si insinuerà di nuovo nella mia testa? Il mio punto di vista allora è uno solo: legalizziamola. Perché questo comporterebbe una assunzione di responsabilità da parte di chi la consuma, che saprebbe di avere un problema, e di poterlo affrontare a viso aperto. Del resto alcol e sigarette creano danni e dipendenza, e però si acquistano liberamente. Per una persona che fa uso di sostanze stupefacenti entrare in una farmacia per acquistarle comporterebbe il rilascio delle generalità, e questo secondo me eviterebbe la possibilità di false giustificazioni con se stessi. Eviterebbe allo stesso tempo il rapporto sistematico con lo spacciatore, che poi porta il consumatore a prendere in considerazione la possibilità di procurarsi la droga in modo diverso, cioè spacciandola. Così ci si abitua all’illegalità in funzione di una necessità, e ci si giustifica pensando: che male faccio se non a me stesso? Dimenticando che spacciare crea vittime e prepara il terreno ad un prossimo spacciatore. Io sono convinto che si deve legalizzarla, avendo cosi la possibilità di essere a conoscenza del problema dei cittadini che usano droghe in modo preciso, indirizzando risorse e idee su situazioni accertate. Oggi sono tv e giornali che accendono o spengono i riflettori su questa emergenza, ma nel frattempo la droga circola ovunque e sono sempre più giovani i consumatori, ai quali, non riuscendo a intervenire con coraggio, stiamo preparando un futuro di tossicodipendenti e criminali. Legalizzare la droga vuol dire controllo sanitario, assunzione di responsabilità, vuol dire meno reati e meno decessi, vuol dire impedire a un minorenne di procurarsela facilmente, vuol dire evitare l’arricchimento di organizzazioni criminali e contare su uno Stato che si assume la responsabilità di un rapporto chiaro con i cittadini.
Franco G.
È la testa quella che fa paura, la dipendenza psicologica
È morto un mio amico per la droga. Essendo stato toccato dalla tossicodipendenza, e duramente, mi è successo spesso di scontrarmi con persone convinte che drogarsi sia solo una scelta consapevole, e se uno non smette è perché non vuole realmente farlo. Penso che la maggior parte delle persone la prima volta usi la sostanza più che altro per curiosità, per fare qualcosa di diverso, per ravvivare una serata; perché in qualche modo si è condizionati dagli ambienti, dalle persone e a volte, credo, anche dai miti della televisione. Ma poi, se piace, se la si "capisce", e si arriva a pensare di poterla gestire, allora si è fregati e diventa, oserei dire quasi automaticamente, una dipendenza, fino ad arrivare al punto che non c’entra più solo lo sballo, e la roba riesce a riempire dei vuoti, a dare una risposta a un malessere esistenziale, quello che spesso si trasforma in odio verso la vita, in depressione. Ne ho conosciuta molta di gente che sostiene di far uso di eroina semplicemente perché gli piace, perché vuole farlo, e vorrebbero far credere agli altri che la loro sia una scelta consapevole. Ma se con ognuno se si riuscisse ad andare oltre a una conversazione superficiale, se se fosse in grado di non farli sentire "diversi" solo perché si fanno, allora si riuscirebbe senz’altro a capire che tutti, anche gli irriducibili, in realtà vorrebbero uscirne, vorrebbero non esserne dipendenti. Alla maggior parte dei tossici non è solo l’astinenza fisica a far paura, perché chi c’è passato sa che quella si potrebbe anche sopportare, è la testa quella che fa più paura, la dipendenza psicologica… Delle persone che ho conosciuto e che facevano uso di eroina, ma anche di cocaina, non ce n’era nemmeno uno che fosse uno stupido, voglio dire che non ce n’era uno con un basso livello intellettivo. Molti laureati, persone colte, con una buona posizione sociale, figli di dottori, di avvocati. Persone intelligenti, sensibili… Può essere anche per questo che poi molti arrivano a commettere dei gesti estremi? Sì, forse la scelta di farla finita la fanno proprio quelle persone più sensibili, quelli che le hanno provate tutte per uscirne, e poi, quando capiscono che non riescono a trovare una via d’uscita, che il loro problema è più grande di tutto, quando arrivano al punto di pensare che non ce la faranno mai ad adeguarsi alla società, allora non c’è niente che li tenga attaccati alla vita.
Andrea
Ho trascorso sedici anni dietro le sbarre per reati connessi alla droga
Ho conosciuto la tossicodipendenza all’età di 15 anni, ora ne ho quarantadue. Ho trascorso sedici anni dietro le sbarre per reati connessi all’uso e allo spaccio di sostanze stupefacenti e devo scontarne altri quattro. Per problemi legati all’uso di sostanze ho perso l’unico fratello che avevo, amici e conoscenti, e ora iniziano a morire i figli dei miei amici e coetanei. Non vorrei che questo discorso fosse preso come un pianto, non è giusto piangere sulle proprie scelte sbagliate, chi sbaglia paga, questa è la legge inesorabile della vita, cambia solo il prezzo, in base alla fortuna soprattutto, ma anche alle disponibilità economiche, alla famiglia che uno ha o non ha alle spalle, il conto te lo presenta sempre la vita. Oggi parliamo dell’ennesima vita andata irrimediabilmente perduta, oltretutto l’ennesima vita ricca di talento. La tossicodipendenza costituisce una delle disgrazie più feroci di questa epoca, per noi stessi, per le nostre famiglie e le persone che ci hanno incontrato nella fase acuta di questa patologia. Fino ai trent’anni, quindi per più di dieci anni di uso di sostanze di tutti i generi, riuscivo, seppur a fatica, a stare un periodo senza farne uso. Quando si doveva smettere ci si chiudeva una settimana in casa e si tornava alla vita, uso questo termine perché ogni volta che ci si disintossicava era come rinascere. Con il passare degli anni però il fisico e la psiche si indeboliscono. Ho visto persone forti diventare larve umane, chiedere l’elemosina per sopravvivere, piangere come bambini. Ricordo l’ultima volta che ho assunto sostanze stupefacenti. Avevo smesso da poco perché il fisico mi mostrava che andare oltre significava morire. Poi una persona con la quale avevo discusso durante questo periodo di astinenza volontaria, mi aveva fatto notare che ormai non dipendeva più dalla mia volontà e che avevo qualcosa dentro che comandava in vece mia. Io ero ancora convinto che avrei potuto dire basta, così a casa mi misi al tavolo della cucina con a disposizione cocaina ed eroina, ero lucido e disintossicato, dovevo dimostrare a me stesso che potevo usarne una dose e fermarmi, così avrei potuto continuare ad autogiustificarmi. Ma non appena la sostanza entrò in circolo ho sentito la delusione invadermi: tutte le mie barriere crollavano, e capii immediatamente che non avrei smesso fino alla fine della scorta che avevo, ma che era l’ultima volta. Non ho la pretesa di indicare la strada a nessuno, credo però che nel mio caso, e penso sia lo stesso per molti, non ho scelta, mi basta una dose e posso dire addio a tutto. Quanto invece alle ragioni che mi spingevano a far uso di sostanze, so che era un continuo mettermi alla prova fino al limite ultimo, e un voler rischiare ad ogni costo e sempre di più quello che di più caro ho, ma che mi sembra non mi appartenga, la mia vita. Senza rendermi conto che nell’inesorabile avvicinarmi al baratro portavo con me anche le persone amate.
Daniele
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