Rassegna stampa 12 marzo

 

Giustizia: storie di "ordinaria malasanità" nelle carceri italiane

di Fiorentina Barbieri

 

Terra, 12 marzo 2010

 

"Muy diferentes de las italianas - ci grida Jorge - cieldas (celle) de 7 metros quadros, duchas privadas, agua caliente! Todo el mundo puede encontrar su mujer o su pareja 2 horas cada mes y los amigos pueden pasar a visitarte! Son regularmente pagadas, al contrario de aquì en Italia, donde los problemas de salud... dejamos correr - come dite voi - lasciamo correre!".

È che Jorge, fino a poco tempo fa in carcere in Toscana, rifiutando l’appello si è fatto trasferire a Roma, dove spera di velocizzare le pratiche per scontare la pena in Spagna. Ma le sue condizioni psicologiche e fisiche sono peggiorate, è dimagrito 25 kg.

Angelo, fino a un mese fa detenuto al Nord, ora è agli arresti domiciliari: un anno e mezzo fa gli era stata diagnosticata una broncopolmonite e prescritta una terapia di ... vitamine (?!). Nel maggio scorso sulla schiena era spuntata una pallina che gli causava atroci dolori. Ai medici sembrava un lipoma, lui chiese una tac, ma i turni, si sa. Infine un perito del tribunale diagnosticò quella che dopo due anni di sottovalutazione era diventata una metastasi per un carcinoma polmonare, ormai inoperabile.

E stentiamo a parlare di un uomo che sta vivendo una condizione insopportabile: operato nel 2007 per emorroidi, da allora non è più riuscito a riacquistare le normali funzioni fisiologiche né a trattenere le feci: l’operazione gli ha danneggiato gli sfinteri, ora è urgente reintervenire, ma le visite sono dilazionate ora per indisponibilità del giudice, ora della scorta. Intanto è in cella d’isolamento: è l’unica stanza con bagno.

Giuseppe ha molte fratture, somatica, alla clavicola, a due costole, alla scapola destra e allo spigolo antero inferiore sinistro, ha un versamento pleurico, l’anteriorizzazione della massa laterale, lesioni al plesso destro ed era tossicodipendente. Il rischio è che l’osso della scapola gli buchi un polmone, prende analgesici e psicofarmaci, ma non viene portato in ospedale.

Un dentista in carcere è pagato per un quarto d’ora a prestazione, per questo la carie di Cosimo viene curata con interventi a singhiozzo, per cui, pur dopo la terapia antibiotica di alcuni giorni (a sue spese) e l’anestesia, il dente ha finito per bucarsi e Cosimo deve iniziare da capo, pagandosi però un dentista di fuori, senza timer.

Le medicine sono a carico dei detenuti: quelli che possono comprano un flacone di aspirine anche per chi non può, ma se il tesoretto viene scoperto, il generoso detentore viene punito, per illegalità "di accumulo": di aspirine, vitamine, multicentrum…

Intanto tra mille "pasticci" ci sono le elezioni regionali: ma i candidati lo sanno che dovrebbero occuparsi anche di loro? Dejamos correr!

Giustizia: Rizzoli (Pdl); vado a trovare i detenuti… per dovere

di Lucia Scajola

 

Panorama, 12 marzo 2010

 

Ha visitato molti degli arrestati negli ultimi, grandi scandali politico-finanziari. È in cerca di facile pubblicità? No: è dal 2008 che Melania Rizzoli, deputata del Pdl, si batte contro gli abusi. Anche in nome di una storia di famiglia.

Ventisei anni fa, di visite suo marito ne ricevette tre. Poche, per 13 mesi di detenzione. Durante quei 407 giorni di carcere preventivo, Angelo Rizzoli (che il 26 febbraio 2009 è stato assolto dall’ultima delle sei accuse che gli erano arrivate dopo il crac della casa editrice, cadute una dopo l’altra davanti ai giudici) soffrì anche l’umiliazione della solitudine. Probabilmente è per questo che Melania De Niellilo, signora Rizzoli dal 1998, sente così vicina la causa dei carcerati. Medico, parlamentare del Pdl, membro della commissione d’inchiesta sugli errori in campo sanitario, Melania Rizzoli da due anni ha scelto di approfittare del suo ruolo politico per stare vicina ai detenuti.

Della sua attività, però, si è parlato soprattutto dalla fine di febbraio, dopo che ha visitato uno dopo l’altro i protagonisti degli scandali politico-finanziari più recenti: Angelo Balducci, Silvio Scaglia, Nicola Di Girolamo, Giorgia Ricci Mokbel, Silvio Fanella.

 

Sono tutti detenuti noti, le loro vicende riempiono le pagine dei giornali. L’accusa è immediata: lei va a trovarli per avere pubblicità. Come si difende?

Non mi interessa fare vetrina, vado là dentro perché sono ispettore della commissione d’inchiesta sanitaria. Dal 2008 visito le carceri per verificare e per intervenire in situazioni d’irregolarità.

 

Che effetto le ha fatto veder piangere un omone grande e grosso come Nicola Di Girolamo, l’ex senatore del Pdl?

Mi si è stretto il cuore, era sotto shock. Nonostante fosse preparato da giorni all’arresto, non sembrava avere compreso di essere in carcere: si era portato dietro una valigia, ovviamente sequestrata. Si è commosso quando l’ho chiamato senatore.

 

E Angelo Balducci?

L’ho trovato più in crisi degli altri. Al di là del giudizio che posso avere sulla persona, ho deciso di andare da lui il giorno in cui sono uscite quelle vergognose e inopportune intercettazioni sulla sua vita sessuale. Ho incontrato un uomo assente: diceva di assistere a quello che sta accadendo come se riguardasse un altro. Aveva rifiutato anche le visite dei familiari, ma spero abbia gradito la mia.

 

Più forte Silvio Scaglia…

L’ex fondatore della Fastweb mi ha sorpreso positivamente per la lucidità e la sicurezza che ostentava. Quando sono arrivata stava studiando cinese. Ottimizzava: dice che non si deve mai perdere tempo. Altro carattere il suo... Forse è salvo.

 

Salvo da cosa?

Dal tracollo. Ho imparato che il carattere nella vita conta molto più dell’intelligenza: per affrontare i traumi, da sola, non è sufficiente.

 

Lei ha sofferto di una brutta malattia e ne è uscita: anche qui merito del carattere?

Il mio carattere si è formato proprio grazie al cancro. Per tre anni sono stata vittima di un grave tumore del sangue. Ero distrutta, vicina alla morte, ma ne sono uscita. La malattia ha rappresentato il periodo più bello della mia vita: è in quei mesi che sono diventata forte. Ho scoperto che il dolore può essere rinnovativo: ti ricorda il valore della vita.

 

È questo il messaggio che lei porta ai carcerati?

Anche. Ma ho capito che essere arrestati può essere peggio che ricevere una brutta diagnosi. Si finisce in un labirinto infernale, di smarrimento, in cui è impossibile vedere l’uscita. Ogni volta che entro e sento chiudere quei cancelli alle mie spalle, provo un’ansia di gran lunga superiore a quella che provavo, da medico o da paziente, in ospedale.

 

Lei dice di visitare le carceri per intervenire nelle situazioni di irregolarità. Nel suo giro di detenuti famosi ha scoperto qualcosa di irregolare?

Mi avevano segnalato che Giorgia Ricci Mokbel, fino a quel momento a me sconosciuta, è malata di sclerosi multipla attiva. Sono andata a verificare con i miei occhi: quella donna a Rebibbia non può sopravvivere nelle sue condizioni. Userò tutti i mezzi che posso perché le siano garantite le cure.

 

Gli altri da cui è andata, però, non sono malati.

Non ancora, ma i carcerati sono malati nell’anima. Il malessere della mente è l’anticamera di quello del corpo. So che non è giusto fare differenze, ma per chi non è abituato a entrare e uscire dalle carceri ritrovarsi in ciabatte e tuta, rinchiuso di fronte a un water, rappresenta un trauma da cui è difficile riprendersi. Anche questa è malattia. Ora comprendo i fantasmi di mio marito.

 

A che cosa si riferisce?

Dopo 26 anni, Angelo non ha minimamente rimosso quell’incubo. A volte io riesco a dimenticarmi di avere rischiato di morire: per lui, invece, è impossibile non ricordare la prigione. Ancora oggi, se prenoto un albergo, devo chiedere una stanza lontana dagli ascensori. Quel rumore meccanico, nel sonno, gli ricorda la notte in cui i carabinieri salirono a casa sua per arrestarlo.

 

Con suo marito parla mai della sua attività in carcere?

Poco. Ma la apprezza. Nessuno più di lui può capire il grado di umiliazione e di solitudine cui ti porta la detenzione. Sa quanto fa bene parlare con qualcuno quando ci si ritrova soli. Quando fu arrestato, era il presidente del più grande gruppo editoriale italiano: di colpo si è ritrovato in isolamento. All’improvviso tutti i suoi amici erano spariti. Tre le visite ricevute, tre le lettere.

 

Da parte di chi?

Hanno avuto il coraggio di farsi vedere soltanto Indro Montanelli, Vittorio Feltri e Mario Capanna. A scrivergli furono Silvio Berlusconi, Lina Sotis e lo stesso Montanelli.

 

Chi andrà a trovare, la prossima volta?

Andrò a Sulmona, a Pavia e di nuovo a Regina Coeli, ma senza cercare nessuno in particolare. In genere chiedo di chi non ha ricevuto visite nell’ultimo mese: non ci sono solo le persone famose in carcere. La solitudine è molto democratica.

Giustizia: Favi (Pd); perché ci sono ancora bambini in carcere?

di Sandro Favi (Responsabile carcere del Pd)

 

Ansa, 12 marzo 2010

 

"Bene hanno fatto Veltroni e Franceschini a denunciare il caso sollevato da Amalia Schrriu del piccolo Davide, che a soli 18 mesi si trova costretto a vivere la sua vita, assieme alla madre detenuta, nel carcere di Cagliari, che dimostra ancora una volta l’inconcludenza dell’Amministrazione Penitenziaria. Amministrazione che più volte ha annunciato l’istituzione di case di accoglienza a custodia attenuata proprio per madri detenute che hanno con sé i figli minori di tre anni. Nella stessa situazione si trovano almeno 54 altri bambini in tutta Italia.

Di fronte alle sofferenze estreme che si evidenziano in una situazione di gravissimo sovraffollamento, nulla ad oggi è stato realizzato per le persone disabili, per chi soffre di disagi psichiatrici e per tutte le altre situazioni che richiederebbero specifiche strutture di assistenza. È importante ricordare che ad oggi, dall’inizio dell’anno, siamo a 14 persone che si sono suicidate nelle nostre carceri, l’ultima a Poggioreale dove un detenuto malato di schizofrenia si è impiccato". "Se questa è l’operatività per situazioni estreme, cosa dobbiamo attenderci dal più ambizioso Piano Carceri Alfano-Ionta?"

Giustizia: Sappe; ogni anno noi agenti preveniamo 600 suicidi

di Valentina Marsella

 

www.nannimagazine.it, 12 marzo 2010

 

Il leader del Sappe risponde al capo del Dap sul ruolo dei poliziotti nel monitorare i disagi dei detenuti: "Si doveva puntare di più su educatori e psicologi. Dovrebbero triplicarci lo stipendio". Le proposte per abbattere il "killer" sovraffollamento.

Agenti penitenziari, non solo custodi delle celle, ma anche psicologi improvvisati pronti a prevenire i disagi dei detenuti. Sono tanti i suicidi nelle carceri che hanno contraddistinto questi primi due mesi del 2010, e il Capo dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, ha sottolineato come la polizia penitenziaria, oltre al classico ruolo di custode, sia preziosa nel cogliere in tempo i segnali del detenuto che manifesti insofferenza.

Agenti psicologi, dunque? "È un compito che già svolgiamo - ci racconta Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe - perché, ogni anno, gli agenti riescono a salvare almeno 600 reclusi dal suicidio. Se vogliono paragonarci a degli psicologi, lo facciano pure. Il poliziotto vive a contatto con i detenuti 24 ore su 24, e riesce certamente a monitorare i vari stati di umore dei carcerati. Ma se pensiamo che la media è di un agente per cento detenuti, per quanto possa essere dinamica la sorveglianza, è impossibile tenere d’occhio tutti".

La carenza di psicologi ed educatori, è dovuta al fatto che, fa notare il leader del Sappe, "l’amministrazione penitenziaria ha investito poco per l’area trattamentale, perché è prevalsa sempre la necessità di sicurezza, aumentata con l’acuirsi dei livelli di sovraffollamento negli istituti di pena. Quando la legge 354 del 1975 ha istituito la figura di educatori e psicologi, si doveva puntare maggiormente sull’area trattamentale, perché sarebbe stato d’aiuto ai poliziotti penitenziari". Ad oggi, il numero di suicidi del 2010 è arrivato a quota 13: un fenomeno, sottolinea Capece, legato strettamente al "sovraffollamento che riduce gli spazi di vivibilità in cella. Noi diciamo si all’approvazione dello stato di emergenza del piano carceri, ma vogliamo vedere risultati concreti. È inutile disquisire sulle strutture galleggianti o altro".

Il Sappe infatti, nel convegno di qualche giorno fa, organizzato per discutere la questione sovraffollamento (durante il quale Ionta ha parlato del ruolo di monitoraggio preventivo dei disagi dei detenuti da parte degli agenti), ha rilanciato la proposta di realizzare il sistema modulare di sicurezza detentivo, già attivo negli Usa e in altri Paesi: "Si tratta - spiega Capece - di un sistema modernissimo di sicurezza costruito in acciaio, capace di contenere 600 posti e realizzabile, chiavi in mano, in sei mesi. Un sistema dotato di ogni confort, con celle da due posti massimo e con costi ridotti: per un carcere in cemento armato da 700 posti ci vorrebbero 100 milioni di euro, mentre con il sistema modulare che ha la stessa capienza, ce ne vorrebbero solo 20 milioni".

Questo sistema, inoltre, fa notare il leader del Sappe, non ci sono le bombolette del gas, ma piani cottura. Un vantaggio, se si pensa che gran parte dei suicidi avvengono inalando gas, anche se l’impiccagione resta la prima scelta di morte. Inoltre, le bombolette da campeggio sono pericolose anche per gli agenti, perché potrebbero essere usate contro di loro".

Capece torna sulla proposta di creare ipotetiche carceri galleggianti: "La Fincantieri ha realizzato due progetti - rileva - dove però si evidenzia che queste strutture avrebbero elevati costi di manutenzione, oltre al fatto che per realizzarne una da 600 posti, ci vorrebbero anche qui 100 milioni di euro. Dunque, una soluzione poco economica, realizzabile in almeno due anni.

Il sovraffollamento va combattuto: "Noi spingiamo sull’istituto della messa in prova e sull’introduzione in Italia dell’uso del braccialetto elettronico. Al convegno di qualche giorno fa è venuto un funzionario del ministero della Giustizia inglese che ha mostrato un filmato sull’uso del braccialetto: in Gran Bretagna sono 19mila 500 i detenuti che lo indossano fuori dal carcere, con risultati più che brillanti. Ci vuole solo un atto di coraggio dell’amministrazione penitenziaria e del Governo. Perché il braccialetto elettronico - conclude - è senz’altro uno dei sistemi deflattivi più concreti".

Giustizia: caso Cucchi; i periti in Parlamento "le lesioni recenti"

di Giovanni Bianconi

 

Corriere della Sera, 12 marzo 2010

 

Stefano Cucchi è morto per disidratazione mentre era detenuto in ospedale, dopo aver rifiutato "almeno in parte", cure e cibo: non per capriccio, ma perché voleva parlare con un avvocato. Non c’è riuscito, e nessuno l’ha avvisato che stava rischiando la vita; fu ricoverato che pesava 52 chili, quattro giorni dopo era arrivato a 42. S’è spento nella notte fra il 21 e il 22 ottobre, e quando gli hanno praticato la rianimazione aveva smesso di vivere da quasi tre ore; medici e infermieri, insomma, tentavano di rianimare un cadavere.

Aveva anche delle lesioni, il trentunenne arrestato per 20 grammi di hashish e due di cocaina: agli occhi, alla terza vertebra lombare e all’osso sacro. Lesioni recenti "di origine traumatica", che se non hanno direttamente a che fare con la morte risultavano comunque dalle visite effettuate dopo l’arresto di Cucchi, ma nessuno le segnalò alla magistratura.

Sono le conclusioni dell’indagine sul caso del detenuto morto nel reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini di Roma dalla commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino. La relazione finale, redatta dai senatori Vincenzo Galioto del Pdl e Albertina Soliani del Pd, è pronta e sarà votata mercoledì prossimo. Il documento è stato limato in ogni passaggio, dopo che ripetuti rinvii avevano messo in dubbio la possibilità di arrivare a un risultato condiviso da tutti; per questo dovrebbe essere approvato all’unanimità, fondato com’è su audizioni, documenti e soprattutto sul lavoro dei periti incaricati di rispondere a specifici quesiti.

Sono stati proprio i due consulenti, Vincenzo Pascali e Rodolfo Proietti, a fissare il decesso di Cucchi "alle ore 3 del 22 ottobre", come si legge all’inizio della relazione, che più avanti chiarisce: "La morte è avvenuta probabilmente due o tre ore prima che il paziente fosse rianimato. Pertanto anche il medico che ha praticato le manovre rianimatorie (tra le 6.15 e le 6.45 del mattino, ndr), notando una rigidità dei muscoli del collo e dell’articolazione temporo-mandibolare, sapeva che il paziente era morto e da tempo".

Gli stessi medici del Pertini, nella serata del 21 ottobre, viste le preoccupanti condizioni del detenuto, avevano preparato una relazione da inviare all’autorità giudiziaria, che non fu mai trasmessa perché poche ore dopo Cucchi ha smesso di vivere. "Ciò nonostante non è stato predisposto un monitoraggio continuo delle condizioni del paziente", accusa la relazione, che aggiunge una sconsolante considerazione: "Nessun medico, nella giornata antecedente al decesso, si è probabilmente reso conto che la situazione aveva ormai raggiunto un punto di non ritorno".

Altrimenti avrebbero dovuto far capire a Cucchi quello che gli stava succedendo, e sarebbero dovute scattare le contromisure indicate dagli stessi consulenti: "Raggiunto nella giornata del 21 il punto di massimo criticità (punto di non ritorno), il paziente avrebbe dovuto essere monitorizzato con maggiore intensità, nel timore di un evento mortale, attendendo il profilarsi dell’opportunità di intervenire".

L’altra conclusione rilevante riguarda i "traumi" che Cucchi aveva al momento del ricovero, "che i consulenti tecnici ritengono essere stati probabilmente inferti". Cioè provocati da qualcuno, e in tempi ravvicinati alla morte. Le ecchimosi intorno agli occhi "sono state probabilmente prodotte da una succussione (letteralmente significa scuotimento, ndr) diretta delle due orbite; analogamente le lesioni alla colonna vertebrale sembrano potersi associare ad un trauma recente; sempre ad una lesione traumatica è collegabile la frattura al livello del sacro-coccige".

Sono particolari importanti, perché l’inchiesta giudiziaria (tre poliziotti penitenziari sono indagati per omicidio preterintenzionale per le presunte percosse, mentre sei medici del Pertini sono accusati di omicidio colposo) è ferma in attesa delle perizie; indiscrezioni delle scorse settimane riferivano che secondo i consulenti del pubblico ministero le lesioni di Cucchi sarebbero precedenti al suo arresto, una addirittura congenita.

I periti della commissione Marino sembrano affermare il contrario, e le loro conclusioni saranno inviate alla Procura di Roma, insieme alla relazione. Nella quale i commissari auspicano che l’indagine penale chiarisca i punti che restano oscuri sulla morte di Stefano Cucchi. I parlamentari ne elencano quattro: "Chi ha inferto le lesioni al signor Cucchi; le ragioni di una procedura così anomala per il trasferimento presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini; chi ha la responsabilità di non aver dato corso alle richieste di colloquio formulate dal detenuto, lasciando così quest’ultimo in una condizione psicologica che ha certamente influito sul suo rifiuto di cure; chi ha la responsabilità della mancata identificazione prima dell’exitus di una condizione clinica così grave da mettere a rischio la vita".

Giustizia: caso Cucchi; morte Stefano non spegniamo riflettori

di Ilaria Cucchi

 

Secolo d’Italia, 12 marzo 2010

 

Sono la sorella di Stefano Cucchi. Mi rivolgo a voi del Secolo d’Italia che avete dimostrato particolare sensibilità e interesse alla drammatica vicenda che ha sconvolto la mia famiglia in seguito alla morte atroce di mio fratello, per denunciare dei fatti gravissimi che si stanno verificando. I miei genitori e io viviamo momenti di enorme preoccupazione per come si stanno svolgendo le perizie medico-legali e per il comportamento dei consulenti nominati dalla Procura.

Abbiamo fondato motivo di ritenere che da parte loro si stia tentando di minimizzare le responsabilità di coloro che hanno provocato le lesioni sul corpo di Stefano, facendo ricadere tutta la colpa sui medici, che pure hanno delle responsabilità gravi, come del resto sosteniamo fin dal principio, ma occorre non dimenticare che Stefano è giunto alla "struttura protetta" del "Sandro Pertini" (dove è stato lasciato morire) perché è stato vittima di un vero e proprio pestaggio, in seguito al quale ha riportato delle fratture alla colonna vertebrale che venivano riconosciute dalla prima autopsia e che effettivamente erano state diagnosticate dai medici del Fatebenefratelli, che per quelle avevano tentato di curarlo.

Ebbene, ora i consulenti della Procura mettono in discussione l’esistenza di fratture recenti e parlano addirittura di malformazioni (per le quali, guarda caso, mio fratello a distanza di meno di ventiquattro ore dal suo arresto era ridotto su una barella e lamentava dolori insopportabili).

Non comprendiamo quali siano le reali intenzioni dei consulenti della Procura, che tra l’altro finora hanno tenuto un atteggiamento particolarmente ostile nei nostri confronti (basti pensare a quanto tempo! nostri consulenti hanno dovuto attendere per ottenere la documentazione della seconda autopsia) ma certo la cosa ci preoccupa non poco. Siamo molto preoccupati dal loro atteggiamento e dalle informazioni, infondate e contraddittorie, che fanno trapelare.

Noi sappiamo con assoluta certezza che le fratture ci sono, sono recenti e sono compatibili con un pestaggio, questo è ciò che sostengono i nostri medici ed è quello che noi andiamo ripetendo fin dal principio, Stefano fino al momento in cui è uscito di casa accompagnato dai Carabinieri non solo stava bene, ma faceva quotidianamente attività sportiva, cosa che ha fatto fino a poche ore prima del suo arresto: trovo improbabile che ciò possa avvenire con due fratture alla colonna vertebrale!

Tutto questo lo sostiene una famiglia che ritengo abbia dato prova di onestà e fiducia nelle Istituzioni e nel lavoro della Magistratura. E da sorella profondamente addolorata, ma anche da semplice cittadina italiana, mi auguro che ci vengano date delle risposte che certo non potranno portare indietro le lancette del tempo ma potranno almeno dare dignità alla morte di Stefano, una morte senza senso avvenuta quando lui era sotto la tutela dello Stato.

Sono abituata a credere nelle istituzioni, ma alla luce di quello che sta avvenendo non posso non temere che, passati i primi momenti di clamore e indignazione generale, ora la richiesta di verità e giustizia per la morte di mio fratello possa cadere nell’oblio. Per questo vi prego di aiutarci a tenere alta l’attenzione sulla tremenda vicenda che la mia famiglia è stata costretta a vivere, affinché non si spengano i riflettori da parte dei mezzi d’informazione e degli esponenti del mondo politico. Con fiducia e rispetto.

Emilia-Romagna: il Provveditore; carceri sempre più affollate

 

Redattore Sociale, 12 marzo 2010

 

In regione i detenuti sono più del doppio rispetto la capienza regolamentare. Una situazione senza pari in Italia. "Un’emergenza dovuta a leggi sbagliate", denuncia il provveditore regionale per l’amministrazione penitenziaria.

Il problema delle carceri sovraffollate in Emilia-Romagna continua a peggiorare. I dati sono tra i peggiori d’Italia, con una presenza di detenuti che più del doppio di quella consentita sulla carta dalle strutture penitenziarie. L’ultimo aggiornamento, datato metà febbraio, arriva direttamente dalla voce di Nello Cesari, Provveditore regionale per l’amministrazione penitenziaria: "Siamo davanti a un più 114% di presenze rispetto alla capienza tollerabile e addirittura a un più 191% rispetto a quella regolamentare".

Di questi numeri si è parlato in un convegno intitolato "L’emergenza carceri", che si è tenuto oggi presso la Cappella Farnese a Bologna. Un tema che secondo Cesari è sinonimo di "emergenza sociale, in quanto nelle carceri vanno a finire problematiche non risolte, ma solo rimosse dalla società civile". Cesari ha sottolineato come l’Emilia-Romagna sia l’unica regione d’Italia con un dato di presenze superiore di oltre il 100% rispetto alla capienza tollerabile e ha auspicato che si inverta il trend negativo di permessi e autorizzazioni a scontare la pena fuori dalle prigioni. Bologna, ha ricordato, rimane la struttura più affollata con 1.079 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 430, "numeri che creano grossi problemi di tenuta". Non solo, anche il rapporto tra agenti di polizia penitenziaria e detenuti in regione è uno dei più bassi.

Per Cesari l’emergenza è dovuta "a errori di natura strategica che scaturiscono dalla mancata soluzione del problema penale di questo paese". Non si può, ha rimarcato, "gridare al carcere in continuazione e poi stupirsi del sovraffollamento", come neanche "introdurre nuovi riti processuali e poi celebrare quei processi dopo anni". O ancora "prevedere la pena detentiva per tossicodipendenti e clandestini e poi dolersi che i penitenziari sono pieni di questi soggetti". Il Provveditore ha anche bocciato il piano emiliano-romagnolo di edilizia penitenziaria che prevede sei interventi per 1.159 nuovi posti: "È sovradimensionato", lo ha definito Cesari.

Napoli: Poggioreale va chiuso non rispetta dignità dei detenuti

 

9Colonne, 12 marzo 2010

 

"Data una pianta organica di 690 agenti di Polizia penitenziaria (su 946 previste) sono detenute oltre 2.600 persone (a fronte di una capienza massima tollerata di 1.743), tra cui 633 detenuti per associazione camorristica, 606 detenuti tossicodipendenti, 264 stranieri, 38 sieropositivi" e gli atti di autolesionismo tra i detenuti sono passati dai 52 del 2008 ai 96 del 2009, tra cui un suicidio. Questa la situazione del carcere di Poggioreale di Napoli, come descritta di recente dal quotidiano "Il Mattino" che la senatrice del Pd Anna Maria Carloni sottopone all’attenzione del ministro della Giustizia, al quale chiede quindi di attuare gli indirizzi indicati dalla riforma del sistema carcerario recentemente assunti con l’approvazione delle mozioni sulla situazione carceraria dal Senato e di "attuare celermente il piano carceri annunciato dal Governo, prevedendo la chiusura di quelle strutture che non siano adeguabili a moderni criteri architettonici rispettosi della dignità umana". La senatrice chiede anche ad Alfano di "convocare rapidamente un tavolo tecnico con le istituzioni locali per la necessaria integrazione delle politiche urbanistiche, di sicurezza, prevenzione e sviluppo delle misure alternative alla detenzione".

Bologna: chiude l’A.S. femminile, "ospiterà" le detenute-madri

 

Redattore Sociale, 12 marzo 2010

 

La sezione femminile Alta sicurezza del carcere della Dozza è stata definitivamente chiusa: ora quella parte della Casa circondariale sarà destinata alla realizzazione di un asilo o ad ospitare le madri detenute. Lo ha annunciato oggi Nello Cesari, Provveditore alle carceri dell’Emilia-Romagna, nel primo incontro del ciclo di seminari "Le prospettive del pianeta carcere", in Cappella Farnese a Bologna.

Cesari ha comunicato la novità (stabilita da un decreto ministeriale del 26 febbraio) in chiusura del suo intervento e l’ha definita un "omaggio" a Desi Bruno, la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna. E Bruno lo definisce un "ottimo risultato": da anni si batte per la chiusura di questo reparto perché "assolutamente inadeguato, inaccettabile e contrario all’ordinamento penitenziario" aveva detto negli scorsi mesi, denunciando la presenza di celle "piene di umidità e muffa, con scarafaggi anche nel cibo e topi". In questa sezione le detenute subivano "un’ulteriore compressione dei propri diritti".

Il tema dell’incontro di oggi, a cui seguiranno altri cinque appuntamenti (l’ultimo il 13 maggio), era proprio l’emergenza carceri. I numeri (aggiornati al 19 febbraio scorso) parlano chiaro, almeno in Emilia-Romagna, spiega Cesari: nei 13 istituti della regione sono rinchiuse 4.585 persone, a fronte di una capienza regolamentare di 2.386 e di una tollerabilità di 3.980. Tra le carceri dell’Emilia-Romagna, quella col maggior indice di sovraffollamento è la Dozza di Bologna, dove sono rinchiusi 1.184 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 494 (e di una soglia di tollerabilità di 892). È una struttura, ha detto Cesari, che crea "grossi problemi di tenuta".

Cesari, nel suo intervento, ha ricordato i prossimi interventi di edilizia carceraria programmati in Emilia-Romagna: "Verranno realizzati nuovi padiglioni a Piacenza, Parma, Modena, Bologna e Ferrara, cosa che garantirà 1.150 nuovi posti" afferma Cesari. A questo è da aggiungere, ricorda poi, la realizzazione di un nuovo carcere a Forlì, la trasformazione dell’ex caserma agenti in carcere a Rimini e il trasferimento dell’istituto di Opg (Ospedale psichiatrico giudiziario) di Reggio Emilia a Castelfranco, nel modenese.

Pur nell’annunciare gli imminenti interventi, Cesari nel suo discorso si sofferma a riflettere: "Non si può invocare il carcere a ogni più sospinto e poi lamentarsi del sovraffollamento". In ogni caso, secondo il Provveditore regionale quella delle carceri è "un’emergenza sociale", perché nei penitenziari vanno a finire "problemi sociali che avrebbero potuto trovare altre soluzioni nella società civile e invece vengono rimosse".

Cagliari: consiglio comunale ha istituito il Garante dei detenuti

 

Redattore Sociale, 12 marzo 2010

 

Il consiglio comunale approva una mozione presentata dal gruppo socialista per creare la figura di garanzia delle persone private della libertà personale. Non avrà poteri effettivi, ma opererà per migliorare la qualità della vita dei reclusi.

Verrà nominato anche a Cagliari il Garante delle persone detenute: un’autorità di controllo della legalità nei luoghi di detenzione. Approvata all’unanimità in Consiglio comunale una mozione presentata nel luglio di due anni fa dal gruppo socialista composto fa Francesco Ballero e Raimondo Perra.

"Dotata di autonomia e indipendenza - hanno spiegato i relatori - alla nuova autorità si potrà rivolgere il singolo detenuto per ottenere l’effettiva tutela dei propri diritti. Una figura di cerniera tra la realtà carceraria e l’esterno. Svolge funzioni di osservazione e vigilanza e ha la facoltà di promuovere iniziativa e momenti di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti dei detenuti".

Approvata la mozione, inserita all’ordine del giorno dell’ultimo consiglio anche se ormai datata, in Giunta già da qualche tempo si stava lavorando alla nascita del garante, ormai attivo in varie altre grandi città italiane tra cui anche Nuoro e Sassari. "Gli ambito di intervento specifici - spiegano Ballero e Perra - si possono essere diversi. Dalle visite periodiche di controllo ai luoghi di detenzione, alle iniziative di ascolto dei problemi dei detenuti, ma anche la pressione e collaborazione con le amministrazioni penitenziarie per risolvere eventuali problemi. Potrà anche effettuare denunce pubbliche in caso di violazioni delle leggi sull’ordinamento penitenziario o sui regolamenti degli istituti di pena".

Il garante, rispetto a possibili segnalazioni (telefonate, e-mail, lettere) si rivolge all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli interventi e le azioni necessarie per il ripristino di eventuali diritti violati del detenuto violati. Una figura nuova e sperimentale, non ancora dotata di poteri effettivi e non prevista dall’ordinamento penitenziario, ma che servirà comunque per ridurre i disagi che attualmente pagano le persone condannate che devono scontare le pene in carcere.

Civitavecchia: Pizzo (Sel); sovraffollamento e problemi sanitari

 

Adnkronos, 12 marzo 2010

 

"Sia nelle casa circondariale di Civitavecchia che nell’istituto di reclusione della medesima città, ambedue sotto la responsabilità di due direttrici, ho notato una grande disponibilità al colloquio e alla relazione umana con le persone detenute, pur in una situazione in progressivo allarme". È quanto afferma il consigliera regionale di Sel del Lazio, Anna Pizzo, che stamane ha visitato le due strutture di Civitavecchia nell’ambito dell’iniziativa da lei promossa di ispezione in tutte le carceri del Lazio che oggi ha toccato la sua terza tappa.

"Nell’istituto di reclusione i detenuti, tutti definitivi, sono al momento sessanta - racconta Anna Pizzo - ma secondo quanto riferito dalla direttrice il numero sta progressivamente aumentando e ben presto si raggiungerà il tetto limite di 120. Nel circondariale, sia maschile che femminile, il numero massimo invece è già stato superato e oggi i detenuti ammontano a 475 unità, cifra limite nonostante sia di recente stata aperta una nuova sezione. Ma nel carcere i problemi non finiscono qui".

"Oltre al sovrannumero - continua il consigliere - ci sono complesse problematiche relative alla non applicazione della legge regionale per quanto riguarda la sanità e vi è un diffuso allarme sulla crescita delle persone detenute con difficoltà psichiche alle quali non è possibile dare risposte adeguate essendo assai esiguo il numero degli psichiatri e degli psicologi".

"Ho rilevato, infine, uno stato di scollamento con l’amministrazione centrale - prosegue Pizzo - che, dopo aver annunciato nuovi investimenti sulle carceri, si trova oggi a rincorrere quasi dappertutto le direzioni delle carceri alla ricerca di posti dove infilare in numero sempre maggiore i detenuti che, anche qui come a Roma, riguardano per oltre il 50 per cento persone straniere".

"Più che soddisfacente - dice il consigliere - il femminile, che attualmente ospita quaranta donne, per l’80 per cento straniere e dove sono attivi interessanti percorsi formativi e lavorativi. Destano perplessità alcune scelte di investimenti che la Regione Lazio sta compiendo, nella persona del garante, per esempio per quanto riguarda l’introduzione della Telemedicina in un istituto che solo a un anno di distanza ha trovato il denaro sufficiente a riparare il tetto dal quale lo scorso anno è entrata tanta pioggia da allagare alcune sezioni impedendo perfino la attività scolastica".

Bolzano: Uilpa; questo carcere calpesta la dignità delle persone

 

Alto Adige, 12 marzo 2010

 

"Un carcere che calpesta la dignità delle persone". È il commento lapidario di Eugenio Sarno, segretario nazionale della Uilpa (Uil della pubblica amministrazione) che ieri mattina ha effettuato una visita all’interno della casa mandamentale di via Dante. La situazione, all’interno della struttura carceraria, è sempre più pesante. Anche in questo periodo a fronte di una capienza di 82 persone, nel carcere bolzanino sono rinchiusi 158 detenuti.

Ma i problemi del carcere bolzanino, secondo il delegato nazionale della Uilpa, non sono solo legati al sovraffollamento. È anche la struttura, completamente fatiscente, a preoccupare. E dato che il carcere nel 2001 è stato inserito in quelli da abbattere, da quasi dieci anni ogni possibile investimento di ristrutturazione viene bloccato perché considerato inutile in vista della costruzione della nuova struttura carceraria già progettata nei pressi dell’aeroporto.

"L’esperienza insegna che per la costruzione di un carcere sono necessari almeno 8 anni" ha ricordato ieri Eugenio Sarno. La speranza è che la Provincia autonoma di Bolzano (delegata alla costruzione) sia più veloce. Anche perché l’inadeguatezza della struttura sta mettendo a repentaglio anche la sicurezza per gli agenti di polizia penitenziaria che vi lavorano. Il cui numero è sempre in sofferenza: a fronte di un organico di 98 agenti, ne sono in servizio effettivo poco più di una trentina, con turni sempre più logoranti.

Pontremoli (Ms): l'ex penitenziario femminile destinato ai minori

 

Il Tirreno, 12 marzo 2010

 

L’ex penitenziario femminile di Pontremoli diventa carcere minorile: lo rende noto Jacopo Ferri, consigliere regionale uscente e candidato per la Provincia di Massa Carrara nella lista del Popolo della libertà alle regionali della Toscana. "Il ministro Angelino Alfano - dice Jacopo Ferri - mi ha comunicato che il 4 marzo è stato firmato il decreto che sancisce formalmente la trasformazione del carcere circondariale di Pontremoli in istituto penale minorile; nei prossimi mesi sarà possibile dare esecuzione al decreto per avviare la struttura all’operatività".

Il carcere di Pontremoli è stato oggetto di numerose polemiche: una piccola struttura, sempre completamente vuota, il cui massimo affollamento è stato raggiunto, nell’estate 2006 con 15 detenute e 27 guardie penitenziarie. L’ultima detenuta fu trasferita nell’estate 2007.

Attualmente il carcere è deserto: anche gli impiegati sono stati da tempo trasferiti negli uffici del carcere di Massa (da cui la struttura pontremolese dipende). Nella ex prigione lunigianese vi sono soltanto poche guardie adibite alla sorveglianza della struttura e delle celle vuote. Tra le varie ipotesi per la riconversione del carcere di Pontremoli, si è anche parlato di una sezione maschile di semilibertà oltreché di un carcere per detenuti transessuali.

Aosta: Domenico Minervini è nuovo direttore casa circondariale

 

Ansa, 12 marzo 2010

 

Dal 14 gennaio scorso Domenico Minervini è il direttore della casa circondariale di Brissogne (Aosta). È quanto riportato in una nota del sindacato Sinappe nella quale si sottolinea che "la notizia non solo anima i cuori di chi lavora all’interno dell’istituto valdostano, ma tranquillizza anche la popolazione detenuta che adesso sa che la figura del direttore non è una figura fantasma, all’interno del carcere di Brissogne, ma una figura che ottempera ai suoi doveri".

"Purtroppo - prosegue il Sinappe - l’istituto di Brissogne è stato lasciato per lungo tempo all’andirivieni di direttori, che venendo in missione per brevi periodi, non hanno saputo, potuto o voluto amministrare tale istituto lasciandolo allo sbando". Minervini, proveniente dalla Casa Circondariale di Asti, "già da subito ha cercato di fare il punto della situazione sia con il personale che con la popolazione detenuta: malgrado la situazione perdurante di cronico sovraffollamento, con l’organizzazione anche sperimentale che sta via via attuando la direzione all’interno dell’istituto valdostano, si comincia a respirare un’aria meno greve".

Inoltre è stato aperto un tavolo di confronto con i sindacati locali, "addivenendo in primis ad una riorganizzazione del lavoro per quanto riguarda il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria, tra l’altro attesa da tempo".

Pavia: progetto di Asl e Regione per "un lavoro oltre il carcere"

di Anna Ghezzi

 

La Provincia Pavese, 12 marzo 2010

 

I carcerati e le loro famiglie al centro di una rete e di un progetto di oltre 700mila euro, cofinanziato per quasi 400mila dalla Regione che coinvolgerà parte degli oltre mille detenuti di Torre del Gallo e delle carceri di Voghera e Vigevano, quelli agli arresti domiciliari e gli affidati. L’ente capofila è l’Asl di Pavia, poi il Convoglio per l’area adulti e Arimo per i minori. "Costituiremo un osservatorio sul carcere e le realtà che ruotano intorno e creeremo imprese artigiane non esclusivamente composte da carcerati - spiega Sergio Contrini, presidente dell’azienda di Servizi alla persona e della Cooperativa Il Convoglio.

Inoltre cercheremo enti come banche e fondazioni che permettano di continuare il progetto anche oltre il termine dei finanziamenti pubblici". In provincia manca un punto di riferimento per chi voglia sapere cosa già esiste o si è fatto per il carcere, una sorta di archivio dei soggetti coinvolti e dei progetti attivati, dei luoghi a disposizione per le misure alternative al carcere e i soggetti disponibili ad assumere i carcerati.

Con i 370mila euro finanziati dalla Regione, a cui si sommano i 180mila euro di cofinanziamento si porteranno avanti, oltre all’osservatorio, attività nei carceri con l’ex Centro di Formazione Professionale (ora Apolf, Azienda provinciale per l’orientamento il lavoro e la formazione), l’Officina Lavoro di Buccinasco e Timanifesta di Giussago, mentre per i minori l’ente responsabile è la Cooperativa Arimo.

Ma la rete di solidarietà si estende ben oltre: per Pavia collaborano anche la Cooperativa Domdoca, Il Convoglio, e il centro di formazione Castelli; per Vigevano lavoreranno Caritas, Cooperativa Famiglia Ottolini, associazione Oltremare e Oykos; infine, per Voghera, gli Aironi e la cooperativa 381. A Pavia Domdoca potenzierà la falegnameria interna, e si potranno assumere altri detenuti, la Castelli porterà all’interno di Torre del Gallo uno sportello per l’orientamento e l’inserimento lavorativo, l’Apolf proseguirà i corsi di formazione e si dedicherà agli agenti di polizia penitenziaria.

Il Convoglio, invece, oltre alla panetteria e le riparazioni fuori dalla stazione dei treni, potenzierà il servizio di housing nella struttura di Fossarmato, che può ospitare fino a 8 carcerati: "Ospita chi, uscito dal carcere, si trova senza casa, che sono la maggioranza - spiega Contrini -, ma permette anche di usufruire delle misure alternative e permette agli stessi di avere uno spazio esterno dove usufruire dei permessi premio: spesso infatti abitano troppo lontano per tornare a casa in quei giorni". Infine Timanifesta ristrutturerà un immobile per accogliere altri 10 carcerati. A Vigevano si svilupperanno corsi di sartoria per le donne, un altro housing sociale e le borse lavoro, mentre a Voghera si punterà sui corsi per archivisti e l’accompagnamento lavorativo.

Perugia: Pdl; interrogazione, subito gli interventi per il carcere

 

La Nazione, 12 marzo 2010

 

Il senatore Domenico Benedetti Valentini ha presentato una formale interrogazione al ministro della giustizia, Angelino Alfano, riguardante il carcere di Capanne. Tre, essenzialmente, i punti indicati da Benedetti Valentini: l’esigenza di un rinforzo quantitativo del personale, la necessità del ripristino delle parti lesionate dal terremoto, il completamento e l’attivazione del Centro Clinico. "Tre criticità importanti - è scritto in una nota - che rischiano di compromettere l’alto livello di efficienza e funzionalità della moderna struttura, assicurato ancora dalla direzione e dal personale preposto".

"Parti importanti della struttura, per quanto realizzata in tempi recenti, risultano danneggiate dal sensibile terremoto che nei mesi scorsi ha funestato la zona - scrive il senatore -, si è dovuto ricorrere ad armature di emergenza e dichiarazioni di inagibilità di ampi locali, con la conseguenza che questi risultano sottratti alle molteplici attività ritenute invece essenziali ad una corretta gestione e alle molte attività realizzabili della popolazione detenuta".

Poi c’è "l’insufficienza quantitativa del personale di polizia penitenziaria, già evidente e più volte lamentata", che "è diventata una vera emergenza con l’invio al carcere di Capanne di cospicui flussi di detenuti provenienti da altre strutture detentive, di cui è risultato necessario lo sfollamento, tanto da spingere la direzione e le organizzazioni di categoria ad invocare, in attesa di una reale copertura dell’organico, almeno la destinazione a Perugia di un rinforzo di urgenza di qualche decina di unità".

Infine si parla del "già realizzato Centro Clinico, tale da aver comportato rilevanti investimenti, nella maggior parte inattivo sia perché si è innestato un contenzioso tra Stazione appaltante e Impresa esecutrice che ha bloccato l’ultimazione, sia perché la Asl perugina, dopo il trasferimento alla Regione e alle Asl dei compiti della sanità carceraria, non mostra intenzione di voler assumere effettivamente e concretamente la gestione del servizio ed il relativo onere. Laddove il Centro Clinico potrebbe rappresentare un vanto di funzionalità per tutta l’Amministrazione, una risorsa straordinaria al servizio di tutti e quattro gli istituti detentivi dell’Umbria se non addirittura di altri extraregionali, una leva preziosa di risparmio di denaro pubblico, mezzi e personale - è detto - langue nell’inattività".

Reggio Emilia: l'Opg chiude entro 2012, pazienti a Castelfranco

 

Il Resto del Carlino, 12 marzo 2010

 

Entro il 2012 gran parte delle persone ricoverate all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia verranno trasferite a Castelfranco, in provincia di Modena, in una struttura sanitaria gestita dall’Ausl. Questo è il risultato di un accordo stipulato tra la Regione Emilia-Romagna e l’amministrazione penitenziaria che prevede una graduale sanitarizzazione delle persone ricoverate nell’Opg, fino a raggiungere la chiusura della struttura, che verrà utilizzata per i detenuti comuni.

"Attualmente abbiamo già tre reparti in cui gli agenti sono stati sostituiti da operatori Ausl - spiega Mario Tafuto, vicesegretario provinciale del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria - L’obiettivo è quello di spostare i pazienti in strutture più idonee gestite interamente dalle aziende ospedaliere. Il progetto prevede che rimanga aperto un reparto dove resteranno le persone potenzialmente pericolose". Nell’Opg sono presenti 281 pazienti più 61 che usufruiscono di licenze. "Al momento non sappiamo ancora - precisa Tafuto - quante saranno le persone trasferite a Castelfranco".

Busto Arsizio: la Festa del papà, organizzata anche nel carcere

 

Varese News, 12 marzo 2010

 

Come l’anno scorso, anche questo 19 marzo l’istituto di Busto organizza un pomeriggio per le famiglie delle persone detenute. In occasione della festa del papà, venerdì 19 marzo, anche quest’anno la direzione della Casa circondariale di Busto Arsizio promuove un’iniziativa dedicata ai papà-detenuti e ai loro bambini. Un pomeriggio insieme in un clima e in un ambiente diverso da quello dei colloqui settimanali, un momento di festa in cui i nuclei familiari possono riunirsi attorno ad un tavolo, fare merenda e giocare insieme (nella foto, un momento della festa organizzata l’anno scorso).

Nella palestra addobbata per l’occasione, saranno organizzati tornei, allestiti spazi di gioco, tavoli per colorare, nel tentativo di offrire un momento di quotidiana allegria alle famiglie. La centralità sarà data al "giocare insieme" per risvegliare la dimensione ludica fondamentale nel rapporto genitore-figlio, momento di crescita, apprendimento, condivisione.

Animatori della festa saranno i detenuti del gruppo di teatro, che da giorni pensano ed organizzano giochi, gare e scenette, con grande entusiasmo e senso di responsabilità per la buona riuscita della festa che colgono come momento speciale per spendersi per le proprie famiglie, ricordarsi che continuano ad essere padri nonostante la detenzione, e dimostrare di saper fare qualcosa di bello per i propri cari.

Torino: "Astuzia del muro", teatro-carcere 20 detenuti in scena

 

Redattore Sociale, 12 marzo 2010

 

Successo per lo spettacolo andato in scena ieri alla casa circondariale "Lorusso e Cutugno" di Torino. Il direttore Buffa: "È stata la migliore rappresentazione di questi anni".

Venti persone, venti attori. Visi segnati, bei visi, le corporature sono diverse, diversi i caratteri. Ognuno, a modo suo si esprime, e sempre efficacemente. "Quest’anno, per la prima volta, fra loro non ci sono professionisti", dice il regista, Claudio Montagna, prima dello spettacolo "Astuzia del Muro" andato in scena ieri alla Casa Circondariale "Lorusso e Cutugno" di Torino.

Montagna è comprensibilmente teso: "È uno spettacolo difficilissimo", ripete come un mantra, sicuro però che tutto andrà per il meglio (come in effetti avverrà). La maggior parte degli attori è alla prima esperienza teatrale, sono i detenuti della VI sezione del padiglione A, una sezione destinata particolarmente alle persone sieropositive e caratterizzata da un regime trattamentale avanzato. Montagna da quindici anni lavora nel sociale e dentro il carcere di Torino. "È difficile perché hanno dovuto imparare quasi tutto a memoria- dirà alla fine dello spettacolo - cosa non facile per chi non è abituato".

"La creazione dello spettacolo avviene dopo mesi di lavoro - raccontano gli organizzatori - coloro che rimangono dall’inizio alla fine sono i pochi testimoni dell’intero allestimento e garantiscono continuità e omogeneità alle idee di fondo". È un modo per esprimersi per chi sta in cella, per raccontarsi, una "scelta di ricorrere a un linguaggio straordinario e potente, per proporre a un pubblico un apporto di pensieri altrimenti difficili da esprimere. Uno dei modi possibili per i detenuti per ricominciare a fare la propria parte nel patto con la società".

"Si è fatto il miracolo questa sera - ha affermato Pietro Buffa, direttore del carcere al termine della prima, che ha avuto luogo ieri - c’era molta tensione all’inizio, invece è stata la migliore rappresentazione di questi anni". "Il tema? difficilissimo". È quello del muro, del sogno, in un dialogo ideale fra chi sta dentro e chi sta fuori. La difficoltà dell’affrontare la vita. "Alcuni scelgono la via più difficile e finiscono qui". Di cosa si parla in cella? Di rapine, di donne, della famiglia, al muro. Che la riflessione serva anche a chi sta fuori, al pubblico, ai cittadini, "sia da una parte che dall’altra - ha concluso - perché la città rimanga vicino al suo carcere". Una città vicina, che partecipa: 300 persone non riusciranno ad entrare in questo ciclo di spettacoli, tanta è alta l’affluenza di pubblico. Le date successive, tutte sold out, il 12, 15, 17, 19 marzo.

Libri: "Diritti e castighi", storie d’umanità cancellata in carcere

di Severino Diamanti

 

Gazzetta di Sondrio, 12 marzo 2010

 

Molto interessante è stato l’incontro tenutosi a Sondrio il 10 Marzo con la direttrice del carcere di Bollate dott. Lucia Castellano. La prima cosa interessante è stata che la Castellano non ha tenuto una conferenza ma ha risposto alle domande degli organizzatori e del numeroso pubblico presente.

Perché "Diritti e castighi" semplice ci ha spiegato perché il castigo che il comportamento delittuoso ha causato deve esserci ma l’espiazione deve concretizzarsi nel rispetto dei diritti riconosciuti ad ogni persona umana.

Il sottotitolo: "Storie di umanità cancellata in carcere" che l’editore voleva dare come titolo al libro alla Castellano era sembrata troppo forte ed è riuscita a far prevalere l’attuale.

Io però che non ho nessuna soggezione burocratica ho usato il sottotitolo. La Castellano ha ricordato che un direttore di carcere che aveva commentato un’evasione con l’affermazione: "il detenuto ha il diritto ad evadere" era stato radiato.

La relatrice ha cercato di dimostrare che la pena non può essere contraria al senso umano; che la pena consiste solo nella privazione della libertà; che la legge che regola la vita del carcere è una legge molto ben fatta; che il crimine rimane fuori la porta del carcere ed all’interno ci sono solo "persone" ed infine che il carcere deve essere un luogo di rieducazione. Ha cercato di dimostrare ma, secondo me, non c’è riuscita affatto. Incalzata dalle domande di chi aveva letto il libro o di che conosce la vita carceraria ha dovuto convenire che anche in una realtà come Bollate i problemi sono infiniti.

La sperimentazione di Bollate dura da otto anni: sicuramente si tratta di un processo troppo lungo. Avrebbe dovuto già produrre cambiamenti anche a livello nazionale. La legge del 1975 l’ha definita ottima ma ha anche aggiunto: "una legge che immagina un carcere".

Quando si parla di popolazione carceraria, l’immaginario collettivo pensa a persone che hanno commesso dei reati. Questa visione non corrisponde alla realtà.

La polizia penitenziaria, i tecnici, i cappellani, la società civile sono tutti dentro le mura del carcere. La loro convivenza è altamente difficile. La qualificazione degli operatori penitenziari, nel tempo, è cresciuta enormemente ma non ha ottenuto i dovuti riconoscimenti. Di questo la polizia penitenziaria ne soffre.

A Bollate si è cercato di responsabilizzare i detenuti. Non è possibile pensare alla loro rieducazione senza farli partecipi alle decisioni. La Castellano ha fatto un bel paragone: "se vuoi che tuo figlio impari a camminare lo devi togliere dal girello"; devi affrontare il rischio che finisca a terra".

Il tentativo non è stato ben visto dalla polizia penitenziaria che deve limitarsi alla sorveglianza, crea problemi non indifferenti e, forse, la troppa libertà concessa ai detenuti permette che i più "forti" abbiano il sopravvento. Alla domanda: perché ha definito il carcere come "Narciso" la Castellano ha risposto che il carcere è autoreferenziale. Ha i suoi ritmi, i suoi orari, i suoi rituali e tutti i servizi, la società civile, gli operatori esterni si devono piegare a questa ritualità quotidiana. Questo oltre ad essere un problema non è educativo

Il carcere, come una scuola, dovrebbe essere nella città, dovrebbe condividere i tempi della città. Nel carcere invece di esserci una divisione di ruoli: direttore, polizia penitenziaria e detenuti si registra una contrapposizione tra poliziotti e detenuti. I detenuti sono falsamente ossequiosi. Il pericolo di perdere il beneficio di uscire 45 giorni prima li rende molto attenti nei rapporti con i loro custodi e molto distratti sugli avvenimenti interni.

In "Diritti e castighi" la Castellano "attraverso le voci dell’umanità cancellata" racconta la realtà esistente all’interno delle mura. La politica non può continuare a "rassicurare" i cittadini "immaginando" un carcere che non esiste.

È inutile istituire figure come il "garante" se non gli si danno adeguati poteri. C’è già il giudice di sorveglianza. Se un magistrato non è in grado di applicare le leggi e non tradurre in un carcere, dove non ci sono posti disponibili, un detenuto cosa potrà fare mai un "garante" ? La politica non può continuare a risolvere il problema dell’immigrazione con le "farsesche" espulsioni ed il problema dei drogati non istituendo servizi adeguati per l’accoglimento ed il recupero. Affrontare il problema del sovraffollamento con annunci di costruzione di nuove strutture o, peggio ancora con indulti è irresponsabile.

La Castellano ha concluso la bella serata ricordando un colloquio con un detenuto nel carcere di Secondigliano: "song e ccà fore (vivo alle "Vele" proprio fuori il carcere). Il problema carcerario è fuori quando detenuti non recuperati rientrano nella società. È interesse di tutti che il carcere sia il luogo "immaginato" dalla legge del 1975. Non può "rassicurare" nessuno un carcere che non riesce a svolgere la sua funzione. Il paradosso finale racchiude tutta la serata e, secondo me anche il pensiero della relatrice. Suggerisce Lucia Castellano: "allo stato delle cose sarebbe più "umano" infliggere al colpevole come pena 5 frustate che arrestarlo ed inviarlo nei luoghi di detenzione italiani".

La mia conclusione è che da domani guiderò con maggiore prudenza. Non vorrei finire a Bollate, in attesa di giudizio, per aver investito qualcuno: "io speriamo che me la cavo".

Immigrazione: clandestini espulsi anche se hanno figli a scuola

di Vladimiro Polchi

 

La Repubblica, 12 marzo 2010

 

Sentenza della Cassazione. L’ok del Governo, il no del Vaticano. Smentito un verdetto della Suprema Corte del gennaio scorso.

Gli immigrati irregolari vanno espulsi, anche se hanno figli minorenni che frequentano la scuola. La Cassazione torna sui suoi passi: la legalità delle frontiere prevale sulle esigenze di tutela del diritto allo studio dei minori. La Suprema Corte corregge se stessa, tra il plauso della maggioranza e le critiche di opposizione, Vaticano e sindacati.

La Cassazione - con la sentenza 5856 - ha respinto il ricorso di un immigrato irregolare albanese, con moglie in attesa della cittadinanza italiana e due figli minori, residente a Busto Arsizio. Myrtja chiedeva l’autorizzazione a restare in Italia in nome del diritto al "sano sviluppo psicofisico" dei suoi bambini.

Per i supremi giudici, invece, è consentito agli irregolari la permanenza in Italia per un periodo di tempo determinato solo in nome di "gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore se determinati da una situazione d’emergenza". Mentre la frequenza della scuola da parte dei minori è situazione di "essenziale normalità".

Se così non fosse, si finirebbe per "legittimare l’inserimento di famiglie di stranieri strumentalizzando l’infanzia". Con questa pronuncia, la Cassazione corregge una sua precedente decisione (sentenza 823 del 20 gennaio scorso) che aveva dato il via libera alla permanenza in Italia di un padre benché irregolare, definendola "riduttiva in quanto orientata alla sola salvaguardia delle esigenze del minore".

La sentenza della Suprema Corte incassa il plauso del governo. "Il nostro sistema d’istruzione ha sempre incluso e mai escluso e le colpe dei genitori non possono ricadere sui figli - commenta il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini - non si può però giustificare chi utilizza i bambini e li strumentalizza per sanare situazioni di illegalità". "La Cassazione - gli fa eco il ministro per la semplificazione normativa, Roberto Calderoli - con questa sentenza ha ristabilito lo stato di diritto in questo Paese". Si smarca invece Souad Sbai (Pdl) perché la decisione "mette i minori in gravi condizioni di disagio".

Critiche arrivano dall’opposizione e dal mondo cattolico. Per Livia Turco, presidente del Forum Immigrazione del Pd, "le tutele dei minori nel nostro Paese vanno rafforzate e non indebolite". La sentenza della Cassazione non convince neppure Claudio Fava e Nichi Vendola (Sinistra Ecologia e Libertà), Antonio Borghesi (Idv), Cristina Morelli (Verdi), Savino Pezzotta (candidato dell’Udc in Lombardia), Paolo Ferrero (Federazione della Sinistra). Critici anche la portavoce in Italia dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati Laura Boldrini, don Luigi Ciotti, Save the children, Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Sei-Ugl, Acli. No anche del segretario del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti, monsignor Agostino Marchetto, perché "si deve tenere presente, anche nella situazione di irregolarità, quella che è la realtà dell’educazione dei figli".

Immigrazione: l’Onu; nei campi rom è come nel terzo mondo

di Cinzia Gubbini

 

Il Manifesto, 12 marzo 2010

 

"La visita di oggi nel campo rom abusivo mi ha molto disturbata. Per un attimo, mi è sembrato di trovarmi in uno dei paesi del terzo mondo e non in un paese ricco, anche di storia, come l’Italia". Navi Pillay, Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, che ieri ha concluso la sua prima visita ufficiale in Italia - invitata dalla Commissione per di diritti umani del Senato - aveva il viso piuttosto turbato ieri mattina nel campo rom ( se così si può chiamare) di via Marchetti a Roma.

Un posto che non viene visualizzato neanche sulle mappe di Google. Non è che si trovi in un posto irraggiungibile: siamo nei pressi di Fiumicino, proprio di fronte c’è il centro direzionale dell’Alitalia, una cittadella fortificata dove lavorano centinaia di persone a giudicare dalle auto parcheggiate. Solo che, esattamente dall’altra parte della strada, spuntano una quarantina di baracche costruite con i soliti mezzi di fortuna, e soprattutto una quantità impressionante di bambini.

Come Sergio, Valerio, Matteo, Alicia, Giuliana, e Costantino, un bimbo di due anni con la faccia serissima, che quando viene preso in braccio da Navi Pillay si contorce per tornare da sua madre. Sono tutti nati in Italia, con nomi orgogliosamente italiani. Nessuno di loro però è cittadino e pochissimi vanno a scuola. Sono figli degli ultimi degli ultimi, che però vivono da quarant’anni in Italia.

La Commissaria strabuzza gli occhi quando si avvicina Nemad Souleymanovic. In tasca ha una sentenza della Corte europea dei diritti umani. Una storia lunghissima la sua, che è finita tra queste baracche. Nemad e la sua famiglia (quattordici figli) furono espulsi quando a governare Roma c’era il sindaco Francesco Rutelli, che voleva risolvere il problema rom con il pugno duro. Così una notte furono caricati su un aereo diretto in Bosnia i Souleymanovic, compresa l’ultima figlia affetta dalla sindrome di down e costretta su una sedia a rotelle.

Rientrarono in Italia dopo due anni, grazie al ricorso presentato dalla Comunità di Sant’Egidio alla Corte europea. Sant’Egidio continua a seguirli e sono stati proprio loro a organizzare ieri la visita al campo. Nemad racconta tutta la storia e le mostra un pezzo di antiquariato: il passaporto jugoslavo in cui c’è la sua foto da bambino: "Quando mi hanno cacciato era così, e non parlavo neanche una parola di bosniaco".

Dopo la sentenza, però, non è cambiato nulla: "Viviamo come topi, non abbiamo acqua, abbiamo difficoltà a inserire i nostri figli a scuola perché ovunque andiamo veniamo considerati abusivi". "Sono contenta di essere qui ad ascoltarvi di persona - dice Pillay - perché mi hanno detto cose diverse su di voi: che siete nomadi e non volete far istruire i vostri figli".

Applausi e saluti per Pillay, che prosegue il suo viaggio nel mondo rom italiano nel campo di via Candoni. Uno di quei campi attrezzati - ci vivono cittadini rumeni e bosniaci - in cui in questi anni è stato possibile (non senza fatica) costruire percorsi sia di autogestione - anche se adesso all’ingresso è arrivata la vigilanza - che di inserimento lavorativo.

Per la Commissaria è stata preparata un’accoglienza di tutto rispetto: altoparlanti, sedie e tavoli, e la presenza del Comune di Roma nella persona dell’assessore alle Politiche sociali Sveva Belviso. Non è particolarmente audace farsi trovare nel campo dove tutto più o meno funziona - per quanto il progetto Candoni abbia subito qualche scossone proprio dalla decisione del sindaco Alemanno di trasferire qui un centinaio di rom dopo la chiusura di Casilino 900, riducendo ancora di più gli spazi vitali. Ma Navi Pillay la sa lunga, e nella conferenza stampa del pomeriggio dirà: "C’è la tendenza a far prevalere le questioni di sicurezza, e non condivido la decisione di spostare i rom dai campi abusivi a quelli attrezzati, perché questa è una politica che continua a isolarli, precludendo di fatto la possibilità di trovare lavoro".

Prima di ripartire l’Alto Commissario ha anche censurato i respingimenti verso la Libia decisi dal governo italiano. E ha sottolineato che seguirà gli sviluppi della sentenza della Cassazione "perché desta molta preoccupazione l’espulsione di persone con figli minori".

Usa: pena di morte; 31enne giustiziato in Texas, uccise sceriffo

 

Ansa, 12 marzo 2010

 

Joshua Maxwell, un uomo di 31 anni condannato a morte per l’omicidio di uno sceriffo aggiunto avvenuto nel 2000 a San Antonio, è stato giustiziato in Texas tramite iniezione letale. Lo rendono noto le autorità penitenziarie. La morte è avvenuta alle 18.27 di ieri ora locale (00.27 di oggi in Italia), nove minuti dopo l’inizio dell’iniezione, hanno spiegato dal penitenziario di Stato. Si tratta della quarta esecuzione in Texas dall’inizio dell’anno, la 451/a dalla reintroduzione della pena di morte nel 1976. Il Texas è lo Stato che ha eseguito più condanne capitali negli Usa.

Svizzera: internato in Alta sicurezza dà fuoco alla cella e muore

 

Ansa, 12 marzo 2010

 

Un uomo detenuto negli stabilimenti penitenziari di Orbe (VD) è morto la notte scorsa dopo aver appiccato il fuoco nella sua cella di alta sicurezza. Poche ore prima il prigioniero aveva ripetutamente minacciato di morte il personale. Verso la una del mattino il detenuto - uno svizzero di una trentina d’anni - ha fatto sapere ai secondini di aver appiccato il fuoco nella cella. Gli agenti sono riusciti a spegnere l’incendio ma sono stati aggrediti dal detenuto che si è mostrato particolarmente violento, precisa la polizia. Gli agenti si sono allora limitati a ventilare la cella e a sorvegliare il prigioniero. Un’ora e mezza dopo "sono finalmente riusciti a penetrare nella cella", precisa la polizia. Nonostante l’intervento di un medico, di una squadra sanitaria e un tentativo di rianimazione, l’uomo è morto mezz’ora dopo. Un’inchiesta penale è stata aperta per chiarire le circostanze del dramma. L’uomo era stato condannato per vari reati, fra i quali incendio intenzionale. La sua pena era stata trasformata in internamento di durata indeterminata.

Cina: arbitri di calcio corrotti internati in campi di rieducazione

 

Ansa, 12 marzo 2010

 

Oltre duecento ufficiali del calcio cinese, tra arbitri e impiegati, sono stati inviati al "Campo di rieducazione anti-corruzione" dopo lo scandalo che ha investito il campionato nazionale nei giorni scorsi. Secondo quanto riportato dal Beijing Youth Daily, i partecipanti al campo, che avrà la durata di cinque giorni, dovranno seguire corsi e lezioni anti-corruzione e dovranno alla fine anche sostenere un esame.

"La rieducazione degli arbitri - ha detto Wei Di, capo dell’Associazione Football cinese (CFA) - è una parte importante della campagna anti corruzione in corso". Agli arbitri verrà data anche la possibilità di confessare eventuali errori commessi in passato. "Se qualcuno di loro ha fatto qualcosa di sbagliato - ha proseguito Wei - dovrà immediatamente restituire il denaro percepito illegalmente. Spero che possano confessare di propria iniziativa per non perdere la possibilità di salvarsi".

Gong Jianping, l’unico arbitro ad aver ammesso di aver pilotato una gara fu condannato nel 2003 a dieci anni di carcere per poi morire mentre era detenuto, 18 mesi più tardi. Anche il predecessore di Wei, Nan Yong, e l’ex capo della commissione arbitri, Zhang Jianquiang sono tra i venti (tra arbitri, allenatori e giocatori) arrestati per corruzione negli ultimi mesi.

 

 

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