|
Giustizia: suicidi in carcere, vittime di una "strage annunciata" di Igor Jan Occelli
www.giornalettismo.com, 11 marzo 2010
Padova dal doppio volto, quello della crisi, quello dell’ultimo morto, ucciso dalla prigione. La morte entra lenta. Lenta, lentissima. Figlia di sofferenza, rifiuti, sbagli. Arriva dentro quattro mura. Quattro mura che non lasciano spazio agli occhi, alla voce, al corpo, stretto in uno spazio troppo angusto per chiunque. Arriva la morte e accoglie di sorpresa solo chi di sorprese vuol vivere. Arriva la morte, figlia dell’indifferenza. Arriva la morte e ha i segni e le tracce di un bollettino di guerra. Numeri - Tredici ne conta da questa settimana. Tredici, il numero che non compare negli ascensori americani, lì simbolo della sfortuna più nera. Tredici sono diventati con Giuseppe Sorrentino. L’hanno trovato senza più vita, appeso a una corda che si era legato stretto intorno al collo. A una corda appesa a una finestra, l’unico appiglio alto e stabile in quel bagno del carcere di Padova. Tredici diventano con lui i detenuti in carcere che hanno scelto di togliersi la vita dall’inizio dell’anno. Per tutti una storia di sofferenza, sbagli, a volte da una parte, a volte da un’altra, ma sempre di sbagli si parla. Stavolta, per l’ennesima volta, si parla di "una morte annunciata". Bianca De Concilio, l’avvocato che assisteva Sorrentino, è certa di questo. "Avevamo fatto numerose istanze di sospensione della pena", ha raccontato il legale, "chiesto il ricovero in ospedale, il trasferimento ad un carcere più vicino alla famiglia, ma nessuno ci ha ascoltato. Anzi un mese e mezzo fa il direttore sanitario del carcere di Padova in una relazione su Sorrentino scrisse: "il detenuto non è malato, finge". A scoprire il corpo di Giuseppe sono stati gli altri detenuti. Hanno chiamato i soccorsi, hanno gridato aiuto, ma era già troppo tardi. Tredici oggi ne conta il calendario. Tanti, tantissimi. A tenere il conto ci pensa l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. Per questo, è il sovraffollamento la causa principale che spinge a togliersi la vita, l’invisibilità a cui vanno incontro i detenuti, il fatto che all’esterno nessuno parli di loro. Solo così si può spiegare chi decide di farla finita a pochi mesi dalla fine della pena. Solo così si può dare un senso a un gesto estremo quando a farlo è chi è dentro per reati minori. Dei tredici, infatti, solo tre erano condannati a una pena lunga. "Il fatto che si siano tolti la vita", ha denunciato l’Osservatorio, "è colpa delle condizioni carcerarie, gravate da sovraffollamento, assenza di attività trattamentali e negazione di ogni dignità umana". Vana speranza? - Molti detenuti reagiscono a questa cosa presentando ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Provano a far applicare l’articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell’uomo: "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti". E non c’è dubbio che la situazione delle carceri italiane sia degradante: ci sono 66 mila detenuti, a fronte di una capienza massima di 44 mila. A volte si registrano situazioni limite: il carcere di Brescia può ospitare 206 posti, ce ne sono più di 500. Ogni detenuto passa dalla 20 alle 22 ore al giorno in uno spazio inferiore ai 2 metri quadri. Per capire cosa vuol dire bisogna usare l’immaginazione. Dividere lo spazio e mettersi dentro: sarebbe come passare tutto quel tempo su uno spazio poco più grande di un letto. Un letto singolo. "La condizione negli istituti di pena è assolutamente invivibile", ha spiegato Stefano Anastasia, difensore civico dei detenuti dell’associazione Antigone. "Salvo gli sforzi di alcune amministrazioni, il sovraffollamento è una realtà drammatica". Intanto mentre dentro le mura del carcere di Padova Giuseppe Sorrentino prendeva la sua decisione, fuori altri meditavano di seguire il suo gesto. Altri, fino a poco tempo fa insospettabili. Liberi professionisti, imprenditori, commercianti, a cui la crisi ha spazzato via ogni sogno. Qui, in Veneto, nel Nord Est, nella locomotiva d’Italia, più di uno di loro ha deciso di farla finita. Debiti, stipendi da pagare, fallimenti, hanno portato alla disperazione chi prima trainava il Belpaese. Ma Padova non lascia soli i suoi figli. La Camera di Commercio ha deciso di offrire un sostegno a chi passa questo brutto periodo: un call center dove operano 6 giovani consulenti laureati in psicologia del lavoro. Lì, pronti ad offrire il proprio supporto. Per gli altri, quelli che stanno dentro, ci sono associazioni e volontari che cercano di stargli accanto. Ma loro non possono fare più di quello che già fanno. Non posso costruire muri o allargare quelli già esistenti. Possono solo sperare che qualcuno si ricordi degli altri, degli invisibili. E sperare che il numero quattordici si presenti il più tardi possibile. Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena
Pagina di Radio Carcere su Il Riformista, 11 marzo 2010
Il sovraffollato carcere di Sanremo. Caro Arena, ti scriviamo in quanto qui nel carcere di Sanremo siamo ormai giunti alla disperazione a causa del sovraffollamento. Infatti siamo arrivati al punto che dentro ad una piccola cella siamo costretti a viverci in otto detenuti. Otto detenuti costretti a restare chiusi in questa piccola cella per 21 ore al giorno. Ti assicuro che c’è da impazzire a vivere così! Una cella la nostra non solo sovraffollata, ma dove è a rischio anche l’igiene personale. Considera, per esempio, che è da più di un anno che abbiamo lo scarico del bagno rotto e quando facciamo i bisogni siamo costretti a usare una bacinella. Inoltre il vitto che ci danno è immangiabile, la cucina è invasa dai topi e addirittura qualcuno del personale addetto alla cucina del carcere è stato portato in infermeria perché gli hanno riscontrato la scabbia. Già la scabbia, una malattia dimenticata fuori, ma ben radicata qui. Per il resto nel carcere di Sanremo non c’è nulla per noi detenuti. Né la possibilità di imparare un lavoro o di lavorare, che sarebbe tanto utile, né la possibilità di essere seguiti con costanza dall’educatore. Noi speriamo tanto che il nostro grido venga ascoltato da qualcuno, perché viviamo nel più completo abbandono e nella più assoluta disperazione.
Salvatore, Giuseppe e Piergiorgio dal carcere di Sanremo
A Lecce: in cella senz’acqua. Cara Radiocarcere, siamo tre detenuti del carcere di Lecce, un carcere gravemente sovraffollato e che ha tanti problemi. Ma uno dei problemi più gravi che abbiano è l’acqua. Devi sapere infatti che per 4 volte al giorno dai rubinetti delle nostre celle l’acqua non esce più. Addirittura manca l’acqua anche per scaricare il water, il che ci impedisce spesso di fare i nostri bisogni per evitare di far diventare la nostra cella un vero porcile. Poi, anche quando l’acqua esce dal rubinetto della nostra cella, questa non si può assolutamente bere. Si tratta infatti di acqua non potabile, che emana cattivo odore ed è di un colore indescrivibile. Purtroppo noi, stando chiusi in cella, non abbiamo molte alternative e con quest’acqua ci dobbiamo lavare e ci dobbiamo anche cucinare in cella. Non è facile vivere così ed inoltre non è giusto, visto che non è il modo corretto per farci pagare le nostre condanne. Infine devi sapere nel carcere di Lecce gli educatori non li vediamo mai, con la conseguenza che noi veniamo lasciati nel più completo abbandono. Un abbandono che riguarda tutti, chi ha un lavoro fuori e potrebbe avere una misura alternativa e chi è tossicodipendente e potrebbe scontare la sua pena in una comunità terapeutica. Vi ringraziamo per quello che fate.
Pasquale, Salvatore e Felice dal carcere di Lecce Napoli: suicida a Poggioreale, detenuto affetto da schizofrenia
Apcom, 11 marzo 2010
Angelo Russo, 31 anni, affetto da una grave forma di schizofrenia, era stato arrestato il 24 febbraio scorso febbraio con l’accusa di aver violentato una ragazza di 19 anni, mentre entrambi erano ricoverati in un Istituto di Igiene Mentale a Pozzuoli. Ieri sera si è impiccato nel carcere di Poggioreale. Salgono a 14 i detenuti suicidi dall’inizio del 2009, mentre il carcere si riconferma ancora una volta come "ricettacolo" di ogni forma di disagio sociale: una recente ricerca, realizzata dalla Simspe (Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria) ha rivelato che il 10% della popolazione detenuta è affetta da malattie mentali. Si tratta di oltre 6.000 persone: 1.533 internate nei 6 Opg (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e le altre recluse nelle sezioni per detenuti comuni. Russo era in carcere da meno di due settimane (formalmente indagato e non ancora rinviato a giudizio) sulla base di una presunzione di "pericolosità sociale", che è particolarmente difficile da definire quando una persona è affetta da patologie psichiche, poiché va innanzitutto valutata la sua "capacità di intendere e volere". Una volta escluso il "vizio totale di mente" - che impedirebbe la celebrazione del processo e la detenzione in regime ordinario, sostituita da una "misura di sicurezza" come l’internamento in Ospedale Psichiatrico Giudiziario - il detenuto malato mentale va comunque sottoposto a cure e attenzioni particolari, anche per evitare il rischio di suicidi e autolesionismi. Napoli: nel carcere di Poggiorale situazione è da terzo mondo di Giuseppe Crimaldi
Il Mattino, 11 marzo 2010
Il carcere di Poggioreale ancora sotto i riflettori. Dopo l’inchiesta pubblicata dal nostro giornale sugli sprechi e i disservizi legati a una struttura obsoleta, nella quale anche la Procura sospetta che la camorra continui a reclutare nuove leve, e dopo l’interrogazione parlamentare della senatrice Annamaria Carloni che ha chiesto al ministro Alfano chiarimenti sul rapporto riservato inviato al capo del dap Franco Ionta, l’attenzione si è soffermata sulle strutture cliniche del padiglione San Paolo. Ieri, dopo la denuncia del dottor Vittoriano L’Abbate (responsabile nazionale della Medicina penitenziaria) che ha parlato delle disfunzioni legate alla chiusura della sala operatoria (da due anni), sono intervenuti l’assessore regionale alla Sanità Mario Santangelo e Maria Grazia Falciatore, commissario dell’Asl Napoli 1. "Nonostante il problema delle sale operatorie presenti all’interno di Poggioreale e Secondigliano che sono chiuse - afferma Falciatore - i detenuti nella nostra struttura sono ben seguiti e curati, i disagi legati alle liste di attesa per gli interventi programmati sono gli stessi di quelli che incontra un normale cittadino. Oggi garantiamo la presenza quotidiana di specialisti e assicuriamo gli interventi di piccola chirurgia. E questo, nonostante le difficoltà economiche". Interviene anche il direttore del carcere di Poggioreale, Cosimo Giordano: "Dopo il primo periodo di assestamento, il passaggio delle competenze sanitarie alla Asl Napoli 1 sta dando ottimi risultati, grazie all’impegno e alla professionalità del personale sanitario che opera nel carcere. L’assistenza all’interno dell’Istituto è garantita con la presenza di un medico in ognuno dei dieci reparti, con un servizio infermieristico, 70 infermieri professionali, ed uno di guardia medica che operano sulle 24 ore". Garantisce invece l’intervento della Regione, teso ad una rapida soluzione della riapertura della sala operatoria di Poggioreale, l’assessore Santangelo. "Abbiamo già ricevuto l’ok del Provveditore regionale per il Dap della Campania - dichiara - e non ci dovrebbero perciò essere problemi per l’avvio dei lavori in tempi medio-brevi. È un importante progetto e un primo tassello di un più ampio intervento che dovrà poi riguardare la rivisitazione del piano ospedaliero regionale". Fa sentire la propria voice anche il segretario nazionale del Sappe, Emilio Fattorello, che si sofferma invece sul caso del vitto rifiutato da molti detenuti. "Gli sprechi esistono e sono enormi - dice - si preparano 2700 colazioni, pranzi e cene ogni giorno. Per la quasi totalità, questi pasti vanno a ingrassare i topi delle fogne, giacché non vengono accettati dai detenuti di Poggioreale. Il rifiuto del vitto non è dovuto alla qualità del cibo. Un carcere come quello di Poggioreale, costruito nel 1900, quando la pena aveva connotati afflittivi e retributivi non può essere, oggi, in linea con i princìpi che regolano l’esecuzione penale e con l’applicazione dell’ordinamento penitenziario nazionale. Se è vero che la civiltà giuridica di un paese si misura dallo stato delle sue prigioni, l’Italia per la situazione di Poggioreale dovrebbe essere paragonata a un paese del terzo mondo. I sistemi di sicurezza sono fuori uso o del tutto inesistenti. È tra queste difficoltà che va dato atto al direttore di Poggioreale, Cosimo Giordano, dell’impegno profuso nel tentativo di migliorare lo stato delle cose". Firenze: Caritas; kit generi alimentari a detenuti "nuovi giunti"
Asca, 11 marzo 2010
Un kit di generi alimentari di prima necessità da mettere a disposizione dei detenuti "in transito", quelli appena arrestati che non sempre nell’immediato riescono ad usufruire del vitto e di quanto necessario alla loro igiene personale. È il progetto messo a punto dalla Caritas diocesana di Firenze e dall’associazione Cesvot nel penitenziario di Sollicciano del capoluogo toscano. Scopo del progetto, in accordo con la direzione della Casa Circondariale di Sollicciano, è quello di consegnare a tutte le persone che vengono arrestate un kit contenente acqua, pane, biscotti secchi o cracker, scatoletta di tonno, formaggini, posate di plastica, tovagliolo di carta, un cambio di biancheria intima, sapone, dentifricio e spazzolino. I generi alimentari sono a bassa deperibilità e tengono conto delle prescrizioni proprie delle diverse fedi religiose. La confezione viene consegnata assieme agli altri generi che di norma vengono dati all’ingresso. "A Sollicciano - ha dichiarato Alessandro Martini, direttore della Caritas di Firenze - è nata l’idea di un progetto mirato e volto ad attenuare con generi essenziali e di conforto un momento delicato e particolarmente duro soprattutto per chi, magari per la prima volta e, non dimentichiamolo, non sempre avendo effettivamente commesso reati, si trova in una condizione psicologicamente ed emotivamente drammatica". Firenze: il Garante; disattenzione per l’Istituto penale minorile
Comunicato stampa, 11 marzo 2010
L’unico momento di attenzione è stato in occasione del suicidio del giovane detenuto Yassine. Neppure una tragedia come quella ha aiutato a risolvere i tanti problemi dell’istituto e a risolvere questioni aperte da molto tempo. Le responsabilità sono tante, ma ora dopo la discussione in Consiglio Comunale della mia relazione si può sperare che sul carcere minorile si possa operare con più facilità che su Sollicciano. Occorre garantire la fruizione dei corsi scolastici, avere la disponibilità di progetti per i corsi professionali e la presenza di educatori che facciano da ponte con la città. Il Meucci si trova nel centro di Firenze e le sue strutture, dalla chiesa al chiostro potrebbero essere un luogo di incontro per i cittadini. Ma la priorità assoluta ora è quella del sovraffollamento ingiustificato. A questo proposito ho scritto una lettera al direttore dell’istituto, dott. Fiorenzo Cerruto e al direttore del Centro di Giustizia Minorile, dott. Giuseppe Centomani, che riporto testualmente: "Da troppo tempo l’istituto soffre di una condizione di sovraffollamento anomalo e artificiale in quanto i giovani ospiti sono ristretti nel vero senso della parola in una sola sezione. La seconda sezione è rimasta chiusa per ragioni strutturali ma in realtà per mancanza di personale di polizia penitenziaria dovuta anche a un numero spropositato di distacchi ingiustificati. Sono convinto che questa situazione provochi gravi problemi anche sul piano trattamentale in quanto impedisce una differenziazione tra ospiti con differenti posizioni giuridiche e umane. La mia convinzione è che questa situazione vada risolta e superata rapidissimamente." Mi auguro che dal Dipartimento di Giustizia Minorile siano date immediatamente ai responsabili locali mezzi e strumenti per superare questa emergenza.
Franco Corleone Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze Messina: Opg Barcellona nel Piano carceri, verrà ristrutturato
La Sicilia, 11 marzo 2010
L’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona P.G. è salvo: rientrerà nel Piano Carceri". Ma all’Osapp non basta. Il vice-segretario Nicotra: "Serve un nuovo istituto penitenziario". L’Opg di Barcellona P.G. non chiuderà, ma anzi la struttura sarà ammodernata e rinnovata. Soddisfatta a metà l’Osapp, Organizzazione Sindacale autonoma Polizia Penitenziaria, che nei giorni scorsi si era mobilitata in difesa dei lavoratori e del mantenimento dell’importante centro psichiatrico che sorge nella città del Longano. In un comunicato, il vice segretario generale dell’Osapp, Domenico Nicotra, dice che, pur apprezzabile, il risultato ottenuto non è sufficiente. "Infatti - scrive Nicotra nel documento - si renderebbe necessario costruire a Barcellona P.G. un nuovo Istituto Penitenziario Circondariale o adibire parte dell’area attualmente destinata all’Opg a sezione circondariale. Questa soluzione secondo il rappresentante sindacale consentirebbe di risolvere definitivamente "i problemi legati al sovraffollamento della vicina Casa Circondariale di Messina". Nicotra fa inoltre sapere che, "qualora non dovessero arrivare risposte concrete" l’Osapp solleciterà "la popolazione barcellonese a scendere in piazza al fine di "sensibilizzare gli organi nazionali e regionali". Lodi: candidato Pd alle regionali incontra volontari e operatori
Il Cittadino, 11 marzo 2010
"La volontà è stata quella di prestare attenzione ad una realtà spesso nascosta. Ma che si trova nel cuore della città di Lodi. Ai detenuti e alla guardie ho voluto quindi esprimere la mia vicinanza". Sono state queste le prime parole del candidato regionale del Pd, Fabrizio Santantonio dopo la visita di ieri mattina alla casa circondariale del capoluogo. Quasi due ore d’incontro con la direttrice Stefania Mussio, con gli agenti di polizia penitenziaria e anche con i detenuti, per conoscere da vicino la situazione della struttura di via Cagnola. "È stato un momento educativo e per me molto importante - continua Santantonio - ho potuto apprezzare le tante realtà di volontariato di persone che prestano il loro impegno all’interno dell’edificio e i vari programmi che meritoriamente vengono promossi dalla direzione".Arrivato in carcere in veste di candidato del Pd per le elezioni regionali, l’esponente del centro sinistra ha parlato con gli operatori e con le diverse persone che all’interno della struttura stanno scontando una pena. "Nel giro che sto compiendo per incontrare tante esperienze del territorio, con le rappresentanze di associazioni e gruppi, credo che fosse necessario non dimenticare il carcere, una struttura che sorge proprio al centro di Lodi e su cui tra l’altro si stanno compiendo diversi lavori di ristrutturazione - ha rimarcato l’ex vice presidente della provincia - Dietro quelle mura del centro storico vengono ospitate diverse persone, per questo è necessario che negli appuntamenti e nel dibattito il carcere venga considerato. Non può rimanere nascosto". All’interno della Casa circondariale di via Cagnola ha potuto notare il programma e l’impegno di diversi volontari che si spendono per organizzare eventi e iniziative per i detenuti. In particolare i progetti legati alla biblioteca e alla diffusione della cultura, poi i piatti e dolci cucinati, che in alcune occasioni sono anche proposti all’esterno, oltre al lungo calendario di momenti di aggregazione che vengono promossi. "Il carcere è senza dubbio una realtà complicata e complessa che merita attenzione, con operatori che lavorano nel silenzio, e ritengo che questa gestione stia facendo davvero bene - ha continuato Santantonio - il percorso dentro il carcere è stato per me un momento emozionante ed educativo, un viaggio che dovrebbero fare credo tutti. Spesso si parla molto di strutture penitenziarie, ma qui a Lodi si stanno portando avanti progetti importanti, anche con il concorso di diversi volontari e con la volontà d’integrare il più possibile la Casa circondariale con la città in cui si trova". Ad accompagnare il candidato per le regionali del Partito democratico, i responsabili della Casa circondariale e alcuni agenti di polizia penitenziaria. Cagliari: Pd; pronta interpellanza urgente su "Buoncammino"
Comunicato stampa, 11 marzo 2010
"Nonostante la risposta all’interrogazione presentata oltre un anno fa, Buoncammino, resta una struttura con troppi problemi: logistici, organizzativi, umanitari e questo nonostante il notevole impegno della direzione e del personale penitenziario. Nel gennaio scorso, il Ministro si era impegnato ad intervenire su queste tematiche. Oggi, riscontriamo invece, che si è limitato solamente a studiare il problema, senza adoperarsi concretamente sulle reali criticità. Per questo, dopo la visita al carcere di Buoncammino di domenica scorsa, in occasione della Festa della Donna, ho ritenuto opportuno presentare, in accordo con Walter Veltroni e con il Presidente del Gruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini, un’interpellanza urgente al Ministro Alfano. Ancora una volta siamo costretti a vedere un bambino di appena 18 mesi dietro le sbarre, che da innocente subisce la detenzione per i reati commessi dalla madre, ma di cui lui, certamente non ha colpa. La sezione femminile della casa circondariale cagliaritana accoglie 18 recluse (12 italiane e 6 extracomunitarie) e, in assenza di strutture alternative che possano ospitare lui e la madre, anche il piccolo David. Come è stato evidenziato nell’interpellanza, pur avendo un’apposita sezione-nido, Buoncammnino risulta essere inadeguato per la permanenza di bambini piccoli e discutibili, oltre che carenti, risultano le strutture ludico-ricreative, tenendo presente che tale circostanza è vietata dalla legge Finocchiaro n. 40 del 2001, che prevede, invece, misure alternative per le madri detenute L’obbiettivo deve essere quello di istituti di custodia cautelare attenuata per accogliere le madri con figli piccoli e neonati, in tutte le regioni, soprattutto per evitare l’inevitabile shock e il trauma della separazione al compimento del terzo anno di vita".
Amalia Schirru, Deputato Partito Democratico Siracusa: Commissione del consiglio provinciale visita le carceri
www.siracusanews.it, 11 marzo 2010
Il giro delle tre carceri della provincia di Siracusa si è concluso stamani con l’ultimo sopralluogo della specifica commissione del consiglio provinciale, presieduta da Carmelo Spataro, presso l’istituto penitenziario di Cava Donna. La commissione, composta oltre cha da Spataro anche dai consiglieri Liddo Schiavo, Niky Paci, Nino Iacono, Corrado Calvo, assieme al presidente del Consiglio Provinciale Michele Mangiafico, è stata ricevuta dalla direttrice dell’Istituto Penitenziario, Angela Gianì, che ha fornito alla commissione i principali dati della struttura. È emerso, quindi, che su una ricettività ottimale di detenuti di 280 unità, ve ne sono costantemente circa 550. Di questi, il 35% composto da extracomunitari e solo 138 con pene passate in giudicato. Per la maggior parte si tratta, quindi, di detenuti in attesa di sentenza definitiva. Assolutamente inadeguata anche la situazione del personale. A fronte dei 315 agenti di polizia penitenziaria previsti in organico, ve ne sono in servizio solo 251. Di questi, fra servizi esterni e di traduzione dei detenuti da e per i tribunali, solo 150 sono effettivamente in servizio, e su tre turni. Sul versante del personale educativo, rispetto alle previste sei unità (già inadeguate) ve ne sono in servizio solo tre. Solo cinquanta detenuti svolgono una attività lavorativa, mentre sono circa cento quelli che partecipano a corsi di formazione. Il lavoro della commissione consiliare non si conclude effettivamente con questa visita ma continua con incontri che si terranno nelle prossime settimane. Sono previste audizioni di operatori sociali ed anche del Garante regionale dei detenuti. Dopo la commissione passerà alla redazione della relazione finale che sarà presenta in occasione di un importante evento pubblico. Ravenna: Cgil denuncia; il carcere è nuovamente sovraffollato
Dire, 11 marzo 2010
"Dopo alcuni mesi di sostenibile gestione", la situazione di sovraffollamento nel carcere di Ravenna è di nuovo punto e a capo. Lo denuncia la segretaria responsabile alle Funzioni centrali della Cgil di Ravenna, Deborah Bruschi, che spiega: "L’organico della polizia penitenziaria non è aumentato numericamente, e inoltre non si è potuto procedere ai trasferimenti necessari a mantenere il numero dei detenuti nella soglia delle 100 unità". Perciò, "ancora una volta dobbiamo puntare il dito verso la direzione regionale e quella centrale che- attacca la sindacalista- dopo alcuni mesi in cui hanno garantito alla struttura carceraria della nostra città una relativa sostenibile gestione, ritornano nuovamente a sovraffollare l’istituto". Poi Bruschi spezza una lancia in favore del sindaco, Fabrizio Matteucci, il cui contributo, assieme a quello di altri esponenti politici locali, "ha permesso di raggiungere l’attuale risultato: una struttura carceraria che rimane ancora vecchia e fatiscente ma che è stata ripulita e riverniciata e in cui, ci si augura entro l’anno, sarà possibile apportare qualche miglioria strutturale". Perciò, osserva la sindacalista, "la querela per diffamazione dell’ex direttrice del carcere al sindaco risulta a nostro avviso immotivata ed infondata. A questo proposito, cogliamo l’occasione per esprimere la nostra completa e totale solidarietà al primo cittadino che ha svolto con competenza e determinazione il proprio ruolo di tutela e difesa dei cittadini e della città". Frosinone: gli agenti al ministro; "qui i veri detenuti siamo noi"
Il Messaggero, 11 marzo 2010
È il grido d’allarme di 170 agenti, stressati e costretti a turni massacranti. Sono gli agenti della polizia penitenziaria di Frosinone che spesso sono costretti a doppi e tripli turni. Senza riposo. Un grido di allarme che si accompagna all’inizio dei lavori dell’ampliamento del carcere che, dagli attuali 500, potrà ospitare fino a mille detenuti. "Ormai lavorare dalle 8 la mattina alle 8 la sera, qui, è diventato la normalità" denunciano i sindacati. E proprio contro "le gravi carenze nell’organico del personale di Polizia penitenziaria" occorre "percorrere nuove strade, per ricostruire un sistema penitenziario in affanno". Lo chiede il Sappe, sindacato autonomo Polizia penitenziaria, al ministro della Giustizia Angelino Alfano e al capo del Dap, il dipartimento amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Spiega il segretario del Sappe, Donato Capece: "La questione penitenziaria, in Italia, è perennemente all’ordine del giorno, con circa 67.000 detenuti presenti, un terzo dei quali straniero e un quarto tossicodipendente, in strutture carcerarie nate per ospitarne 43.000, controllati da un personale di Polizia penitenziaria sotto organico di oltre 5.000 unità. Le gravi carenze di poliziotti fanno lavorare male e in condizioni di particolare stress gli agenti in servizio". Le strutture più penalizzate sono, oltre Frosinone, Brindisi, Caltagirone, Cremona, Empoli, Favignana, Frosinone, Isili, Lanciano, Napoli, Ragusa, Rieti, San Severo, Siena, Reggio Emilia, Siracusa, Spinazzola e Viterbo. Ma il caso di Frosinone è emblematico: gli agenti sono 170, contro i 270 previsti in pianta organica, e devono far fronte a 500 detenuti, la stragrande maggioranza dei quali extracomunitari. "È evidente - spiega il sindacato - che, essendo pochi, ogni volta che c’è un piantonamento (ad esempio un ricoverato in ospedale) o una trasferta (un detenuto chiamato a deporre in Tribunale) i turni saltano. Se poi aggiungiamo i colleghi che sono fuori per malattia o altro impedimento, ecco che i turni diventano doppi e anche tripli. Insomma, i veri carcerati, alla fine ... siamo noi". E le previsioni non promettono nulla di buono. È in costruzione, infatti, l’ampliamento della struttura (da 500 si passerà a 1.000 detenuti) "ma al momento il capitolo personale non è stato neppure accennato. È evidente che raddoppiando i carcerati gli agenti dovranno quanto meno raddoppiare, altrimenti nessuno potrà meravigliarsi se cominciassero a fioccare certificati medici degli agenti ormai logorati e spossati" conclude il sindacato. Un problema che potrebbe esplodere a breve visto che della nuova struttura, al momento, si stanno costruendo le fondazioni ma entro il prossimo anno dovrebbe essere ultimata. Cuneo: il 20 la tavola rotonda su "carcere e dignità della pena"
Agi, 11 marzo 2010
A conclusione della prima fase del percorso sulla realtà penitenziaria, proposto in occasione della Campagna per l’Avvento 2009, sabato 20 marzo, con orario 9,30/12,30, presso la Sala San Giovanni del Comune di Cuneo, in via Roma 4, si terrà una tavola rotonda dal titolo "Carcere e società". Si tratterà di un incontro/tavola rotonda con testimonianze diverse, quindi prettamente esperienziale, che vedrà la partecipazione di chi ha vissuto o di chi vive direttamente o indirettamente l’esperienza della detenzione (detenuti e famigliari), di chi svolge il proprio lavoro presso la Casa Circondariale di Cuneo (educatori, agenti di polizia penitenziaria ed altre figure) e di coloro presenti in carcere nell’ambito del volontariato e nell’ambito pastorale (il cappellano del carcere); figure queste che possono ben trasmettere il loro vissuto e lo spaccato di umanità che fa della realtà penitenziaria un importante tassello della nostra società. Ad una prima parte che sarà contraddistinta da queste testimonianze, farà seguito una riflessione del prof. Giovanni Torrente, Ordinario di sociologia del diritto all’Università della Valle d’Aosta, Presidente della Crvg Piemonte. L’incontro terminerà con eventuali interventi del pubblico presente, a cui farà seguito un piccolo rinfresco. Livorno: 8 marzo diverso, la mimosa e pranzo con le detenute
Il Tirreno, 11 marzo 2010
Pranzo con le detenute delle Sughere per le donne della giunta comunale. Insieme a loro, la direttrice della Casa circondariale Maria Grazia Giampiccolo, il giudice di sorveglianza, gli educatori e le volontarie autorizzate. Marta Gazzarri, Maria Pia Lessi, Darya Majidi, Carla Roncaglia (assenti per impegni istituzionali Paola Bernardo e Giovanna Colombini) hanno scelto di celebrare così l’8 marzo in maniera non convenzionale, portando il saluto della città alle donne che vivono in un luogo difficile e in un momento particolarmente delicato. "Il desiderio e l’impegno da parte nostra - dice l’assessore alle politiche femminili del Comune, Maria Pia Lessi, che ha promosso l’iniziativa invitando a partecipare anche le altre amministratrici - è che il carcere sia un luogo della città, un momento di rieducazione, secondo il dettato costituzionale. E con l’augurio che queste donne, molte delle quali davvero giovanissime, possano presto immettersi nuovamente nel tessuto sociale e che questo sia pronto ad accoglierle e sostenerle nelle loro scelte di vita libera e responsabile". Al pranzo, insieme alle 35 detenute, hanno partecipato anche le presidenti delle Circoscrizioni 1 e 2, Daniela Bartalucci e Monica Ria, il presidente della Circoscrizione 4 (del cui territorio fa parte il carcere), Federico Pini, la presidente della Commissione pari opportunità del Comune Arianna Terreni e l’educatore del carcere Lucio Coronelli. Presenti anche alcuni rappresentanti del Cesdi e dell’Arci, che da anni insieme al Comune di Livorno portano avanti all’interno del carcere un progetto di mediazione linguistica per i detenuti stranieri e un laboratorio teatrale, sostenuto dall’amministrazione comunale. Dopo una rappresentazione, sceneggiata e messa in scena dalle detenute, un momento conviviale: una lunga tavolata che occupava l’intero corridoio su cui si affacciano le celle, apparecchiata in giallo, il colore della festa della donna e della primavera antirazzista, con l’apporto delle presenti che hanno preparato ricette dei vari luoghi di provenienza. Infine lo scambio di doni, i fiori delle assessore provinciali, e una pergamena per ciascuna amministratrice, con un toccante messaggio firmato dalla sezione femminile del penitenziario, che ribadisce l’importanza della giornata della donna da vivere e da condividere anche dietro le sbarre. Immigrazione: sciopero fame Cie Milano; peggio d'un carcere
Ansa, 11 marzo 2010
I migranti chiusi nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Via Corelli a Milano, dal 3 marzo sono in sciopero della fame. Chiedono un trattamento più umano e protestano contro la legge Bossi-Fini, racconta Omar Diop, raggiunto telefonicamente da CNRmedia. "Lo sciopero sta andando avanti, anche se la gente è un po’ debole, perché non mangia. Abbiamo iniziato il 3 marzo e dalla settimana prossima faremo sciopero a turno perché fino ad ora nessuno ci ha ascoltato e se continuiamo così rischiamo di stare male". A dirlo a CNRmedia è Omar Diop, detenuto nel Cie di via Corelli a Milano, raggiunto telefonicamente. Omar Diop è senegalese e ha lavorato 17 anni in Italia. Fino a luglio scorso, quando ha perso il lavoro, aveva regolare permesso di soggiorno. A Bergamo, dove lavorava in una fabbrica, aveva comprato casa accendendo un mutuo, si era sposato e aveva formato una famiglia. "Siamo in 18 a non mangiare nella sezione maschile, poi ci sono le donne e i trans. Chiediamo di accorciare i tempi di detenzione, e dici detenzione perché via Corelli è un carcere vero e proprio - prosegue Diop. Noi ad esempio non abbiamo commesso nessun reato avevamo un permesso di soggiorno che è scaduto, ma abbiamo un passaporto. E ci tengono qui sei mesi per identificarci. Siamo vittime della legge Bossi-Fini". Diop denuncia che le condizioni del centro sono precarie in termini di assistenza medica e pulizia e che vengono negati i diritti fondamentali. "C’è gente che malata: un ragazzo dello Zambia ha la schiena rotta. Ha un permesso di soggiorno spagnolo in corso di validità e lo tengono qua. Un’altro della Nigeria ha avuto lo status di rifugiato politico dall’Italia, era in Germania, è rientrato e l’hanno portato al Cie. È illegale. Un ragazzo rumeno era stato rilasciato dal giudice di pace qua e dopo un’ora l’hanno riportato dentro, perché è stato fermato all’uscita del centro dalla polizia. Aspettano che moriamo per rilasciarci? Allora noi andiamo avanti perché la libertà non ha prezzo", conclude Diop. Immigrazione: in attesa espulsione in Turchia, rischia tortura di Stefano Galieni
Liberazione, 11 marzo 2010
Fra i tanti trattenuti nel Centro di identificazione ed espulsione di Bari Palese c’è Evni Er, cittadino turco, sposato con una donna italiana. Evni Er venne arrestato il 1 aprile del 2004, in un’operazione congiunta di dimensioni internazionali. 82 le persone arrestate in Turchia, da dove risulta partita l’operazione, altre 59 fra Germania, Olanda, Belgio e Italia. Molti sono giornalisti della stampa di opposizione, appartenenti ad organizzazioni democratiche, avvocati, architetti, artisti, molti impegnati nella salvaguardia dei diritti umani e nella libera informazione. Evni Er è accusato di far parte del Dhkp-c, un partito comunista della sinistra rivoluzionaria inserito nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. Infatti viene condannato a sette anni con l’accusa di "terrorismo internazionale" dal tribunale di Perugina. Fra i testimoni, a volto coperto, alcuni degli agenti speciali, spesso responsabili di torture, provenienti dalla Turchia. Nella condanna, confermata in appello è prevista l’espulsione di Evni Er a fine pena, ma la Turchia ne chiede l’estradizione che viene scongiurata anche grazie ad una vasta mobilitazione internazionale. Il detenuto trascorre il resto della pena nel carcere di Nuoro ed è proprio un tribunale sardo, la Corte di Appello di Cagliari nella sezione distaccata di Sassari, a rigettare la richiesta turca. Secondo i giudici, Evni Er in Turchia potrebbe essere riprocessato e condannato per gli stessi reati che sta scontando in Italia e un imputato non può essere condannato due volte per lo stesso motivo. La liberazione giunge in anticipo, il 19 febbraio per buona condotta, ma il detenuto è immediatamente trasferito nel Cie di Bari per essere espulso. Ha chiesto asilo politico con l’aiuto del suo legale, teme fortemente per la sua vita in caso di rientro in patria. "Sono uscito da un carcere, per entrare in un altro carcere (il Cie) in attesa di essere portato nel carcere peggiore", racconta, "fa Turchia mi aspettano e non certo per salutarmi. Il giorno successivo alla mia scarcerazione la agenzia governativa Anatolia mi ha "dedicato" una pagina, aspettano la mia espulsione". Evni è stato ascoltato pochi giorni fa dalla commissione territoriale per i richiedenti asilo e una richiesta per garantirgli salva la vita è stata inoltrata anche alla Corte europea di Strasburgo, "Cosa rischio? In teoria - continua - una condanna da 7 a 15 anni, ma quando si parla di terrorismo è facile che i tribunali propendano per una condanna all’ergastolo. E c’è qualcos’altro che sfugge ad ogni controllo e che dovrebbe far riflettere l’opinione pubblica italiana e pesare sulla decisione della Commissione: quando prendono un oppositore in Turchia è scontato che per almeno 4 giorni finisca per essere torturato. È capitato recentemente ad un ragazzo, Engin Ceber. Lo hanno preso mentre distribuiva una rivista legale, neanche legata al partito. È uscito morto dalle torture". Se si sopravvive la sorte è poi segnata, dal 2000 la Turchia ha inaugurato le carceri dette Type F, isolamento per 24 ore e spesso deprivazione sensoriale. Evni è anche molto scettico rispetto alle riforme democratiche tanto decantate: "Hanno fatto arrestare alcuni generali con l’accusa di preparare un golpe, solo per sostituirli con altri più presentabili. Dichiarano di processare i torturatori che hanno imperversato nella polizia e nell’esercito, ma poi i reati finiscono prescritti o spariscono le prove. A volte nei tribunali hanno anche il coraggio di dichiarare che non riescono a rintracciare gli agenti identificati. Tèmo veramente per la mia vita, ringrazio i tanti compagni che mi portano solidarietà e spero veramente di ottenere asilo politico". Se le leggi e le disposizioni ratificate anche dall’Italia verranno rispettate, Evni Er non dovrebbe essere espulso in Turchia, sono infatti inespellibili coloro che rischiano di essere sottoposti a trattamenti disumani e degradanti, ma sull’altro piatto della bilancia ci sono gli ottimi rapporti fra il presidente del consiglio Berlusconi e il premier turco Erdogan e in questi casi - le relazioni con la Libia insegnano - c’è forte il rischio che si trovi l’escamotage per procedere al rimpatrio. Un caso simile è accaduto con un’altra detenuta, questa legata ai movimenti kurdi, Nazan Ercan, ma in quel caso prevalse la voglia di non rendersi responsabili di un crimine e la donna, dopo un periodo di trattenimento nel Cie di Ponte Galeria, a Roma, venne sì estradata, ma in Germania. O forse la situazione di Evni diventerà simile a quella di altri invisibili ancora presenti in Italia, che hanno espiato una pena, non possono essere rimpatriati nel proprio paese, non hanno ricevuto lo status di rifugiato, non possono avere un permesso di soggiorno. La sola speranza è che la commissione apposita, lo riconosca come rifugiato politico. Droghe: operatori all’Ue; preoccupati per politiche del governo di Salvina Rissa
Il Manifesto, 11 marzo 2010
"In quanto principali associazioni che lavorano in Italia nel campo della riduzione del danno, siamo molto preoccupate della posizione del governo italiano sulla riduzione del danno". Questo l’inizio della lettera che un gruppo di Ong e di operatori delle dipendenze hanno inviato alla presidenza del gruppo europeo sulle droghe a Bruxelles e a Vienna. Un passo grave ma necessario per evitare di essere strumentalizzate nella guerricciola che il governo italiano sta portando avanti in Europa contro le politiche sulla riduzione del danno. Veniamo ai fatti. In Europa, nel corso degli anni è stata trovata una posizione comune sulla riduzione del danno, sancita nella Strategia sulle droghe dell’Unione Europea 2005-2012 (sottoscritta anche dall’Italia). Da un po’ di tempo però l’Italia pretende di imporre a tutti la propria idea della riduzione del danno. Da noi il furore ideologico si è accanito alle fondamenta, cancellando perfino il nome (sostituito da una dizione riduttiva e stigmatizzante: "prevenzione delle malattie e dei comportamenti devianti droga correlati"). Nel vecchio continente, dove la riduzione del danno ha preso avvio, la cancellazione del termine è battaglia persa. La delegazione italiana si è allora attestata nell’esigere una sua "definizione", tramite l’elenco degli interventi "accettabili" e di quelli "inaccettabili": questi ultimi sono i trattamenti con eroina medica, le stanze del consumo, il pill testing. I paesi che applicano queste misure (e sono tanti in Europa) saranno rimasti allibiti, c’è da giurarci. Nessun paese ha il diritto di imporre ad altri alcun genere di intervento, così come ognuno è padrone di sperimentare a casa propria ciò che vuole. Ma questo è il galateo dei paesi civili, non certo roba di casa nostra. Per non dire che la pretesa italiana cozza contro qualsiasi principio di razionalità: c’è bisogno di nuove pratiche convalidate scientificamente, non di anatemi. Ma la razionalità è ancora meno roba di casa nostra. Il diktat sulla riduzione del danno non passa, ma intanto la linea "dura" italiana mette in crisi la cooperazione europea nel campo delle droghe. Tanto per essere coerenti nell’antieuropeismo. Come in tutte le guerre e guerricciole, un po’ di propaganda non guasta. Così, gli italiani si presentano a Bruxelles sventolando un documento del Dipartimento antidroga. Il testo, che mette all’indice le tanto esecrate pratiche (trattamenti con eroina, stanze del consumo, pill testing) è presentato come una posizione "concordata" fra il governo e le associazioni. Non è affatto così. Al gruppo di lavoro che ha discusso le "linee guida sulla prevenzione delle patologie correlate" (è questo il famigerato documento) hanno partecipato solo alcune associazioni. Per di più, un gruppo delle più significative si è rifiutato di sottoscrivere il testo finale (Gruppo Abele, Cnca, Lila). Da qui la lettera agli organismi europei per ristabilire un po’ di correttezza. La guerra è guerra e la macchina della propaganda non ha riposo. Se un colpo fa flop, meglio spararlo ancora più grosso, avrà pensato il Dipartimento Antidroga. Così, qualche giorno fa, all’indomani dell’ultima riunione a Bruxelles, Giovanardi proclama alla stampa italiana la sua "interpretazione autentica" dei risultati: finalmente l’Europa ha fatto propria la posizione dell’Italia sulla riduzione del danno, facendo chiarezza sugli interventi "spendibili" e condannando gli altri (le suddette esecrate pratiche). In tempi di ben più gravi e dubbie interpretazioni autentiche, quella di Giovanardi potrebbe non preoccupare più di tanto. Ma per amor di verità la bufala va svelata. La mozione riguarda il trattamento e il sostegno ai consumatori per via iniettiva affetti da Hiv; e chiede all’Onu di promuovere l’accesso alle forme di prevenzione basilari (come lo scambio di siringhe), che ancora in larga parte dei paesi del mondo non sono applicate. Non c’entra niente la posizione dell’Europa sulla riduzione del danno, anche perché questa è una strategia più ampia. Dunque l’Europa non ha sancito l’eresia di nessuna pratica, come hanno sottolineato diversi delegati presenti all’incontro di Bruxelles. Se la "war on drugs" è in crisi, la guerricciola di Giovanardi la fa precipitare nella farsa. A tutto discredito dell’Italia in sede internazionale. Svizzera: incendio in carcere Canton Ticino, 5 agenti intossicati
Swiss Info, 11 marzo 2010
Il rogo, che ha generato parecchio fumo, sembra sia stato appiccato volontariamente da una detenuta, al materasso della cella. Giovedì mattina, attorno alle 5.15, all’interno del penitenziario La Stampa di Cadro è divampato un incendio all’interno di una cella. Sul posto sono prontamente intervenuti i pompieri di Lugano con tre veicoli ed una decina di uomini che hanno provveduto a domare il rogo. L’incendio, che ha generato parecchio fumo, sembra sia stato appiccato volontariamente da una detenuta al materasso della cella. Cinque agenti di sicurezza, che sono intervenuti per domare le fiamme, sono stati ospedalizzati per dei controlli dopo aver inalato del fumo. Illesa per contro la donna ospite della cella.
|