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Giustizia: troppi detenuti suicidi, servono misure urgentissime
Ristretti Orizzonti, 29 settembre 2009
Negli ultimi 20 giorni due giovani si tolgono la vita nella Casa Circondariale di Castrovillari. Bernardini al ministro Alfano: occorrono misure urgentissime. Dichiarazione di Rita Bernardini, deputato Radicali/PD, membro della Commissione giustizia: "La notizia mi è stata confermata dal Direttore, Dott. Fedele Rizzo: negli ultimi 20 giorni, nel carcere di Castrovillari, due giovani si sono tolti la vita impiccandosi. Il primo era un cileno di 19 anni, il secondo un calabrese di Morano Calabro di 39 anni. Oggi in quell’istituto penitenziario erano presenti 258 detenuti su una capienza regolamentare di 128 posti. Credo che il Ministro Alfano non possa continuare a limitarsi a fare dichiarazioni che prospettano soluzioni a medio o lungo termine come quelle che si riferiscono alla costruzione di nuove carceri. Occorrono misure urgenti da più parti proposte per arginare l’emorragia di vite umane che si manifesta con l’incredibile numero di suicidi o con la morte civile e senza speranza di chi è costretto a vivere in modo indegno di un paese civile, e qui ci metto anche tutto il personale, direttori compresi". Giustizia: psicologi carcerari; ancora quanti morti in carcere?
Comunicato stampa, 29 settembre 2009
In relazione all’emergenza derivante dal sovraffollamento delle carceri e alla luce dei sempre più frequenti eventi tragici che stanno sconvolgendo ogni giorno il mondo penitenziario italiano, con suicidi e aggressioni che riguardano sia i detenuti che i poliziotti penitenziari, è opportuno fornire alcune precisazioni che diano l’esatta contezza della situazione. La Costituzione Italiana (art. 27 c. 3: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato"), le leggi che riguardano l’Ordinamento Penitenziario (in part. la l. 354/1975 e successive modifiche) e le cosiddette "misure alternative" si incentrano tutte sul principio della rieducazione e della riabilitazione del detenuto. Il recupero di un detenuto non dovrebbe essere solo un mero proclama legislativo o un’aspirazione teorica, ma un concreto doveroso obiettivo, considerato che la civiltà di un popolo si misura anche dal suo sistema carcerario. Il detenuto recuperato, inoltre, rappresenta una persona in meno che delinque. I suicidi dei detenuti e quelli dei poliziotti, le aggressioni quotidiane che si registrano tutti i giorni, il sovraffollamento costante sono ormai indice di una situazione esplosiva e malata che solo atteggiamenti miopi non riconoscono. Eppure il Ministero della giustizia - Dap - sin dal 2004 aveva avviato un concorso per l’assunzione di 39 psicologi per coprire almeno parzialmente la totale carenza in organico di tali figure professionali (previste in totale 70) e aveva quindi approvato la graduatoria nel 2006 (B.U. Min. della Giustizia n. 17 del 15.09.2006). Da allora, sorprendentemente, l’Amministrazione non ha proceduto ad alcuna assunzione, pur in presenza di tutte le condizioni economiche (disponibilità di risorse per assicurare tali prestazioni essenziali) e giuridiche e pur a fronte dell’aggravarsi della situazione nel sistema penitenziario, preferendo, invece, affidarsi ad un sistema di frammentate collaborazioni precarie e insufficienti. Non si riesce, a questo punto, a capire come sia possibile che autorevoli rappresentanti di Governo e gli stessi Dirigenti dell’Amministrazione continuino a dichiararsi attenti e sensibili a quanto sta accadendo nelle carceri e poi non si attivino concretamente e seriamente ad affrontare tale stato di crisi, opponendosi addirittura, con pretestuose argomentazioni, all’assunzione degli psicologi vincitori di concorso, ledendone in modo così palese i diritti. Il Dap arriva così a sostenere che le prestazioni svolte dagli psicologi sarebbero state trasferite al S.S.N. in base alla recente riforma sulla sanità penitenziaria attuata con Dpcm 1° aprile 2008, quando poi contraddittoriamente afferma che le prestazioni psicologiche trattamentali e dell’osservazione sarebbero rimaste alla sua competenza. Esso non spiega allora il motivo per cui tali prestazioni non possano essere svolte dai vincitori di concorso assunti. Viene il dubbio, allora, che non esista una concreta volontà di affrontare tale problema, anzitutto attraverso un (tra l’altro doveroso) reclutamento del personale psicologo per il quale è stato indetto un apposito concorso. Come è possibile che detenuti e operatori non possano disporre di un aiuto concreto così importante perché si possano realizzare al meglio la rieducazione efficace dei primi e le condizioni di lavoro adeguate per i secondi? A quanti suicidi (12 poliziotti suicidatisi negli ultimi due anni; 46 detenuti nel 2008 e 48 al 31.08.2009, secondo i dati consultabili su www.ristretti.it) dovremo ancora assistere prima della nostra immissione in ruolo: possono consulenze di poche ore al mese affrontare situazioni così drammatiche? Occorrerebbero diversi psicologi a tempo pieno per ogni Istituto Penitenziario e per ogni Uepe esistenti in Italia, ma oggi addirittura non vengono assunti neppure i 39 vincitori del primo e unico concorso a psicologo su scala nazionale, che rappresenterebbero, quanto meno, il primo concreto segnale positivo. Ai detenuti e agli operatori, in particolare ai poliziotti penitenziari, alle loro famiglie vogliamo comunicare che stiamo facendo di tutto per essere assunti, da anni, esercitando un nostro diritto. Noi non ci arrendiamo, comunque: siamo in mobilitazione permanente perché crediamo nell’utilità del nostro lavoro. Manifesteremo ancora nei prossimi giorni a Roma. Non possiamo ancora aiutarvi concretamente, ma siamo con Tutti Voi.
Per i 39 psicologi non-assunti del Dap Dott. Antonio De Luca Dott.ssa Mariacristina Tomaselli Giustizia: lo straniero e il cittadino; è ora di cambiare la legge di Ernesto Galli della Loggia
Corriere della Sera, 29 settembre 2009
Anche chi, come chi scrive, è favorevole alla pratica dei respingimenti e alla sanzione dell’immigrazione clandestina - respingimenti e sanzioni adottati di fatto oltre che dall’Italia anche dalla Francia e dalla Spagna, cioè dai Paesi che rappresentano i 4/5 del confine mediterraneo dell’Unione Europea - non può ovviamente pensare che sia solo con questi mezzi che vada affrontato il fenomeno migratorio. Insomma, è necessario, sì, cercare di arginare e legalizzare i flussi degli arrivi, ma insieme (sottolineo: insieme) è necessario sia accogliere civilmente chi viene in Italia sia promuoverne al massimo l’integrazione. Fino a dargli la possibilità, se vuole, di diventare italiano. Per due ragioni fondamentali: da un lato per il forte calo demografico che incombe sulla penisola, con in prospettiva la conseguente perdita di vitalità economica e non solo; dall’altro per la necessità di attenuare il più possibile il potenziale di anomia, di disordine e di vera e propria illegalità che si accompagna fisiologicamente al fenomeno migratorio. La prospettiva di diventare cittadino a pieno titolo del nuovo Paese costituisce un potente incentivo psicologico a osservarne le leggi, impararne la lingua, guardarne con simpatia i costumi e la storia. Finora, però, diventare italiano è stato, per uno straniero, difficilissimo. Noi, infatti, abbiamo una legge sulla cittadinanza che è quanto mai restrittiva nei confronti di chi non può vantare almeno un genitore o un coniuge italiano ma solo la semplice residenza. Basti dire che in un anno tipo, come il 2005, non solo le concessioni della cittadinanza italiana sono state meno di ventimila contro le 154 mila della Francia e le 117 mila della Germania, ma che circa i 4/5 di tali concessioni sono avvenute per matrimonio e non per residenza. Dunque, chi vuole realmente cercare di integrare gli immigrati - e, aggiungerei, chi crede davvero nei valori umani, culturali e politici dell’Italia, e dunque nella loro reale capacità di attrazione verso gli estranei - non può che mirare ad allargare la legge sulla cittadinanza. Ed è per l’appunto questo l’obiettivo meritorio della proposta di legge appena presentata alla Camera dai deputati da Andrea Sarubbi e Fabio Granata. Secondo la quale, innanzitutto, d’ora in avanti potranno diventare automaticamente cittadini italiani due categorie di soggetti: a) chi nasce in Italia da un genitore ivi legalmente soggiornante da almeno cinque anni; b) lo straniero nato in Italia o che vi è arrivato prima di aver compiuto i cinque anni di età e vi ha legalmente soggiornato fino alla maggiore età. Può da ultimo diventare cittadino italiano, su richiesta, anche qualunque minore straniero che abbia completato con successo un corso d’istruzione scolastico, anche primaria o di formazione professionale, presso un istituto italiano. Si vuole favorire, insomma, la possibilità per qualunque giovane straniero, immerso di fatto fin dall’inizio della sua vita nella cultura italiana, di diventare italiano a tutti gli effetti, e dunque di non sentirsi diverso o addirittura in una posizione d’inferiorità rispetto ai suoi coetanei. Non basta. L’altra grande novità della proposta riguarda gli stranieri adulti. Essa consiste nella riduzione da dieci a cinque anni del periodo di tempo necessario per ottenere la cittadinanza. Ma a un’importante condizione: l’accertamento in un colloquio della conoscenza dell’italiano nonché della "vita civile dell’Italia e della Costituzione". Questa, a grandi linee, la proposta di legge. Naturalmente alcuni aspetti andranno meglio messi a fuoco: per esempio, il livello A2 richiesto per la conoscenza dell’italiano è probabilmente un livello troppo elementare, così come bisognerebbe fare in modo, già nella lettera della legge, che l’accertamento della conoscenza anzidetta e quello della cultura e della Costituzione italiane non obbediscano all’andazzo permissivistico che l’ambiente politico-burocratico nostrano adotta troppo spesso in casi simili. Ma l’importante è che si sia imboccata la strada giusta e nel modo giusto. Cioè con un testo frutto del lavoro congiunto di un rappresentante della maggioranza e di uno dell’opposizione, come sono per l’appunto Sarubbi e Granata. È vero che proprio per questo l’inguaribile retroscenismo nazionale ha già battezzato la proposta in questione "la legge di Fini", considerandola una sorta di ballon d’essai del supposto trasversalismo politico del presidente della Camera. A costo però di apparire fin troppo ingenui, a noi piace pensare che non sia così. Ci piace credere, più semplicemente, che, poiché circa il modo come si diventa cittadini della Repubblica è bene che siano d’accordo il maggior numero d’italiani, una volta tanto esponenti della destra e sinistra lo abbiano capito, e una volta tanto abbiano agito di conseguenza. Giustizia: Brunetta contro magistrati; Anm e Csm? un mostro
La Repubblica, 29 settembre 2009
Il 90 per cento dei problemi della giustizia in Italia sono organizzativi: anche per i magistrati si può pensare a badge, controllo delle presenze, controlli di produttività e controlli dei ritardi". Così il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta. I magistrati "sono servitori dello Stato come tutti gli altri, forse si sono montati un po’ la testa", ha aggiunto in un botta e risposta con il vicepresidente dall’Anm, Gioacchino Natoli, in occasione della presentazione del libro Magistrati, l’ultra casta" di Stefano Liviadotti. "Al Tribunale di Roma mi hanno detto che alle 14 non c’è nessuno", ha attaccato Brunetta. "Questo succede perché un suo collega di governo ha tagliato gli stanziamenti per gli straordinari", ha ribattuto Natoli. "Lei dice cose non vere", è stata la risposta di Brunetta. E poi: "l’Anm si riproduce nel Csm e qui si forma il mostro". I due contendenti si sono poi accordati per fare un giro dei tribunali italiani ("a sorpresa", ha precisato Brunetta) per verificare sul campo la situazione. "Nessuno - ha aggiunto - si è mai premurato di stabilire sistemi di controllo. Quella dei tornelli era una metafora non tanto lontana dalla realtà... ". Un altro libro (Mafia pulita, di Elio Veltri e Antonio Laudati) produce una seconda presa di posizione. Quella di Gianfranco Fini: "Chi rappresenta il popolo sovrano deve essere come la moglie di Cesare, al di là di qualsivoglia sospetto". "In certi momenti - aggiunge - purtroppo pecunia non olet e anche il voto allora non puzzava". Per Fini "molto è stato fatto", ma non per questo bisogna "abbassare la guardia: se la mafia e’ oggi tentacolare e transnazionale assume la forma di un prisma dalla mille facce che talvolta possono apparire di primo acchito facce pulite. Ma se si va a scavare si scopre che c’è chi ha avuto un’attività che mafiosa è". Insomma, per Fini "ci vuole una ribellione morale soprattutto da parte dei giovani. E in questo campo gli opinion leaders, come cantanti, calciatori o altri, sono importantissimi". Giustizia: dietro lo scudo fiscale si nasconde l’amnistia di fatto di Silvia Giannini e Maria Cecilia Guerra
www.lavoce.info, 29 settembre 2009
Non necessariamente lo scudo fiscale servirà a fare tornare i capitali in Italia, perché il rimpatrio è obbligatorio solo se le somme sono presso paradisi fiscali. In ogni caso, il gettito raccolto è una tantum e non potrà finanziare interventi permanenti. Ma il timore è che i capitali rientrati grazie allo scudo non appartengano a piccoli evasori intenzionati a rifinanziare la propria impresa in difficoltà. Potrebbero invece essere di grandi organizzazioni mafiose che ottengono così denaro pulito per le loro attività economiche, compresa l’acquisizione di imprese in difficoltà. La versione dello "scudo fiscale" che il Parlamento sta approvando contiene importanti novità che lo rendono ancora più inquietante, nelle sue possibili conseguenze, della proposta originaria e persino dei suoi due precedenti di inizio 2000. Cosa è lo scudo fiscale - Lo "scudo fiscale" consente il rimpatrio o la regolarizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero, al 31 dicembre 2008, illegalmente, e cioè senza avere rispettato gli obblighi di comunicazione dei capitali trasferiti o comunque detenuti all’estero (monitoraggio) e di dichiarazione dei relativi redditi. Chi ne usufruisce può legalizzare questi capitali, pagando su di essi un’imposta una tantum pari al 5 per cento del loro ammontare. Cosa ha guadagnato rispetto a un cittadino onesto? Non ha pagato l’imposta sui redditi di capitale per tutto il tempo in cui il capitale ha fruttato redditi all’estero e paga di fatto solo il minimo della sanzione che avrebbe dovuto pagare nel caso in cui la violazione delle norme sul monitoraggio fosse stata scoperta, sanzione fino ad ora compresa fra il 5 e il 25 per cento del capitale. Certo un bel premio, ma questa è solo una parte della storia. Per capire davvero i vantaggi dello scudo occorre anche domandarsi da dove viene quel capitale. Da dove viene il capitale "scudato"? Generalmente, il capitale portato all’estero illegalmente non proviene da redditi su cui il cittadino ha pagato le imposte, ma è esso stesso frutto di evasione. Un contribuente che ha nascosto al fisco, ad esempio, 100 milioni di euro, non teme tanto l’imposta straordinaria del 5 per cento, quanto che il fisco si insospettisca e vada a cercare di capire come aveva ottenuto tutti quei soldi; gli chieda cioè conto delle impose evase: Irpef, Irap, Iva, a cui andrebbero aggiunti gli interessi e le sanzioni, per importi che facilmente potrebbero superare il 50 per cento della somma evasa. Questo pericolo viene però escluso e proprio in ciò sta la peculiarità del rimpatrio made in Italy, che lo rende diverso da quello di paesi come il Regno Unito e gli Stati Uniti in cui si richiede a chi vuole legalizzare i capitali esportati di pagare tutte le imposte evase negli anni precedenti, e il significato stesso del termine "scudo". In primo luogo, nel nostro paese le dichiarazioni di emersione avvengono in forma anonima, sono "coperte per legge da un elevato grado di segretezza" (bozza di circolare dell’Agenzia delle Entrate) e non possono essere utilizzate a sfavore del contribuente, né in sede amministrativa, né in sede giudiziaria per i profili civili, amministrativi e tributari. Inoltre, se l’amministrazione, seguendo la sua ordinaria attività di accertamento, si trova comunque a scoprire l’evasore, questi può evitare gli effetti dell’accertamento fino ai 100 milioni sottratti al fisco, dimostrando, solo in quel momento, di averli rimpatriati o regolarizzati. In sostanza, lo scudo è un potente condono fiscale. Ma c’è di più, e di peggio. L’evasione è un atto che ha anche possibili risvolti penali. E allora per mettere ancora più al sicuro l’evasore, si è provveduto dapprima a prevedere che lo scudo estinguesse i reati relativi all’omessa e infedele dichiarazione dei redditi. Poi, con l’emendamento approvato al Senato, la copertura è stata estesa ad altri gravi reati, fra cui, ad esempio, la dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti o la falsa rappresentazione di scritture contabili obbligatorie, l’occultamento o distruzione di documenti, false comunicazioni sociali (falso in bilancio). Poiché tali reati vengono spesso compiuti coinvolgendo controllate estere, semmai situate in paradisi fiscali, verso cui il soggetto fa confluire i capitali, l’emendamento allarga anche a questi casi la possibilità di partecipare allo scudo fiscale. Il condono diventa quindi anche una sorta di amnistia, per reati che per la loro gravità potrebbero essere puniti con pene fino a sei anni di reclusione. È per questo che nel dibattito parlamentare si è chiesto di valutare se per la sua approvazione non fosse necessaria la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, richiesta appunto dalla nostra Costituzione per le amnistie. E se il capitale "scudato" venisse da altre applicazioni illegali - Anche il capitale frutto delle attività della criminalità organizzata (per esempio spaccio di droga, sfruttamento di prostituzione, traffico d’armi, finanziamento del terrorismo) è di frequente detenuto all’estero illegalmente. E se le organizzazioni criminali volessero approfittare dello scudo per riciclare questo denaro? Il rischio, già fortissimo, grazie alla segretezza garantita, è ora gravemente ampliato dall’emendamento approvato in Senato. Non solo perché estende lo scudo anche alle controllate e collegate estere, società di comodo molto spesso utilizzate per le operazioni di riciclaggio, ma anche perché dispone che le operazioni di regolarizzazione e di rimpatrio non comportino l’obbligo di segnalazione di operazioni sospette in materia di antiriciclaggio da parte degli intermediari e professionisti che ricevono la dichiarazione anonima. A cosa serve lo "scudo"? - Non necessariamente lo scudo servirà a fare tornare i capitali in Italia, perché il rimpatrio è obbligatorio solo se le somme sono presso paradisi fiscali, ossia paesi che non permettono un adeguato scambio di informazioni fra amministrazioni. In tutti gli altri casi è sufficiente regolarizzare e i capitali possono rimanere dove sono. Il gettito raccolto con lo scudo (si parla di 3-5 miliardi di euro) è una tantum e non potrà dunque andare a finanziare interventi permanenti, come ad esempio riduzioni strutturali di imposta o maggiori spese connesse ai rinnovi dei contratti dei dipendenti pubblici. Bisogna invece temere che i capitali che rientrano grazie allo scudo non servano tanto ai piccoli evasori intenzionati a rifinanziare la propria impresa in difficoltà, ma servano piuttosto alle grandi organizzazioni mafiose, nazionali e internazionali, a costituirsi denaro pulito per le proprie attività economiche, tra cui potrebbe rientrare l’acquisizione di quelle stesse imprese in difficoltà. Abruzzo: affollamento morti e proteste, carceri in emergenza di Giulio Petrilli
Il Capoluogo, 29 settembre 2009
La situazione nelle carceri abruzzesi è sempre più allarmante, ieri un altro detenuto è morto nel carcere di Sulmona, si sospetta una overdose. Nella stessa giornata, protesta degli operatori penitenziari del carcere di Lanciano, che denunciano i un organico ridotto a fronte di una situazione che vede raddoppiare il numero dei detenuti rispetto alla capienza consentita, si è arrivati a 310. Stessa situazione nel carcere di Teramo, dove quindici giorni fa un detenuto si è suicidato. Sovraffollamento e difficoltà anche nei carceri di Pescara e Chieti. Problemi anche nel carcere de L’Aquila, dove l’inasprimento del 41 bis genera possibili tensioni. Un quadro delle carceri abruzzesi che è sicuramente il più difficile dal dopoguerra ad oggi, non enfatizzerei a definirlo di estrema gravità. La situazione in Abruzzo è molto difficile e complessa. Le istituzioni devono muoversi. Il presidente della regione e quelli delle provincie devono convocare il provveditore regionale delle carceri, i direttori e direttrici delle stesse i per capire bene la situazione, proponendo degli aiuti rispetto alla risocializzazione dei detenuti nei casi consentiti dai giudici di sorveglianza. Questo è un aiuto importante per decongestionare in parte le carceri. Per i reati di minore allarme sociale và proposta una pena alternativa al carcere, così come è necessario l’aumento di psicologi e degli operatori penitenziari. Il presidente della regione Chiodi deve monitorare la situazione delle carceri abruzzesi e avere un incontro col Ministro della Giustizia per capire il da farsi. Il mio è un appello alle Istituzioni affinché cerchino di intervenire subito su un problema molto serio che può sfuggire di mano. Poi è un problema sia di diritto che umanitario. È vero che la gestione delle carceri dipende dal Ministero di giustizia e dal Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria), ma gli enti locali possono fare qualcosa. Un altro invito è rivolto ai parlamentari e consiglieri regionali affinché visitino le carceri per cercare di trovare delle soluzioni.
Giulio Petrilli Responsabile provinciale Pd dipartimento diritti e garanzie Veneto: Lega; troppi stranieri in carcere, operatori da lodare
Asca, 29 settembre 2009
Secondo i consiglieri della Lega le carceri venete ospitano un numero di extracomunitari abnorme. La constatazione è il frutto della ricognizione che i consiglieri della Regione Veneto (Lega Nord) stanno effettuando in questi giorni nelle carceri della regione. Il capogruppo Roberto Ciambetti si è recato in visita al carcere di Vicenza e a quello femminile di Venezia, accompagnato da Claudio Meggiolaro e Daniele Stival. Luca Baggio e Federico Caner hanno visitato le strutture di Treviso e Belluno, Vittorino Cenci e Emilio Zamboni quelle di Verona e Rovigo, Maurizio Conte il carcere di Padova. Tutti i consiglieri hanno lodato la professionalità con cui opera la polizia penitenziaria in situazioni molte volte difficili e disagevoli e sottolineato il comportamento umano e scrupoloso degli operatori. Milano: detenuto 55enne è morto nel Centro Clinico di Opera
Il Centro, 29 settembre 2009
Quando nel 2004 venne arrestato come mandante dell’omicidio di Domenico Trivellone, dieci anni dopo il colpo di pistola che l’aveva freddato, Nevio Porreca chiese ai poliziotti della squadra Mobile che l’avevano sorpreso all’alba nel suo appartamento di via Pineta di Roio, ai Colli: "Ma non c’è la prescrizione?". Era uno degli uomini che avevano fatto la storia della malavita pescarese negli anni Ottanta e Novanta, Porreca, morto giovedì scorso a 55 anni, all’ospedale San Paolo di Milano. Una malattia se l’è portato via presto, dopo una vita vissuta in quella zona d’ombra da cui non era mai riuscito a uscire. Detenuto a Terni, era stato trasferito al reparto clinicizzato del carcere di Opera, da dove si è mosso solo per una corsa senza speranza. Sabato mattina, alle 9.30, ha ricevuto l’ultimo abbraccio della sua famiglia e dei suoi amici con un rito funebre celebrato con discrezione nella basilica della Madonna dei Sette dolori, ai Colli. Da qui, la partenza per il cimitero di Ari. Nato a Miglianico, aveva scelto Pescara per vivere e qui le cronache raccontano anno dopo anno di un uomo che ai tempi della contrapposizione tra bande, veniva considerato un battitore libero, con quel soprannome, il Coccodrillo, che gli sarebbe rimasto sempre cucito addosso. Il 20 luglio di due anni fa, ai carabinieri che lo arrestarono per l’ennesima volta per una storia di cocaina chiamata in gergo "Operazione fuoco" aveva detto, quasi a rivendicare una identità criminale: "Le prime impronte le ho lasciate nel 1973". Il 4 marzo scorso era tornato in carcere. I carabinieri di Pescara l’avevano preso a Terni, dove si era rifugiato a casa della figlia per preparare, si disse allora, la fuga all’estero. Finiva così la libertà di cui aveva goduto a tratti entrando e uscendo dal carcere, quasi sempre per questioni di droga: la condanna a 23 anni, 11 mesi e 6 giorni per l’omicidio di Trivellone, di cui era ritenuto il mandante, era diventata definitiva. La Corte di Cassazione aveva respinto il ricorso del suo difensore Paolo Marino, che chiedeva l’annullamento della condanna perché, sosteneva, le dichiarazioni degli esecutori materiali erano prive di attendibilità. Per i giudici, invece, era stato proprio Porreca a ordinare l’esecuzione di Trivellone, ferito a morte la notte del 15 luglio 1994 con un colpo di pistola alla testa davanti alla sua casa di via Arno, a Montesilvano. Per quell’omicidio, vennero arrestati Enrico Chiavaroli, che avrebbe consegnato l’arma, e Franco Patacca , che avrebbe premuto il grilletto. Due anni dopo, Chiavaroli indicò Porreca come mandante. La ragione: Trivellone aveva rivelato ai carabinieri che era in arrivo a Pescara una grossa partita di droga. E quella testimonianza, per il Coccodrillo, fu l’inizio della fine. Venezia: omicida-suicida era indagato per violenze ai detenuti
Ansa, 29 settembre 2009
Svolta nelle indagini su Francesco Digiglio, ex guardia carceraria che l’altra notte ha ucciso la moglie in macchina e poi si è suicidato. Oggi l’uomo si sarebbe dovuto presentare in tribunale per la prima udienza del processo che lo vedeva imputato di abuso di autorità e di maltrattamenti ai detenuti nel carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia a seguito delle quali un detenuto africano si sarebbe suicidato in cella. La preoccupazione per l’imminente processo e la separazione con la moglie potrebbero essere state le cause del folle gesto compiuto l’altra notte. Intanto è stata disposta l’autopsia su entrambi i corpi. I risultati arriveranno fra qualche giorno. A questo punto il gesto criminale di Digiglio risulterebbe premeditato. Infatti è stata trovata una copia delle chiavi della cassaforte nella quale la moglie, guardia giurata, custodiva la pistola di servizio. Ciò fa pensare che l’uomo avesse già pianificato l’omicidio e scelto l’arma da utilizzare. Inoltre l’assassino suicida aveva con se delle manette da utilizzare nel caso in cui la moglie avesse opposto resistenza. Un fatto, quello dell’altra notte che lascia senza parole tutta la cittadinanza di Mestre. Il parroco del paese dice " Se qualcuno si fosse accorto del malessere di quella coppia si sarebbe potuto fare qualcosa. L’indifferenza è il male della nostra società." Pordenone: il carcere è una "vergogna" che si trascina da anni
Messaggero Veneto, 29 settembre 2009
L’ultima ispezione compiuta il mese scorso dall’Azienda sanitaria ha dato un verdetto inequivocabile: non c’è alternativa alla chiusura del carcere. Ad annunciarlo in consiglio comunale il sindaco Bolzonello, per il quale se il piano carceri non conterrà finanziamenti si procederà con la chiusura. È stata una interrogazione presentata dal Partito democratico a innescare la replica del sindaco. "L’ispezione compiuta dall’Azienda sanitaria il mese scorso - ha detto Bolzonello - ha stabilito che non solo ci sono tutte le condizioni per chiudere la struttura, ma l’unico modo per risolvere il problema è proprio la chiusura". Nessun rattoppo o lavoro di manutenzione straordinaria, quindi, nel giudizio dei tecnici sanitari, sarà in grado di garantire la vivibilità per detenuti e polizia penitenziaria. Bolzonello non ha nascosto la sua preoccupazione: "Da una fase di entusiasmo - ha affermato - dopo la dichiarazione della Regione di disponibilità a finanziare in parte il nuovo carcere, mi trovo in una posizione riflessiva. Il recente incontro con il sottosegretario Casellati non è servito a nulla, se non a ribadire le posizioni". Il sindaco ha sottolineato che "da due anni a questa parte la Provincia ha fatto la differenza, impegnandosi molto. Proprio la concertazione con Provincia e Regione mi ha convinto ad aspettare e non firmare l’ordinanza di chiusura. Ma se nel piano carceri che, dopo i ritardi dei mesi scorsi, legati anche al terremoto e quindi legittimi, dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri non ci sarà il finanziamento per il nuovo istituto penitenziario allora il giorno dopo firmerò l’ordinanza di chiusura. Si sappia che in quel caso l’unico responsabile sarà il Governo centrale, perché da parte di Regione, Provincia e Comune è stato fatto tutto il possibile". Più fiducioso l’assessore provinciale, Giuseppe Pedicini, convinto che la lettera d’impegno finanziario firmata da Tondo farà la differenza. L’unica certezza, però, allo stato dei fatti, è che Pordenone è inserita nell’elenco delle priorità ai vertici, ma delle strutture ancora da finanziare. Mancano ancora i soldi e i nodi sono ormai giunti al pettine. Cagliari: bimbi di 7 e 13 mesi, a "Buocammino" con le mamme
Ansa, 29 settembre 2009
Uno ha compiuto 13 mesi il 25 settembre scorso, l’altra di mesi ne ha 7 ed è arrivata da poco con la mamma, una giovane nomade. Sono i piccoli attualmente rinchiusi nel carcere di Buoncammino, secondo l’ex consigliera regionale Caligaris,oggi presidente dell’associazione ‘Socialismo diritti riforme"‘È assurdo - dice -che non sia stato ancora risolto in Sardegna, nonostante le dichiarazioni di principio del ministro Alfano, il problema dei minori di 3 anni negli istituti di pena". Milano: sostegno psicologico per persone sottoposte a processi
Iris, 29 settembre 2009
"Con la firma di questo protocollo il Comune di Milano mette a disposizione del Tribunale un presidio sociale per fornire un sostegno psicologico alle persone sottoposte a processo per direttissima" - ha dichiarato questa mattina il Sindaco Letizia Moratti alla presentazione del Protocollo d’Intesa tra Comune di Milano e Ministero della Giustizia-Tribunale di Milano che prevede il supporto alle persone bisognose di rieducazione sottoposte a giudizio direttissimo monocratico. Presenti Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano, Paolo Giuggioli, presidente Ordine degli avvocati di Milano e Giacomo Locatelli, direttore generale Asl di Milano. Con questo Protocollo nasce all’interno del Tribunale, un presidio sociale della Direzione Centrale Famiglia, Scuola e Politiche Sociali del Comune di Milano, il cui personale è costituito da due assistenti sociali del Comune. "Al piano terra del Tribunale - ha spiegato Letizia Moratti - sarà predisposto un ufficio dove, dalle ore 9 alle ore 15, dal lunedì al sabato, saranno presenti gli operatori del Comune che incontrerà l’imputato per agevolare la richiesta e l’adozione di provvedimenti che possano rendere possibile un programma di recupero e riabilitazione della persona che è l’obiettivo finale di ogni procedimento di giustizia". Questo protocollo s’inquadra in un’ampia linea di collaborazione che l’Amministrazione sta portando avanti con il sistema delle carceri: "Per noi è importante coniugare sempre il rigore e il rispetto delle leggi al sostegno e al recupero della dignità delle persone", ha detto il Sindaco ricordando alcuni progetti già esistenti che testimoniano il successo di questo tipo di percorsi per i detenuti. "In collaborazione con il carcere di San Vittore - ha proseguito Letizia Moratti - abbiamo realizzato la prima casa in Italia, dove i bambini da 0 a 3 anni, figli di donne detenute, possono crescere serenamente in un contesto diverso da quello del carcere". Il Sindaco ha citato anche il Protocollo sottoscritto con Amsa e Provveditore Generale delle Carceri Lombarde che permette ai detenuti di lavorare al di fuori della struttura penitenziaria e la collaborazione di Milano Ristorazione con il carcere di Opera, dove è stato realizzato un panificio che ogni giorno sforna 700 kg di pane che vengono acquistati e distribuiti nelle mense cittadine. "Ringrazio il presidente Pomodoro - ha concluso Letizia Moratti - per questa ulteriore opportunità di collaborazione offerta al Comune a sostegno dell’amministrazione della giustizia". Soddisfatto dell’iniziativa anche il presidente del Tribunale. "L’aspetto del percorso rieducativo - ha spiegato Livia Pomodoro - è estremamente utile in relazione al problema della recidiva. Questo Palazzo forse si presta poco ad immaginarsi anche come un luogo rieducativo ma noi pensiamo che debba essere anche questo". Napoli: un "Uomo nuovo", per gettare un ponte verso esterno
Redattore Sociale - Dire, 29 settembre 2009
Creato nell’ambito del centro di Pastorale carceraria, il movimento formato da detenuti ed ex detenuti chiede la possibilità delle pene alternative e dei momenti di intimità dei reclusi con il coniuge. Misure alternative obbligatorie per i detenuti che devono scontare fino a quattro anni di reclusione, beneficio della liberazione anticipata di 60 giorni ogni sei mesi di buona condotta, nuove soluzioni per affrontare la disciplina dei rapporti affettivi, ossia possibilità per i reclusi di avere momenti di intimità con le proprie mogli. Sono queste alcune delle proposte che il Movimento Uomo Nuovo, nato nell’ambito del centro di Pastorale carceraria, intende portare all’attenzione del Parlamento e per cui, da domenica prossima, saranno raccolte delle firme. Al battesimo del movimento, formato da detenuti ed ex detenuti, ha partecipato l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Sepe che ha ricordato come "nessun uomo è condannato a vita e che tutti devono avere la possibilità di redimersi", per questo Sepe ha lanciato un appello alle istituzioni per le umanizzazioni delle carceri. "Il movimento intende creare un ponte tra chi vive tra le mura di un carcere e la realtà esterna", ha spiegato il presidente don Franco Esposito che è anche cappellano di Poggioreale e direttore dell’Ufficio di Pastorale carceraria della diocesi. Vi hanno già aderito oltre mille detenuti dalla Campania ma anche dagli istituti penitenziari di Padova, Trieste e Trento. "Le proposte di legge che presentiamo - hanno precisato don Franco Esposito e Nicola Trisciuoglio, vice presidente di Uomo Nuovo - sono tutte tese al miglioramento della vivibilità dei detenuti nelle carceri. Quanto alla ‘disciplina dei rapporti affettivi’, consideriamo che l’isolamento detentivo nella misura in cui agisce sul corpo agisce sull’anima e sull’identità di un soggetto. Il carcere come oggi concepito significa sequestro del corpo e soppressione delle sue pulsioni naturali primarie. L’attuale normativa non contiene alcun articolo che vieti la sessualità come espressione della propria affettività. Il livello istituzionale a questo riguardo è testimonianza di un grave adempimento dello Stato rispetto ad una soluzione del problema. A Poggioreale ad esempio, in una stanza di 200 metri quadrati, ci sono centinaia di persone che parlano tutti insieme con bambini e parenti, stare un po’ di tempo in tranquillità con il coniuge è anche un modo per non abbrutirsi". Il carcere così come è concepito oggi non crea sicurezza ma criminalità, per questo non è la costruzione di nuovi istituti la soluzione al problema, semmai l’attuazione di pene alternative e della giusta applicazione di normative che vanno in tal senso come la legge Gozzini. Il cappellano di Poggioreale ha anche ricordato i due progetti che il Centro di Pastorale carceraria sta portando avanti: "Mai più ai margini" ha consentito ad otto ex detenuti di ottenere borse-lavoro di 500 euro, "Non più legami" si propone di spezzare i legami che legano i detenuti alla camorra. È rivolto soprattutto ai quei giovani che vanno in carcere per la prima volta, nei quali la malavita trova la propria manovalanza, pagando i loro avvocati e sostenendo le famiglie. Una volta usciti, questi ragazzi sono in debito con loro e quindi costretti a delinquere. "Noi invece proponiamo alle parrocchie di adottare un detenuto - ha spiegato il sacerdote - sostenendo le spese necessarie, in questo modo li sottraiamo alla malavita". Un appello agli imprenditori napoletani affinché collaborino per dare lavoro agli ex detenuti è stato rivolto infine da Antonio Mattone della Comunità di Sant’Egidio: "Per chi è carcerato il lavoro non è un modo comodo di scontare la pena. Lavorare è un impegno, un modo per essere utile alla famiglia, per usare il proprio corpo e la propria mente come forse mai lo si è impiegato, e può essere l’inizio di un cambiamento. Penso soprattutto all’attività lavorativa fuori dal carcere, perché lavorare solo per 2 o 3 ore all’interno del carcere, con i condizionamenti ambientali propri della struttura carceraria non sempre è il modo per cominciare a diventare un ‘uomo nuovo’. Ed qui vorrei ricordare che solo un centinaio di detenuti campani su 7000 lavorano all’esterno del carcere". Bologna: apre Sportello per il rilascio di documenti anagrafici
Redattore Sociale - Dire, 29 settembre 2009
Apre nella Casa Circondariale uno sportello per il rilascio dei documenti anagrafici, rivolto ai detenuti ma anche agli agenti penitenziari. Martone, vicedirettrice: "Più semplici le procedure per i colloqui con i familiari". Carta d’identità, stato civile e certificati vari: tutti servizi che la maggior parte dei cittadini dà per scontati. Ma lo stesso non può dirsi per i detenuti, che spesso devono attendere mesi per un documento, a causa della lentezza della macchina burocratica italiana. Per facilitare l’accesso a questi servizi da parte di tutti, anche di chi è privato della libertà, a Bologna il quartiere Navile ha istituito all’interno della casa circondariale della Dozza uno sportello per il rilascio della documentazione anagrafica. Il servizio, già attivo dal 9 settembre, è rivolto a tutti i detenuti che, dovendo scontare una lunga permanenza nel carcere, hanno la residenza proprio alla Dozza. Ma potranno utilizzarlo anche gli agenti penitenziari che lavorano nella casa circondariale. I benefici? "Già si vedono nei colloqui con i familiari - spiega Maria Martone, vicedirettrice della casa circondariale Dozza -, che prima subivano forti ritardi a causa del lunghissimo iter burocratico per comprovare il rapporto di parentela". Ma lo sportello è anche "un esercizio concreto ed efficace di diritto alla cittadinanza - continua la Martone - che spetta a tutti, anche a chi è nello status detentivo". Lo sportello è in funzione il primo e il terzo mercoledì di ogni mese ed è gestito da un operatore messo a disposizione dal quartiere Navile, che ha sostenuto anche il costo totale del servizio (2 mila e 500 euro). "Bologna è la seconda città in Italia, dopo Torino, a creare uno sportello in carcere - dice Marina Cesari, direttrice del quartiere Navile -, grazie a una proposta di Desi Bruno, garante dei Diritti delle persone private della libertà". Il risultato è la firma di una convenzione tra il Navile e il direttore della casa circondariale che prevede non solo un servizio a risposta immediata per i detenuti, "ma anche - aggiunge Marina Cesari - una semplificazione del lavoro per i dipendenti comunali, visto che fino ad ora la documentazione anagrafica veniva rilasciata dagli uffici di quartiere". Lanciano (Ch): il carcere scoppia troppi detenuti e pochi agenti
Il Messaggero, 29 settembre 2009
In celle di 10 metri quadri ammassati 3-4 detenuti, mancano i materassi e c’è chi ha dormito per terra sulle coperte. E poi i topi e la carenza di acqua con rischi sanitari. Scoppia il carcere ad alta sorveglianza di Lanciano dove a fronte del raddoppio di detenuti (315) calano gli agenti di polizia penitenziaria passati da 180 a 135 effettivi, esclusi quelli distaccati o in missione o ancora quelli assenti impegnati in servizi di trasferimento dei detenuti da un carcere all’altro.. I sindacati parlano di "miscela esplosiva che non consente più di tutelare la sicurezza di carcerati e agenti". Ieri è così partito lo stato di agitazione degli agenti con 3 ore di protesta davanti al carcere e astensione dalla mensa. I sindacati Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Cnpp, Sappe, Sinappe, Osap chiedono al provveditore regionale Salvatore Acerra l’aumento di personale per fronteggiare le delicate esigenze della struttura. Poi ci sono 9 mila giorni di ferie arretrate e i pesanti turni straordinari divenuti ordinari. Situazione che peggiorerà con l’apertura delle sezioni psichiatrica e giudiziaria con impiego di altri 30 agenti. "Speriamo che il Provveditore venga a verificare la realtà", dice Ruggero Di Giovanni (Uil). Enna: rissa in carcere, rimane ferito un detenuto nordafricano
La Sicilia, 29 settembre 2009
Piazza Armerina. Un brutto quarto d’ora ieri pomeriggio nel carcere di contrada Cicciona della città dei mosaici. Durante le attività di socializzazione è scoppiata una lite tra i detenuti catanesi e quelli maghrebini. Un botta e risposta che alla fine ha avuto come risultato alcune contusioni riportate da un detenuto nordafricano. In sintesi, durante le attività comuni, si è acceso un parapiglia tra le diverse "fazioni". La direzione del carcere, anche in funzione del poco personale penitenziario a disposizione, ha prontamente chiamato le altre forze dell’ordine. Immediatamente, sul posto, sono arrivati poliziotti al comando del dirigente Giancarlo Consoli e carabinieri con in testa il cap. Michele Cannizzaro. Sul posto anche la polizia urbana con il comandante Pietro Viola. Nel pomeriggio, mentre il ferito è stato trasportato in ospedale scortato dalle forze dell’ordine, carabinieri e polizia sono rimasti a presidiare il carcere, per evitare possibili altre liti tra i detenuti del carcere piazzese. Anche a causa delle sirene dell’ambulanza che è accorsa per curare il malcapitato maghrebino, nei luoghi attorno al carcere è arrivata una folla di curiosi che ha guardato dall’esterno le operazioni portate avanti dalle forze dell’ordine. Il carcere piazzese si trova in posizione strategica, nella parte più alta della città. È la prima volta, almeno negli ultimi anni, che all’interno della struttura penitenziaria scoppiano liti di questo genere. Fortunatamente, il pronto intervento di tutte le forze di polizia ha evitato che la lite potesse allargarsi agli altri detenuti. Il motivo della rissa è comunque strettamente legato a questioni personali tra i detenuti e non si percepisce nessuna forma di protesta. Potenza: presentazione del Progetto "Aria3, cinema in carcere"
Redattore Sociale - Dire, 29 settembre 2009
Oggi nell’Aula "Pasquale Di Lorenzo" della Casa Circondariale del capoluogo, si tiene la Conferenza Stampa di presentazione del progetto denominato Aria3, un progetto d’avanguardia che prevede la realizzazione della Scuola Specialistica per Tecnici dell’Industria Cinematografica e Televisiva e dei primi Studios di Produzione Cine-televisivo all’interno della Casa Circondariale di Potenza, per il quale è previsto il finanziamento della Cassa delle Ammende dell’Amministrazione Penitenziaria, le cui finalità puntano, tra l’altro, ad affrontare in maniera diretta il problema delle relazioni familiari nel contesto carcerario, a fornire strumenti e competenze professionali altamente qualificate a 25 persone tra i detenuti e i loro figli per affrontare il problema dell’accesso e/o del reinserimento nel mondo del lavoro in un settore all’avanguardia come quello dell’industria cine-televisiva. Ed ancora, crea le possibilità per fare impresa nel carcere. I partners principali del progetto Aria 3, sono le aziende leader in Italia del mercato della produzione tecnica cine-televisiva (Gci Etabeta S. P. A. Roma - Altafilm Milano - Rce Multimedia Napoli) che interagendo con il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Basilicata e con la Regione Basilicata Dipartimento Formazione e Cultura, hanno strutturato l’Agenzia Aria3, agenzia territoriale per l’industria audiovisiva e cinematografica Basilicata, finalizzata a sviluppare l’attività cinematografica e televisiva nella regione. La conferenza stampa sarà, quindi, l’occasione per promuovere queste attività e, in particolare i primi strumenti operativi: 1. La partecipazione della Casa Circondariale di Potenza alla XV Edizione del Medfilm Festival 2009 - Cinema del Mediterraneo a Roma nell’Anno Europeo della Creatività e Innovazione nella sezione Corti dalle Carceri con la produzione di un film breve sul tema dell’integrazione culturale dal titolo "Tre minuti e mezzo" del regista Luca Curto, protagonista sarà l’attore Neri Marcorè. Hanno aderito al progetto attori di primo piano del cinema italiano Valerio Mastrandrea, Cinzia Mascoli e Elio Germano. 2. La realizzazione della Mostra-catalogo dal titolo "Lockation" sui temi dell’"Esecuzione penale in Basilicata" per gli Istituti di Potenza , Matera e Melfi e gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, in collaborazione con i Comuni, le Province e la Regione. Prenderanno parte all’incontro con i giornalisti il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria,napoleone Gasparo, l’Assessore regionale Antonio Autilio, il Presidente della Giunta Provinciale Piero Lacorazza e del Consiglio, Palmiro Sacco, il Sindaco Vito Santarsiero, il regista Luca Curto (direttore di Aria3), il direttore della Casa Circondariale di Potenza, Michele Frrandina e Giuseppe Palo referente del Progetto per il Provveditorato. Viterbo: presentazione di "Volare liberi" libro di testimonianze
Iris, 29 settembre 2009
La presentazione del libro "Volare Liberi" (cinquanta testimonianze raccontate da altrettanti detenuti dell’istituto penitenziario di Mammagialla), è stata anche e soprattutto un’occasione per discutere dei Progetti riguardanti l’integrazione, il recupero e il reinserimento degli ex detenuti nel contesto sociale e lavorativo, in sinergia con la direzione dell’istituto penitenziario viterbese e le realtà di volontariato che operano all’interno della struttura carceraria. Sede di questa importante discussione nel chiostro di Palazzo del Drago (sede dell’assessorato ai Servizi Sociali). "L’appuntamento a Palazzo del Drago - ha spiegato l’assessore Daniele Sabatini - ha rappresentato un momento di confronto su un tema di grande rilevanza sociale, ma anche il punto di partenza di un ampio progetto riguardante la popolazione della realtà penitenziaria. Un concetto su cui vorrei soffermarmi maggiormente riguarda l’aspetto umano di queste persone con un vissuto difficile alle loro spalle. Sarebbe buona cosa partire proprio da quell’incontro per promuovere iniziative di collaborazione tra la nostra amministrazione, le realtà di volontariato e la stessa amministrazione carceraria. Sinergie che possano dare frutti sia per quel che riguarda la fase del reinserimento nel mondo sociale e lavorativo di detenuti ed ex detenuti, sia per cercare di interrompere il circolo vizioso di entrata, uscita e ritorno in carcere. L’amministrazione comunale è a disposizione per organizzare incontri ed iniziative di sensibilizzazione. Nello specifico, l’assessorato ai Servizi Sociali ha provveduto ad anticipare un finanziamento regionale di 43 mila e duecento euro per avviare progetti da concretizzare in sinergia con la direzione dell’istituto penitenziario. Non ultimo, vorrei lanciare un messaggio anche alle scuole della nostra città. Sarebbe opportuno coinvolgere gli insegnanti in alcuni progetti di sensibilizzazione degli studenti. Partire dai giovani, creare e costruire con loro un percorso. Anche per questo motivo, sulla scia dell’iniziativa regionale La Settimana della Legalità, sarebbe interessante organizzare, in collaborazione con i plessi scolastici della nostra città, La Giornata della Legalità. La cultura è una valida ed efficace alternativa alla devianza. È nostro dovere promuoverla a partire dai giovani". Milano: il teatro a Bollate; una raccolta fondi per sopravvivere
Redattore Sociale - Dire, 29 settembre 2009
Una mostra fotografica, un’agenda illustrata e un nuovo spettacolo in arrivo. La cooperativa Estia si prepara a una nuova stagione ricca di appuntamenti lanciando una campagna di raccolta fondi. Necessaria per sopravvivere. Una mostra fotografica, un’agenda illustrata e un nuovo spettacolo in arrivo. La cooperativa Estia, che gestisce il teatro del carcere di Bollate, si prepara a una nuova stagione ricca di appuntamenti lanciando una campagna di raccolta fondi molto particolare. Estia, infatti, non chiede denaro per sé, ma per la Fondazione di Comunità del Nord milanese: se gli amici di Estia raccoglieranno 5.500 da devolvere alla Fondazione di Comunità del Nord milanese, quest’ultima sosterrà Estia con 15 mila euro. "La Fondazione di comunità del Nord milanese, emanazione di fondazione Cariplo sulla rete territoriale regionale, è uscita con un bando per progetti 2009/2010 che noi abbiamo presentato e vinto - dice Michelina Capato Sartore, regista teatrale e anima della cooperativa Estia-, ma l’erogazione dello stanziamento è legata al fatto che l’ente beneficiario porti alle casse della fondazione donazioni pari ad almeno il 35% di quanto richiesto da noi". Il meccanismo, che può apparire insolito, entra tuttavia nella logica di costruire nuove reti di donatori, adottato dalla fondazione. "La fondazione ci darà comunque un contributo proporzionato a quanto riusciamo a portare - precisa Capato Sartore -, sta quindi a noi essere in grado di far confluire nelle sue casse i 5.500 euro necessari a maturare il contributo di 15mila euro". Cifra che servirà a sostenere le attività del teatro In-Stabile, interno al carcere di Bollate e gestito dalla cooperativa Estia; tra le quali, in particolare, c’è "Liberi di vivere" , progetto culturale che intende far conoscere ai cittadini, ai giovani, agli operatori sociali la dimensione carceraria attraverso opportunità e occasioni diverse di incontro come una mostra fotografica che testimonia il lavoro teatrale svolto da Estia negli anni, che sarà itinerante a partire da ottobre e le cui immagini andranno ad abbellire un’agenda per l’anno prossimo, in commercializzazione dal mese di novembre. "Dopo sei anni di attività, la cooperativa ha raggiunto traguardi importanti attivando azioni di formazione e riprofessionalizzazione volte al reinserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti. Ancora molti ambiziosi progetti sono prossimi all’avvio e altri sono nel cassetto in attesa delle necessarie risorse - prosegue la regista -. L’impegno di e.s.t.i.a. verso i contesti sociali disagiati e il mondo carcerario non subisce i segni del tempo e l’alternanza delle mode, il bisogno esiste ed è reale e la situazione economica generale certo non favorisce il delicato equilibrio delle nostre attività". Il prossimo 24 e 25 ottobre, nel carcere di Bollate, si potrà assistere alle prove del prossimo spettacolo della Cooperativa, ("Il rovescio e il diritto", tratto da scritti giovanili di Albert Camus) i prossimi 24 e 25 ottobre. Lo spettacolo debutterà, sempre a Bollate, il 25 novembre. Per aiutare la cooperativa Estia, attraverso una donazione alla Fondazione di Comunità del Nord Milano, c’è tempo fino al 14 ottobre. Lodi: "A forza di essere vento", fa rivivere Fabrizio De André
Il Giorno, 29 settembre 2009
"Di respirare la stessa aria di un secondino non mi va", cantava Fabrizio De André in "Mia ora di Libertà". Ma oggi, nel carcere di Lodi, per quella che sarà la serata di chiusura degli eventi estivi organizzati dalla Direzione del carcere di Lodi, le parole anarchiche e libertarie di Faber verranno ascoltate e cantate da secondini e detenuti durante lo spettacolo dedicato al cantautore genovese "A forza di essere vento". Lo spettacolo, presentato dal Gruppo sperimentale Teatro Canzone, che andrà in scena alle 19.30 nel cortile del carcere di Lodi, propone un percorso cronologico della vita e dell’opera del cantautore, articolato in tre parti. La prima "Peccati di gioventù" racconta la solidarietà della gioventù di Faber, la seconda "Canzone e poesia" presenta invece gli anni centrali dell’attività di De André, per giungere a "Gli anni dopo..." in cui si analizza la maturità dell’artista dopo l’epoca della ribellione e della rivolta. Oltre al Gruppo Sperimentale Teatro Canzone (Paolo Magri, Marco Cafaro, Claudio Montiroli, Francesca Baioni, Cristian Girardi, Gabriele Boggio Ferraris e Davide Santi), sarà presente anche Don Andrea Gallo, sacerdote genovese stretto amico di Fabrizio. Da sempre impegnato nel sociale, ha accettato di partecipare alla serata esprimendo solidarietà al mondo del carcere che lui ha definito "il simbolo della nostra grande indifferenza". All’evento è invitata la cittadinanza, per portare avanti il progetto di arricchimento e confronto reciproco tra le realtà "dentro e fuori le sbarre". Immigrazione: reato di clandestinità, il governo contro i giudici di Fulvio Vassallo Paleologo (Università di Palermo)
www.meltingpot.org, 29 settembre 2009
Reato di clandestinità, governo contro i giudici che hanno sollevato la questione di legittimità. In Francia i magistrati rimettono in libertà i migranti arrestati dalla polizia, in Italia altri magistrati finiscono sotto processo per avere applicato la Costituzione. Nei giorni scorsi il governo francese ha sgomberato e distrutto, con una imponente operazione di polizia, annunciata da tempo, il campo profughi abusivo che era sorto in prossimità della città di Calais in un bosco ( la Jungle) dove avevano trovato rifugio centinaia di immigrati afgani, in gran parte minori e potenziali richiedenti asilo . Molti di loro erano in cerca di un passaggio verso l’Inghilterra, prospettiva sempre più lontana dopo l’avvio della collaborazione tra la polizia inglese e la polizia francese per arrestare tutti coloro che cercavano di attraversare la Manica senza concedere loro alcuna occasione di accesso alle procedure di protezione internazionale. Secondo la associazione francese Cimade, su 138 immigrati rastrellati nella operazione di smantellamento del campo di Calais, appena qualche giorno dopo, 95 sono stati rimessi in libertà, per effetto delle decisioni di diversi giudici che hanno rilevato tra gli irregolari un numero assai elevato di richiedenti asilo e di minori. I giudici delle corti di appello che si sono pronunciati sugli arresti compiuti dalla polizia hanno rilevato che le persone arrestate non avevano potuto esercitare correttamente i loro diritti e che i minori non potevano essere detenuti nei centri di detenzione. Come rileva anche la stampa francese molti altri immigrati irregolari, anzi la "quasi totalità" di quanti sono stati fermati nella "giungla" di Calais dovranno essere rimessi in libertà nel giro di qualche giorno perché minori o richiedenti asilo. In Francia adesso sta montando la polemica contro la decisione disumana del governo e del ministro dell’interno, e nessuno si sogna di attaccare la magistratura perché questa ha rilevato la illegittimità dell’operato della polizia e dei prefetti che, piuttosto che prestare interventi di assistenza, hanno rinchiuso dietro le sbarre persone che già nei loro paesi avevano subito torture di ogni tipo e carcerazione arbitraria. Persone che avrebbero avuto diritto ad accedere ad una procedura di protezione internazionale e di essere accolti in un centro per richiedenti asilo, o per minori. Sono mesi che la destra italiana ricorda che in Francia esiste il reato di immigrazione clandestina, ma adesso nessuno sta dando spazio a queste notizie che provengono da un paese governato dalla destra, ma nel quale l’autonomia della magistratura sembrerebbe ancora un valore da salvaguardare. In Italia invece le decisioni di alcuni Procuratori della Repubblica che hanno sollevato dubbi sulla costituzionalità delle nuove norme sul reato di immigrazione clandestina, introdotto con la legge 94 del 2009, hanno sollevato e continuano a sollevare la reazione violenta, ad evidente scopo intimidatorio, di diversi ministri, prima Maroni, poi Alfano, adesso Brunetta. Un attacco frontale contro la magistratura, dopo avere regolato i conti con la chiesa, ridotta al silenzio con il caso Boffo e con il ricatto sul biotestamento, ed alla vigilia di una cappa di censura che sarà calata sui mezzi di informazione. Una ulteriore conferma del carattere eversivo del populismo berlusconiano che governa l’Italia, grazie al controllo dei media da parte del Presidente del Consiglio e dei suoi sodali. Altro fumo negli occhi degli italiani per distoglierli dai problemi quotidiani della crisi, dal caso delle veline nelle residenze del premier, e soprattutto dal provvedimento sullo scudo fiscale, che si sta trasformando in un autentico regalo per le mafie e per gli evasori di stato. I capitali, compresi quelli "sporchi", possono circolare liberamente, anche quando sono mafiosi ed evasori ad arricchirsi, ma le persone migranti costrette all’immigrazione irregolare dall’assenza di canali di ingresso legali e private del diritto di accesso alla procedura di asilo, devono essere arrestate, detenute, deportate, se capita possono essere anche torturate, con l’avallo degli ufficiali di collegamento che il nostro paese dissemina nei paesi di transito (a spese dei contribuenti). Adesso i giudici di diverse procure (Bologna, Torino, Agrigento) sono accusati di volere disapplicare la nuova normativa sul reato di immigrazione clandestina, addirittura di commettere un reato, solo perché hanno sollevato precise questioni di costituzionalità. E forse anche perché qualche procuratore ( a Siracusa e ad Agrigento) ha aperto indagini sui respingimenti collettivi verso la Libia, chiamando in causa alti esponenti della Guardia di Finanza. Il Consiglio superiore della magistratura dovrà pronunciarsi al più presto per difendere la indipendenza della magistratura ed i valori fondanti della Costituzione, puntualmente attaccati dagli interventi e dalle esternazioni del ministro dell’interno e dei suoi colleghi. Una serie coordinata di attacchi eversivi rispetto al valore costituzionale della indipendenza della magistratura, perché sono evidentemente mirati a condizionare già nei prossimi giorni le decisioni dei giudici di pace sulle eccezioni di costituzionalità sollevate da diversi procuratori della Repubblica. E sarà tutta da verificare la indipendenza dei giudici di pace, giudici non togati , soggetti a nomina periodica e privi del requisito della inamovibilità, giudici che operano all’interno dei Cie (centri di identificazione ed espulsione) in condizioni di forte pressione psicologica, che convalidano senza garantire il contraddittorio provvedimenti spesso illegittimi dei questori, come i "respingimenti differiti" ex art. 10 comma 2 del T.U. sull’immigrazione n. 286 del 1998, giudici che non dovrebbero occuparsi di provvedimenti riguardanti la libertà personale. Ma non basta. All’interno del Csm i rappresentanti del centro destra vogliono avviare una azione disciplinare nei confronti dei procuratori che hanno sollevato le eccezioni di costituzionalità, un atto di ordinaria amministrazione della giustizia, da parte di giudici che sono soggetti soltanto alla legge, e non ai voleri di questo ministro o di quel partito. È noto infatti che il partito dell’attuale ministro dell’interno, la Lega Nord, chiede da tempo la nomina su base elettorale dei giudici, in modo di favorire anche nell’esercizio della giurisdizione quella parte politica che ottiene la maggioranza. In spregio del principio di uguaglianza. Già oggi è saltato il principio di eguaglianza affermato dall’art. 3 della Costituzione, quasi con cadenza quotidiana vengono istituiti strumenti di polizia e norme processuali che valgono soltanto per gli immigrati, anche quando contrastano in modo evidente con i principi costituzionali, a partire dagli articoli 13 (diritto alla libertà personale), 24 ( diritto di difesa) 32 (diritto alla salute) della Costituzione. Senza che queste gravissime violazioni dello stato di diritto modifichino in meglio la sicurezza dei cittadini italiani e incidano sul contrasto dell’immigrazione irregolare. Se il numero degli sbarchi a sud è diminuito questo si deve soltanto alla collaborazione con il regime dittatoriale di Gheddafi, che ha arrestato in Libia e rinchiuso nei centri di detenzione, migliaia di candidati all’immigrazione clandestina in Italia, in gran parte donne, richiedenti asilo e minori, ed adesso sta battendo cassa per il "lavoro sporco" che si è impegnato a fare con tanto zelo. La politica dei respingimenti collettivi verso la Libia (e verso la Grecia) non può essere definita da nessuno come un "successo storico" ma segna una delle pagine più infami della fortezza Europa, una infamia che marchierà per sempre tutti coloro che l’hanno ordinata ed eseguita. Una infamia che è costata migliaia di morti e di persone sottoposte ad ogni forma di violenza nei paesi di transito, o dopo il loro rimpatrio coatto, questo il vero bilancio che consegnerà il ministro Maroni ed il suo governo alla storia. Una infamia che non potrà essere scalfita da nessuna maggioranza conquistata nei sondaggi o nelle urne elettorali, un vero e proprio attentato quotidiano alla Costituzione, ed ai diritti fondamentali della persona, affermati nelle Convenzioni internazionali. E di tutto questo proprio l’attuale governo, ed i suoi agenti, potrebbero essere chiamati a rispondere davanti alle Corti internazionali e forse anche al cospetto dell’opinione pubblica, quale che sia il fuoco di sbarramento che i ministri cercano di utilizzare in questi giorni per distogliere l’attenzione degli italiani (anche con la menzogna) ed alimentare ancora paura e xenofobia. Usa: 109 minorenni ergastolani; per rapine, stupri o altri reati
Corriere della Sera, 29 settembre 2009
In America ci sono 109 detenuti condannati all’ergastolo per reati commessi in minore età, ma non per omicidi (quelli sono circa 2.500) bensì per rapine a mano armata, stupri, ecc. Detenuti che non usciranno vivi dai penitenziari in cui entrarono dai 13 ai 17 anni, ragazzi, addirittura bambini, a meno che la Corte suprema americana, che a novembre ne esaminerà il caso, non decida che la loro condanna viola la Costituzione. Lo riferisce il Los Angeles Times, precisando che i 109 sono stati scoperti da uno studioso della Florida, Paolo Annino, al termine di una lunga inchiesta. L’esistenza degli ergastolani minorenni era nota alle associazione dei diritti umani come Amnesty International, secondo cui l’America è l’unico paese al mondo che infligge questa pena per reati diversi dall’omicidio. Grazie a loro inoltre negli ultimi anni alcuni stati come la California hanno vietato l’ergastolo per i minori. Ma l’esito della inchiesta di Annino ha destato scandalo: nessuno sapeva che questi ergastolani fossero 109, di cui ben 77 in Florida, un triste primato. Il Los Angeles Times ha citato i casi di Joe Sullivan e di Terrance Graham, entrambi in Florida. Nell’89, quando aveva 13 anni, Sullivan rapinò e stuprò con alcuni compagni una donna, e ricevette l’ergastolo (successivamente i suoi compagni furono scarcerati). E nel 2005, quando ne aveva 16, Graham commise due rapine a mano armata, inducendo il giudice a definirlo "incorreggibile". Invano i loro legali presentarono ricorso: la Florida era scossa da un’ondata di violenza giovanile, che era costata la vita anche ad alcuni turisti europei, e la Corte d’appello decretò che le condanne erano giustificate. Bryan Gowdy, il legale di Sullivan, ora trentatreenne, sostiene che con vent’anni di penitenziario il suo cliente ha saldato il conto con la giustizia, e che l’America deve abolire l’ergastolo "per i minorenni che non hanno ucciso nessuno". Ma sulla sentenza della Corte suprema americana non si fanno previsioni: il suo presidente John Roberts e altri 4 giudici (in tutto sono 9) sono conservatori. Gowdy punta sulla capacità di persuasione della giudice appena nominata da Obama, Sonia Sotomayor, una liberal. Dopo la condanna a morte, contro cui alcuni stati hanno adottato una moratoria, l’ergastolo ai minorenni che non si sono macchiati di omicidio diventa un problema di fondo per l’America. La Costituzione vieta pene "insolite e crudeli", e questa potrebbe esserlo. Usa: innocente, per 20 anni ha vissuto nel braccio della morte di Mario Marazziti (Comunità di Sant’Egidio)
Avvenire, 29 settembre 2009
Curtis McCarthy a Roma Curtis McCarthy, 44 anni, innocente, è stato condannato a morte per l’uccisione di una ragazza, Pamela Willis, figlia di un poliziotto, coinvolta in una storia di tossicodipendenza. È stato liberato alla fine di maggio del 2007, dopo ventuno anni trascorsi nel braccio della morte di McAlester, in Oklahoma. Il duecentounesimo ad essere liberato grazie alla prova del Dna, il quindicesimo condannato a morte.
Mi puoi dire cosa e da quali amici hai imparato di più nel braccio della morte? "Credo di aver imparato da tutti, persino dal personale del carcere. Per prima cosa, ho imparato l’umiltà, che il mondo non gira intorno a me. Che tutti facciamo parte di una comunità più grande e che il mio egocentrismo, l’attenzione ossessiva sulla mia vita, non andava bene. Non potevo vivere la mia vita in quel modo. Ho imparato questo da tutti, comprese le guardie. Ho imparato a non odiare il personale del carcere. Anche se eravamo maltrattati da alcune guardie, ho imparato a non odiarle. Li capisco come esseri umani, che possono sbagliare, che sono vittime di un modo di pensare sbagliato e di un sistema sbagliato, che hanno anche loro i problemi: tutto questo fa fare loro cose che non dovrebbero fare. Esattamente come me. Faccio ancora delle cose che non dovrei fare: sono distratto, non sono puntuale, dimentico i nomi e sono maleducato. Non vorrei esserlo. Ma succede perché sono un essere umano, fallibile. Credo che questa sia la cosa più importante che ho imparato: riconoscere l’umanità nei miei vicini e nel personale che lavorava lì. Anche negli uomini e nelle donne che mi hanno fatto dei torti. Non li odio più. Sono esseri umani e alcuni di loro si trovavano in situazioni difficili. E hanno fatto delle cose che non avrebbero dovuto fare. Certo, questo ha avuto un esito terribile in me, ma attraverso i miei contatti con tutta questa gente e i miei pensieri penso che quando parlo di ira, di rabbia e di vendetta ho capito che questi atteggiamenti non servono niente. Era più importante punire questa gente o educare gli altri, in modo da cambiare il sistema ed evitare che altri soffrano? Qual era il modo migliore per vivere la mia vita? Essere egoista o altruista?".
L’odio e la vendetta non sono mai una soluzione. Secondo me. "È vero. Ho imparato anche questo, che odio e vendetta ci consumano. Non riusciamo a pensare con chiarezza, così costruiamo la nostra prigione. Lo facciamo contro noi stessi. Consentiamo loro di fornire i mattoni e le attrezzature per costruire una prigione intorno a noi stessi in- vece di avere il cervello e il cuore aperti, e la saggezza. Lo vedo in America, quando la gente parla della pena di morte e quando parlano con le vittime di questi delitti terribili, con le loro famiglie. Vedo il loro odio, e non c’è modo di dire: ‘Capisco il suo dolore, ma deve superare l’odio. Deve decidere ciò che è meglio per la sua famiglia, meglio per la società e meglio per i prigionieri’. Invece il nostro governo dice: ‘Odiare! Uccidere! Vi farà stare meglio’. Ma non funziona così. Si vede come questo distrugge gli uomini e le donne. Ho visto come tutto questo ha quasi distrutto me".
Rinunceresti a quello che hai imparato nel braccio della morte pur di non esserci mai stato? "No. È stata una cosa spaventosa, dover vivere in quella maniera giorno dopo giorno, e ancora il giorno dopo... per anni e anni. Il tradimento, l’isolamento, la violenza, la disumanità e tutta quella morte. Ma credo che mi ha dato saggezza. Per come ho vissuto la mia vita, avrei potuto morire di overdose. Sarei comunque andato in prigione per qualche cosa che avrei fatto. Non voglio minimizzare quello che hanno fatto le autorità - perché hanno commesso un crimine contro l’umanità - lo hanno fatto a me e ad altri. Non minimizzo e non ritengo accettabili quelle azioni, ma devo comunque accettare la responsabilità per le mie azioni. Ho fatto tutto nella mia vita tranne che commettere apertamente un crimine capitale. Ci tengo alle lezioni imparate: non ho appreso da loro - hanno tentato di uccidermi, di schiacciarmi, di utilizzarmi a fini politici - quindi non ho imparato un bel niente da loro. L’ho imparato per me. L’ho imparato dai miei vicini, dalla mia famiglia e dalle persone che mi hanno mostrato amore e comprensione - gli uomini e le donne dell’Innocence Project e della Comunità di Sant’Egidio -. Non darei nulla in cambio di quelle lezioni e di quella saggezza".
Che rapporto c’è tra la tortura e la pena capitale? "Considero come tortura il modo in cui viene affrontata la pena di morte in America. È una questione talmente politica che tutti raccontano bugie. È tortura doverti presentare davanti al governo: e noi abbiamo una profonda fiducia nello Stato e nelle istituzioni, nella giustizia in particolare, come ci insegnano da bambini. In questo senso, in America, noi restiamo bambini. Il primo istinto è quello di affrontare il governo con fiducia, sapendo che tutti avranno un processo equo. Poi si entra in aula e si sentono dire bugie e si sente odio. Questo è tortura. Perché tutte le tue convinzioni e il tuo orgoglio ti sono strappati di dosso. È tortura doverti presentare in pubblico con le catene, perdere la dignità di uomo. Essere rinchiuso in una scatola piccola tra uomini che sono pazzi, violenti e malati, che non ricevono alcuna cura. Dover tenere sempre gli occhi aperti per garantire la tua incolumità, giorno dopo giorno, perché in cella con te c’è un pazzo e un violento. È come essere in combattimento, in guerra, giorno dopo giorno, tutti i giorni. È la stessa cosa. È tortura tenere la mano di una persona amata e vedere arrivare il governo, lo Stato, che la porta via senza alcuna ragione, la porta nella stanza accanto e la lega a un tavolo e ucciderla: questo è tortura".
C’è una storia di un uomo nel braccio della morte dell’Oklahoma, che doveva guarire prima di essere ucciso, altrimenti non lo potevano uccidere... È una storia molto strana. Me la puoi raccontare? "Credo che tu ti riferisca a Robert Brecheen. Quella è stata la vicenda più assurda e spaventosa che ho mai sentito o visto nel braccio della morte. Il comportamento ossessivo del governo è stato davvero crudele e vendicativo. Robert Brecheen era un detenuto nel braccio della morte dell’Oklahoma. Era lì per morire. Quello che hanno fatto le autorità è talmente terrificante, mostra la pazzia del governo, la sua ossessione per la morte, per uccidere. Robert aveva deciso che non avrebbe dato al governo la soddisfazione di ucciderlo. Ha conservato tutti i farmaci che gli prescrivevano, molti, in una quantità sufficiente ad uccidere. Quattro o cinque ore prima di essere messo a morte per mano del governo, lui ha inghiottito tutti i farmaci. Una quantità sufficiente per morire. Quando le guardie hanno capito che cosa aveva fatto Robert, lo hanno portato di corsa in ospedale e i medici gli hanno salvato la vita con altri farmaci e una lavanda gastrica. Hanno salvato la sua vita. Robert stava morendo per un’overdose e lo hanno strappato alla morte. Poi lo hanno riportato in prigione, e poi, finalmente, lo hanno ucciso: lo hanno legato al tavolo, gli hanno iniettato il veleno e lo hanno ucciso. È stata la cosa più spaventosa e orrenda che ho visto nel braccio della morte. C’è una pazzia, è un’ossessione quella di uccidere. È sete di sangue, anche se il sangue non si vede con l’iniezione letale. Eppure lui aveva fatto esattamente quello che loro volevano fare: ha preso dei farmaci per morire. Ma loro hanno detto: "Eh no, non è esattamente così che vogliamo che muoia, vogliamo ucciderti con le nostre mani. Ti odiamo a tal punto da aver creato questo rito della morte, e ci piace così tanto che non permetteremo che tu ci batti e lo fai qualche ora prima, da solo. Vogliamo guardarti negli occhi e toglierti la vita, mentre ti uccidiamo, e ucciderti noi". È una vicenda assurda, insensata, indecente".
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