Rassegna stampa 9 ottobre

 

Giustizia: archiviato il lodo Alfano, è l'ora di una riforma vera

di Piero Alberto Capotosti

 

Il Messaggero, 9 ottobre 2009

 

Diciamoci la verità e senza fare la minima demagogia: il "lodo Alfano" riguarda solo quattro, sia pure autorevolissimi personaggi, mentre una riforma organica della giustizia, che sia in grado di ridare efficienza e soprattutto credibilità al sistema giudiziario nel suo complesso, riguarda l’intera collettività. Sono anni che si elaborano progetti, si organizzano convegni, si affrontano discussioni infinite su varie problematiche: sulla semplificazione e l’accelerazione dei processi, sulla revisione del Csm, sulla separazione delle carriere, sulla riscrittura dei codici, sulla certezza della pena, tanto per citare alcuni temi. È vero che si tratta di un’opera estremamente impegnativa, in cui occorre la massima collaborazione tra tutti i vari soggetti interessati, ma intanto tutto resta fermo, in un gioco di veti e controveti, che non solo lascia irrisolti i problemi, ma anzi li aggrava, proprio per lo scorrere del tempo.

Il conflitto tra politica e magistratura, ad esempio, resta un nodo irrisolto, che rende sempre più travagliato il quadro politico-istituzionale e che non si può certo superare soltanto con esortazioni al bon ton reciproco, ma cercando di recuperare, con una strategia di fondo, quella originaria posizione di equilibrio tra gli appartenenti a questi due Poteri che i nostri Costituenti avevano previsto nella nostra Carta.

Le forze politiche invece si concentrano sulla vicenda del "lodo Alfano" ed allora bisogna chiedersi, dopo tanto strepito, come il cittadino normale segua e partecipi agli sviluppi di questa vicenda, che da giorni monopolizza le prime pagine dei giornali e dei palinsesti radiotelevisivi. Ho la netta impressione che dopo un primo momento di attenzione , dovuto soprattutto alla notorietà dei personaggi in campo e delle rispettive "tifoserie", sia subentrato, nei più, un senso di disagio e di noia per un qualcosa, che somiglia tanto ad uno spettacolo, pur senza esserlo.

La politica non può confondersi con una sorta di spettacolo teatrale, in cui i vari personaggi recitano le rispettive parti, spesso senza rispettare i ruoli, ed il pubblico, cioè noi tutti, ci limitiamo ad assistere a questa pièce. Prima o poi ci si annoia ed anche in questo modo si alimenta il distacco dei cittadini dalla politica, proprio perché troppo spesso i problemi che agitano il mondo politico non riguardano i veri, spesso drammatici, problemi dei cittadini.

Come si recupera la fiducia dei cittadini? Certamente con opportune e calibrate iniziative politiche, ma soprattutto ristabilendo le regole del gioco e soprattutto facendo in modo che i titolari di funzioni pubbliche rispettino il preciso dovere, come stabilisce l’art. 54 della Costituzione di "adempierle con disciplina ed onore". Altrimenti rischia di instaurarsi un perverso circuito di azioni e reazioni, in cui i cittadini finiscono con il perdere sempre di più il senso della credibilità delle istituzioni, determinando un progressivo scollamento con il vertice rappresentativo, così da mettere in pericolo il sistema democratico in Italia. È assolutamente necessario che i titolari delle più alte funzioni statali adempiano correttamente alle proprie funzioni, rispettando rigorosamente le altrui competenze, per evitare tensioni, divergenze, scontri, che finiscono con l’alimentare un quadro di conflitto permanente tra le istituzioni.

Non si può, ad esempio, "tirare per la giacchetta" il Presidente della Repubblica, perché promulghi o rinvii alle Camere, a seconda dei diversi interessati, una legge, poiché egli controlla le leggi, soltanto dal punto di vista del sistema e dei vizi di costituzionalità "macroscopici". Né si può ritenere che il Capo dello Stato abbia subito una "offesa" dalla Corte costituzionale, qualora, come nella vicenda del "lodo Alfano" questa dichiari costituzionalmente illegittima una legge, perché a tale organo istituzionalmente spetta il controllo di costituzionalità, che necessariamente non può non riguardare leggi già promulgate.

Così pure il Parlamento ed il Governo procedano ad attuare con la massima speditezza il programma che li lega nel rapporto fiduciario. Ed infine la magistratura dovrebbe essere attentissima a rispettare il valore del "precedente" e ad assicurare la certezza della pena.

Quello che soprattutto dà garanzie e sicurezza a noi tutti è la prevedibilità e l’affidabilità delle risposte degli organi istituzionali, senza cioè ricorrere a pronostici più o meno smentiti di volta in volta.

Giustizia: Alfano; accelerare le riforme, presto il Piano carceri

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 9 ottobre 2009

 

Tra 50 anni il ministro Angelino Alfano sarà ricordato per il lodo bocciato dalla Consulta o per qualche importante riforma sulla giustizia? "Non ambisco ad essere memorabile perché ad essere ricordato saranno il governo e il presidente del Consiglio. Il rammarico sul lodo non deriva dalla vanità personale ma da un cosa che ritenevamo, e riteniamo, giusta in via di principio. Ora io voglio solo contribuire con le riforme sulla giustizia: il processo civile e le leggi antimafia sono due gol fatti già nel primo anno di governo e vedrete che entro la prossima estate altre riforme importanti saranno nel nostro carniere. E poi di anni per fare ne resteranno ancora tre".

Così, dopo il drammatico giro di boa scandito dalla decisione della Consulta, il Guardasigilli Angelino Alfano rimette le mani su un’agenda parlamentare molto fitta: per iniziare, la riforma della professione forense, il giro di vite sulle intercettazioni e il ddl sulla procedura penale al Senato. Ma dietro l’angolo c’è molto di più, la riforma del Csm ma anche un argomento tabù per il Pdl: "Confermo che l’immunità parlamentare del 1993 non è nel programma del governo votato dagli elettori ma è materia che meriterebbe un serio approfondimento con l’opposizione, dopo il congresso del Pd". C’è poi il ruolo che alcune ricostruzioni attribuiscono al Guardasigilli nelle giornate precedenti alla decisione della Corte sul lodo Alfano, secondo le quali proprio lui avrebbe chiesto al capo dello Stato di esercitare opera di convincimento sui giudici della Consulta.

 

Ministro, è vera questa ricostruzione?

"Le mie visite al Quirinale sono tutte regolarmente monitorate e registrate dalle agenzie di stampa e, se vi interessa il dettaglio, l’ultima visita è stata in occasione della cerimonia per l’inaugurazione dell’anno scolastico (24 settembre; ndr) quando ero lì insieme a un sacco di gente".

 

Ora, con uno scontro istituzionale senza precedenti, i magistrati temono provvedimenti legislativi ritorsivi. Il Guardasigilli può rassicurarli?

"Fortunatamente si tratta di atti depositati in Parlamento da mesi. Con i temi di fondo della riforma costituzionale già contemplati nel nostro programma sebbene le opzioni debbano ancora essere individuate. Per questo lavorerò nei prossimi giorni con il presidente, i leader della coalizione e i tecnici del nostro partito".

 

Il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, dice che quelli rivolti dal premier al capo dello Stato "sono attacchi rozzi".

"Davanti agli attacchi subiti dal governo, credo che l’unica risposta possibile sia il buon governo".

 

L’attesa per la decisione della Consulta ha comunque congelato il cammino delle riforme. Ora è finito il tempo degli indugi?

"Non si può dire che questo governo abbia indugiato in materia di giustizia: oltre a una importante riforma del processo civile e alle le leggi antimafia, sono in cantiere le intercettazioni, la riforma della procedura penale e un gran numero di norme nell’ambito del pacchetto sicurezza e anche le procedure straordinarie per la costruzione delle carceri".

 

Il piano carceri non doveva arrivare in Consiglio entro la fine di settembre

"Il piano è stato raffinato e messo a punto rispetto allo schema iniziale perché il risultato della ricostruzione all’Aquila ci metterà in condizione di accelerare i tempi e diminuire i costi. Siamo quasi pronti per portarlo in Consiglio dei ministri".

 

C’è ancora tempo per una riforma costituzionale del Csm?

"C’è il tempo per fare la riforma costituzionale in materia di giustizia e, all’interno di questa, concorderemo con la coalizione l’impostazione da seguire. Di certo ho una difficoltà a immaginare la separazione degli ordini (giudici e pm; ndr) senza essere conseguenti in materia di Csm. Ma, ripeto, si tratta di tematiche da approfondire".

 

È ancora nel suo cassetto il ddl che cambierebbe il sistema elettorale del Csm introducendo il sorteggio per i togati eleggibili?

"Rientra nel ragionamento che ho appena svolto. È chiaro, però, che questa è una scelta che subisce la variabile tempo perché in primavera verranno convocati i comizi elettorali per il prossimo Csm".

 

Intercettazioni: il testo è blindato?

"Certo, non si può abbandonare un testo lungamente discusso alla Camera e varato, a scrutinio segreto, con un risultato che ha dato 20 sì in più rispetto al nostro cartello di maggioranza".

 

Procedura penale: ci sarà lo stralcio al Senato per far viaggiare più spedito l’articolo 238 bis che rende inutilizzabili in altri processi le sentenza passate in giudicato? È una norma che sembra fatta su misura per neutralizzare l’eventuale condanna in Cassazione dell’avvocato Mills?

"Ma no. Noi non immaginiamo lo stralcio di nulla, perché il ddl sulla procedura penale ha una sua organicità basata sul giusto processo e sull’efficienza".

 

E sulla separazione di pm e polizia giudiziaria.

"Un elemento senz’altro importante". Berlusconi ora è costretto ad occuparsi dei suoi processi: invocherà il legittimo impedimento o sfrutterà il tribunale, oltre che per dimostrare la sua estraneità ai fatti, per rivolgersi al Paese?

"Il presidente ha già governato senza una sospensione dei processi. Gli ho parlato e non ha alcuna preoccupazione. Con la bocciatura del lodo, però, non si è reso un buon servizio al Paese".

Giustizia: in arrivo ddl per ravvicinare prescrizione caso Mills

di Liana Milella

 

La Repubblica, 9 ottobre 2009

 

Al tappeto dopo il micidiale knockout della Consulta sul lodo Alfano il team giuridico del Cavaliere sbanda, si divide, ma già è al lavoro su nuove sorprese ad personam. Una su tutte: intervenire di nuovo sui tempi di prescrizione, dopo il pesante intervento della Cirielli, nel disperato tentativo di far "morire" subito il processo Mills.

Niccolò Ghedini e Angelino Alfano escono azzoppati dalla partita sullo scudo congela-processi, ma ancora a loro due si è rivolto il Cavaliere per esigere, in tempi brevi, una legge che spunti le armi dei magistrati milanesi. "Non voglio governare con l’incubo delle udienze, datevi da fare" gli ha detto liquidandoli. Tacchi indietro, i due si sono messi al lavoro.

E adesso, in queste ore, nello studio di Ghedini e nelle stanze di via Arenula, comincia a prendere forma un disegno di legge "leggero" in cui mettere al primo posto i nuovi limiti della prescrizione e poi altre tre "creature" ghediniane, poteri potenziati delle difese a scapito dei giudici, ricusazione più facile delle toghe, stretta nell’utilizzo delle sentenze passate in giudicato.

Tutto questo ha un solo norme: una nuova legge tagliata su misura per Berlusconi. Smilza, pochi articoli, di facile gestione parlamentare, con una corsia preferenziale garantita tra Camera e Senato. Da approvare per febbraio, marzo. In grado di chiudere subito il processo Mills, quello più pericoloso per Berlusconi, che con le regole di oggi è prescritto a metà del 2012.

Avrebbe voluto un decreto il premier. Ma, assai contriti, sono stati costretti a dirgli che sarebbe difficile spiegare a Napolitano quali sono le ragioni di necessità e urgenza per cambiare le regole della prescrizione e costringere i giudici ad ancorarla in modo meccanico. Un nuovo braccio di ferro con il Colle è meglio evitarlo.

Dunque si vada a un ddl che anticipa, da quello sul processo penale in sonno al Senato, le norme già scritte da Ghedini per Berlusconi a febbraio. Lungimirante il Ghedini: alla fine del 2008, con il lodo Alfano appena applicato al processo Mills, l’avvocato di Padova era consapevole della sua inconsistenza e sfornava nuove norme per proteggere Berlusconi. Vediamole.

La prescrizione in primis. Che hanno fatto i pm di Milano? Hanno ancorato la decorrenza alla data in cui, era febbraio 2000, l’avvocato di Londra entrò in possesso dei 600mila dollari, regalo del premier per la sua versione addomesticata sui fondi neri, e non al 1998 quando quei soldi furono versati. Una scelta che Ghedini, da avvocato, ha sempre criticato.

Adesso appresta lo strumento legislativo per togliere ai pm questa libertà mettendo dei paletti rigidi. Il reato fu commesso quando i soldi partirono e non quando furono utilizzati. Quindi la data è il ‘98. La norma, più favorevole all’imputato rispetto a quella attuale, dovrà essere applicata anche al processo Mills che, a quel punto, dovrà subito chiudere i battenti perché i dieci anni in cui si prescrive il reato risulteranno scaduti. Non basta. Per garantirsi che comunque, nel processo contro Berlusconi, non possa essere utilizzata la sentenza del troncone Mills, quando sarà definitiva, Ghedini cambia le regole e cancella la possibilità di usarla in un altro processo come invece avviene oggi.

Messo a posto il caso Mills restano gli altri processi, come quello sui diritti tv che si prescrive nel 2012. E lì non rimane che guadagnare la prescrizione allungando a dismisura i tempi del processo e scandagliando nella vita dei giudici con l’obiettivo di trovare una pecca e ricusarli. Per questo Ghedini ha già scritto da mesi due norme ad hoc: la prima stabilisce che "l’imputato ha diritto, nelle stesse condizioni del pm, di ottenere l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore. Il giudice, a pena di nullità, le ammette".

Diventa un esecutore in mano alle difese. Quanto alle toghe si potranno ricusare "anche se esprimono giudizi fuori dall’esercizio della funzione giudiziaria" tanto da compromettere la loro imparzialità. Per capirci, basta che un magistrato intervenga in un’assemblea dell’Anm e esprima un giudizio negativo su una legge ed è fuori dal processo. Il lodo Alfano congelava i processi, queste norme li cancellano.

Giustizia: Radicali; carceri da svuotare, con le pene alternative

di Donatella Poretti (Senatore Radicali-Pd)

 

Agenzia Radicale, 9 ottobre 2009

 

La situazione in cui versano oggi le carceri è catastrofica e non pochi interventi ci vorranno per risanare la situazione ormai al collasso. Non solo per la sovrappopolazione oltre i limiti legali, ma anche per altri fattori. Tra questi la mancata applicazione di misure alternative: oggi spesso tardive e non efficaci perché legate ad una seconda pronuncia da parte della magistratura di sorveglianza.

Opportuni meccanismi di automatismo, invece, consentirebbero ai detenuti che ne hanno diritto di accedervi più agevolmente, con conseguenza che meno persone entrerebbero in carcere e ci sarebbe una maggiore efficienza del sistema penitenziario. Grazie alla collaborazione con l’associazione "Il Detenuto Ignoto", insieme al senatore Marco Perduca ho depositato un disegno di legge che prevede l’introduzione della pena dell’affidamento al servizio sociale, da affiancarsi alle tradizionali pene previste dall’art. 17 del Codice Penale (reclusione, multa, arresto, ammenda) e da irrogarsi direttamente dal giudice di cognizione con la sentenza di condanna.

Questa nuova pena abbatte il meccanismo "a doppia battuta" finora in uso, cioè l’applicazione delle misure alternative vincolato a una successiva sentenza della magistratura di sorveglianza, sentenza che spesso arriva in ritardo causando "ristagni" in prigione di detenuti che potrebbero uscire in misura alternativa.

Questo affidamento ai servizi sociali come pena principale potrà essere applicata ai reati oggi puniti con la reclusione non superiore ai tre anni. Tenuto conto che il 33% circa della popolazione carceraria rientra proprio in questa fascia, l’introduzione di una tale riforma potrà contribuire ad attenuare la gravissima situazione di sovraffollamento delle carceri.

Lettere: quando i cani sono trattati meglio, rispetto ai detenuti

di Adriana Tocco (Garante dei diritti delle persone detenute della Campania)

 

La Repubblica, 9 ottobre 2009

 

Mi scrive un detenuto: "Siamo dunque cittadini senza diritti? Essere detenuti equivale a non essere più considerati come uomini, ma più semplicemente come bestie? Onestamente ci terrei ad essere trattato come uno di quei barboncini che periodicamente vanno dal veterinario, settimanalmente alla toelettatura e nutriti con i migliori ritrovati alimentari: peccato però, sono un uomo e tutto questo non posso averlo. Non solo: ci sto rimettendo tutti i denti".

La battuta potrà far sorridere qualcuno. Non certo me; perché ho imparato a capire ciò che è sotteso a questo desiderio grottesco. Si arriva a rifiutare la propria umanità perché la dignità umana è costantemente offesa e calpestata nei gironi infernali delle carceri italiane. Di quale dignità infatti potremmo parlare se si è costretti a mangiare nello stesso luogo dove ci sono i cosiddetti servizi igienici. Se si è costretti a provvedere ai bisogni corporali in pubblico, se per abbracciare la moglie o il figlio si deve ancora in molti casi sporgersi goffamente oltre la barriera di marmo della sala colloqui.

Una barriera materiale, che avrebbe dovuto essere abolita ovunque per legge, ma che resiste ancora in molti istituti di pena come simbolo di tutte le altre, anche quelle immateriali. E allora? Meglio barboncino coccolato, viziato, accarezzato. Ma per non cadere in quella retorica melensa da cui siamo quotidianamente afflitti, e visto che il detenuto da cui ho preso le mosse parlava di salute, vorrei oggi porre una piccola domanda ai ministri della Giustizia e della Salute.

Si sta facendo un gran clamore sull’influenza A, con fasi alterne, attraverso le quali passiamo da un’immagine di nuova peste a quella di banale, anzi più lieve di influenza stagionale. Veniamo confortati dalla scarsa rilevanza del numero di morti, morti perché già ammalati di per sé per essere gettati in un nuovo sconforto dalla notizia immediatamente successiva che invece erano completamente sani e dunque il killer è l’influenza; con l’ovvio risultato di creare sconcerto e allarme tra la gente. Si fa poi un gran parlare di categorie a rischio.

Ma tra le categorie a rischio non sono compresi almeno gli agenti di polizia penitenziaria, che già soffrono un gravissimo disagio come dimostra il rilevante numero di suicidi tra di essi nell’ultimo decennio, gli educatori, gli insegnanti delle scuole in carcere? E infine i men che barboncini detenuti ammucchiati nelle celle? Se è vero che la vaccinazione serve, e non è solo un grande business, che pensano di fare per loro i nostri ministri? Anche in questo caso il carcere, cioè il luogo di massima concentrazione e costipazione di corpi umani, non è mai comparso in nessuno dei comunicati da cui veniamo inondati ogni giorno.

Dunque lì dove più forte è il rischio potenziale di diffusione del contagio non solo non si prevede nulla, ma nemmeno ci si pone il problema, da parte degli organismi a vario titolo preposti, per non parlare dell’immaginario collettivo nel quale il carcere non è rappresentato mai. E non basta a salvarsi la coscienza il riconoscere che il fenomeno della rimozione del carcere non è nuovo, come testimoniano le parole che nel lontano 1949 scriveva Vittorio Foa reduce da otto anni di carcere fascista: "L’architettura delle carceri, con quell’accavallarsi di muraglie lisce e respingenti non serve solo a segregare i delinquenti dal mondo esterno, ma è fatta in modo da scoraggiare qualsiasi interessamento morale del pubblico a quel che succede dentro,è fatta in modo da placare nel disinteressamento totale le coscienze eventualmente turbate.

Dopo la mia liberazione sono passato molte volte sotto le mura di una prigione e non mi sono mai sognato di rivolgere un pensiero ai reclusi né mai ho tentato (pur avendone la possibilità e forse anche il dovere morale) di visitare qualche stabilimento. Le carceri costituiscono un mondo a parte: viviamo in letizia ed infischiamoci di quel che succede là dentro". Parole di sconcertante attualità dopo sessant’anni.

Ma non tentare di cambiare, anzi favorire l’idea del carcere come discarica, come luogo dove praticare nel silenzio la sospensione dei diritti fondamentali, cancellarlo da ogni interesse e preoccupazione del mondo dei "liberi", è il peggior servigio che si possa rendere alla nostra democrazia.

Lettere: la "giornata contro la pena di morte" e gli ergastolani

di Carmelo Musumeci e Ivano Rapisarda (ergastolani detenuti a Spoleto)

 

Lettera alla Redazione, 9 ottobre 2009

 

L’associazione "Liberarsi" di Firenze ha proposto un giorno di digiuno, per la Giornata Europea contro la Pena di Morte per il 10 ottobre 2009.

Molti ergastolani aderiranno perché la pena dell’ergastolo ostativo-senza benefici-opprime la vita, senza ammazzarti, ma negandoti persino una pietosa uccisione. La pena dell’ergastolo ti toglie tutto, persino la possibilità di morire una volta sola, perché si muore un po’ tutti i giorni. È una morte civile che ti tiene in uno stato di sofferenza insopportabile, perché è crudele fare coincidere la fine della pena con la fine della vita.

Una pena che non finisce mai, è una pena disumana. Si vive in uno stato d’angoscia tale che molti di noi ormai soffrono di patologie mentali croniche. Dopo anni e anni in costante attesa del nulla e dell’incertezza le nostre menti sono diventate deboli e infantili.

La pena dell’ergastolo è una pena troppo crudele e inumana per non distruggere il migliore o il peggiore degli uomini. Molti ergastolani non sono più quelli che erano una volta. Per questo alcuni di noi non capiscono perché devono continuare a scontare una pena che non finisce mai, per reati che non commetterebbero più. Si è vero! Siamo anche il nostro passato, ma non più solo quello, perché molti di noi non sono più gli stessi.

Vivendo per decenni in un tunnel di oscurità e di disperazione gli ergastolani più deboli diventano dei relitti umani e quelli più forti delle bestie feroci. La pena dell’ergastolo ad un ragazzo di 19 anni serve solo a soddisfare la reazione vendicativa della comunità e delle vittime verso gli autori dei delitti.

La pena dell’ergastolo ad un ragazzo di 19 anni, come Ivano Rapisarda, ora quarantenne, è un crimine più crudele di quello che si vuole punire, con la differenza che il primo è un crimine commesso da un adolescente, l’altro è un crimine della giustizia. La pena dell’ergastolo è peggio della pena di morte perché è anche più crudele: ammazza una persona tenendola viva chiusa in una cella per sempre. La pena di morte ti toglie solo la vita, la pena dell’ergastolo ti toglie anche l’anima.

Per questo gli ergastolani in lotta per la vita, il 10 ottobre 2009, digiuneranno un giorno contro la pena di morte e contro la pena dell’ergastolo ostativo. L’ergastolano è l’unico animale nell’universo che quando sogna non potrà mai sognare quello che avverrà, perché non ha più futuro. La pena dell’ergastolo tradisce Dio, le vittime del reato, l’uomo e le sue leggi, in particolare modo l’articolo 27 della Costituzione: "La pena deve tendere alla rieducazione". Invece la pena dell’ergastolo ti lacera, ti spezza e ti tortura lasciandoti vivo. È la pena più disumana che l’uomo abbia mai creato: né morti, né vivi, solo ergastolani. E Dio abolì l’ergastolo ostativo creando la morte.

Umbria: la commissione regionale incontra gli agenti di Perugia

 

Agi, 9 ottobre 2009

 

"Gli agenti di custodia del carcere di Capanne di Perugia si dichiarano ben disponibili ad operare per la rieducazione alla legalità dei detenuti che lasciano l’istituto di pena; ma i problemi di assoluta mancanza di organici al momento impedisce loro anche di avere un sereno rapporto con le proprie famiglie, proprio per l’eccessivo carico di lavoro cui sono sottoposti".

È quanto emerso in seguito alla visita di oggi al carcere perugino da parte della Commissione regionale sulle infiltrazioni criminali in Umbria (presidente Paolo Baiardini, vice Armando Fronduti, membri Ada Girolamini, e Stefano Vinti) che ha incontrato ufficialmente anche la direttrice, dottoressa Bernardina Di Mario.

Dal carcere "viene un unico concorde messaggio - spiega una nota della Commissione: siamo orgogliosamente soddisfatti del vostro interessamento e del ruolo rieducativo che ufficialmente ci riconoscete. Dovete però aiutarci a ad uscire da una situazione di lavoro ormai ai limiti della sopportazione, fatta di turni di lavoro di 10 ore, di eccesso di traduzione di detenuti verso il Tribunali e di recente verso Milano con un organico ridotto a metà che non potrà essere assolutamente compensato dai nuovi arrivi (solo 23 e non i 110 di cui si parla)".

Diversi i suggerimenti più importanti venuti alla Commissione. Si va dalla richiesta di dotare il vicino Ospedale regionale di almeno una camera con barriere di protezione per poter meglio vigilare sui frequenti ricoveri; alla creazione nel carcere di spazi idonei ad ospitare detenuti che per problemi tossicodipendenza assumono comportamenti assimilabili a quelli dei vecchi reparti psichiatria; fino alla richiesta di maggior tutela dal punto di vista dei rischi sanitari dai quali gli agenti non sarebbero affatto tutelati.

"Una ispettrice - si legge ancora nella nota della Commissione - ha suggerito di chiedere ai vari ministeri l’utilizzo di personale della pubblica amministrazione in eccesso, per poterlo integrare utilmente a supporto della vigilanza". Introducendo l’incontro il vice presidente Armando Fronduti ha ringraziato i segretari regionali dei numerosi sindacati presenti (Sappe, Osap, Sinap, Cisl, Uil, Cgil, Cnpp, Ugl) e i tanti agenti e graduati intervenuti.

"Siamo qui - ha aggiunto Fronduti - anche per sollecitare la necessità di nuovo personale, necessario ridurre a sei ore i turni massacranti di oltre 50 ore mensili e per chiedervi di conseguenza un ruolo attivo nella rieducazione dei detenuti: una esigenza che come Commissione riteniamo indispensabile".

Al termine dell’incontro il presidente Paolo Baiardini a nome della Commissione si è impegnato a sollecitare, tramite il Consiglio regionale, un intervento a livello di Conferenza Stato-Regioni per avviare a soluzione i problemi evidenziati.

Liguria: Pd; interrogazione a ministro su situazione del carcere

 

www.grnet.it, 9 ottobre 2009

 

Primi autorevoli riscontri all’appello lanciato dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria, ai parlamentari liguri per sensibilizzare il Ministro della Giustizia Angelino Alfano sulla gravissima situazione penitenziaria della Liguria, caratterizzata da un pesante sovraffollamento nelle 7 carceri regionali e dalle considerevoli carenze di organico nei Reparti di Polizia penitenziaria e in quelli del Personale amministrativo.

"Siamo stati informati che ieri è stata presentata alla Camera dei Deputati una interrogazione parlamentare al Ministro Alfano a firma dei deputati del Partito Democratico Tullo, Orlando, Rossa e Zunino sulla situazione critica dei penitenziari liguri (allegata in copia). Ma altre analoghe iniziative parlamentari ci sono state preannunciate anche da deputati e senatori eletti in Liguria nelle liste del Pdl, dell’Italia dei Valori e dell’Udc. Speriamo che questa sinergia bipartisan da noi vivamente auspicata, questa convergenza al di là delle formazioni politiche di appartenenza sul grave problema penitenziario regionale, convinca il Ministro Alfano ed il Capo Dap Ionta a porre la Liguria tra le priorità d’intervento giudiziario".

È il commento di Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri all’iniziativa dei deputati del Partito Democratico.

Spiega Martinelli: "Proprio noi nei giorni scorsi abbiamo scritto a tutti i parlamentari eletti in Liguria per richiamare l’attenzione sulle criticità penitenziarie regionali, per denunciare una situazione allarmante, che ricade principalmente sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. E questo primo riscontro, a cui sono da aggiungere le già preannunciate analoghe iniziativa anche da parte dei parlamentari di Pdl, IdV e Udc, è indubbiamente positivo, anche se avremmo preferito vedere una sola interrogazione parlamentare firmata da tutti i deputati e senatori. La grave e critica situazione della Liguria emerge infatti chiaramente esaminando i dati relativi agli organici del Corpo di Polizia ed alle presenze di detenuti nelle sette Case Circondariali della Regione.

La Liguria è la Regione in Italia con la percentuale minore di poliziotti penitenziari in servizio rispetto a quelli previsti! Attualmente nelle carceri liguri sono impiegati 858 Poliziotti, pari al 67% dei 1.264 previsti (la media nazionale è dell’85%). Tanto per citare qualche esempio, con riferimento alle carenze nei vari ruoli del Corpo di Polizia penitenziaria, a Chiavari mancano 17 unità, a Genova Marassi ben 165(!), a Pontedecimo 58, a Imperia 22, a La Spezia 53, a Sanremo 77 ed a Savona 14! Ed anche per quanto concerne il Personale dirigenziale e tecnico amministrativo la situazione ligure è davvero allarmante.

Mancano, complessivamente, ben 3 Dirigenti, 23 Educatori, 21 Assistenti Sociali, 68 Collaboratori, 80 tra collaboratori d’area direttiva, tecnici, impiegati, informatici! Quello che invece non manca sono i detenuti" conclude Martinelli. "L’emergenza sovraffollamento in Liguria ha raggiunto il 142% della capienza regolamentare ed ha superato anche quella che al DAP definiscono "tollerabile" per un totale ad oggi di 1.623 persone detenute sulle 1.140 previste (media nazionale del 148%).

Fino ad oggi la drammatica situazione è stata contenuta grazie principalmente al senso di responsabilità, allo spirito di sacrificio ed alla grande professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria in servizio negli Istituti di Pena della Liguria per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia. Quanto si pensa possano resistere gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, che sono costrette a trascurare le proprie famiglie per garantire turni massacranti con straordinari talvolta nemmeno pagati?"

Venezia: processo su suicidio detenuto; dissero "vai a ucciderti"

 

La Nuova di Venezia, 9 ottobre 2009

 

Era una cella senza luce, senza acqua e senza riscaldamento. Non c’era nemmeno un materasso per terra in quei pochi metri quadrati che per i detenuti di Santa Maria Maggiore è considerato un vero e proprio luogo di punizione. Così, nel corso dell’incidente probatorio di ieri davanti al gip Giuliana Galasso, altri due detenuti extracomunitari (assistiti dall’avvocato Marco Zanchi) hanno raccontato gli "orrori" di quel buco nel quale il 5 marzo scorso si è consumato il suicidio di un giovane marocchino per il quale sono ora sotto processo sei agenti della Polizia penitenziaria.

L’hanno raccontato mentre fuori dal Tribunale manifestavano i "Tutti in piedi" con slogan e volantini contro le condizioni della casa di pena veneziano che scoppia di detenuti. Oltre 300 reclusi e - come denunciano i sindacati - appena una mezza dozzina di agenti in servizio per turno.

In particolare Bongara Abdelkaber, tunisino, che stava nella cella a fianco, ha spiegato di aver sentito un ispettore che dava un calcio al marocchino dicendogli "adesso vai a ucciderti". Poche ore prima, infatti, il marocchino aveva tentato di togliersi la vita ma era stato salvato da un altro detenuto. Eddi Karem, iracheno, ha invece raccontato di averci passato una notte intera, in inverno, solo con un pigiama addosso, senza nemmeno un giaciglio sul quale dormire. E in queste condizioni doveva essere la cella anche quando è stato rinchiuso il marocchino che poi si è ucciso.

"Ma la direzione dov’era? Davvero non sapeva dell’esistenza di questa cella indegna di un Paese anche solo minimamente civile, dove anche svariati giorni consecutivi sono stati lasciati patire peggio di bestie innumerevoli detenuti - commenta l’avvocato Zanchi - E la magistratura di Sorveglianza, che pure ha accesso al carcere e che si chiama appunto di Sorveglianza, perché non ne era a conoscenza?".

Bologna: in carcere c’è il rischio di una epidemia di tubercolosi

 

www.telesanterno.com, 9 ottobre 2009

 

Oltre 1200 detenuti, ma secondo regolamento dovrebbero essere 482. Il sovraffollamento è sempre stato il grande problema del carcere bolognese della Dozza, da qualche mese però l’allarme è un’epidemia di tubercolosi. Ne abbiamo parlato con il garante per i diritti dei carcerati Desi Bruno.

I materassi per terra. Dormono in più di cento nel locale dell’infermeria, concepito per quaranta persone. Nella struttura carceraria vivono 1200 detenuti ma secondo il regolamento dovrebbero essere 482. Al carcere della Dozza di Bologna il problema non è solo il sovraffollamento, che provoca disagi e risse, il vero allarme si chiama Tbc ed è il rischio di un’epidemia di tubercolosi.

Sono già tanti i detenuti che hanno contratto la malattia ma non possono essere curati in ospedale perché c’è carenza di personale che li piantoni durante la degenza. Una situazione al limite, è emergenza sanitaria. Il sovraffollamento causa precarie condizioni igieniche, le celle sono piccole, con vecchi materassi a terra per la mancanza di letti.

I reclusi sono ammassati in infermeria: la carenza di posti letto fa si che chi è lievemente malato condivida la stanza con malati cronici, e questo aumenta notevolmente il rischio di diffusione di malattie infettive contagiose, tra cui la tubercolosi che la fa da padrona. Il garante per i diritti dei carcerati Desi Bruno questa estate aveva scritto una lettera chiedendo interventi immediati al sindaco Delbono, al presidente della Regione Errani e al ministro Alfano, ma gli interventi non ci sono stati e la situazione è degenerata.

L’unica decisione presa è stata quella della direzione carceraria che ha individuato dei luoghi nelle varie sezioni per isolare i nuovi giunti nel momento in cui entrano per la prima volta nella struttura e devono fare lo screening per verificare se hanno la tubercolosi. Se il Provveditorato invierà dei finanziamenti è inoltre in progetto l’allargamento dell’infermeria all’interno di una stanza che ora è adibita a biblioteca e luogo d’incontro e nella quale potrebbero trovare ricovero dieci persone.

Oggi stesso abbiamo contattato Desi Bruno e ci ha confermato la degenerazione della salute dei detenuti. Un terzo della popolazione della casa circondariale è composta da tossicodipendenti che spesso sono portatori di malattie infettive quali l’epatite C. I dati del 2007 parlano di ventuno casi di scabbia, ventisette di tubercolosi, settantotto di epatite (B e C). In teoria ogni nuovo arrivato dovrebbe restare in osservazione per sette giorni, prima di essere trasferito nella sua sezione, ma il sovraffollamento rende difficile rispettare rigorosamente le misure di profilassi.

La stessa Garante dei detenuti si sta attivando per la chiusura del reparto Alta Sicurezza femminile, sezione dove le condizioni igienico-sanitarie non sono assolutamente accettabili. Ma il degrado non riguarda solamente i tossicodipendenti. Decine di persone hanno problemi di masticazione, la maggior parte di loro viene dalla strada e avrebbero bisogno di cure odontoiatriche.

La riforma che ha sancito il passaggio della sanità carceraria al Servizio Sanitario Nazionale non ha presentato vantaggi e la Garante non vede gli strumenti politici per venire a capo della situazione: "Tutto è affidato alla buona volontà di chi lavora in carcere e questo non può bastare". Il problema delle malattie infettive riguarda anche il personale di lavoro, dagli agenti di polizia penitenziaria, agli educatori, al personale amministrativo. "Riguarda -racconta la Bruno - una comunità di qualche migliaia di persone, tra quelli stabili, chi entra, chi esce, i familiari dei detenuti, riguarda insomma un pezzo di città".

Firenze: protesta detenute; topi e insetti in cella e cibo pessimo

di Alessandra Agapiti

 

Agenzia Radicale, 9 ottobre 2009

 

È preoccupante la situazione nel carcere femminile di Sollicciano (Firenze) a causa di topi e insetti nelle celle e cibo scaduto servito come pasto. "Le condizioni igieniche sono a dir poco carenti e la qualità del vitto è pessima" è quanto riferiscono le detenute che hanno già annunciato uno sciopero della fame e della sete.

Attraverso una lettera inviata dall’avvocato Fabrizio de Santis alla direzione della struttura carceraria e al Ministero della Giustizia, le detenute richiedono un intervento d’urgenza a causa di topi nei giardini, insetti nelle celle, sanitari rotti, problemi relativi all’assistenza sanitaria, ritardi in caso di urgenza e episodi di somministrazioni di farmaci diversi da quelli prescritti.

È umano e sacrosanto pretendere maggiori garanzie a cominciare dalla presenza di adeguato personale medico fino a ispezioni igienico sanitarie costanti. Purtroppo, le condizioni in cui versano le carceri italiane in molti casi sono al limite dell’accettabile.

Ricordiamo ad esempio il caso del carcere palermitano dell’Ucciardone dove risulta impossibile pensare ad una rieducazione del condannato e dove, contrariamente da quanto sancito dalla Costituzione, i diritti della persona sono del tutto calpestati. Caso simile quello del carcere Pagliarelli, inaugurato nel 1995 all’insegna dei dettami della nuova urbanistica della reclusione, ma che, nonostante le apparenze, rivela una quotidianità fatta di restrizioni: i detenuti possono farsi la doccia non più di tre volte alla settimana, gli impianti necessitano di manutenzione e l’acqua che esce dai rubinetti, anche se ufficialmente potabile è imbevibile e rugginosa.

Tante sono state nel corso degli anni le rimostranze per portare alla luce le problematiche relative al sovraffollamento e alla precarietà in cui versano le carceri, ma è difficile pretendere di cambiare le cose se per i deputati, che sono ormai abituati a farvi visita, le lacune e i disservizi sono vissuti come semplice "routine". Da questo scenario, nasce l’esigenza di dare continuità ad un lavoro di monitoraggio e di denuncia fatto di visite con deputati regionali, nazionali ed europei e di un lavoro nel territorio laddove la giustizia resta fuori dalle sbarre e dalle inferriate.

Rita Bernardini, deputata Radicale, ha più volte presentato appelli affinché si sensibilizzasse l’opinione pubblica su questo tema, rivolgendosi anche al ministro della Giustizia in persona per sapere se sia a conoscenza delle problematiche di questi istituti e come intenda intervenire per risolverle.

Vicenza: Pdl; carcere affollato e serve un garante per i detenuti

 

Giornale di Vicenza, 9 ottobre 2009

 

"Il Comune dia un segnale di sensibilità nei confronti della popolazione carceraria e nomini un garante dei diritti dei detenuti". L’appello porta la firma di Francesco Rucco, consigliere del Pdl, che annuncia la presentazione di una proposta di delibera in consiglio comunale o di una mozione.

Come spiega Rucco, si tratta di un organo di garanzia che, in ambito penitenziario, ha funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. In Italia non è ancora stata istituita la figura del garante nazionale, ma esistono garanti regionali, provinciali e comunali le cui funzioni sono definite dai relativi atti istitutivi. Qual è il compito del garante? Riceve segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o solo parzialmente attuati, e si rivolge all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie.

Le funzioni di questa figura, dunque, si distinguono nettamente da quelle di organi di ispezione amministrativa come il difensore civico. I garanti possono effettuare colloqui con i detenuti e possono visitare gli istituti penitenziari senza l’autorizzazione. La figura è già stata istituita in numerose città, come Firenze, Milano, Bologna, Torino.

"Dovrebbe essere un avvocato che presta il servizio a titolo gratuito", specifica Rucco, che ricorda come le condizioni in cui versa il carcere di S. Pio X siano da molto tempo esplosive, tra le più critiche del Veneto, con un sovraffollamento del 117 per cento.

Secondo il vicecapogruppo del Pdl questa situazione si ripercuote non solo sui detenuti, ma anche sugli agenti della polizia penitenziaria, costretti a operare in un contesto problematico e disagevole: "Il sindaco Variati dia una risposta a questa problematica".

Sassari: un carcere fatiscente e 50 agenti in meno dell’organico

 

La Nuova Sardegna, 9 ottobre 2009

 

"Una struttura fatiscente, che paga il prezzo di decenni di abbandono con scarse risorse economiche per la ordinaria manutenzione". È secco il giudizio di Roberto Picchedda, segretario regionale della Uil Sicurezza, dopo la visita che il sindacalista ha fatto ieri a San Sebastiano. Picchedda è arrivato in carcere con tutto lo stato maggiore della Uil provinciale.

Erano presenti Mariano Campus, coordinatore Uil Penitenziari, e i rappresentanti della rappresentanza aziendale. La delegazione sindacale ha valutato le condizioni di San Sebastiano sotto il profilo strutturale e delle carenze di personale. "Vuoti - è il parere del segretario regionale - diventati ancora più evidenti con i recenti pensionamenti".

In questo periodo Picchedda è impegnato in un giro dei penitenziari sardi dove, ha spiegato dopo la visita sassarese, trova solo conferme alle proprie convinzioni circa la necessità di irrobustire la polizia penitenziaria con decine di nuovi arrivi.

Nella Casa Circondariale sassarese, dove al momento ci sono 186 detenuti, secondo la Uil mancano all’appello non meno di cinquanta unità. La situazione più grave sarebbe nella sezione femminile, dove il personale è praticamente dimezzato. Il resoconto di Roberto Picchedda prosegue con l’elenco di problemi annosi e irrisolti: il monte ferie che il personale penitenziario non riesce a recuperare, i turni estenuanti, la necessità di dovere ritornare al lavoro anche nei giorni di festa. La Uil annuncia battaglia.

Roma: ex detenuto, senza casa e lavoro, minaccia di suicidarsi

 

Ansa, 9 ottobre 2009

 

Un ex detenuto romano di 50 anni circa ha minacciato di suicidarsi lanciandosi da Ponte Garibaldi perché senza lavoro e senza casa. È accaduto nel pomeriggio, intorno alle 15.30. Sul posto sono intervenuti i carabinieri di Trastevere, vigili del fuoco ed Ares 118. L’uomo, uscito dal carcere qualche mese fa, ha spiegato che con quel gesto estremo voleva attirare l’attenzione sulla sua situazione. A convincerlo a desistere i militari che, dopo averlo fatto scendere dal parapetto, l’hanno portato in caserma e contattato i servizi sociali.

Immigrazione: Fini; cittadinanza a 11 anni a chi nasce in Italia

di Vladimiro Polchi

 

La Repubblica, 9 ottobre 2009

 

Cittadini a undici anni. Gianfranco Fini torna a occuparsi di "nuovi italiani" e chiede di facilitare la concessione della cittadinanza ai figli degli immigrati: non più al compimento dei 18 anni, ma già a 11. Una proposta, la sua, che in Italia potrebbe riguardare 862mila ragazzi. Tanti sono infatti i minorenni stranieri. Lo fotografa l’Istat, con dati aggiornati al primo gennaio 2009: 4 milioni (3.891.295 per la precisione) gli immigrati residenti, pari al 6,5% della popolazione complessiva.

Dopo la proposta per il voto amministrativo agli stranieri regolari, il presidente della Camera è tornato dunque a parlare di nuove cittadinanze: "Non credo personalmente che il cosiddetto ius soli possa essere automaticamente riportato nel nostro ordinamento. Credo che un bambino che nasce qui o arriva qui a uno o due anni, se rimane in Italia ininterrottamente fino al compimento degli 11 anni e se frequenta la scuola elementare, sia meritevole, se chi esercita la patria potestà lo richiede, di vedersi riconosciuto il titolo di cittadino italiano senza attendere che maturi il 18esimo anno di età".

Cresce intanto la popolazione migrante in Italia. La nuova fotografia, dicevamo, la scatta l’Istat (in attesa dei dati Caritas di fine ottobre): gli immigrati sfiorano i 4 milioni e nel 2008 sono aumentati di quasi 500mila unità. La crescita è dovuta principalmente ai paesi Ue di nuova adesione, ma anche a Cina, India e Bangladesh. La comunità romena è la più numerosa (20,5%), seguita da quella albanese (+9,8%) e marocchina (+10,3%). I cinesi sono cresciti dell’8,8% e gli ucraini del 16%.

Dove vivono? Oltre il 60% risiede al Nord, il 25,1% al Centro, il 12,8% nel Mezzogiorno. E i bambini? Nel 2008 sono nati in Italia 72.472 stranieri (12,6% delle nascite totali). I minorenni sono 862mila. Le cittadinanze concesse sono state 53.696. La maggior parte sono dovute a matrimonio. Oggi sono circa 315mila gli extracomunitari con cittadinanza italiana.

Non manca chi torna a casa: nel 2008 si sono cancellati dalle anagrafi 27.023 stranieri, 33% in più rispetto al 2007. In serata, il ministro dell’Interno Roberto Maroni è tornato a parlare della costruzione di nuovi Cie e ha sostenuto che grazie ai respingimenti si è avuta "una riduzione di oltre il 90% degli sbarchi".

 

 

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