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Giustizia: il presidente del Consiglio è andato "oltre ogni limite" di Marcello Sorgi
La Stampa, 8 ottobre 2009
Silvio Berlusconi ha pieno diritto di annunciare che andrà avanti, anche dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il lodo Alfano e aperto la strada alla ripresa dei processi penali che lo vedono imputato. Quel che invece non può dire, come ha detto ieri, purtroppo, a caldo dopo la sentenza, è che la Corte ha deciso così "perché è di sinistra" e fa parte di uno schieramento che vuole soggiogare il Paese. In questa che definisce "una minoranza", composta, sono parole sue, dal "settantadue per cento della stampa" e dai "comici che prendono in giro il governo", Berlusconi ha incredibilmente inserito il Capo dello Stato: alzando così a un livello insopportabile lo scontro istituzionale, e dimenticando che Napolitano aveva firmato il testo del ministro di Giustizia Alfano, proprio in base al verdetto con cui la Consulta aveva chiesto prima una serie di aggiustamenti per il precedente lodo Schifani. Stavolta invece la Corte ha scelto una via più chiara: cassata la legge ordinaria, contingente e rappezzata sul testo del vecchio lodo, già sottoposto del resto a questione di costituzionalità, è come se avesse suggerito di ricorrere a una nuova legge costituzionale, per eliminare alla radice i problemi fin qui rivelatisi insolubili. Per un governo che poggia su una larga maggioranza, vanta una forte capacità "di fare" e nell’altra legislatura in cui era stato al potere era riuscito a cambiare quasi metà della Costituzione, non dovrebbe essere difficile, in tempi ragionevoli, realizzare un simile obiettivo. Né temibile affrontare il referendum confermativo previsto dall’articolo 138, che seguirà. Un referendum, è vero, che fu negativo per le riforme costituzionali introdotte dal centrodestra tra il 2001 e il 2006, ma stavolta si risolverebbe in un plebiscito su Berlusconi. E come tale potrebbe contare sul favore popolare, che ogni giorno il premier misura nei sondaggi e non si stanca di ricordare. Anche senza conoscere le motivazioni di principio della Corte, si può provare a ragionare su alcuni dati concreti, che probabilmente non saranno stati estranei al ragionamento dei giudici della Consulta. Benché convinto di essere vittima di una persecuzione, Berlusconi infatti è arrivato a governare con fino ad 11 processi pendenti sulla sua testa. Ha sopportato condanne poi trasformatesi in assoluzioni, s’è salvato talvolta con le prescrizioni. E tutto ciò non gli ha impedito di vincere o perdere le elezioni, e tornare per la terza volta a Palazzo Chigi, a prescindere dalla pressione giudiziaria che si addensava su di lui, e in qualche caso avvalendosene anche come strumento di propaganda. Anche adesso, per spiacevole che sia visto il tenore delle accuse, quello che lo attende a Milano non è un patibolo. È un normale procedimento, che sarà celebrato da un collegio diverso da quello che ha posto la questione di costituzionalità ed andrà incontro a un termine di prescrizione nel febbraio del prossimo anno. Inoltre, a riproporre in Parlamento la questione dell’immunità in generale, e non solo di quella che lo interessa, il premier potrebbe pure avere qualche sorpresa, se non da tutta, da settori dell’opposizione. L’immunità, si sa, era già prevista dalla Costituzione all’articolo 68. Ma ciò che i nostri Padri costituenti avevano inserito nel testo della Carta, a garanzia della libertà e della sicurezza della politica, fu modificato frettolosamente dai loro successori sull’onda di Tangentopoli e della cosiddetta "rivoluzione italiana". Da allora in poi, e sono sedici anni, l’equilibrio tra i poteri (governo, Parlamento, magistratura) è cambiato. Si è passati dalla protezione assoluta di cui (grazie anche a frequenti amnistie che si concedevano) godevano parlamentari e uomini di governo nella Prima Repubblica, ad una minima, spesso insignificante, di cui i politici debbono oggi vergognarsi e alla quale si risolvono a rinunciare frequentemente, sotto la spinta di una gogna pubblica senza regole o limiti. Non è un mistero che una situazione del genere non comprenda il solo Berlusconi, né il suo schieramento in particolare e neppure solo i parlamentari. Piuttosto, ormai, l’insieme della politica nel suo complesso, in un sistema in cui moltissimi, eletti o no, cittadini semplici o eccellenti, sono accusati, inquisiti, intercettati, ma si dimettono, o non si dimettono, dai loro incarichi pubblici, in pratica solo quando gli va, e sempre indipendentemente da processi, condanne e assoluzioni. Problemi come questi, non a caso, hanno riguardato in passato, tra gli altri, anche Prodi e D’Alema. Che hanno reagito con una diversa varietà di reazioni, ma con più rispetto per la magistratura e senza fare casi personali. Certo era troppo aspettarsi che la Corte Costituzionale, occupandosi del caso dell’imputato pubblico numero uno Silvio Berlusconi, affrontasse anche una questione che la politica, fin qui, nei lunghi anni della transizione italiana, ha provato inutilmente a risolvere, e di fronte alla quale forse s’è arresa. Ma non c’è dubbio che il problema rimane. Giustizia: Cossiga; ora il Cav non ha scampo sarà condannato di Alessandra Ricciardi
Italia Oggi, 8 ottobre 2009
Facile profeta. Per capire che la legge non avrebbe superato le forche caudine della Consulta, e che per Silvio Berlusconi sarebbero iniziati i guai, bastava poco, bastava leggerla, assicura il senatore a vita, Francesco Cossiga. Che appunto qualche giorno fa aveva annunciato la bocciatura del lodo Alfano. E, da profondo conoscitore delle dinamiche politiche e processuali, l’ex presidente della repubblica si avventura in un’altra previsione: "Per il premier la sentenza di condanna nei processi milanesi è già scritta, non ha scampo, è un uomo condannato". Premesso che "la Corte costituzionale è giudice politico e fa scelte politiche, la sola cosa che gli si chiedere è di inquadrarle in un forte ancoraggio giuridico-formale, questa volta la previsione era dettata anche dal merito. Avevo letto la legge ed era chiaramente viziata in più parti". E poi, è vero, "certamente i giudici della Corte sono giudici di sinistra, mica siamo negli Stati Uniti dove il presidente nomina chi la pensa come lui". Ma, anche rimanendo nell’ambito prettamente giuridico, "anche se avessero giudicato secondo diritto", ribadisce Cossiga, il lodo non aveva chance. Eppure, il presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, quella legge l’ha letta e l’ha promulgata. E, per questo, è finito nel mirino delle accuse di chi avrebbe voluto un comportamento più ligio al dettato costituzionale. Ma è un errore "il presidente, e lo dico per esperienza, non è un giudice costituzionale, perché egli deve guardare anche agli equilibri politici. Non esiste un diritto di veto del presidente, al massimo un potere sospensivo". E davanti alla ridda di reazioni, Cossiga non si scompone. Al leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, che chiede a Berlusconi di dimettersi per tornare a fare l’imputato, Cossiga replica: "Credo che il premier tornerà a fare l’imputato tra poco tempo, anzi credo che la sentenza di condanna dei giudici di Milano, dopo aver visto quella sul lodo Mondadori, sia già stata scritta dalla sezione presieduta dalla signora Nicoletta Gandus". I giudici potranno già riunirsi tra oggi e domani, "l’unica domanda da porsi è solo quando sarà resa pubblica la condanna". E chi pensa a una legge costituzionale, per ripresentare lo scudo contro i processi e togliere d’impaccio il premier? In questo modo, stanno ragionando nel Pdl, si potrebbero eliminare qui vizi di incostituzionalità che la Corte ha sanzionato. Ma Cossiga non lo consiglierebbe. "Innanzitutto il centrodestra non ha la maggioranza dei due terzi per approvarla, e poi l’opposizione certamente farebbe una insurrezione. Tra l’altro, se il Pdl ricorresse alla legge costituzionale darebbe anche un grande aiuto al Pd". Perché nel partito di Dario Franceschini, ragiona il senatore a vita, "sono divisi su mille fronti, stanno alla guerra civile, e davanti alla scelta della maggioranza di ricorrere a un provvedimento costituzionale per salvare il premier si ricompatterebbero". E elezioni subito? Lo stesso Cav ha fatto intendere ai suoi fedelissimi che preferirebbe di gran lunga tornare alle urne piuttosto che cedere la mano per un eventuale governo istituzionale di transizione. Non è ipotesi di breve periodo, "e comunque se io fossi al posto dell’opposizione starei attento, perché se Berlusconi gli fa lo scherzetto del voto anticipato non so come si mette per loro". Ma per capire se il verdetto della Corte sarà veramente una bomba per il quadro politico italiano, "bisogna aspettare la sentenza di condanna di Milano". "Nell’immediato ci saranno grandi reazioni e tensioni, certo, riprenderà anche il processo a Roma per la presunta corruzione nella precedente legislatura dei senatori eletti all’estero". Magari ci saranno anche manifestazioni di piazza. "Ma al centrodestra non convengono, così come non conviene lo scontro, la destra non ha più i picchiatori di una volta". Giustizia: ricorsi alla Corte di Strasburgo hanno nuove regole di Patrizio Gonnella
Italia Oggi, 8 ottobre 2009
Lo scorso 1° ottobre 2009 è entrato in vigore il Protocollo n. 14-bis alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, avente per obiettivo quello di migliorare le capacità della Corte di Strasburgo nel trattare i ricorsi a lei presentati. Il Protocollo è stato pensato per alleggerire il carico di lavoro della Corte europea dei diritti dell’uomo, gravata da troppi ricorsi e impossibilitata a dedicarsi con tutte le energie del caso alle attività fondamentali del proprio mandato. Adottato a Madrid dal Comitato dei ministri il 12 maggio scorso ed entrato in vigore al momento della sua terza ratifica da parte di uno stato membro, il Protocollo intende fronteggiare con tempestività una situazione che vede un numero di ricorsi alla Corte esponenzialmente crescente negli ultimi dieci anni, tanto a causa dell’adesione di nuovi stati al Consiglio d’Europa quanto del semplice incremento dei ricorsi individuali nei confronti dei nuovi così come dei vecchi stati membri. All’inizio di quest’anno erano circa 97 mila le cause pendenti davanti alla Corte di Strasburgo. Questa situazione rischia seriamente di metterne in crisi il funzionamento. Si è così arrivati alla stesura del precedente Protocollo n. 14, aperto alle firme nel 2004 e la cui entrata in vigore è prevista alla ratifica di tutti gli stati membri. Manca all’appello quella della Federazione Russa. In attesa di quel momento, i vari paesi hanno convenuto di adottare ad interim il Protocollo n. 14-bis, aperto alle firme il 27 maggio 2009, che dell’altro raccoglie le misure in grado di migliorare il più rapidamente possibile le capacità della Corte. Le previsioni di questo nuovo Protocollo si applicheranno a tutti i ricorsi pendenti davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro stati membri per i quali esso è entrato in vigore ovvero che dichiarino di desiderare che così si proceda. L’esigenza del Protocollo n. 14-bis è insorta dalla consapevolezza che fosse quanto mai necessario sollevare immediatamente la Corte dai casi palesemente irricevibili o ripetitivi. Le disposizioni principali del Protocollo n. 14-bis prevedono infatti, da un lato, che un giudice unico, invece che un comitato di tre giudici, come accadeva prima, possa respingere i ricorsi manifestamente irricevibili e, dall’altro, che un comitato di tre giudici, invece che camere di sette giudici o la Grande Camera, come accadeva prima, possa dichiarare un ricorso ricevibile ed emettere una sentenza sul merito qualora esista una giurisprudenza consolidata della Corte sul medesimo argomento (casi ripetitivi). A oggi, sette stati (Danimarca, Georgia, Islanda, Irlanda, Monaco, Norvegia, Slovenia) hanno firmato e ratificato il Protocollo n. 14-bis e otto (Austria, Francia, Lussemburgo, Polonia, Romania, San Marino, Spagna, ex Repubblica Iugoslava di Macedonia) lo hanno solo firmato. Altri otto stati (Albania, Belgio, Estonia, Germania, Liechtenstein, Paesi Bassi, Svizzera, Regno Unito) hanno optato per una procedura alternativa, accettando attraverso una dichiarazione che le disposizioni previste dal Protocollo vengano applicate temporaneamente ai ricorsi presentati contro di loro. Dallo scorso 1° luglio, la Corte ha già comunicato che 727 decisioni, riguardanti gli stati che hanno accettato l’attuazione immediata delle nuove procedure, sono state prese in loro applicazione. Di questi, 369 ricorsi riguardavano la Germania, 131 il Regno Unito, 82 la Svizzera, 57 i Paesi Bassi, 38 l’Estonia, 17 la Norvegia, 14 l’Irlanda, 9 il Lussemburgo, 7 la Danimarca e 3 il Liechtenstein. Giustizia: accusati ingiustamente di pedofilia; causa allo Stato di Fabio Poletti
La Stampa, 8 ottobre 2009
Punire chi doveva sorvegliare. Lo chiedono i genitori di due bambini di Basiglio, un piccolo comune alle porte di Milano, prima accusati ingiustamente per alcuni disegni a sfondo erotico attribuiti per errore a uno dei due piccoli, e per questo allontanati dai loro figli - nove anni la bambina, tredici il più grande - ma oggi pronti a far pagare mesi di umiliazioni e di sospetti a psicologi, assistenti sociali e insegnanti. I due genitori hanno chiesto di costituirsi parte civile contro il Comune di Basiglio e il ministero dell’Istruzione, davanti al giudice per l’udienza preliminare che deve decidere se rinviare a giudizio assistenti sociali incapaci e psicologi frettolosi. Ci sono voluti mesi per arrivare a scrivere in altro modo questa storia. Mesi per accertare che i disegni erano stati fatti da un altro bambino per dispetto. La verità che sembrava così evidente a tutti ma non agli investigatori - la calligrafia non era della bambina tolta ai genitori, lei stessa giurava di non esserne l’autrice, sua madre e suo padre negavano ogni responsabilità - è invece rimasta sepolta per mesi e mesi sotto montagne di perizie improbabili, testimonianze frettolose, iter giudiziari a senso unico. Sul banco dei sospettati oggi siedono due psicologi, una assistente sociale, la preside e le due maestre dei bambini prima sottratti e poi riaffidati ai genitori. L’accusa formulata dal tribunale di Milano è lesioni colpose ai danni di bambini. Un’accusa inedita per una vicenda che non sembra così infrequente. "Nove volte su dieci, i bambini prima tolti ai genitori vengono riconsegnati alla famiglia di origine", accusa Antonello Martinez, il legale della coppia che assicura di aver analizzato migliaia di casi in tutta Italia. Storie sempre uguali, in cui i bambini sottratti ai genitori per abusi e violenze sono solo una piccolissima minoranza. Di fronte al dilagare di episodi apparentemente meno gravi - abbandono di bambini, incapacità di svolgere il ruolo di educatori da parte dei genitori, impossibilità economica di garantire un’adeguata educazione - che vengono trattati comunque alla stessa stregua. Prima il dossier aperto dagli assistenti sociali, poi l’intervento degli investigatori, alla fine l’affidamento più o meno temporaneo dei bambini ad una struttura comunale di accoglimento o ad un’altra famiglia. Quello che è successo ai bambini di Basiglio. Portati via ai loro genitori e "interrogati" da psicologi e assistenti sociali con metodi come minimo non professionali. I diretti interessati smentiscono, ma agli atti risulta che uno dei bambini sarebbe stato strattonato e alla piccola avrebbero poi detto "guarda che cambierai i genitori...". L’avvocato Martinez insiste molto su questi aspetti: "Il bambino non solo è stato sottratto ai genitori per 69 giorni. Ha dovuto sopportare quella che io chiamo una detenzione. Ha perso nove chili. Il procedimento che si è concluso nei mesi scorsi davanti al Tribunale dei Minori ha accertato che non esisteva nulla di nulla contro i miei assistiti che adesso vogliono solo costituirsi parte civile ed essere risarciti". Forse ci sarà un processo. Ci saranno altre sentenze. Magari dei risarcimenti. Difficile dire se i soldi serviranno a far riacquistare la serenità persa ai due bambini accusati di aver disegnato scenette oscene, poi sollevati da ogni sospetto, comunque vittime di un braccio di ferro tra giudici, investigatori, avvocati, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, presidi. Tutti contro tutti. Quasi nessuno dalla parte dei bambini, a parte i loro genitori, denuncia il legale: "Portare via un bambino ad una famiglia dovrebbe essere l’estrema ratio. Le leggi per affrontare queste vicende, nel nostro Paese ci sarebbero anche. Il problema come sempre è la loro applicazione". Giustizia: Vitali (Pdl); Ionta chiede 1,6 mld ma abbiamo 159 mln
Il Velino, 8 ottobre 2009
"Ieri pomeriggio è stato ascoltato in commissione Giustizia il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ma i dati forniti erano già noti". Lo ha detto Luigi Vitali, responsabile nazionale del Pdl dell’ordinamento penitenziario. "Il dottor Ionta - ha spiegato - ha elencato i punti critici del sistema carcerario, per altro ai più già noti, come l’alto numero dei reclusi, la sua tendenza ad aumentare, la carenza del personale di polizia penitenziaria e le grosse problematiche nate dal passaggio della sanità carceraria alle dipendenze delle Asl. Tutto questo è troppo poco rispetto a quello che è necessario fare. Ionta ha annunciato che sono necessari un miliardo e 600 milioni di euro per realizzare 18, 20 mila posti per i detenuti. Ma in cassa abbiamo solo 159 milioni di euro. Non è stato detto nulla su come e quando assumere nuovo personale e sui tempi di effettiva realizzazione delle nuove carceri". "Inoltre - ha aggiunto Vitali -, nulla è stato detto sul riordino delle carriere e il riallineamento richiesto a gran voce dalle organizzazioni sindacali. Mi auguro che questo sia dipeso dal poco tempo a disposizione del capo del Dap. L’audizione è iniziata, infatti, dopo l’orario previsto per contestuali e improrogabili impegni dell’ufficio di presidenza della commissione stessa. E mi auguro ancora che, la prossima volta, già programmata per la settimana entrante, egli sappia fornirci elementi più concreti sul famoso piano carceri, sui tempi e sui modi di realizzazione dei penitenziari e di risposta alle richieste del personale della polizia penitenziaria". Campania: 400mila euro da Regione, per formazione detenuti
Ansa, 8 ottobre 2009
400mila euro erogati dalla Regione Campania per l’istruzione dei detenuti di tutte le carceri del territorio. Il recupero e la futura integrazione di chi si trova negli istituti penitenziari campani, dunque, passa per la loro formazione: ne è convinto l’assessore regionale all’istruzione Corrado Gabriele che, questa mattina, nella sala giunta di Palazzo Santa Lucia, ha firmato un protocollo d’intesa per garantire il diritto allo studio (intervista in allegato). Il protocollo è stato firmato d’intesa dal direttore dell’ufficio scolastico Alberto Bottino, da Tommaso Contestabile, provveditore regionale Istituti penitenziari e Adriana Tocco, Garante Diritti delle Persone Detenute della Regione Campania. Bologna: Garante detenuti chiede chiusura Sezione AS donne
Agi, 8 ottobre 2009
"La Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, avv. Desi Bruno, verificato lo stato delle attuali condizioni di detenzione nel reparto AS Alta Sicurezza Femminile della Casa Circondariale di Bologna e assunte informazioni sulle attività trattamentali di cui le detenute possono fruire, ritiene che il permanere della struttura sia incompatibile con quanto previsto dall’Ordinamento penitenziario e dal Regolamento di esecuzione". È quanto si legge in una nota-stampa dello stesso garante. "Le detenute alla data odierna sono nell’ordine di una decina, quasi tutte lontane dai luoghi di residenza familiare e con difficili rapporti affettivi, per ragioni economiche, sociali, familiari. L’isolamento di questa sezione, ulteriore rispetto al regime differenziato a cui sono sottoposte per il titolo di reato, non è accettabile. Le detenute - si legge ancora nella nota dell’avv. Bruni - restano in cella 20 ore su 24, in celle inadatte, piene di umidità e muffa, con presenza di scarafaggi, anche nel cibo, e topi, e nonostante i recenti interventi di manutenzione. In queste condizioni è rimasta sino a pochi giorni fa, e per molti mesi, una madre con un bambino di soli due anni, situazione intollerabile che non deve ripetersi più. Non esiste una tettoia per il riparo dalla pioggia durante l’ora d’aria, e le attività sono di fatto quasi inesistenti, a parte il passaggio in biblioteca e in palestra due volte la settimana per un’ora quando la presenza del personale lo permette. Ed infatti non esiste personale dedicato a questa sezione, causa il cronico problema del sovraffollamento, il che non fa che aumentare il senso di frustrazione di donne che, in parte, seppure indagate e imputate di gravi reati, sono ancora non colpevoli sino a sentenza definitiva, e in parte hanno condanne a pene di rilevante entità e devono poter affrontare tutte, sia pure nella diversità delle posizioni, una detenzione non contraria al senso di umanità e risocializzante. Anche quest’anno le donne detenute dell’AS non potranno avere corsi di scuola di nessun tipo, dall’alfabetizzazione alla scuola media né inferiore né superiore, né hanno possibilità di lavoro, diritto sacrosanto per tutte le persone recluse, ma che assume valore ancor più pregnante per chi sconta una detenzione diversa e più dura e condanne a molti anni di carcere, né esistono altre reali offerte trattamentali. Il carcere di Bologna, sulla cui complessità non è necessario spendere parola alcuna, non ha bisogno di una sezione così strutturata e le donne presenti , anche per il modesto numero delle stesse, possono essere collocate nelle apposite sezioni di altri istituti. Si chiede pertanto di chiudere la suddetta sezione, assicurando alle donne detenute attualmente presenti condizioni di restrizione più aderenti al dettato costituzionale e normativo". Mantova: 200 detenuti; manca il lavoro, timori per influenza A di Graziella Scavazza
La Gazzetta di Mantova, 8 ottobre 2009
Le porte del carcere si sono aperte ieri pomeriggio per fare entrare i componenti della sesta commissione provinciale alle politiche sociali, presieduta da Maria Fadda, affiancata dall’assessore Fausto Banzi con la presidente del consiglio provinciale Laura Pradella. Un’occasione voluta dai consiglieri di Palazzo di Bagno per verificare in diretta i problemi che affliggono la casa circondariale di via Poma, in cui si trovano 204 detenuti, di cui solo il 20% sono mantovani. Una convivenza non facile, in una struttura sovraffollata dove vivono 74 tossicodipendenti. La rappresentanza maggiore è costituita da stranieri, 110 uomini e sette donne, a fronte di 79 uomini e otto donne italiani. Il direttore Enrico Baraniello ha accolto gli ospiti con cordialità e, guidandoli nella visita ai locali della struttura, si è soffermato sulla realtà del carcere e sulle sue carenze. Il lavoro, o una qualche occupazione, rappresenta la principale necessità. Le risposte sono state sollecitate da più parti ma senza successo, anche per via della carenza di spazi. Quasi 65 carcerati sarebbero in grado di lavorare, ma non riescono a trovare inserimento all’esterno. La crisi economica ha avuto ripercussioni anche in questo ambito, nonostante il potenziale datore di lavoro possa beneficiare di sgravi fiscali. E poi c’è il problema cronico del sovraffollamento: le presenze in cella sono raddoppiate, ci vivono fino a dodici persone con un unico servizio igienico. Una situazione drammatica, come riferita dallo stesso direttore. "Non si fanno più carceri di medie dimensioni - ha spiegato Baraniello - perché non è conveniente. Tra dentro e fuori sono impiegati circa 30 detenuti, pochissimi. E per le donne il problema è ancora più grave". Essendo di meno, le detenute non riescono nemmeno a partecipare ai corsi di formazione interni. E adesso aleggia l’incubo dell’influenza A. Il personale sarà vaccinato ma ancora non si sa se al vaccino accederanno i detenuti. All’ingresso è attivo il controllo sanitario obbligatorio per evitare il diffondersi di malattie infettive. Quanto costa un detenuto alle casse pubbliche? L’equivalente di 100mila euro all’anno. Grazie ai contributi della Provincia è stato possibile attivare corsi di formazione, teatro, e finanziare un istruttore sportivo. La Commissione si riunirà per formulare proposte da inserire nel bilancio 2010. Padova: carcere è senza materassi, tenete i detenuti in caserma
Il Mattino di Padova, 8 ottobre 2009
Situazione esplosiva nella Casa Circondariale padovana, la struttura destinata ai detenuti in attesa di giudizio. Lo rivela una lettera "a limitata divulgazione" firmata dal direttore dell’istituto Antonella Reale, trasmessa alla procura della Repubblica e al Dap di Roma (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), nonché per conoscenza al Provveditorato per l’amministrazione penitenziaria del Triveneto con sede a Padova, al presidente del tribunale di Sorveglianza di Venezia e al magistrato di Sorveglianza. L’invito rivolto ai pubblici ministeri è preciso: non spedire in carcere i detenuti da giudicare con i processi per direttissima, ma trattenerli nelle celle di sicurezza della questura e delle caserme dei carabinieri. Il motivo è semplice: nella casa di reclusione, superaffollata, non c’è più posto. Lo avevano ribadito anche i detenuti, autori di una lettera aperta pubblicata ieri sul Mattino, denunciando un’esistenza carceraria drammatica e l’avvio di forme di protesta pacifiche. "Si comunica che, alla data odierna, le presenze dei detenuti hanno raggiunto la cifra record di 255 a fronte di una capienza regolamentare di soli 98 posti e tollerabile di 136 - scrive la direttrice Reale - La situazione è ormai ingestibile poiché non vi è più posto neppure per mettere materassi a terra (ormai almeno 2 per cella oltre ai letti a castello a tre piani)". E continua: "In una struttura di sole 35 stanze (di cui molte previste per una sola persona e di appena 8 o 9 metri quadrati) i detenuti sono stipati all’inverosimile. Nelle stanze di 24 metri quadrati sono ubicate stabilmente 10-11 persone, mentre in quelle da 18 addirittura 6. All’ufficio della procura si chiede, ancora una volta, di sensibilizzare i magistrati di turno affinché i detenuti per i quali sia disposto il rito direttissimo restino custoditi dalle forze dell’ordine che hanno effettuato l’arresto nelle rispettive camere di sicurezza. Ben il 30% degli arrestati permane in questa sede per almeno tre giorni, contribuendo così ad ingolfare ulteriormente la struttura con aggravio di lavoro e di costi non giustificabili. Si segnala che non si è in grado di garantire isolamenti giudiziari o separazioni tra coimputati". Infine una richiesta: "Al Dap si chiede un significativo intervento deflattivo, pur consapevoli della grave situazione nazionale. Tale richiesta appare indispensabile, considerato il vertiginoso aumento degli ingressi e la riduzione drastica delle scarcerazioni". Modena: bene l’arrivo di 30 agenti, ma ne mancano ancora 44
La Gazzetta di Modena, 8 ottobre 2009
"Un grosso passo avanti, certamente non abbiamo raggiunto l’optimum però possiamo tirare un sospiro di sollievo". Così il direttore del carcere di Modena Paolo Madonna commenta la notizia dell’arrivo di 30 agenti di polizia penitenziaria che andranno ad integrare un organico che da almeno 10 anni, come ci ha confermato Madonna, vive in eterna emergenza. Attualmente infatti gli uomini in servizio al S. Anna sono 146, a fronte di un organico stabilito dal dipartimento del Ministero di 220 agenti. Quindi con i 30 agenti in arrivo si arriverà a 176, ne mancano all’appello ancora 44. "Ma quella dell’organico pieno è purtroppo una chimera - commenta Francesco Campobasso del sindacato degli agenti Sappe - Avere questi 30 agenti in più è un buon risultato e dobbiamo ringraziare Isabella Bertolini che almeno in questi mesi ha dimostrato di essersi spesa in prima persona per contribuire ad alleviare il nostro disagio". Parole confermate dal direttore Madonna. "È ovvio che si può sempre migliorare - prosegue - ma tenga presente che da 10 anni a questa parte abbiamo sempre visto diminuire il personale già ridotto con provvedimenti di distacchi, missioni, legge 104 e via dicendo. Ora c’è questa inversione di tendenza. È già qualcosa". Intanto la situazione dei detenuti resta pesante a fronte di una capienza per 220 detenuti, tollerabile fino a 404, attualmente sono 534 quelli ospitati. "E in estate non abbiamo registrato - prosegue Campobasso - i trasferimenti annunciati di detenuti, dovevano andarsene in 150, che avrebbero potuto migliorare e di molto la vivibilità nella struttura". I nuovi agenti arriveranno scaglionati, una decina entro un paio di settimane, gli altri entro gennaio. Ieri intanto il ministro Alfano rispondendo a una interrogazione del Pd sul sovraffollamento ha confermato che a Modena è in via di realizzazione un nuovo padiglione per ospitare 150 detenuti. "La nostra preoccupazione - conclude Campobasso - è che i 30 agenti in arrivo ora siano considerati già personale in più per quel padiglione. A nostro parere invece ne serviranno altri 30". Monza: corso di orientamento ai detenuti per lavoro autonomo
www.mbnews.it, 8 ottobre 2009
Da detenuti a imprenditori. Da una condizione pesante e ben poco invidiabile a uno status che - nonostante la crisi economica - è ancora oggi molto stimato e ammirato e considerato sinonimo di alta qualità della vita. Un passo avanti decisivo, che da oggi potrà essere favorito da un’iniziativa sociale della Camera di commercio di Monza e Brianza. Per favorire e promuovere l’inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti in qualità di lavoratori autonomi, la Camera di Commercio di Monza e Brianza, in collaborazione con Formaper, organizzerà un corso di orientamento e formazione al lavoro autonomo, destinato ai detenuti di Monza, finalizzato alla pianificazione del proprio rientro nel mercato del lavoro. Il progetto è stato presentato in occasione del seminario "Opportunità per le imprese e per il territorio: come favorire l’inclusione sociale dei cittadini detenuti" che si è tenuto oggi presso la sede della Camera di commercio di Monza e Brianza. "È il primo progetto di questo genere in Italia - spiega con orgoglio il direttore della Camera di commercio di Monza e Brianza, Renato Mattioni -. Fino a ieri nelle carceri c’erano solo corsi di formazione per imparare un mestiere che necessitano comunque un’assunzione da parte di un’azienda. L’obiettivo è quello di far capire ai detenuti che il lavoro, quando non si trova, si può anche inventare". I corsi partiranno dal mese di gennaio. Ed è soddisfatto anche il direttore della casa circondariale di Monza, Massimo Parisi: "Penso che si possa iniziare con una ventina di detenuti. Un progetto importante perché così il recluso inizia a ragionare in modo diverso, in una logica di auto imprenditorialità e anche di legalità". Trecento le ore di corso messe a disposizione del carcere di via Sanquirico, destinate in modo particolare ai detenuti a fine pena: "I detenuti inizieranno a fare un classico bilancio di sé, cercando di capire quali competenze possano avere - spiega Mattioni -. Poi, passo dopo passo, arriveranno alla stesura di un vero e proprio business plan della propria vita". In Lombardia sono 499 i detenuti che lavorano in azienda pur restando dietro le sbarre. Ad assumerli sono imprese specializzate e cooperative. Ma il passaggio diretto da carcerato a capitano d’industria è un passo (anzi due) avanti in più. Pavia: Fabio Savi, dopo 38 giorni, cessa lo sciopero della fame
La Provincia Pavese, 8 ottobre 2009
Fabio Savi ha interrotto lo sciopero della fame. Il killer della Uno Bianca, dopo 38 giorni di digiuno totale, ha lentamente ricominciato ad alimentarsi sotto stretto controllo medico: passeranno comunque diversi giorni prima che possa fare un pasto normale. "È inevitabile - spiegano i medici - dopo tanti giorni di digiuno prolungato, l’organismo deve riabituarsi lentamente all’alimentazione. Potrebbe incorrere in conseguenze gravi". Fabio Savi è uno dei capi della banda (quasi tutti poliziotti) che ha insanguinato l’Emilia Romagna tra gli anni 80 e 90. Savi, detenuto nel carcere di Voghera, il 27 agosto ha iniziato uno sciopero totale della fame per avanzare alcune richieste all’amministrazione penitenziaria, tra cui il trasferimento a Firenze dove abita la moglie. "Ha perso 22 kg, ormai era allo stremo - afferma Fortunata Copelli, l’avvocato - Ma non ha interrotto la protesta per questo. Piuttosto è stata decisiva l’attenzione che il direttore del carcere ha dedicato al suo caso. Il dottor Sanna è riuscito a convincerlo che si possono avanzare richieste legittime anche senza giungere a proteste tanto estreme. Ora potremo risolvere i problemi con più calma". Reggio Calabria: un detenuto-lavorante evaso e subito ripreso
Quotidiano di Calabria, 8 ottobre 2009
"La brillante operazione di servizio posta in essere dal Personale di Polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Reggio Calabria, che ieri ha immediatamente catturato un detenuto lavorante evaso dalla struttura, dimostra l’alta professionalità, lo scrupolo e il senso del dovere dei nostri agenti". Lo afferma in una nota il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece. "Professionalità - ha aggiunto - che vanno valorizzate e premiate, considerato il grave sovraffollamento penitenziario e le pesanti carenze di poliziotti in organico. Una operazione di servizio coronata da successo, rispetto alla quale esprimo il convinto plauso mio personale e del Sindacato Sappe, il primo e più rappresentativo del Corpo". "Ora auspico - conclude Capece - che l’Amministrazione penitenziaria risolva quanto prima le criticità penitenziarie di Reggio Calabria, tra le quali spiccano le carenze di organico del Corpo di Polizia penitenziaria". Rieti: Camera Penale organizza tre giornate studio sul carcere
Asca, 8 ottobre 2009
In vista dell’apertura del nuovo carcere tre importanti giornate di studio e di approfondimento nella tre giorni dedicata al diritto penitenziario e organizzata dalla Camera penale di Rieti, presieduta dall’avvocato Marco Arcangeli (nella foto) in collaborazione con la Scuola forense, di cui è presidente Attilio Francesco Ferri. Il via sabato 10 ottobre con i "Circuiti penitenziari e il trattamento intramurario", relatore la ricercatrice Annamaria Raciti, per poi proseguire il 17 ottobre ("La magistratura di sorveglianza: ruoli, funzione e procedura") con la relazione del magistrato Parruti e il 31 ottobre con il tema "Il percorso di reinserimento: misure alternative e sostitutive alla detenzione" con illustrazione affidata al docente di diritto penitenziario Del Coco. Il corso - che comporterà l’assegnazione di dodici crediti formativi - si svolgerà presso la Sala dei Cordari ed è dedicato, come sottolineato dal presidente Arcangeli, "soprattutto alla formazione dei giovani avvocati in una materia peculiare spesso trascurata a livello universitario ma anche professionale". Agli incontri sono stati invitati anche amministrazioni, associazioni di volontariato e tutti gli operatori del settore. Al corso formativo seguirà un’importante tavola rotonda che, nel mese di novembre, vedrà a Rieti altri ospiti di spicco. Immigrazione: Campagna contro razzismo arriva in Quirinale
Asca, 8 ottobre 2009
Il Presidente della Repubblica riceve i promotori della Campagna contro il razzismo "Non aver paura, apriti agli altri, apri ai diritti". Giovedì 8 ottobre il Presidente Napolitano riceverà i promotori della Campagna contro il razzismo, l’indifferenza e la paura dell’altro promossa da 27 organizzazioni, laiche e religiose, che operano quotidianamente per la difesa dei diritti umani. Si tratta di soggetti anche molto diversi tra loro, che per la prima volta hanno deciso di unire le forze per dar vita a un’iniziativa che ha come obiettivo prioritario quello di fermare il dilagare di atteggiamenti e pratiche discriminatorie, favorendo la conoscenza reciproca e il dialogo, strumenti indispensabili per contrastare paure ingiustificate, spesso alla base di episodi anche violenti di intolleranza e razzismo. La Campagna, che ha preso il via alla fine di marzo, ha raccolto decine di migliaia di firme in calce a un Manifesto che sottolinea come una società che si chiude sempre più in se stessa, che cede alla paura degli stranieri e delle differenze, è una società meno libera, meno democratica e senza futuro. Solo difendendo i diritti di chi ci sta accanto, chiunque esso sia, è possibile salvaguardare i diritti di tutti. Uniti da questa comune convinzione, i promotori hanno organizzato centinaia di iniziative di sensibilizzazione in tutta Italia. Le oltre 80.000 firme raccolte verranno consegnate al Presidente della Repubblica in occasione dell’incontro di giovedì prossimo, durante il quale i promotori illustreranno le finalità e gli sviluppi futuri della Campagna. Farà parte della delegazione Samuel Cirpaciu (Sami), il bambino di origine romene che vive nella comunità rom Il Dado, a Torino, e che donerà al Presidente la spilletta col fantasmino giallo, diventato il simbolo della Campagna. A Giorgio Napolitano i promotori consegneranno anche una targa di rame realizzata dagli artigiani del Dado, un’esperienza modello di integrazione di una comunità straniera in una grande città come Torino. Stati Uniti: sì trasferimento detenuti Guantanamo per processi
Adnkronos, 8 ottobre 2009
Il Congresso, che finora aveva alzato un muro di scudi bipartisan di fronte al progetto di Barack Obama di chiudere Guantanamo, è disponibile a far passare una legge che permetta ai detenuti di essere trasferiti negli Stati Uniti per essere processati da giudici militari o civili. La Casa Bianca è riuscita infatti ad arrivare ad un accordo di compromesso con i leader di Camera e Senato che vieterebbe però all’amministrazione di rilasciare i detenuti sul territorio nazionale ed l’impegnerebbe a comunicare in anticipo al Congresso ogni trasferimento in un paese straniero. La legge, che verrà collegata allo stanziamento di 42,8 miliardi di dollari per il dipartimento della Sicurezza Nazionale, dovrà ora essere approvata dal Senato e dalla Camera, dove la scorsa settimana è stata approvata con una netta maggioranza una risoluzione tesa a vietare ogni tipo di trasferimento di detenuti in America. Nonostante questo i leader della maggioranza democratica sono fiduciosi nel fatto che verrà approvata la misura che la Casa Bianca ha definito "uno sviluppo positivo che ci permetterà di trasferire detenuti di Guantanamo per essere portati di fronte alla Giustizia". Mancano comunque ancora molti dettagli importanti: per esempio non è ancora chiaro se la legge permetterà che i detenuti scontino, una volta condannati, le pene in prigioni americane. O se verrà permessa la detenzione a tempo indeterminato per prigionieri contro i quali non è possibile procedere per mancanza di prove sufficienti ma vengono considerati pericolosi dall’intelligence americana. Vi sono oltre 240 prigionieri ancora detenuti in Guantanamo: per 90 di loro è stata già approvato il trasferimento in altri paesi e 17 sono stati effettivamente trasferiti. E sono 40 i detenuti che sono stati rimandanti al giudizio di tribunali militari o civili. Nelle scorse settimana l’amministrazione Obama ha segnalato che sarà molto difficile rispettare la scadenza del 22 gennaio che lo stesso presidente aveva dato, nei primi giorni del suo mandato, per la chiusura di Guantanamo. Iran: si prostituiva per povertà; marito impiccato e lei lapidata
Ansa, 8 ottobre 2009
Un uomo è stato impiccato in Iran per adulterio, mentre sua moglie dovrebbe essere lapidata entro pochi giorni per essersi prostituita, anche con impiegati di organizzazioni statali, a causa delle condizioni di povertà della famiglia. Lo ha detto all’Ansa il loro avvocato, Mohammad Mostafai. L’uomo, Rahim Mohammadi, è stato impiccato ieri a Tabriz, nel nord-ovest del Paese. In un primo tempo era stato anch’egli condannato alla lapidazione, ma la modalità dell’esecuzione è stata poi modificata per timore delle proteste che avrebbe potuto suscitare fra gli attivisti per i diritti umani. Sua moglie, Kobra Babai, dovrebbe invece essere messa a morte tramite lapidazione. L’avvocato Mostafai ha detto che né lui né la famiglia di Rahim Mohammadi erano stati avvisati dell’imminente impiccagione e che i congiunti hanno ricevuto da un altro detenuto la notizia che l’uomo era stato messo a morte. Il legale ha spiegato che Rahim Mohammadi e Kobra Babai, sposati da circa 12 anni, vivevano in condizioni di estrema povertà ed erano costretti a ricorrere all’assistenza economica di organizzazioni statali. Alcuni impiegati di queste organizzazioni avrebbero offerto ulteriore denaro all’uomo per poter avere rapporti sessuali con Kobra, e lui avrebbe accettato. La donna sarebbe stati quindi fatta prostituire con 30 o 40 uomini, secondo quanto reso noto dall’avvocato Mostafai. E per questo è stata condannata alla lapidazione. Lo stesso Rahim Mohammadi è invece stato condannato per essere stato riconosciuto colpevole di rapporti sessuali con una donna e un uomo, vicino di casa. Accuse che secondo il legale "non sono state provate". Nel 2002 l’allora capo dell’apparato giudiziario, ayatollah Mahmud Hashemi Shahrudi, aveva emesso un’ordinanza che sospendeva l’esecuzione delle lapidazioni, che la legge islamica prevede per gli adulteri. Ma nonostante quell’intervento, almeno cinque sentenze di questo genere sono state eseguite in questi sei anni. Cina: nelle carceri crescono morti per tortura, vietate autopsie
Asia News, 8 ottobre 2009
Il presidente cinese ha elogiato "l’eccezionale contributo" delle forze dell’ordine per la festa del 1° ottobre. Un 60enne è stato ucciso sotto interrogatorio. Privato di cibo, acqua e sonno, con 90 sigarette accese infilate nelle narici. Attivisti e portatori di petizioni morti per "suicidio" o per "mal di cuore". Vietate le autopsie. Il presidente Hu Jintao ha elogiato la polizia per "l’eccezionale contributo" alla sicurezza in questi giorni di festa per i 60 anni della Repubblica popolare cinese, proprio mentre si moltiplicano le testimonianze su morti sotto torture negli interrogatori e nelle prigioni cinesi. Ieri Hu, che è pure capo della Commissione militare e segretario del partito comunista, ha incontrato rappresentanti delle forze speciali della polizia e ha elogiato il loro lavoro soprattutto durante la parata e la festa tenutasi su piazza Tiananmen il 1° ottobre. Hu ha apprezzato il contributo dei poliziotti e ha detto che essi dovrebbero potenziare le loro capacità e le strumentazioni per accrescere la pubblica sicurezza soprattutto in piazza Tiananmen. Fin dal giorno prima le forze dell’ordine hanno isolato la piazza e il viale di Changan, obbligando alla chiusura negozi e uffici e gli abitanti a rimanere in casa. La popolazione che voleva vedere la parata è stata tenuta lontano. Nelle settimane precedenti almeno 6 mila persone, fra criminali e portatori di petizioni, sono stati arrestati. L’elogio di Hu alle forze dell’ordine sembrano voler coprire le inquietanti notizie che si diffondono fra attivisti e blog, secondo i quali continuano ad accadere uccisioni di prigionieri sotto tortura. Il 6 ottobre perfino la Xinhua ha pubblicato la storia di Wang Xilian, un sessantenne dell’Anhui che la polizia ha torturato sotto interrogatorio per estrargli la confessione per un caso di rapina. Per giorni le guardi lo hanno privato di cibo, acqua, sonno, picchiandolo e infilandogli fino a 90 sigarette accese nelle narici. Xinhua afferma che è importante controllare le carceri per evitare soprusi. Va notato che Pechino ha sottoscritto la Convenzione Onu contro la tortura, ma ancora nel 2008 l’organismo internazionale ha fatto notare che la tortura e trattamenti degradanti dei detenuti sono diffusi in Cina. L’organizzazione China Human Rights defenders riporta gli ultimi 3 casi di cui è venuto a conoscenza: quello di Li Shulian, una donna di Longkou (Shandong), morta il 2 ottobre per maltrattamenti e tortura, dopo il suo arresto - il 3 settembre - per aver presentato petizioni. La polizia ha anche bloccato alcuni avvocati attivisti che vogliono indagare sul suo caso, giudicato come un "suicidio per impiccagione". Il caso di Liu Fengqin, una 66enne di Liuguanggtun (Tangshan, Hebei), condannata il 31 luglio scorso a un anno di rieducazione attraverso il lavoro per aver "disturbato l’ordine pubblico" tentando di presentare petizioni. Il 23 settembre anche suo marito è stato arrestato e inviato nello stesso campo di lavoro. Ma egli non è riuscito ad avere notizie della moglie. Solo in seguito egli è venuto sapere che Liu Fenqin è morta il 25 settembre "per problemi al cuore". Il direttore del campo non dato nessuna dichiarazione ufficiale, né ha permesso ai familiari di vedere il suo corpo. Il caso di Shi Yuedu, giovane della minoranza Yi, poco più che ventenne, condannato a tre anni per piccoli furti. Lo scorso giugno è morto "per una malattia al cuore". La famiglia incredula ha chiesto un’autopsia. Essi, vedendo il suo corpo, hanno notati evidenti segni di tortura. Il capo della prigione ha offerto alla famiglia uno scambio: rifiutare l’autopsia e accettare un compenso di decine di migliaia di yuan. Egli ha precisato che se la famiglia continua a domandare l’esame sulla salma, l’autopsia confermerà la versione della prigione e loro non riceveranno nulla.
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