|
Giustizia: un magistrato che tuteli i diritti violati dei detenuti? di Tullio Padovani*
www.radiocarcere.com, 7 ottobre 2009
Quale soluzione si prospetta per l’inumano sovraffollamento delle carceri e con quali mezzi si può raggiungere? La soluzione è univoca e chiara: il numero dei detenuti non deve eccedere la capienza massima delle galere, per l’ovvia ragione che l’esecuzione della pena, per attuare la legalità, non può tradursi nella sua negazione. Per questo in California una corte federale ha di recente ordinato al governo di ridurre la popolazione carceraria di 46mila detenuti, su un totale di 160mila ed a fronte di una capienza di 85mila. Scontata l’obiezione: mica siamo in America. Nessuno lo nega; ma il problema affrontato dalla corte federale è pur sempre il nostro problema. Se non disponiamo di strumenti così diretti e immediati per vincolare l’amministrazione al rispetto della legalità, frughiamo nella cassetta degli attrezzi. Il primo percorso è tracciato da un segnale di cui si mena gran vanto: l’obbligatorietà dell’azione penale, che - si dice - non consente remore, non tollera indugi. Si proceda allora per i maltrattamenti che i detenuti subiscono, con tutta la determinazione imposta dalla gravità e dall’estensione del fenomeno. Certo, si tratterà anche di valutare la rilevanza esimente dei doveri funzionali che presidiano le singole condotte, e non è difficile supporre che si possa giungere ad una esclusione della responsabilità per ragioni di natura personale. Ma il punto è sancire un’ovvietà arbitrariamente disconosciuta, e cioè che l’esercizio della potestà punitiva non può mai prevalere sulla salvaguardia dei diritti inviolabili della persona. Una volta recuperata la rotta dello stato di diritto, c’è da credere che il lungo sonno della ragione sarebbe interrotto da incubi salutari. Un secondo percorso attraversa i meccanismi vigenti di rinvio dell’esecuzione e di applicazione della detenzione domiciliare alternativa al carcere. Attualmente essi dipendono solo dalle caratteristiche personali del condannato senza alcuna considerazione per la praticabilità di un’esecuzione in condizioni di legalità. Ma un sistema punitivo non può convertirsi in strumento di tortura; non in questo paese, almeno. E a dirlo dovrebbe essere ovviamente la Corte costituzionale, una volta investita della questione di legittimità di norme sorde e mute rispetto alle esigenze basilari di legalità dell’esecuzione penitenziaria. Sarebbe ingenuo negare che il problema è tecnicamente complesso; ma forse meno di quel che potrebbe apparire a prima vista. L’esito conclusivo "virtuoso" si prospetta allora in termini nitidi e rigorosi. A capienza carceraria esaurita, ogni detenuto in ingresso implica un detenuto in uscita, avviato a misure alternative e scelto secondo una "graduatoria" decrescente. I 42mila ospiti delle galere (se è questo il tetto) saranno coloro per i quali la carcerazione risulta necessaria, secondo un criterio relativo. Se lo Stato non è in grado di soddisfare integralmente la pretesa punitiva, farà il possibile con i mezzi a disposizione; ma non potrà pretendere di compensare la partita sbilanciata dalle proprie scelte finanziarie o dalle proprie inefficienze, con la moneta dei diritti inviolabili dell’uomo. Dovrebbe essere noto a tutti che questa moneta non è convertibile. Sul quadro aleggia tuttavia una domanda finale. C’è un briciolo di California qui da noi? Esistono magistrati disposti a squarciare il velo e a riconoscere la tutela del diritto a chi patisce l’infamia del diritto calpestato? Chi scrive non ha dubbi e continua a pensare che esistono, esisteranno, debbano esistere. Ma si tratta - sia chiaro - solo di un vecchio illuminista.
*Tullio Padovani è professore di Diritto Penale alla Scuola Superiore di Studi Universitari Sant’Anna di Pisa Giustizia: reato di clandestinità; la parola passa alla Consulta di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore, 7 ottobre 2009
Sul reato di clandestinità la parola passa alla corte costituzionale. Ieri il giudice di pace di Torino ha accolto le argomentazioni sollevate dalla Procura e ha rinviato alla Consulta la decisione sulla legittimità della norma introdotta per sanzionare sul piano penale chi si intrattiene in Italia in maniera irregolare. Molti i profili di incostituzionalità sollevati. Dall’irragionevolezza, al contrasto con i diritti inviolabili dell’uomo, alla discriminazione. In particolare la norma sarebbe in contrasto con gli articoli 2, 3, 24 comma 2, 25 comma 2 e 97 comma 2 della Costituzione. La struttura del reato, sottolinea il giudice di pace, non prevede la lesione e neppure la messa in pericolo di un bene costituzionalmente protetto "finendo di fatto per colpire chi si trova nella condizione di clandestino per non essersi uniformato alle predette norme". La stessa Procura aveva messo in luce come la clandestinità costituisce spesso l’esito di una condotta tutt’altro che volontaria,visto che lo straniero fugge dallo Stato di appartenenza per ragioni di sopravvivenza e i documenti gli possono essere stati sottratti da organizzazioni criminali. La stessa Corte costituzionale, ricorda la Procura, ha ritenuto che il mancato possesso di "un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio costituisce di per se stesso sintomo di pericolosità sociale. L’ordinanza del Giudice di pace di Torino investe però anche il regime punitivo, dove viene introdotta una sanzione sostitutiva (l’espulsione) più grave di quella principale (l’ammenda) e dove con la misura sostitutiva vengono colpiti allo stesso modo soggetti diversi come gli stranieri che patteggiano per un reato non colposo una pena detentiva non superore a 2 anni e di chi è stato condannato alla sola pena pecuniaria per violazione dell’art. 10 bis del Dl 286/98. Come pure è oggetto di censura è la previsione che impedisce l’esercizio del diritto della difesa per lo straniero clandestino al quale, al momento dell’entrata in vigore della legge, restava solo la scelta obbligata dell’allontanamento di nascosto dall’Italia per evitare di autodenunciarsi. Altro aspetto critico quello della garanzia da una parte dell’assistenza scolastica obbligatoria anche ai fini di stranieri irregolari ma dall’altra, la non esplicita esclusione (come invece avviene nell’ambito comunitario) della possibilità di una denuncia da parte del personale scolastico che sia venuto a sapere della condizione di clandestinità. Giustizia: Ionta; straniero 40% detenuti. La Lega: al loro Paese
Ansa, 7 ottobre 2009
"Oltre al problema pressante del sovraffollamento nelle carceri che non è soltanto italiano, ma comune anche ad altri paesi, occorre evidenziare che è cambiata la tipologia delle persone detenute. Il 40% dei detenuti è costituito da stranieri": Lo ha detto il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta nell’audizione alla commissione Giustizia della Camera. "Circa 23-24 mila sui 65mila detenuti sono stranieri - ha detto Ionta - in particolare provengono dalla Romania e Albania (quasi 6 mila detenuti) altri anche dal Marocco, Tunisia e Algeria". È chiaro, ha spiegato, che si pone quindi un problema anche nel rispettare "i costumi, le religioni e gli stili di vita" diversi a seconda della propria nazionalità. A proposito dei detenuti stranieri, il capo del Dap ha auspicato "accordi internazionali per portare i detenuti stranieri a scontare la pena all’estero". Tra le difficoltà e i problemi da risolvere il capo del Dap ha anche fatto riferimento alla gestione attuale della sanità nelle strutture penitenziarie passata alla gestione pubblica delle Aziende sanitarie locali che porta ad una difficoltà tecnica sullo spostamento dei malati detenuti all’ospedale: "I detenuti sono tutti veicolati agli ospedali ma alla fine pochi sono poi ricoverati nelle strutture ospedaliere". Il piano di riorganizzazione delle carceri, infine, ha sottolineato Ionta, dovrà necessariamente prevedere anche una "implementazione di altro personale" anche in risposta alle "pressioni che giungono dal punto di vista sindacale e che fanno rilevare condizioni non sempre ideali per il personale della polizia penitenziaria".
Molteni (Lega): stranieri scontino pena nel loro Paese
"Oggi in commissione Giustizia alla Camera si è tenuta l’audizione di Ionta, capo del Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che ha ricordato, in merito al problema del sovraffollamento delle carceri, che circa il 40 per cento dei detenuti è straniero: rispettivamente 24 mila detenuti su un totale di circa 65 mila ristretti. Tra i reclusi stranieri circa sei mila sono albanesi e rumeni". Lo dichiara il deputato della Lega nord Nicola Molteni, membro della commissione Giustizia a Montecitorio. "Sono numeri impressionanti e drammatici - spiega Molteni - anche perché in alcuni istituti penitenziari, soprattutto del Nord, la popolazione carceraria straniera supera abbondantemente la soglia del 60-70 per cento". "Il deputato comasco - prosegue la nota - ha quindi ricordato gli effetti fallimentari e scellerati del provvedimento di indulto voluto dal governo Prodi, indicando quale soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri, accanto a un’implementazione dell’edilizia penitenziaria, già avviata attraverso il Piano Carceri, la necessità impellente e più volta sostenuta dalla Lega Nord, di far scontare agli stranieri la pena nei Paesi di provenienza. Molteni ha infine evidenziato la situazione difficoltosa in cui versa il carcere di Como Bassone anche in riferimento alla drammatica carenza di personale della polizia penitenziaria". Giustizia: Lega propone legge anti-burqa; in cella chi lo porta di Vladimiro Polchi
La Repubblica, 7 ottobre 2009
Arresto in flagranza, reclusione fino a 2 anni e multa fino a 2mila euro. La Lega Nord va alla guerra del burqa e presenta una proposta di legge per punire chi "in ragione della propria affiliazione religiosa" indossa in pubblico indumenti che rendono "impossibile o difficoltoso il riconoscimento". Il testo, depositato il 2 ottobre, modifica in soli due articoli la legge del 1975 in materia di tutela dell’ordine pubblico, che già prevede il divieto di utilizzare "senza un giustificato motivo" caschi o qualsiasi altro indumento che impedisca il riconoscimento della persona. La Lega, come ha spiegato il capogruppo Roberto Cota, propone ora di togliere il riferimento al "giustificato motivo", che sarebbe fonte di contenziosi tra sindaci e prefetti e di inserire tra i divieti anche "gli indumenti indossati in ragione della propria affiliazione religiosa". Il testo di fatto chiede di vietare l’uso di burqa e niqab (il velo che lascia scoperti solo gli occhi), ma senza menzionarli esplicitamente come invece fa la proposta a firma Souad Sbai (Pdl) già all’esame della commissione Affari costituzionali di Montecitorio. Per l’opposizione, Pd in testa, si tratta di un’ipotesi illegittima, che rischia di condannare molte donne di religione musulmana alla segregazione in casa. "È una norma incostituzionale - attacca la capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti - che lede la libertà religiosa. Ma come può una legge parlare di affiliazione religiosa? Le suore sarebbero affiliate?" Simile il rilievo che solleva Ahmed Gianpiero Vincenzo, presidente dell’associazione Intellettuali Musulmani Italiani: "Per vietare il burqa e il niqab in Italia non troviamo opportuno fare riferimento a una presunta affiliazione religiosa islamica. La copertura del volto - aggiunge - non fa parte della religione islamica, come chiaramente dichiarato anche da Mohammed Said Tantawi, grande imam dell’università egiziana Al Azhar. In realtà basterebbe far rispettare la normativa di sicurezza già vigente in Italia fino al 1975, la quale impedisce di coprirsi in pubblico il volto". Ma non manca chi, anche nell’opposizione, sottolinea che il problema esiste. "È da tempo immemore - sostiene la radicale Emma Bonino - che ritengo che indossare il burqa o il niqab integrale in pubblico violi le leggi dello Stato e il concetto della piena assunzione della responsabilità individuale". E ancora: "La proposta di legge della Lega - dice l’europarlamentare del Pd, Debora Serracchiani - usa strumentalmente l’argomento dell’ordine pubblico e si colloca sullo stesso piano delle fiaccolate contro le moschee e i cimiteri islamici, ma tocca un problema vero". Di velo si interessa anche un disegno di legge presentato dall’opposizione: sì al burqa, ma a condizione che il volto sia riconoscibile, altrimenti si rischia l’arresto da 3 a 6 mesi e un’ammenda da 300 a 600 euro. Il testo è in commissione Affari costituzionali del Senato, presentato dal Pd (prima firmataria Emanuela Baio) e co-firmato da altri 11 senatori dello stesso gruppo. In sostanza, l’articolo unico di cui è composto prevede il divieto di usare "in luogo pubblico qualunque mezzo che travisi e renda irriconoscibile la persona senza giustificato motivo". Giustizia: magistrati criticati, da politica che non sa legiferare di Francesco Puleio*
www.radiocarcere.com, 7 ottobre 2009
Giudicare è l’attività attraverso cui si trae da un precetto generale ed astratto (la Legge), il comandamento concreto (il Giudizio) relativo ad una determinata persona ed ad una specifica condotta. Il giudizio riguarda così il fatto e la persona, quella persona e solo lei. Ora, fatti e persone sono sempre diversi. Ciascun fatto e ciascuna persona reclamano un giudizio su misura. Non è predicabile un verdetto finale uguale per tutti, ma solo una norma ed una procedura uguale per tutti. Se la legge generalizza per non trasformarsi in privilegio o in avversione, il giudizio individualizza per non incorrere in ingiustizia: e contrasta con la democrazia il giudice che ha pretese da legislatore, come sgomenta il legislatore che si sostituisce al giudice nell’applicazione della norma al fatto concreto. Ne segue che norma e giudizio vivono o muoiono insieme, l’una non può sopraffare l’altro, reciprocamente alimentandosi i due termini. Una società è stabile e ben ordinata se la Legge viene comunque rispettata dai consociati e se il giudizio concreto viene eseguito anche se non condiviso. Se manca la fiducia dei cittadini nell’una o nell’altro, ad uscirne sconfitti non sono i legislatori od i giudici, ma la praticabilità di una convivenza civile basata sulla prevalenza della Legge (e non della violenza o della forza del denaro). Recenti e furibonde polemiche, dimostrano quanto grave sia il rischio della mancanza di rispetto dei rispettivi ruoli. Di qui le perplessità suscitate dalle pressioni esercitate dalla politica verso la giurisdizione. L’aggressività di chi addita i magistrati come i responsabili delle carenze ed inadeguatezze del servizio giustizia, proviene da coloro i quali dimenticano che la Giustizia si amministra utilizzando leggi e procedure disorganiche ed incoerenti quando non pasticciate; in locali non protetti, angusti, freddi d’inverno e torridi in estate, rumorosi e male illuminati sempre, precariamente arredati; dove i servizi igienici non funzionano o sono privi anche del necessario; gli archivi polverosi ed ingestibili, le attrezzature obsolete o, all’opposto, mai utilizzate. Da chi non ha saputo porre rimedio al numero esorbitante degli avvocati (a Roma vi sono più difensori che in tutta la Francia!!), che abbassa il livello della categoria e, moltiplicando le contese, rende ingestibile il carico giudiziario. Da chi finge di non sapere che il personale amministrativo è ridotto all’osso, spremuto e mal retribuito. Ma se è vero che norma e giudizio si tengono vicendevolmente, se la funzione della legge, cioè la possibilità di governare la realtà, abbisogna di una applicazione concreta, due sono le possibilità. La prima è quella di continuare nella scelta del legislatore costituente, di un giudice autonomo ed indipendente, soggetto soltanto alla Legge, presidio delle garanzie della collettività, dei singoli e dei soggetti deboli. L’altra è quella di devolvere la soluzione della conflittualità sociale ad un funzionario - burocrate, funzionalmente dipendente dal potere esecutivo, che decide ed applica la legge al caso concreto in base alle indicazioni della maggioranza o - peggio - di chi gestisce il potere. L’attacco ai magistrati tradisce forse proprio l’insofferenza verso la prima concezione della giurisdizione.
*Francesco Puleio è Procuratore della Repubblica di Modica Giustizia: la politica è paralizzata, la riforma resta un miraggio di Mario Ajello
Il Messaggero, 7 ottobre 2009
Aria di grande attesa. Il Palazzo della Consulta - quel luogo che un grande costituzionalista come Leopoldo Elia definì "l’isola della ragione" - ha tutti gli occhi addosso. Mentre i giudici sono in camera di consiglio, intorno a loro, ma a distanza, la polemica politica infuria, e chi tifa per la bocciatura e chi per la promozione del Lodo Alfano. E tuttavia c’è spazio pure per ragionamenti più in profondità. Come questo dell’ex presidente della Corte Costituzionale, Piero Alberto Capotosti: "Si può pensarla in tutti i modi nel merito del Lodo Alfano e di quelli che lo hanno preceduto, ma queste cosiddette leggi ad personam in un certo senso distraggono le forze politiche dall’obiettivo di un’effettiva riforma generale della giustizia. Quella che i cittadini elettori, sia che abbiano votato Pdl sia che abbiano votato Pd, si aspettano da molti anni". Ecco, nel bailamme e nel bla bla del grande giorno del giudizio, trovano spazio - ma vanno cercati col lanternino - anche pensieri di sistema, che riescono a insinuarsi fra le opposte tifoserie. O fra le dichiarazioni di rito dei vari leader. O fra le sparate di Di Pietro che chiama il popolo a "sommergere sotto un plebiscito referendario" il Lodo Alfano, nel caso non venga bocciato dai giudici costituzionali, e i contrattacchi del portavoce del Pdl, Capezzone, che invoca la sacralità di un altro popolo - quello che ha votato centro-destra e resta affezionato al governo in carica qualsiasi cosa accada - qualora il responso della Consulta non sia quello gradito. Intanto c’è chi sta col fiato sospeso, cioè quasi tutti, chi sperando e chi temendo, a cominciare dal titolare del Lodo in questione, il ministro Alfano. "Lasciamo lavorare la Corte - ha detto ieri da Messina il Guardasigilli - e ogni altra dichiarazione in questo momento mi sembra inopportuna". Trapela ottimismo dall’atteggiamento di Alfano. Un ottimismo non estendibile, però, a quanto accade in Parlamento. Nella politica che ruota intorno al Lodo, o alle tante iniziative giudiziarie, o alle evocazioni del golpe o delle piazze contrapposte, si blocca tutto e ieri alla Camera dei deputati, la stessa in cui mancavano l’altro giorno i deputati del Pd per il voto sullo scudo fiscale, c’è stato il vuoto degli onorevoli del Pdl. Che ha mandato in minoranza il governo su un tema di grande rilevanza sociale, qual è quello del garante dell’infanzia. Palazzo in perenne zuffa politico-giudiziaria e, insieme, istituzioni disertate sulle grandi questioni di pubblico interesse. "Il cittadino elettore - insiste l’ex presidente della Consulta - preferisce una riforma della giustizia, tale da assicurargli anzitutto una maggiore celerità in primo luogo nel processo civile e una maggiore certezza nell’applicazione del diritto". Ma anche questo, che è un tema di assoluta urgenza democratica, rischia di passare in subordine. Di finire dimenticato. Travolto. "Il fatto è che - conclude Capotosti - una complessiva riforma della giustizia trova ostacoli anche in conflitti, latenti o accesi, fra politica e magistratura. Che talvolta vanno al di là dei propri ambiti di competenza. Finendo per paralizzarsi reciprocamente, fra veti e contro veti". Nei quali, a restare stritolati, oltre che la dignità dei giudici e dei politici, sono i diritti dei cittadini. Giustizia: "onorevoli avvocati" alla madre di tutte le battaglie di Michele Brambilla
La Stampa, 7 ottobre 2009
Come tutti i grandi capi, nel giorno dell’assedio anche Silvio Berlusconi è tormentato da un dubbio atroce: su chi posso contare veramente, tra i miei? Ieri il dubbio l’ha sciolto mandando alla battaglia decisiva due uomini: gli avvocati Niccolò Ghedini e Gaetano Pecorella. Ma non è stata una scelta scontata, né facile. Fino a pochi giorni fa Ghedini era il dominus assoluto, in casa Berlusconi, per tutte le faccende giudiziarie. Era lui - l’ultimo di una serie di legali avvicendatisi più di quanto si siano avvicendati gli allenatori del Milan - a seguire tutti i processi importanti: da quelli che riguardano le aziende del gruppo alla causa di separazione dalla moglie Veronica, sia pure - quest’ultima - attraverso le sorelle Ippolita e Nicoletta, avvocati anche loro. Ma Ghedini ormai faceva molto di più: combatteva non solo nelle aule di giustizia e in parlamento, andava anche in televisione a ribattere con i suoi "ma va là!" a Santoro, a Travaglio, alla furibonda Emma Bonino. Era lui a farsi intervistare dai giornalisti per spiegare il pasticciaccio di Noemi, e quello D’Addario, e quello delle feste a Villa Certosa. Era lui, ormai, la "faccia" esibita. E quale faccia: i nemici l’hanno ribattezzato "Lurch Ghedini", per via di una somiglianza malevolmente attribuitagli con il personaggio della famiglia Addams. Pecorella invece sembrava - se non proprio caduto in disgrazia - passato in secondo piano. Diciamo scalzato da Ghedini così come Pecorella stesso aveva scalzato l’avvocato Amodio, e Amodio l’avvocato Dotti, "il traditore", e così come tutti quanti avevano scalzato Previti, ai margini per cause di forza maggiore. Questi però sono i giorni della grande tensione. "Ghedini!", deve aver forse urlato Berlusconi sentendosi accerchiato dopo il colpo tremendo della sentenza civile sul lodo Mondadori. Dicono di averlo visto furibondo: "Ma come", avrebbe detto, "i legali mi costano una fortuna e vengono a conoscenza della sentenza via mail, mentre De Benedetti andava dicendo da giorni che mi avrebbe rovinato?". Ghedini è ancora uno dei fedelissimi: ma qualcosa si è forse, se non rotto, incrinato. La doccia fredda del maxi risarcimento a favore di De Benedetti, arrivata dopo tante rassicurazioni ("La causa civile sta andando benissimo, dimostrerà che abbiamo ragione noi", aveva detto Ghedini in un’intervista un anno fa) è stato probabilmente l’ultimo incidente dopo alcune sbandate che Berlusconi non aveva gradito. Ad esempio quella ormai celeberrima battuta su un premier mero "utilizzatore finale" della D’Addario. O quella gaffe sulla vicenda delle foto "rubate" a Villa Certosa: "Non è casuale che l’avvocato che difende il fotografo Zappadu sia un eurodeputato dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. C’è una doppia veste - avvocato e parlamentare - che non si dovrebbe confondere", detto da lui che è avvocato di Berlusconi e deputato del Pdl. O ancora l’annuncio di quella mossa ("dettata dal puntiglio, dall’orgoglio") che il premier avrebbe fatto al processo contro l’Unità, querelata per aver parlato d’impotenza: "Perché mai Berlusconi non dovrebbe poter spiegare a venti milioni di suoi affezionati elettori che è perfettamente funzionante?". Così ieri accanto a Ghedini (e al suo maestro, il professore padovano Piero Longo) è ricomparso Gaetano Pecorella, il falco che aveva convinto Berlusconi a sposare la linea dura, sia con i magistrati che in parlamento. Pecorella aveva sostituito il professor Ennio Amodio, suo compagno di studi in gioventù, colpevole proprio di essere troppo morbido con i magistrati. Si dice che Amodio avrebbe tentato una sorta di accordo con la Procura di Milano, sacrificando Previti per salvare Berlusconi. Pecorella invece dei magistrati ha un’idea non molto diversa da quella del premier: "Sono cambiati in peggio. Non salutano più gli avvocati. Sono una casta faraonica (...) Uno che dedica la vita a giudicare gli altri non può che avere un’alta considerazione di sé", aveva detto in un’intervista. Da parlamentare aveva contribuito a fare quelle leggi che l’opposizione chiama "ad personam". Ha detto una volta: "È vero, sono state fatte leggi funzionali a determinati processi. Abbiamo fatto il lodo Schifani, poi dichiarato incostituzionale e che in effetti in qualche parte lo era, per consentire a Berlusconi di governare". Una specie di legittima difesa, insomma. La convinzione di gran parte del centrodestra - compresi quasi tutti i suoi elettori - è che la magistratura abbia fatto politica, che abbia cercato di abbattere Berlusconi per via giudiziaria. E di fronte a un tale abuso è giusto fare leggi che "consentano di governare" a chi è stato liberamente votato dal popolo. Pecorella questa logica l’ha fatta sua. Ma la sua stella pareva cadente. È stato indagato per favoreggiamento nei confronti del suo cliente Delfo Zorzi, latitante in Giappone e accusato per le stragi di piazza Fontana (per la quale è stato assolto) e di piazza della Loggia: Pecorella avrebbe indotto un pentito, Martino Siciliano, a ritrattare. Forse è anche per questo guaio che gli è stata negata la nomina a giudice della Corte Costituzionale, il sogno della sua vita. E poi, nella cerchia di Berlusconi, Ghedini ormai aveva preso il suo posto. E sì che era stato proprio Pecorella a presentare Ghedini al Cavaliere. Ma ora Pecorella è stato richiamato in servizio per affiancare Ghedini. Il primo viene dall’estrema sinistra; Ghedini dall’estrema destra. Il primo ha un po’ la fama di bon vivant; il secondo è un signore di campagna che odia la mondanità. Il primo è nato e ha sempre lavorato a Milano; il secondo viene da Padova e con i magistrati milanesi non ha mai bevuto un caffè. Tutti e due sono parlamentari del Pdl. Tutti e due sono per la linea dura, come devono essere gli uomini che Berlusconi ha scelto per la battaglia finale, fra tanti dubbi. Giustizia: sentenza sul Lodo Alfano, farà comunque scontenti di Massimo Franco
Corriere della Sera, 7 ottobre 2009
La sentenza della Corte costituzionale arriverà stasera o domani. E già l’attesa nervosa, quasi la sospensione della vita politica del Paese trasmette la sensazione di una vicenda patologica. Ma soprattutto, che il "lodo Alfano" sia dichiarato legittimo, o sia in qualche modo rimesso in discussione, difficilmente la tensione si allenterà. Il rapporto fra politica e giustizia sembra destinato a continuare sotto il segno del conflitto. E le elezioni regionali del prossimo anno promettono di intensificare le polemiche ed i veleni. La maggioranza di governo oscilla fra la presa d’atto rispettosa di quanto deciderà la Consulta, e l’insofferenza per qualunque sorpresa sgradita. L’insistenza sul primato del "popolo sovrano", comunque vada a finire, serve ad esorcizzare una crisi di governo; e a riaffermare l’investitura di Silvio Berlusconi attraverso le urne. Se il presidente del Consiglio dovesse affrontare i processi sospesi dalla legge che protegge le prime quattro cariche dello Stato, la situazione diventerebbe pesante. Ma anche in caso contrario, il "lodo Alfano" è destinato a diventare il pretesto di un conflitto senza fine. La virulenza con la quale Antonio Di Pietro continua a lanciare avvertimenti alla Corte in vista della sentenza, è almeno speculare alle voci più estreme del centrodestra. La sua minaccia di indire un referendum per abolire il provvedimento prefigura mesi nei quali Berlusconi sarà additato come un imputato privilegiato. L’accusa di godere di un’immunità tanto speciale quanto inaccettabile è condivisa da tutti, nell’universo dipietrista e in buona parte del centrosinistra: anche se alcuni costituzionalisti mettono in evidenza che si tratta non di immunità ma di una sospensione dei processi. Su questo sfondo, l’atteggiamento di Pdl e opposizione verso la Consulta tende a coincidere negativamente: nel senso che accettano solo in teoria la decisione che sarà presa nelle prossime ore. Per quanto emessa in base a considerazioni di legittimità costituzionale, la sentenza sarà letta come il riflesso di un orientamento politico; e dunque scontenterà comunque qualcuno. Con le elezioni regionali nel marzo del 2010, c’è da scommettere che i delusi brandiranno il "lodo Alfano", e non solo, come arma elettorale. Gli avvocati di Berlusconi spiegano gli attacchi di cui sono oggetto come tentativi di condizionare la Corte. E le critiche al limite del vilipendio che Di Pietro ha rivolto a Giorgio Napolitano potrebbero, si dice, far partire un’inchiesta della Procura di Roma. Ma l’ex magistrato e leader dell’Idv rivendica le parole dure contro il Quirinale. Anzi, sembra convinto che un’inchiesta del genere possa rafforzare il suo ruolo di oppositore-principe di un sistema ritenuto subalterno al capo del governo, arginando la concorrenza interna di De Magistris. I giudizi sferzanti contro il presidente della Repubblica, reo di aver firmato lo "scudo fiscale"; gli altolà alla Consulta sul "lodo Alfano"; la minaccia di referendum: sono tappe di una strategia che mette in conto un crescendo polemico funzionale alla crescita elettorale di un’area minoritaria, convinta che l’offensiva contro il premier e le presunte debolezze di Napolitano e del Pd moltiplicheranno i suoi consensi. Giustizia: Osapp; il Piano carceri in Cdm? sarà la volta buona?
Il Velino, 7 ottobre 2009
"Ci chiediamo se quella del ministro della Giustizia Alfano non sia l’ennesima promessa, rinviata". È quanto afferma il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, leader della seconda realtà sindacale della polizia penitenziaria, a proposito delle dichiarazioni del Guardasigilli sul piano carceri rilasciate ai 184 nuovi agenti della polizia penitenziaria che questa mattina a Roma hanno prestato giuramento al termine del 159 esimo corso allievi. "Da informazioni apprese da questa segreteria generale - continua il leader sindacale - risulta che questo governo è pronto già da venerdì a varare il piano carceri presentato ad aprile dal commissario straordinario Franco Ionta. Un Piano che costa alla comunità un miliardo e mezzo ma che potrà essere ampliato a due miliardi e che porterà le dotazioni strutturali, i posti letto aggiunti, dagli iniziali 17 mila previsti a 20 mila, oltre la dotazione attuale quindi". "Se le informazioni, di cui l’Osapp è venuto in possesso oggi - continua Benedici -, saranno confermate in consiglio dei ministri, è possibile la localizzazione di nuove aree, oltre alle cinque già previste dal piano di aprile, dove poter collocare i famosi penitenziari leggeri per i quali destinare gli arrestati e i detenuti con pene di lieve entità. Tutto bello: ma il personale? Ci chiediamo quali iniziative concrete, e non solo proclamate, il ministro intenda adottare nei confronti di un organico di fatto fermo al 1992, atteso che le attuali carenze riguardano pressoché esclusivamente le dotazioni dei ruoli dei Sovrintendenti, degli ispettori e dei commissari e, quindi, procedure concorsuali essenzialmente interne al Corpo stesso e solo in minima parte sanabili mediante assunzioni dall’esterno". "Oltre a questo - insiste il leader dell’Osapp - ci domandiamo se il Piano preveda l’assunzione di quei quattromila agenti che mancano, derogando quindi alla regola che stabilisce la possibilità di provvedere a nuovi reclutamenti in misura non superiore al dieci per cento della spesa relativa agli stipendi del Personale che termina il servizio. Per quanto riguarda sempre la disponibilità di nuovo Personale, l’interrogativo che l’Osapp pone è se oltre gli allenamenti alla maratona di New York alberghi nei pensieri del ministro Alfano la minima possibilità di concepire norme che prescrivano un solo anno del corso per gli allievi agenti di polizia penitenziaria, andando quindi a dimezzarne la durata". Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena
www.radiocarcere.com, 7 ottobre 2009
Trani, siamo in 8 detenuti in una cella. Caro Arena, nel carcere di Trani viviamo in una cella grande 5 metri per 4 e dentro ci stiamo in 8 detenuti! Non puoi immaginare le difficoltà che dobbiamo incontrare tutti i giorni anche solo per poterci muovere qui dentro. Ovvero in piccola cella non solo sovraffollata, ma anche con gravi carenze igieniche e dove siamo costretti a restare chiusi per 22 ore al giorno. Un tempo interminabile che si prolunga a 24 ore se per caso fuori piove. Infatti quando piove il cortile dell’ora d’aria diventa inagibile e noi dobbiamo restare in cella. Considera chi si tratta di un cortile molto piccolo, recintato tipo gabbia per animali, dove non c’è lo spazio per far camminare 46 detenuti. Pensa che il carcere di Trani potrebbe ospitare al massimo 200 detenuti ma oggi noi siamo più di 280! Inoltre qui di farmaci non ce ne sono, mentre l’unica cosa che abbonda sono i tranquillanti che ci trasformano in zombie. Di misure alternative qui non ce né nemmeno l’ombra e ci siamo convinti che la vera riforma dovrebbe essere proprio quella sulle misure alternative che non vengono applicate. Sappi che noi ti seguiamo sempre e speriamo che il Governo, anche sapendo come viviamo, faccia qualcosa per risolvere il problema del sovraffollamento e delle nostre condizioni di vita.
Antonio e Cosimo, dal carcere di Trani
Rebibbia, la morte di Ivan. Caro Riccardo, siamo dei detenuti nel reparto G 14 del carcere Rebibbia di Roma. Siamo tutti affetti da malattie infettive. Ci troviamo in carcere per scontare una pena, ma allo steso tempio abbiamo bisogno di cure mediche. Purtroppo qui le cose peggiorano sempre più. Le nostre condizioni fisiche sono sempre più gravi e c’è chi tra di noi ci lascia la pelle. Ivan, ad esempio, è l’ennesimo cadavere istituzionalizzato. Ivan fino a poco tempo fa era detenuto con noi, soffriva molto, aveva sempre la febbre altissima e il suo sistema immunitario non funzionava. Insomma Ivan meritava una detenzione domiciliare per poter almeno morire dignitosamente tra i suoi cari. Ed invece Ivan è stato semplicemente trasferito nel carcere di Regina Coeli, dove è morto dopo una lunga a atroce sofferenza. Ora Ivan giace da 8 giorni in una cella frigorifera in attesa che qualcuno lo sotterri. Noi siamo amareggiati per quanto è accaduto. Amareggiati per quanto è stato ingiusto il trattamento subito da Ivan e per come veniamo trattati anche noi, detenuti nel reparto di malattie infettive del carcere Rebibbia di Roma. Vorremo infatti che la magistratura di sorveglianza applicasse le leggi e consentisse a chi è incompatibile con il carcere di ottenere una detenzione domiciliare o in ospedale.
15 persone detenute nel carcere Rebibbia di Roma Toscana: Fp-Cgil; nelle carceri regionali 1.300 detenuti in più
Comunicato Fp-Cgil, 7 ottobre 2009
"La manifestazione e le forti azioni di protesta organizzate per ieri e oggi dalle rappresentanze sindacali locali del personale di Polizia Penitenziaria avanti l’istituto penitenziario di San Gimignano, altro non sono che il risultato dell’esasperazione e del fortissimo disagio lavorativo accumulato dai lavoratori in conseguenza della gravità della situazione e, soprattutto, dell’inerzia fin qui manifestata dal Governo, dal Ministro della Giustizia e dal Capo del Dipartimento sulle politiche penitenziarie e del personale e sull’inquietante assenza di reali misure di contrasto all’attuale grave sovraffollamento degli istituti penitenziari che rischia di paralizzare il sistema", è quanto afferma Francesco Quinti, responsabile nazionale della Fp Cgil. "In Toscana - prosegue -, a fronte di una capienza regolamentare di 3.035 posti, oggi nelle carceri sono presenti 4.303 detenuti, circa 1.300 più del consentito; al contrario, e diversamente da quanto previsto dall’organico stabilito, che fissa per la predetta regione un contingente di personale di 3021 poliziotti penitenziari, con gli attuali 438 distacchi fuori dalla regione sono solo 2.266 quelli in servizio negli istituti penitenziari. A San Gimignano, sui 233 previsti, sono solo 140 circa i poliziotti che lavorano in istituto tra sovraffollamento, aggressioni e precarie condizioni di lavoro, ben 93 in meno". "Sono mesi ormai - continua l’esponente sindacale - che la Fp Cgil lancia invano continue grida di allarme sulla gravità e insostenibilità della situazione, e sull’esigenza di dotare oggi, e non domani, il sistema penitenziario del Paese delle soluzioni e delle risorse ritenute essenziali a fronteggiare e superare l’attuale grave emergenza in atto. Se quest’ultime non interverranno presto, e se non saranno quanto prima assunte le 6.000 unità di Polizia Penitenziaria mancanti dall’attuale organico, con i circa 800/1.000 ingressi al mese stimati altro che "Piano Carceri", entro la fine dell’anno nelle patrie galere verranno ospitati - e non sappiamo dove - almeno 70.000 detenuti!" "La protesta dei poliziotti penitenziari monta e si allarga - conclude Quinti -, i lavoratori sono stanchi di essere vessati da un Governo sordo e da una amministrazione lontana anni luce dai loro bisogni. L’esecutivo e il Ministro della Giustizia hanno il dovere istituzionale di adoperarsi per evitare che l’emergenza carcere in atto rischi di produrre l’ingovernabilità del sistema". Emilia Romagna: in 3 anni 1.150 posti in più, sfollamenti a Rimini
www.romagnaoggi.it, 7 ottobre 2009
Entro il 2012 nelle carceri dell’Emilia-Romagna ci saranno 1.150 posti in più e, oltre a questo, il penitenziario di Forlì, che sarà costruito nuovo, conterà 90 posti in più dell’attuale. Lo ha assicurato il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, rispondendo, il 10 agosto scorso, all’interrogazione del senatore Sergio Zavoli (Pd) sul tema del sovraffollamento (in particolare in riferimento alla situazione di Rimini). La risposta scritta del Ministro è stata depositata alcuni giorni fa. Il Guardasigilli prima di tutto parla di Forlì. "È prevista la costruzione, a cura del Ministero delle Infrastrutture, del nuovo istituto di Forlì (in sostituzione dell’attuale penitenziario) che comporterà un incremento della capienza detentiva di 90 posti e i cui lavori dovrebbero essere ultimati nel dicembre del 2012", dice Alfano. Ma nel giro di tre anni saranno pronti anche nuovi padiglioni nelle altre carceri. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, scrive infatti Alfano, provvederà alla "realizzazione di sei nuovi padiglioni detentivi all’interno di istituti esistenti (Modena, Piacenza, Reggio Emilia, Ferrara, Parma e Bologna) che comporteranno un incremento di 1.150 posti detentivi e la cui realizzazione dovrebbe avvenire tra il 2011 e il 2012". Inoltre, prosegue Alfano, "d’intesa con i Provveditori regionali vengono adottate soluzioni distributive della popolazione carceraria, così da assicurare una presenza di detenuti che sia conforme alle reali possibilità recettive". Ai rilievi sollevati da Zavoli sul penitenziario di Rimini, colpito dal sovraffollamento e con un elevatissimo numero di accessi, Alfano risponde che in quell’istituto carcerario il Dap ha provveduto a "frequenti operazioni di sfollamento". Il ministro ne ricorda alcune: il 10 luglio 2008 (trasferiti 26 detenuti); 23 ottobre 2008 (sfollamento di 17 detenuti); 10 febbraio 2009 (sfollamento 15 detenuti); marzo 2009 (23 detenuti sfollati e trasferimento di altri tre). Infine, Alfano fotografa il carcere di Rimini al 16 giugno 2009: ci sono 186 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 123 posti (quella di tolleranza è 156). Quanto alle guardie, al netto dei distacchi in entrata e in uscita, sono presenti 114 unità di Polizia penitenziaria, di cui 109 uomini e cinque donne. E, annuncia il ministro, con il prossimo interpello Rimini otterrà un posto in più. "Sebbene l’istituto di Rimini non rientri tra le realtà maggiormente sofferenti - dice infatti Alfano - si fa presente che, in relazione al prossimo interpello nazionale per la mobilità a domanda del personale di Polizia penitenziaria, è stato previsto un posto per il suddetto istituto". Quanto ai problemi di sovraffollamento, il Ministro ritiene sia un fenomeno diffuso in tutta la Regione Emilia-Romagna, dove "si registra un esubero di 779 detenuti, a fronte di una capienza tollerabile complessiva di 3.796 unità". Rimini, conclude il Ministro, soffre l’aumento "quasi fisiologico" di detenuti che si ha nella stagione estiva. Campania: un Protocollo per il diritto allo studio dei detenuti di Germano Milite
www.julienews.it, 7 ottobre 2009
Alla Sala Giunta di Palazzo S. Lucia, l’assessore Regionale all’istruzione, alla formazione e al lavoro Corrado Gabriele, ha firmato un protocollo d’intesa sul diritto all’istruzione, alla formazione e all’inserimento nel mondo del lavoro delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Presenti all’evento anche il direttore scolastico Regionale Alberto Bottino, il provveditore Regionale dell’amministrazione penitenziaria Tommaso Contestabile e il garante regionale dei diritti dei detenuti Adriana Tocco. Proprio la dott.ssa Tocco, evidenzia la continua richiesta da parte dei carcerati dei 17 centri di detenzione presenti in Campania di un modo per impiegare il tempo "libero" durante le altrimenti interminabili giornate passate nei penitenziari. A tal proposito, l’introduzione di corsi didattici sarebbe un’ottima risposta alle esigenze dei detenuti e un mezzo valido per garantire il loro futuro reintegro all’interno della società. Dello stesso parere è anche l’assessore Gabriele il quale, in una parte del suo intervento, si sofferma sugli immigrati e ricorda che: "Moltissimi detenuti sono extracomunitari con un livello d’istruzione molto basso. Aiutarli ad apprendere meglio la nostra lingua e permettere loro di avvalersi del diritto allo studio, potrebbe, dopo la loro scarcerazione, favorire un sano e relativamente rapido processo d’integrazione sul nostro territorio". Il Dott. Bottino ricorda poi che, i penitenziari campani, non sono nuovi a questo genere di iniziative e che, già nel carcere di Secondigliano, esistono valide modalità d’apprendimento che hanno portato diversi galeotti a continuare gli studi dopo aver scontato la pena. Spazio, come intuibile, anche al problema del sovraffollamento delle Carceri (tema affrontato sia dal Dott. Bottino che dal provveditore Contestabile). In Campania, infatti, ci sono 7.500 detenuti; a fronte di una capienza massima delle strutture penitenziarie che si aggira intorno ai 5.000 posti. "Mancano le risorse", precisa Contestabile visto che "per ora il governo si è mosso poco e male per risolvere tale drammatica situazione". Tornando a parlare di istruzione nelle carceri, Gabriele ricorda poi quanto sia fondamentale un tipo di approccio didattico all’interno degli istituti di detenzione e parla anche di cifre:"Il 10% dei galeotti non hanno mai varcato la soglia di una scuola e, oltre la metà, non ha terminato il ciclo di studi primario"; conclude difatti l’assessore. Tali percentuali dimostrano, ancor di più, quanto un intervento di alfabetizzazione sia non solo doveroso dal punto di vista dei diritti civili ma necessario per l’intero sistema penitenziario. Padova: 800 detenuti in Casa di Recl., ma c’è lavoro e cultura di Aldo Comello
Il Mattino di Padova, 7 ottobre 2009
Un picchetto di agenti penitenziari, divisa blu e guanti bianchi, presenta le armi al sottosegretario alla Giustizia, Elisabetta Casellati, accompagnata dal prefetto Ennio Mario Sodano, ieri, in visita al carcere penale di via Due Palazzi. L’incontro è legato alla drammatica situazione che si sta creando nel mondo ristretto di chi sta scontando una pena: un sovraffollamento che pone la vita del detenuto sul filo del rasoio della dignità umana e le cose promettono di peggiorare drasticamente con l’introduzione del reato penale di clandestinità. Giorni fa è arrivato al Due Palazzi un convoglio di camion carichi di nuovi letti da sistemare nelle celle. La capienza prevista per questo carcere è di 430 ospiti, già oggi sono 800, domani chissà. In ogni caso celle realizzate per una persona ora ne alloggiano due, a volte tre e la convivenza gomito a gomito si fa sempre più difficile e, in una prigione, non si possono mettere i letti in corridoio come accade in qualche ospedale in tempi di epidemia. Il penale tiene, ne convengono il direttore Salvatore Pierruccio e il provveditore Felice Bocchino. Tiene perché degli 800 ospiti 350 lavorano, perché sono state accese attività produttive e di studio che in qualche modo danno senso alla vita e costituiscono una forte spinta verso la rieducazione, il recupero alla società di chi ha sbagliato. Il 40 per cento delle persone in custodia al penale sono stranieri, mentre al circondariale si arriva al 90 per cento con la complicanza di un turn-over forsennato e di una densità demografica intollerabile, elementi che rendono difficile qualsiasi attività, se non di recupero, almeno di socializzazione. Per dare un’idea del fenomeno si consideri che a livello nazionale nel 2007 sono state 90.000 le persone in entrata e in uscita dal carcere su una popolazione carceraria complessiva di 60 mila. Il viceministro Casellati ha detto che non ci saranno né indulti, né amnistie. Esiste un piano di costruzione di nuovi ambienti carcerari che prevede un ampliamento di 18 mila posti fra 3 anni, in un anno ne saranno creati almeno 5.000. "Il tempo", ha detto il sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Casellati, "è contro di noi. La macchina che si è messa in moto è complessa, si tratta di individuare i siti dove costruire, se esistano problemi di esproprio o di contiguità. Si tratta anche, in tempi di crisi, di finanziare l’iniziativa con la vendita di vecchi istituti carcerari, magari storici. Ci sono però anche alcune iniziative di alleggerimento, per esempio la razionalizzazione degli attuali spazi carcerari: attrezzare a celle edifici vuoti attualmente male utilizzati". Al Penale di Padova, a giudicare dal parere espresso da molti autorevoli addetti ai lavori, questa strada è sostanzialmente impraticabile: biblioteca, redazione di "Ristretti Orizzonti", Polo Universitario, laboratori dove si fabbricano biciclette, gioielli, si producono dolci e confezioni sono la ricchezza dell’istituto carcerario, ciò che garantisce un minimo di qualità della vita ai detenuti. Trasformare il complesso in un’arnia di posti letto vorrebbe dire buttare al macero l’attività di anni, il lavoro paziente dei volontari, l’impegno dei detenuti. Ma il sottosegretario apre anche altri orizzonti: per i reati minori luoghi di "detenzione leggera". Padova è ricca di caserme, alcune in parte svuotate perché la leva non è più obbligatoria. Posto quindi ce ne sarebbe, occorre vedere se è possibile un accordo tra Demanio militare e ministero di Grazia e Giustizia. L’idea non è da buttare, ma anche qui non basta il tocco di una bacchetta magica e riemerge la storia del tempo nemico, dato che i processi ai clandestini sono alle porte. La Casellati propone anche un’altra soluzione: data la prevalenza di stranieri nel mondo carcerario (solo a Padova si contano un centinaio di etnie) far scontare la pena nelle prigioni del territorio di provenienza. Ciò, oltre a sfoltire le carceri, sarebbe anche un deterrente non trascurabile per chi delinque. Ma per arrivare a questo risultato occorrono convenzioni internazionali, insomma è un immane lavoro di contatti diplomatici. Forse mettendo insieme qualche soluzione parziale un po’ di respiro si può trovare, ma il problema resta grave. Possibile, anzi urgente, anche il rafforzamento dell’organico della polizia penitenziaria. Che cosa osta? Bisogna sapersi muovere nel labirinto della burocrazia. La sottosegretaria Casellati accetta anche un breve dibattito con i detenuti. Le riconoscono non solo buona volontà, ma anche uno sforzo personale per dare incisività alle iniziative. Fanno anche notare l’enorme fardello di arretrati che pesa sulla magistratura: 5 milioni e mezzo si cause civili, 3 milioni di cause penali. Senza contare che il 40 per cento di coloro che finiscono in galera da presunti colpevoli diventano infine perfetti innocenti. Insomma anche gli innocenti, in attesa di giudizio definitivo, contribuiscono all’affollamento carcerario. E questo, al di là di un discorso di solidarietà umana che dovrebbe coinvolgere chi fa parte di una società civile, fa pensare che per un assieme di circostanze sfortunate o per fatalità potrebbe capitare anche a voi o a noi. Ed è nell’interesse di ogni cittadino che il carcere lasci integra la dignità umana e non provochi ferite inguaribili a chi finisce dietro le sbarre in attesa di processo. Padova: in Casa Circ. non c’è più posto per i materassi a terra!
Il Gazzettino, 7 ottobre 2009
"La situazione nella casa circondariale è ormai ingestibile poiché non vi è più posto neppure per mettere materassi a terra. I detenuti sono ormai due per cella oltre ai letti a castello a tre piani". La lettera è della direttrice della Casa Circondariale di strada Due Palazzi, dottoressa Antonella Reale. È stata inviata nelle scorse settimane alla Procura di Padova, al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di Roma, al Provveditorato regionale di Padova, al Presidente del Tribunale di sorveglianza di Venezia e al magistrato di sorveglianza di Padova. Nella casa circondariale non ci sta più nessuno. I detenuti hanno raggiunto la "cifra record di 255 a fronte di una capienza regolamentare di solo 98 posti e tollerabile di 136". La direttrice chiede soprattutto che i detenuti per i quali sia stato disposto il rito direttissimo "restino custoditi dalle forze dell’ordine che hanno effettuato l’arresto nelle rispettive camere di sicurezza". La situazione è grave. La direttrice afferma che "in una struttura di sole 35 stanze (di cui molte previste per una sola persona e di appena 8 o 9 metri quadri) i detenuti sono stipati all’inverosimile. Nelle stanze da 24 metri quadrati sono ubicate stabilmente 10 - 11 persone, mentre in quelle da 18 metri quadri addirittura 6". Oltre il trenta per cento degli arrestati rimane nella casa circondariale per meno di tre giorni contribuendo così a ingolfare ulteriormente la struttura: "All’ufficio della Procura si segnala nuovamente che non si è in grado di garantire isolamenti giudiziari, separazioni tra coimputati o simili". Mentre all’ufficio Dipartimentale la direttrice chiede un "significativo intervento deflattivo, pur consapevoli della grave situazione su tutto il territorio nazionale e della sospensione degli sfollamenti fuori distretto nonché la sospensione immediata di assegnazione di detenuti per motivi di giustizia o per competenza territoriale". Padova: detenuti della Casa Circondariale annunciano proteste
Il Mattino di Padova, 7 ottobre 2009
È protesta in carcere. Ben 260 i reclusi nonostante la capienza sia di appena 100 unità e disponibilità di acqua calda solo per 3 ore al giorno: la drammatica situazione della casa circondariale (il carcere per chi è in attesa di giudizio) è denunciata con una lettera aperta al mattino dai detenuti. Secondo i parametri europei gli spazi dovrebbero essere di 5 metri quadrati per recluso "mentre nostro malgrado ci troviamo in celle da 25 metri quadrati" per 8, 9 persone con "otto brande, due anche tre materassi per terra e con sole tre ore di acqua corrente calda nell’arco delle ventiquattro ore, dalle 7 alle 8 e dalle 18 alle 20. Si è deciso di dichiarare in comune accordo una manifestazione pacifica al fine di ottenere il riconoscimento dei nostri diritti minimi - si legge nella lettera inviata al giornale - Una volta raggiunta la maggioranza, tutti i detenuti si renderanno partecipi a non risalire più nella cella una volta terminata l’ora d’aria". La protesta si concretizzerà anche "nel rifiuto di avere colloqui con avvocati difensori, nonché contatti con l’infermeria, l’ufficio matricole e i collaboratori del carcere come educatori, assistenti volontari e il sacerdote. E tutto ciò con l’obiettivo di portare all’attenzione di tutti e del magistrato di sorveglianza questa situazione e di far valere i nostri diritti di persone, di essere umani, non di animali messi al bando e lasciati allo sfacelo". Milano: a San Vittore due reparti con 400 posti, chiusi da 4 anni
Ansa, 7 ottobre 2009
"San Vittore ha avuto pochi problemi forse solo quando è stato fondato, oltre cent’anni fa". Così il provveditore alle carceri lombarde Luigi Pagano a margine della presentazione del Festival Sing Sing, che si terrà all’interno di San Vittore il 19 ottobre, ha ricordato il sovraffollamento della struttura. "Abbiamo 1.600 detenuti - ha detto - ma è come se fossero 2.400 perché due reparti che potevano ospitare ciascuno 400 persone sono chiusi da quasi quattro anni, il numero massimo tollerabile sarebbe di 1.200 presenze". Pordenone: il Governo destina 20 milioni per il nuovo carcere di Enri Lisetto
Messaggero Veneto, 7 ottobre 2009
"La realizzazione del carcere di Pordenone è la prima delle priorità individuate dal ministero delle Infrastrutture. Ho visto l’elenco degli istituti da realizzare e quello di Pordenone è al primo posto". Parola del senatore Vanni Lenna, che ieri ha affrontato la questione a Roma. Il già assessore regionale ha parlato col generale Enrico Ragosa, direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che "ha garantito sul nuovo carcere pordenonese". Il ministero "ha messo a disposizione 20 milioni di euro, su una spesa totale prevista di 30 milioni". L’assegnazione dei fondi, però, è soggetta alla firma del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che, sottoscrivendo il documento, darebbe il via libera ad altri 15 interventi di edilizia penitenziaria, per un totale di 1,15 miliardi di euro. I restanti 10 milioni di euro per la costruzione del nuovo istituto sarebbero a carico di Regione, Provincia e Comune capoluogo che hanno già dato una disponibilità di massima al finanziamento. Il nuovo carcere di Pordenone, che sarebbe realizzato in Comina, accoglierebbe 100 detenuti rispetto ai 53 attuali, con un incremento di 47 unità. Gli altri istituti in elenco di priorità sono: Roma Rebibbia (nuovo padiglione), Roma e provincia, Milano e provincia, Nola, Pinerolo, Paliano, Catania, Bolzano, Varese, Genova, Latina, Sciacca, Brescia, Sala Consiolina e Marsala. La struttura penitenziaria di Pordenone torna in testa alla classifica delle priorità, ma resta l’incognita della firma del decreto di finanziamento da parte della presidenza del Consiglio dei ministri. I lavori, successivamente, dovrebbero avvenire in tempi brevi dal momento che il capo del Dipartimento ha poteri di commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria e quindi gli interventi di questo genere rientrano nel "quadro strategico nazionale".
Il Sindaco Bolzonello chiede la firma: finché non vedo non credo
Le reazioni "Continuo ad essere né ottimista né pessimista. Finché non vedrò la firma non ci crederò". Il sindaco di Pordenone, Sergio Bolzonello, non vede novità all’orizzonte affinché la vertenza si sblocchi e resta fermo nella sua posizione: "Nel caso non dovesse essere finanziato a breve, firmerò l’ordinanza di chiusura". Così come aveva riferito una settimana fa al consiglio comunale, rispondendo a un’interrogazione del Pd. L’ultima ispezione compiuta ad agosto dall’Azienda sanitaria aveva dato un verdetto inequivocabile: non c’è alternativa alla chiusura del carcere. "L’ispezione compiuta dall’Azienda sanitaria il mese scorso - aveva detto Bolzonello - ha stabilito che non solo ci sono tutte le condizioni per chiudere la struttura, ma l’unico modo per risolvere il problema è proprio la chiusura". Nessun rattoppo o lavoro di manutenzione straordinaria, quindi, nel giudizio dei tecnici sanitari, sarà in grado di garantire la vivibilità per detenuti e polizia penitenziaria. La concertazione con Provincia e Regione hanno convinto il sindaco ad esitare e quindi ad attendere prima di assumere un provvedimento senza precedenti, atteggiamento confermato ieri: "Nel caso non dovesse essere finanziato a breve, firmerò l’ordinanza di chiusura". Firenze: un detenuto è tornato in patria, ma quante difficoltà! di Franco Corleone (Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze)
Comunicato stampa, 7 ottobre 2009
A Sollicciano un detenuto marocchino per essere rimpatriato, usufruendo della misura alternativa, si è dovuto cucire la bocca nel mese di agosto. Alcune settimane fa, richiamai l’attenzione sul caso di alcuni detenuti che dal carcere di San Gimignano avevano ottenuto in luglio la decisione positiva del rimpatrio da parte della Magistratura di Sorveglianza, ma rimanevano in carcere per ragioni burocratiche. Uno di questi casi, un detenuto tunisino, finalmente ha visto riconosciuto il suo diritto. Quanti sono i detenuti stranieri nelle condizioni di usufruire di questo beneficio? Perché non esiste un monitoraggio per realizzare celermente queste pratiche? Sono interrogativi che hanno a che fare con il fine pena e con le iniziative concrete per risolvere il problema del sovraffollamento. Oggi a Sollicciano siamo a quota 978 più 5 bambini. Enna: aprirà l’unica Casa per detenute con figli nel Sud Italia
Agi, 7 ottobre 2009
Due immobili confiscati alla famiglia Nicosia di Villarosa (Enna) diverranno istituto di custodia attenuata per detenute con figli. Sarà l’unica struttura di questo tipo nell’Italia centro-meridionale (la sola analoga è in provincia di Milano) e costituisce una variante dell’Istituto di custodia attenuata per detenute madri, indirizzandosi anche ad altre detenute a basso indice di vigilanza. Il progetto si chiama "carcere senza sbarre per donne e bambini ed è stata esaminata oggi durante una riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica svoltosi alla prefettura di Enna. Sogetto attuatore del progetto è la Fondazione "Istituto di promozione umana mons. Francesco Di Vincenzo" che ha già realizzato a Caltagirone un centro di recupero di detenuti. L’amministrazione penitenziaria si impegna a garantire per la struttura un numero sufficiente di detenute, che possano permettere la costante attività delle lavorazioni, gestite dalla Fondazione in sinergia con un gruppo privato attivo nella produzione e commercializzazione dei capi di abbigliamento, facente capo all’imprenditrice Marina Salomon, che provvederà alla formazione delle detenute e a fornire i macchinari e curerà il ritiro e la commercializzazione del prodotto. L’iniziativa è stata oggetto di un accordo sottoscritto il 4 ottobre 2009 tra il ministro della giustizia Angelino Alfano, il prefetto di Enna Giuliana Perrotta, il sindaco di Villarosa Agostino Gabriele Zaffora. La prefettura di Enna, in fase di realizzazione del progetto, svolgerà un’attività di verifica e di coordinamento in sede di Conferenza permanente. San Gimignano (Si): il Sindaco; senza risorse il carcere collassa
Asca, 7 ottobre 2009
Il sindaco di San Gimignano, Giacomo Bassi, in una lettera inviata alle istituzioni penitenziarie, ha rivolto un "pressante appello" perché vengano destinate maggiori risorse al carcere situato nel suo comune, in località Ranza, dove prosegue la protesta degli agenti. Dure le considerazioni di Bassi sulla situazione complessiva del penitenziario. "Le sacrosante rivendicazioni degli agenti di polizia penitenziaria non hanno trovato ancora nessuna risposta positiva dagli organismi preposti, Provveditorato regionale e Ministero della Giustizia - sottolinea in una dichiarazione - e tutto questo rende la struttura di Ranza non più sicura, sia per coloro che ci lavorano, sia per il territorio sangimignanese. Per questo il Consiglio comunale, nel Luglio scorso, ha approvato all’unanimità un documento nel quale si esprime sostegno ai sindacati e ai lavoratori. È del tutto evidente - conclude Bassi - che in una struttura così delicata, nel momento in cui aumentano i detenuti e diminuiscono gli agenti, si va dritti verso il collasso".
Gli agenti bocciano le proposte dell’amministrazione
Proseguirà fino a sabato prossimo la protesta dei poliziotti del penitenziario di San Gimignano, per mettere in evidenza la difficile situazione in cui operano, a partire dall’insufficienza degli organici. Sindacalisti ed agenti si sono incontrati davanti ai cancelli del carcere con un inviato dell’amministrazione regionale penitenziaria ma, a loro giudizio, il risultato non è soddisfacente. "Le promesse di inviare a San Gimignano un esiguo numero di poliziotti penitenziari non soddisfa le aspettative che le organizzazioni sindacali si attendono dall’amministrazione penitenziaria e che dovrebbero, almeno parzialmente, tamponare la situazione che si è creata nel penitenziario". I sindacati comunque hanno ottenuto un incontro per il 15 ottobre con Franco Ionta, capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Trani: l’Osapp protesta per sovraffollamento e organici carenti
Ansa, 7 ottobre 2009
Siamo a quota 65.000 detenuti in circa 220 strutture penitenziarie in Italia. In Puglia la quota storica si è abbondantemente superata la quota dei 4.300 utenti in poche strutture ricettive, senza contare quelle in eterna ristrutturazione, anch’esse sovraffollate, come Trani e Brindisi. La Polizia Penitenziaria, carente nell’organico, vede i suoi agenti come pedine spostate da un carcere all’altro per fare fronte alle emergenze ed alle aperture di nuove o ristrutturate sezioni. Non vogliamo militarizzare le carceri con militari sui muri di cinta o vigilanza esterna ai perimetri penitenziari, ma invochiamo diversamente il recupero di tutti gli agenti di Polizia penitenziaria, uomini e donne, ai compiti istituzionali nelle carceri: oltre 7.000 persone oggi inserite indebitamente in compiti non istituzionali. Domani, 8 ottobre, l’Osapp incontrerà nel carcere femminile di piazza Plebiscito, alle 16, la Polizia penitenziaria femminile, mentre venerdì, sempre alle 16, i 150 poliziotti iscritti all’Osapp nel carcere maschile di via Andria. Siamo pronti a presidiare i penitenziari e le prefetture, se sarà necessario. Chiediamo: riordino delle carriere; specificità e rinnovo del contratto nazionale scaduto due anni fa. Brindisi: capogruppo Prc in Consiglio regionale visita il carcere
Comunicato stampa, 7 ottobre 2009
Il capogruppo del Prc in Consiglio regionale, Piero Manni, a seguito dell’allarme sociale suscitato dalle denunce pubbliche relative alle condizioni di vita del carcere, sta effettuando - nell’ambito del proprio mandato istituzionale - una ricognizione della situazione pugliese, in pieno spirito di collaborazione con le Direzioni degli Istituti penitenziari, alle quali è stato somministrato un questionario da compilare al fine di far emergere il quadro d’insieme di tutti i penitenziari pugliesi e consentire una migliore collaborazione tra Istituti e Regione. La delegazione del Prc composta dal Capogruppo in Consiglio regionale, Piero Manni e dal Segretario della Federazione di Brindisi, Luigi Gianfreda, visiterà il carcere di Brindisi Venerdì 9 ottobre 2009, alle ore 13.00. Alle ore 17.00 dello stesso giorno 9 ottobre 2009, presso la Federazione del PRC sita in Brindisi alla Via de Ripa 6, si terrà una conferenza stampa in cui sarà possibile rendere note le risultanze di detta visita ricognitiva.
Segreteria provinciale Prc - Sinistra Europea Droghe: la patente "sospesa"… non funziona come deterrente
Redattore Sociale - Dire, 7 ottobre 2009
Secondo uno studio sugli effetti dell’articolo 75 del Dpr 309/90, la maggior parte dei consumatori non sono al corrente delle sanzioni. Prina (università di Torino): "Conoscenza nulla o approssimativa". Le sanzioni previste nell’articolo 75 del Dpr 309/90 per la detenzione di sostanze stupefacenti non sono un valido deterrente per i consumatori. È’ quanto afferma uno studio sugli effetti dell’articolo 75, presentato questa mattina presso la Sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri a Roma, all’incontro di Consultazione permanente inaugurato dal Dipartimento politiche antidroga in occasione della Conferenza Nazionale sulle droghe di Trieste. Secondo quanto afferma uno studio condotto dalle università di Torino, Piemonte Orientale, Milano Bicocca, Catania, Parma e Roma Tor Vergata, nel 2007 le persone segnalate per possesso di droga erano 32 mila, di queste il 76% segnalate per la prima volta e il 73% per uso di cannabis. Lo studio è stato realizzato su 18 nuclei operativi per le tossicodipendenze (N.o.t) sparsi in tutta Italia, su 311 consumatori segnalati in 9 province italiane e 232 consumatori non segnalati, i cui dati sono stati raccolti attraverso schede on line. "Abbiamo fatto una ricognizione su un sistema complesso - ha spiegato Franco Prina, docente di sociologia della devianza dell’Università di Torino - e che funziona in molte parti d’Italia in modo differenziato, sistema in cui le prefetture assolvono questo compito dato loro dalla legge con grande differenza tra la situazione prima del 2006 e quella del post". Dai dati della ricerca emerge, prima di tutto, una scarsa conoscenza dell’articolo 75, che prevede per il possesso di stupefacenti la sospensione della patente di guida, quella del porto d’armi con il divieto di conseguirla, sospensione del passaporto e di ogni altro documento con stesso peso, e permesso di soggiorno per motivi di turismo con conseguente divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario. Il grado di conoscenza della norma da parte dei consumatori segnalati risulta variabile, in relazione all’età e alla condizione del soggetto. "Sia gli operatori - ha spiegato Prina -, sia gli stessi consumatori segnalati intervistati dimostrano che la conoscenza dell’articolo è o quasi nulla o comunque è approssimativa, fatto di passaparola per quanto riguarda i più giovani. I più adulti, invece, spesso si avvalgono della competenza di un avvocato e sono aumentati i ricorsi". Nonostante quasi la totalità degli intervistasti fosse consapevole del consumo illegale, il 54,1% consumatori segnalati non era a conoscenza del procedimento dell’art. 75, mentre non lo è il 58,2% dei consumatori non segnalati. La maggior parte dei consumatori, però, ha dichiarato di aver continuato a consumare sostanze illegali dopo la sanzione. È questo uno dei motivi per cui, secondo lo studio, l’effetto deterrente della norma è stato messo in discussione. "Gli operatori sembrano essere concordi - spiega Prina -. sul fatto che la norma non incida molto sui comportamenti dei giovani in generale: non esiste una conoscenza del rischio di sanzioni tale da scoraggiare le esperienze di consumo e, anche se ne sono a conoscenza, ciò non li scoraggia né li spaventa". Per molti dei consumatori, infatti, la sanzione spesso coincide non proprio con una riflessione sugli stili di vita, ma sulle modalità con cui procurarsi gli stupefacenti. "Incontrare la sanzione significa cambiare strategia per continuare a consumare - ha detto Prina -, esporsi di meno, approvvigionarsi in maniera più furba, senza dimenticare che per qualche persona, più maturi o spaventati dalla sanzione, in qualche caso la sanzione ha portato a non far uso di sostanze, ma non abbiamo tanti elementi per dire che questo sistema funzioni davvero". Usa: niente più arresto automatico, per gli immigrati irregolari
Ansa, 7 ottobre 2009
L’amministrazione Obama cambia politica contro gli immigrati irregolari che non saranno più automaticamente arrestati una volta scoperti a meno che non sia accertato che rappresentino un rischio per gli Stati Uniti. Queste le nuove linee guida definite dal ministro dell’Interno, Janet Napolitano resasi conto che la strategia finora seguita era costosissima e inutile. Al posto delle carceri saranno trasformate alberghi e case di cura in strutture di detenzione per gli immigrati clandestini in attesa di rimpatrio, oltre a progettare la costruzione di due centri di accoglienza nuovi di zecca. L’obiettivo è da un lato quello di risparmiare, visto che la detenzione penale ha costi elevati, stimati in 100 dollari al giorno a persona. Dall’altro c’è la volontà di trattare in maniera umana la maggioranza di immigrati irregolari che non sono criminali, ma cercano soltanto un mondo migliore in cui vivere. Secondo le cifre fornite dall’Agenzia per le dogane e gli immigrati contava 31.075 immigranti in regime di detenzione in oltre 300 strutture. Il ministero dell’Interno ha verificato che "la forma più costosa di sistema alternativo alla detenzione costa solo 14 dollari al giorno (per irregolari) contro i 100 degli immigrati detenuti".
|