Rassegna stampa 10 ottobre

 

Giustizia: oggi è la Giornata mondiale contro la pena di morte

di Daniele Damele

 

Periodico Italiano, 10 ottobre 2009

 

Oggi, sabato 10 ottobre, è la Giornata mondiale contro la pena di morte. Non viene dato molto risalto a questo appuntamento e ciò è un vero peccato. Eppure dovremo essere ben orgogliosi di non lasciar passare sotto silenzio una vittoria storica dell’Italia.

La sospensione della pena di morte votata lo scorso anno all’Onu da 104 Paesi fu, infatti, un successo dell’Italia e del mondo intero. Si pensi che nel 2007 gli Stati avevano decretato ben 5.628 morti mentre in realtà nessuno Stato può arrogarsi il diritto di decidere sulla vita delle persone. Nella sola Cina le decapitazioni sono state oltre 5 mila nel 2007. Dopo la Cina seguono Iran, Pakistan, Iraq, Sudan e Usa.

Quella della moratoria fu una battaglia vinta dal ministero degli esteri italiano e da tutto il nostro Parlamento (l’accordo fu pressoché unanime). È da 15 anni che in molti lottano all’Onu per farla finita. Ora si deve passare all’abolizione della pena di morte ovunque. Bisogna far finire una barbarie assurda e inaccettabile. A tutti noi deve essere concesso il diritto di scrivere nei nostri cuori: W i diritti civili umani.

Come spesso accade, però, il risultato del 2008 è stato ben presto accantonato senza dare lode a chi raggiunse tale traguardo: Emma Bonino ad esempio, ma anche Bobo Craxi, all’epoca sottosegretario agli Esteri con delega ai rapporti con l’Onu. Soprattutto non si è andati avanti quasi esistesse un muro di gomma troppo forte, una lobby decisa a non permettere, seppure in silenzio, passi avanti contro lo sterminio di persone ad opera di uno Stato.

Nel 2007 ebbi modo di seguire la 400esima esecuzione in Texas, dal 1976, quella avvenuta contro Johnny Ray Conner nei confronti del quale fu fatta un’iniezione letale per l’assassinio di una commessa di negozio durante una rapina fallita quasi dieci anni prima. Il Texas si conferma ancor oggi lo Stato "capitale" della pena di morte negli Stati Uniti. Altri tre detenuti dovrebbero essere messi a morte entro la fine dell’anno. Eppure ieri a Obama è stato assegnato il Premio Nobel per la pace. Ma di quale pace di tratta, di quale speranza stiamo parlando se a casa sua il presidente degli States ammette ancora la pena di morte?

Altre esecuzioni sono in corso in Cina, in Giappone e in altri Paesi come l’Iran e l’Iraq. Francamente io non avrei mandato a morte nemmeno Saddam Hussein e men che meno avrei tollerato che la rete permettesse di far circolare le immagini complete di quello e di altri assassini. Non si tratta di assurdità, qui stiamo parlando di crimini veri e propri intollerabili. Si alzi oggi un unico grido: fermiamo la pena di morte decisa dagli Stati. Si levi la voce di tutti coloro i quali sono contrari a questi assassini. Si dia l’opportunità a chi afferma un tanto di poterlo dire in tutte le sedi.

Giustizia: coabitazione all’italiana, intralcio alle riforme future

di Stefano Folli

 

Il Sole 24 Ore, 10 ottobre 2009

 

Silvio Berlusconi si sta sforzando di individuare una via d’uscita dalla stanza buia in cui lo hanno chiuso i giudici della Consulta. Non si può dire che l’abbia già trovata. Del resto, è tutt’altro che facile. Il primo giorno sappiamo qual è stata la sua reazione: un’offensiva aspra e senza precedenti contro l’incolpevole Quirinale. Uno sfogo privo di un chiaro significato politico, perché risulta evidente che innescare un conflitto istituzionale è, per il presidente del Consiglio, un atto di autolesionismo.

Ieri invece Berlusconi ha voluto definire meglio la sua posizione e ha abbassato il tono della polemica. È probabile che in questo atteggiamento abbia giocato la nota congiunta di Schifani e Fini del pomeriggio di giovedì, in cui era evidente il tentativo di salvare il salvabile. Il testo, rispettoso verso il ruolo di garante del Capo dello Stato, lo era altrettanto verso l’eletto del popolo. Entro certi limiti, quel passo ha ricostruito gli argini dopo l’alluvione.

Ragion per cui il premier ha cominciato a usare un registro diverso. Da una parte tiene il punto, affermando che "in Italia nessuno è super partes" (vale a dire: Napolitano e i giudici della Corte sono e restano "di sinistra"). Dall’altra, prova a guardare avanti, convinto di aver rivitalizzato il popolo dei suoi sostenitori. Ai quali ha dimostrato che "Silvio c’è" e nessuno lo ha azzoppato.

Tuttavia lo scenario che Berlusconi disegna non esclude nuove frizioni a breve. Anzi, le evoca. Accade quando il presidente del Consiglio paragona l’Italia alla Francia e nota che "la coabitazione politica non è facile in alcun paese, anche a Parigi ci sono state delle difficoltà".

A nessuno finora era venuto in mente di mettere sullo stesso piano il modello politico della Quinta Repubblica e il nostro sistema, che in realtà è del tutto diverso.

In Francia i problemi di "coabitazione" (ed esempio tra un presidente di destra e una maggioranza parlamentare di sinistra, o viceversa) sono un effetto dell’impianto costituzionale semi-presidenziale. In Italia non c’è ancora niente del genere, a meno di non voler sostenere - ed è il punto di vista di Berlusconi - che esiste ormai una Costituzione di fatto, di tipo presidenziale, che si è sovrapposta al vecchio ordinamento. Di qui i supposti problemi di "coabitazione".

Una tale Convinzione non ha valore sul piano giuridico, ma può avere parecchie conseguente sul piano politico. Tanto più se il premier adombra il rischio che qualcuno vaglia mettersi sulla strada delle riforme, a cui d’ora in poi egli intende dedicare le sue energie (a cominciare dalla riforma della giustizia). In questo contesto il messaggio è chiaro. Berlusconi lascia intendere che gli oppositori delle riforme si annidano nello Stato e nelle istituzioni, per cui fa futura "leale collaborazione" con il Quirinale è subordinata al fatto che il presidente della Repubblica rinunci, diciamo così, a intralciargli la strada.

Quindi è vero che Berlusconi ha fatto un passo indietro nella sua polemica con il Colle, ma si appresta a farne due avanti. Cioè a dichiarare prima o poi che le difficoltà delle riforme dipendono dalla resistenza incontrata presso gli organi costituzionali (Quirinale, Consulta). In realtà è tutto da dimostrare che il cammino delle riforme sarà d’ora in poi senza ostacoli. Ma i problemi nascono dal logoramento personale del premier prima che da ipotetici complotti dell’establishment.

Giustizia: Finocchiaro (Pd); su riforme, Pdl si deve confrontare

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 10 ottobre 2009

 

Ripristinare l’immunità parlamentare? "Neanche a pensarci. Non metto un bene così prezioso nella mani di ima maggioranza che ha dimostrato in quale conto viene tenuto il principio di uguaglianza L’articolo 68 riformato a seguito di tangentopoli, infatti, da strumento di garanzia per tutelare la libertà di esercizio della funzione parlamentare, si era trasformato in odioso privilegio: e ora, di certo, l’autorizzazione a procedere verrebbe reintrodotta non per il motivo nobile voluto dai costituenti ma per alterare il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Ecco, il nostro è un no motivato".

Sull’immunità, il ministro Alfano ha detto che se ne può parlare con l’opposizione dopo il congresso del Pd: tuttavia, già ora Marco Follini (Pd) dice che "bisogna aprire un confronto" "mentre Pier Ferdinando Casini (Udc) preferisce occuparsi dei "problemi degli italiani". Chi ha ragione? "Follini affronta il tema da liberale. Ma ha ragione Casini. Andatelo a raccontare voi ai precari e ai padri di famiglia senza stipendio che ci stiamo occupando dell’immunità parlamentare...".

La senatrice Anna Finocchiaro, capogruppo al Senato del Pd, rispedisce al mittente non solo l’apertura sull’immunità parlamentare proposta dal Guardasigilli ma anche l’intero pacchetto Alfano sulla giustizia. E ddl sul giro di vite per le intercettazioni?

"È assai perfettibile". E il testo procedura penale? "Non mira certo all’efficienza ma tende a risolvere i problemi dei processi considerati sensibili da Berlusconi". E ancora: "Mi sembra bizzarra e strampalata anche la proposta del governo di riformare la legge elettorale del Csm introducendo il metodo del sorteggio per comporre al platea dei magistrati eleggibili. Vedremo di cosa si tratta quando i governo farà il suo passo".

L’ultimo grano di questo rosario di no, tuttavia, Anna Finocchiaro lo dedica a una possibile ripresa del dialogo - magari anche su argomenti tabù come la riforma del Consiglio superiore e una marcata distinzione della carriere di giudici e pm - a condizione però che migliorino i rapporti di bon ton parlamentare con il Pdl.

Va bene la critica severa sui provvedimenti del governo, ma su quali proposte intendete sfidare la maggioranza che ha un largo vantaggio numerico e tre anni e mezzo di tempo per far approvare le riforme sulla giustizia?

"Ma noi non abbiamo mai smesso di provarci. Siamo sempre presenti in commissione, abbiamo le nostre proposte, cerchiamo di entrare nel merito. Però siamo in una situazione paradossale perché il Parlamento è costretto a lavorare quasi esclusivamente su decreti, provvedimenti di Muda e atti urgenti del governo con il risultato che l’unica cosa vera che ha fatto il Parlamento è il federalismo fiscale".

La riforma cara alla Lega, sulla quale il Pd si è astenuto. "In quel caso è stata possibile una reale partecipazione del Parlamento forse perché il tema non era di primo interesse del presidente Berlusconi. La Lega ha potuto condurre il dibattito molto intelligentemente tant’è che il testo è profondamente cambiato con l’opposizione che ha potuto dare il suo contributo. La Lega ha agito politicamente, come si deve fare in Parlamento".

Il metodo instaurato dalla Lega sul federalismo è dunque ripetibile per le riforme sulla giustizia? "Il Pdl dovrebbe imparare dalla Lega. Però devo dire anche che sulla legislazione antimafia introdotta nel decreto sicurezza siamo intervenuti due volte e almeno in quei casi il governo ha capito che poteva essere utile ascoltarci. Però è anche vero che lo spirito di collaborazione in Parlamento viene meno quando ci avviciniamo a temi sensibili per Berlusconi: Csm, processo, pm, etc. Allora si scatena la furia del vendicatore".

Giustizia: la privacy del detenuto diventa un "muro di gomma"

di Stefano Anastasia

 

Terra, 10 ottobre 2009

 

Capita che ci scriva una signora, legata da una relazione di amicizia con un tale: come se ne possono avere tra vicini di casa, colleghi di lavoro o frequentatori abituali dello stesso bar del quartiere. Il suo amico, lei sa, è stato arrestato. Non ha quindi più occasione di incontrarlo.

Sa anche che non ha relazioni familiari significative e potrebbe quindi avere bisogno di qualcosa: un cambio, un libro, generi di conforto. Potrebbe aver bisogno anche, semplicemente, di una faccia amica; certamente di una manifestazione di affetto.

La signora, non avvezza alle pratiche penitenziarie, si procura i recapiti telefonici delle carceri cittadine e comincia a chiamare, come si farebbe in un albergo: "è lì il Signor Tal dei Tali? Posso venire a trovarlo? Posso portargli qualcosa?". Le carceri, notoriamente, non sono alberghi e, secondo alcuni (la maggioranza, certamente), non lo debbono essere.

Eppure la privacy del Signor Tal dei Tali viene difesa dal centralino dell’Istituto di pena come neanche il migliore maitre farebbe per l’ospite d’onore del più lussuoso albergo cittadino: la signora non riesce a sapere se il suo amico è lì o altrove; le viene anche il dubbio che non sia stato arrestato. Che fare? Abbandonarlo al suo destino o insistere? E come? Quel centralino sembra un muro di gomma, e ha anche le sue ragioni: "perché mai dovrei dare informazioni su Tal dei Tali alla signora? E se poi domani ne chiedesse di Pinco Pallino? La condizione detentiva non è una cosa bella da far conoscere al mondo, forse l’uno e l’altro preferiscono non far sapere di essere in galera".

Torniamo al Grand Hotel: che farebbe l’insuperabile maitre di Pretty woman, di fronte a una signora che con insistenza chiedesse di Richard Gere? Prenderebbe nota, chiederebbe al suo ospite se ha voglia di incontrare o parlare con la signora, o se - semplicemente - non vuole neanche che si sappia che è lì. Poi, cortesemente, direbbe alla signora "sì, è qui, lo può trovare a quest’ora", oppure "no, non è qui/è partito/non è mai venuto, l’ho confuso con un altro cliente".

Ma il carcere non è un albergo, e il centralinista non è un maitre di classe: la signora, al massimo, saprà che queste informazioni lui non gliele può dare. Poco male se fosse successo a Richard Gere: ha un mondo fatto per lui, fuori da quell’albergo; ma Tal dei Tali? Chiuso in galera si perde, forse, l’unico contatto con il mondo esterno. Non c’è proprio rimedio a quelle barricate in difesa della sua stessa privacy? Ma saranno poi in difesa della sua privacy?

Giustizia: Alfano farà visita al carcere di Laureana di Borrello

 

www.linkontro.info, 10 ottobre 2009

 

Lunedì 12 ottobre alle ore 13 il ministro della Giustizia Angelino Alfano, al termine del convegno promosso dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Palmi, si recherà alla Casa di Reclusione Luigi Daga di Laureana di Borrello. Dopo Roberto Castelli, che ha inaugurato la struttura nel 2004, Alfano è il secondo ministro della Giustizia che visita l’istituto.

Un ulteriore riconoscimento dell’importanza e della validità della sperimentazione avviata a Laureana di Borrello. Quello della casa di reclusione Luigi Daga è un progetto che vede l’amministrazione penitenziaria della Calabria all’avanguardia in Italia nel campo del recupero sociale dei giovani detenuti e del loro affrancamento dai condizionamenti della criminalità organizzata. Un’iniziativa sperimentale che ha registrato grande interesse in Italia e anche all’estero. Diversi sono stati i servizi curati da televisioni, quotidiani e riviste a livello nazionale che hanno raccontato questa esperienza innovativa nelle finalità e nelle metodologie d’intervento.

Il progetto, iniziato nel 2004 con entusiasmo ma anche con dubbi e paure, ha guadagnato con il tempo consensi e registrato importanti risultati. I dati parlano di un notevole abbattimento della recidiva, tanto che si potrebbe prospettare una notevole diminuzione del sovraffollamento una volta attuato il progetto anche in altre realtà.

Lavoro, istruzione, educazione alla legalità e alla responsabilità, attività di volontariato e giustizia riparativa, sono questi alcuni degli elementi che caratterizzano il progetto educativo dell’Istituto. L’obiettivo è stato quello di creare un carcere scuola di vita, per permettere a operatori e condannati di rendere costruttivo sia il periodo della pena da scontare che il successivo reinserimento nella società e nel mondo del lavoro.

 

I numeri

 

In cinque anni di attività sono stati 207 i giovani detenuti che sono stati ospitati nella struttura. 378 i permessi premio concessi ai detenuti, tutti regolarmente rientrati.

108 sono stati scarcerati di cui 35 per concessione di misure alternative, 17 per fine pena e 22 per ammissione all’indultino, 26 per ammissione indulto, 8 per esecuzione pena.

50 sono stati fatti rientrare agli istituti di provenienza per rinuncia o per trasgressione al patto trattamentale.

Tutti i detenuti ospitati hanno svolto attività lavorativa o scolastica o di formazione professionale nei laboratori di falegnameria, di ceramica, nelle serre e nelle attività d’istituto percependo regolare retribuzione. I manufatti realizzati dai detenuti nei laboratori di falegnameria e ceramica sono stati destinati agli Istituti Penitenziari della Calabria. 216 i detenuti che hanno partecipato ai corsi di formazione organizzati dall’Agenzia "Obiettivo Lavoro". 82 i soggetti che hanno svolto attività lavorativa intra-murale (cucina, lavanderia, laboratori, servizi domestici, ecc.)

17 i detenuti che hanno partecipato ai corsi per il conseguimento della licenza elementare (3) licenza media (8) del diploma di Istituto tecnico commerciale (5) di scuola alberghiera (1) corso di informatica (8).

78 detenuti sono stati ammessi al lavoro all’esterno svolgendo varie attività lavorative tra le quali si segnala il progetto aree verdi di pulitura e sistemazione delle aree verdi delle scuole statali della provincia di Reggio Calabria o il progetto Work Experience, borse lavoro e tirocini formativi presso aziende del territorio della Piana.

Significativa anche la partecipazione ad attività sociali e religiose con la comunità esterna e con il volontariato, come l’esperienza di "Viaggio in sé stessi" percorso di autocoscienza e di revisione di vita, l’incontro con i giovani di Locri.

Viterbo: scarsità di agenti al Mammagialla, qualcosa si muove

 

Ansa, 10 ottobre 2009

 

L’anno 2009 ha visto la Uil penitenziaria impegnata anche unitariamente con altre organizzazioni sindacali, a far sì che si accendesse l’attenzione forte dell’Amministrazione sulla grave carenza d’organico (-130 unità) e del sovraffollamento (700) detenuti che attanaglia l’intera regione Lazio con ben 5.800 presenze rispetto a quelli nazionali che ha superato la quota 64.000 detenuti.

Nel mese di agosto (periodo più difficile) abbiamo aumentato la nostra azione, chiedendo interventi urgenti al Prefetto di Viterbo e al Capo del Dap Dr. Franco Ionta. Le risposte sono arrivate anche se minimi, visto che tra il piano di mobilità nazionale che dovrebbe permettere un incremento di 6 unità e di quelli legati al prossimo 161° corso allievi che porterà un ulteriore incremento di 15 unità: sono segnali che qualcosa è accaduto nella volontà dell’Amministrazione Penitenziaria. La Uil penitenziaria si ritiene soddisfatta anche se il numero mancante di agenti in partenza (130) è ancora da annullare in modo significativo, sicuramente però come si dice in gergo calcistico; "e meglio sempre muovere la classifica"... e noi abbiamo provato a muoverla con un minimo di risultato.

 

Uil penitenziaria

Raimondo Fortuna

Daniele Nicastrini

Gorizia: Cisl; delegazione dal prefetto e poi in visita al carcere

 

Messaggero Veneto, 10 ottobre 2009

 

"A che punto si trova il progetto del nuovo carcere di Gorizia?". È quanto chiederà questa mattina al prefetto, Maria Augusta Marrosu, una delegazione della Fns-Cisl, ovvero il segmento che si occupa del settore sicurezza, composto dal Fabio Cabianca, della segreteria nazionale, Ivano Signor, segretario regionale, Umberto Brusciano, segretario provinciale della Cisl, e altri rappresentanti sindacali locali. Alle 9.30 ci sarà il vertice in Prefettura e, subito dopo, il sopralluogo alla prigione di via Barzellini.

L’obiettivo è quello di far presente ancora una volta la necessità di creare, in tempi adeguati, un’alternativa all’attuale carcere, le cui condizioni di degrado, note a tutti da anni, lo hanno portato a ridurre considerevolmente la sua funzione, al punto che oggi riesce a ospitare non più di una trentina di detenuti. Partendo dal fatto che, lo stesso prefetto, aveva presieduto, recentemente, il tavolo tecnico volto a individuare una soluzione alternativa, i sindacalisti della Cisl sicurezza chiederanno di conoscere i risultati degli approfondimenti effettuati dalla Prefettura e di sapere se una decisione in merito sia stata presa.

"Noi non ci schieriamo a favore di questa o quella ipotesi - questa è la posizione della Cisl -, in quanto ciò che c’interessa è solamente che si dia una risposta seria al problema, ovvero che si realizzi una nuova struttura carceraria, se alla Pecorari di Lucinico o in qualche altra caserma è indifferente. Va bene anche un’eventuale ristrutturazione dell’attuale prigione, in via Barzellini, con l’ampliamento all’ex scuola Pitteri. Basta che si decida".

Perugia: l’arcivescovo Bassetti, in visita nel carcere di Capanne

 

Asca, 10 ottobre 2009

 

"Ho voluto essere tra voi per dirvi che vi sono vicino e la mia visita è un segno di condivisione. Siete a me molto care e ho voluto visitarvi per prime. Voi vivete in un ambiente dove c’è tanta umanità che non può non essere aiutata. Non abbiate paura, perché in tutti noi c’è una grande bellezza e volontà e tutti dobbiamo lavorare perché Dio, che c’è dentro ognuno di noi possa aiutarci a dare speranza a tutti".

Lo ha detto, tra l’altro, l’arcivescovo di Perugia mons. Gualtiero Bassetti (ha fatto il suo ingresso in diocesi, proveniente da Arezzo, solo Domenica scorsa - ndr) che ha voluto dedicare la sua prima visita pastorale, alla realtà del Carcere di Capanne in Perugia, rivolgendosi alle detenute. Un significativo gesto evangelico, quello di far visita ai carcerati..., una delle sette opere i Misericordia.

La visita si è svolta nel tardo pomeriggio di ieri, durata due ore. Mons. Bassetti, accompagnato da don Lucio Gatti, è stato accolto dal direttore del Carcere, Bernardina Di Mario, dal personale della polizia penitenziaria, dai cappellani don Saulo e don Cesare, dal direttore della Caritas diocesana, Daniela Monni, dal suo vice, Stella Cerasa, e da alcuni volontari Caritas-Associazione perugina di volontariato.

Ha incontrato prima le detenute e poi i detenuti. È stata proprio una giovane detenuta, a porgere il suo saluto a mons. Bassetti; un’altra più anziana gli ha chiesto se verrà a dir messa nella chiesetta interna e la risposta è stata "certamente sarò con voi a celebrare l’Eucaristia sabato prima di Natale e poi non mancheranno altre occasioni di incontro". L’incontro con i detenuti è avvenuto nelle loro celle, dove l’arcivescovo Bassetti si è trattenuto a colloquio per diversi minuti. Tra le richieste dei detenuti al vescovo, quella di poter avere più volontari in carcere.

"Sono stato colpito dai tanti giovani, alcuni di loro anche padri, preoccupati per le loro famiglie lontane - ha detto al termine della visita mons. Bassetti -. È stata una breve visita al Carcere, ma per me si è fatta "luce" in mezzo a tutti loro, come disse Papa Giovanni XXIII in una simile circostanza". Attualmente la popolazione del Carcere di Perugia è di 480 tra detenuti e detenute, queste ultime 70.

Il 65% è immigrato. Negli ultimi mesi c’è stato un consistente incremento di detenuti con pene definitive e non solo in attesa di giudizio. "Lo scorso 20 luglio - ha detto la direttrice Di Mario - sono stati trasferiti da Milano 120 detenuti per motivi di sovraffollamento; un problema che nel nostro carcere è oggi molto contenuto. Stiamo pensando di avviare dei nuovi progetti rieducativi di medio/lungo termine, come ad esempio un corso per installatori di pannelli solari e di incrementare le attività dell’azienda agricola interna al Carcere". Anche la direttrice Di Mario si è associata alla richiesta fatta da alcuni detenuti, quella di sensibilizzare persone a fare opera di volontariato carcerario, dopo un periodo di formazione che l’Associazione perugina di volontariato e la Caritas, offrono periodicamente.

Terni: evade detenuto albanese 25enne ricerche sono in corso

 

Asca, 10 ottobre 2009

 

Con la classica tecnica da manuale, cioè grazie all’uso di un lenzuolo, è riuscito ad evadere durante le prime ore del pomeriggio di ieri. È un albanese, costretto da qualche tempo nel carcere ternano per rapina e altri reati.

L’evaso è Taulant Toma, 25enne, albanese di statura alta, di corporatura magra e con un tatuaggio particolarmente visibile sul braccio destro a forma di serpente. Il detenuto è riuscito ad evadere dal carcere di massima sicurezza ternano, scavalcando la recinzione del campo di calcio sito all’interno della struttura carceraria.

Taulant Toma sembra appartenga alla banda di albanesi dediti al traffico di droga facenti capo a Ilir Paja. Grande spiegamento di uomini delle forze dell’ordine (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Municipale) con mezzi e anche due elicotteri che hanno sorvolato a lungo la zona sovrastante il carcere. Al momento le ricerche non hanno dato esiti positivi anche se le forze dell’ordine dichiarano che l’uomo non avrebbe avuto modo di allontanarsi eccessivamente dalla città.

Padova: nasce il presidio padovano dell’Associazione "Libera"

 

La Difesa del Popolo, 10 ottobre 2009

 

Si terrà presso il Centro parrocchiale di Vigodarzere (Pd), sabato 17 ottobre alle 20.45 la serata di presentazione del presidio padovano dell’Associazione Libera. "Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie" è nata il 25 marzo 1995, per volontà di don Luigi Ciotti, con lo scopo di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia. Attualmente Libera è un coordinamento di oltre 1.500 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per costruire sinergie capaci di diffondere la cultura della legalità.

Ed è da questo impegno che proprio in questi giorni è nata Libera Padova, il coordinamento territoriale che vedrà lavorare insieme, come a livello regionale e nazionale, sigle diverse del mondo associativo: dalle Acli all’Arci, dall’Associazione per la pace all’Azione cattolica, a Banca Etica, e ancora Agesci, Avviso Pubblico, Cisl, Cnca, Csi, Studenti per, Movi e altre realtà della società civile.

Numerosi sono gli ambiti di impegno e di lavoro di Libera: azioni di educazione nelle scuole, iniziative sportive dedicate ai giovani, progetti sul lavoro e sullo sviluppo, attività antiusura, incontri e manifestazioni per mantenere viva la memoria delle vittime di mafia e di coloro che si sono opposti alle organizzazioni criminali.

Infine non mancano le iniziative di respiro internazionale, come l’adesione a proteste e movimenti per la promozione dei diritti. "Lo scopo che ci proponiamo con questa iniziativa - spiegano gli organizzatori - è di diffondere sempre di più nel nostro territorio la conoscenza di Libera, di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia".

Durante la serata verrà anche illustrato il progetto dei campi di lavoro volontario con la testimonianza di due partecipanti al campo di lavoro 2008 a Corleone e Canicattì. Tanti volontari e volontarie scelgono infatti di fare un’esperienza di servizio e di formazione civile sui terreni confiscati alle mafie e gestiti dalle cooperative sociali di Libera terra. Saranno inoltre presentati i prodotti dei sapori della legalità che provengono dalle cooperative che aderiscono a Libera terra. Presente all’incontro don Luigi Tellatin, referente nel Veneto di Libera.

Immigrazione: Maroni; stop ai Campi Rom abusivi e nuovi Cie

 

Redattore Sociale - Dire, 10 ottobre 2009

 

A Torino il ministro dell’Interno ribadisce le priorità: fine dell’emergenza dei campi rom entro il prossimo anno e la realizzazione di nuovi centri d’identificazione e espulsione.

La fine dell’emergenza dei campi rom entro la fine del prossimo anno, la realizzazione di nuovi Centri di identificazione ed espulsione per aumentare la sicurezza dei cittadini. Queste alcune delle "cose da fare" di cui ha parlato il ministro dell’Interno Roberto Maroni, durante il suo intervento al la XXVI Assemblea dell’Anci.

Il ministro ha messo l’accento sugli interventi svolti in questi mesi di governo e degli interventi futuri, individuando tre macro aree: la lotta alla criminalità organizzata, la lotta all’immigrazione irregolare, la sicurezza urbana. Sulla lotta alla mafia, il ministro dell’Interno ha sottolineato l’impegno nel contrasto alla criminalità organizzata, grazie soprattutto al sequestro del frutto dell’attività mafiosa e ha citato alcune iniziative portate avanti quali l’uso sociale dei beni sequestrati; la norma del pacchetto sicurezza che consente di utilizzare il denaro depositati dalle mafie, presenti in depositi banche, compagnie di assicurazioni, poste: "700 milioni di euro recuperati fino ad ora".

Rispetto alla lotta all’immigrazione irregolare, Maroni ha parlato di un intervento duro per far cessare l’idea che l’Italia sia un paese dove si può entrare e rimanere. Ha citato le leggi permissive del nostro paese, come i due mesi di permanenza nei Cie, a confronto dei 18 di Malta. "Misure dure e rigorose" quelle introdotte dall’attuale governo e tutte, ha sottolineato più volte il ministro, nel rispetto delle convenzioni internazionali. Ribadita la volontà di realizzare nuovi Cie, per aumentare il livello della sicurezza sul territorio.

E non sarà una decisione imposta dall’alto, ma con il parere degli amministratori locali. Maroni ha anche citato il calo degli sbarchi. Sui campi nomadi ha poi annunciato la fine dell’emergenza entro la fine del prossimo anno, la chiusura dei campi abusivi e la creazione di condomini orizzontali, per la sicurezza dei cittadini. La condizione di alcuni campi, ha sottolineato citando l’esempio di Napoli, "è da film dell’orrore".

Più in generale ha parlato di un sistema di sicurezza integrata, con tre soggetti: forze dell’ordine, sindaci e cittadini "che in modo regolamentato vogliono partecipare ad un sistema integrato di sicurezza". Soffermandosi sulla "feroce" polemica sulle ronde, ha parlato di volontari per la sicurezza definiti inutili o pericolosi, rambo, fascisti o incapaci. Esistono centinaia di iniziative di questo tipo in Italia, ha dichiarato, regolate dall’amministrazione, lasciate alla volontarietà. È qualcosa da valorizzare, e abbiamo dato regole per rafforzare il controllo del territorio, ai sindaci che lo vorranno. Due notizie finali: l’intenzione di migliorare la collaborazione fra Polizia Municipale e Forze dell’ordine con un numero unico d’emergenza, un 112 unico che offra un aiuto concreto e rapido ai cittadini; la carta di identità elettronica.

Immigrazione: nel Cie Ponte Galeria; in gabbia... come allo zoo

 

La Repubblica, 10 ottobre 2009

 

Molti sono minorenni e quasi nessuno ha i soldi per chiamare la famiglia. C’è chi si fa del male tagliandosi con le lamette, chi fa lo sciopero della fame e, purtroppo, c’è chi non regge e la fa finita come la tunisina a marzo scorso. Ogni giorno al Cie scoppiano risse tra immigrati di diverse nazionalità.

Per gestire il Centro non forze: su due o trecento "trattenuti" in media ci sono cinque persone a occuparsene: devono servire i pasti, curare i denti, "scortare" il personale delle pulizie. Cinque impiegati della Croce rossa che sono anche interpreti, infermieri, psicologi, assistenti sociali. Dovrebbero essere almeno secondo il capitolato che assegna alla Croce Rossa la gestione del Centro, per 47 euro a persona al giorno. E l’eterna emergenza non sempre consente di tutelare i diritti. Il medico è sempre presente, l’infermiere solo metà giornata. Gli interpreti: uno per l’arabo, un’americana che parla anche russo, uno che sa un po’ di romeno. Con i cinesi ci sono serie difficoltà.

A volte è difficile anche garantire le pulizie, le addette non possono entrare sole nei reparti. Carenze così gravi che la prefettura ha diffidato la Croce Rossa a ripristinare il servizio (l’appalto, in realtà scaduto, è in proroga fino alla fine della nuova gara). Gli "ospiti" sembrano in gabbia. Gabbie da sei: una camerata, un bagno, una spianata di cemento. Intorno inferriate alte tre metri. La tensione è alle stelle: dopo 60 giorni qui dentro molti hanno scoperto che dovranno aspettarne altri 120. Nelle stanze il condizionamento è rotto. Le lenzuola di carta sono usate anche per avvolgere tubi che perdono e tappare buchi di porte e finestre. E una galera all’aperto, una specie di zoo. Le condizioni sono disumane.

Immigrazione: prefetto di Roma; il Cie Ponte Galeria va chiuso

di Anna Maria Liguori

 

La Repubblica, 10 ottobre 2009

 

Il prefetto a Maroni: "Il centro va ristrutturato o è meglio chiuderlo". La disastrosa situazione del Cie: disagi e privazioni "Sembra di essere in carcere".

"Il Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria è al collasso. Deve essere chiuso". Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha inviato una relazione al ministro dell’Interno Roberto Maroni, e per conoscenza al sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti Mario Mantovani e a Mario Morcone, capo dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, dopo aver a lungo analizzato la disastrosa situazione del Cie tra le cui mura gli immigrati vivono ogni tipo di disagio e di privazione. Pecoraro ha scritto a Maroni specificando che il Centro o "viene ristrutturato o chiuso e spostato altrove".

La situazione negli ultimi mesi è infatti molto peggiorata. L’inasprimento delle norme in tema d’immigrazione ha portato più gente a Ponte Galeria: la popolazione del Cie, il più grande d’Italia, è salita in estate di circa 80 unità, da 246 a 319 ospiti (175 uomini e 143 donne) al limite della capienza tollerabile che è di 330 posti. Per la maggior parte si tratta di nordafricani in attesa di essere rimpatriati. L’accoglienza è al limite, tanto che spesso gli immigrati, fermati dalle forze dell’ordine vengono trasferiti, per mancanza di posti, direttamente in carcere. E anche chi vive lì non sta certo bene. Il sovraffollamento e il caldo insopportabile di questi ultimi mesi, senza dimenticare le ferie degli operatori, hanno creato una miscela potenzialmente esplosiva. Poi ci sono i lunghi tempi di attesa per ottenere i colloqui con le ambasciate di origine e il fatto che i nuclei familiari al momento dell’arrivo vengono divisi nei settori maschile e femminile con evidenti problemi di convivenza.

Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti, ha molte volte lanciato un grido d’allarme: "Eventi drammatici all’interno del Centro di Roma ce ne sono stati tanti. Il vero equivoco di fondo è che i Cie sembrano sempre di più centri di reclusione che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, sono peggiori delle carceri.

A Ponte Galeria, ad esempio, non c’è un grande appoggio esterno del volontariato che è una delle cose buone che si ritrovano nei penitenziari. In queste condizioni è assai facile che possa prendere il sopravvento la disperazione".

Il prolungamento dei tempi di reclusione contribuisce certamente a degradare la dignità umana dei trattenuti ma non sembra aver minimamente risolto il problema della identificazione, precondizione all’espulsione, che dipende dalla collaborazione delle rappresentanze dei paesi di provenienza. "È unanime - dicono gli addetti ai lavori - la volontà di risolvere una situazione, che, nonostante le nuove norme in materia di sicurezza, non sembra migliorare la condizione di vita degli immigrati". E ora il prefetto ha scelto di imboccare una strada definitiva.

Stati Uniti: detenuto di Guantanamo è stato trasferito in Belgio

 

Ansa, 10 ottobre 2009

 

Il ministero della Giustizia Usa ha confermato oggi che un detenuto di Guantanamo è stato trasferito in Belgio. Il detenuto non è stato identificato. Secondo altre fonti il è giunto ieri nella base militare di Melsbrosk, alla periferia di Bruxelles. Gli Stati Uniti hanno chiesto l’aiuto dei paesi europei, e del resto del mondo, per chiudere il carcere di Guantanamo: il problema è cosa fare degli oltre 220 detenuti ancora nella prigione. Il Belgio si era detto pronto ad aiutare gli Stati Uniti.

 

 

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