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Giustizia: "piano carceri" da post-terremoto? è spot televisivo di Susanna Marietti
www.linkontro.info, 2 ottobre 2009
Costruirà nuove carceri così come ha costruito le case per i terremotati. Questo ha ripetuto Silvio Berlusconi al suo telegiornale di oggi. E cosa farà trovare nelle celle? La bottiglia di spumante per il brindisi di primo ingresso? O la biancheria stirata e impilata che le telecamere si affretteranno a riprendere? È tutto un gioco, per il nostro capo del Governo. Soccorrere un sistema penitenziario ormai allo sbaraglio o dare una festa a Villa Certosa. Cerchiamo allora di ragionarne tra di noi, seppur non riusciremo a far ragionare Berlusconi e i suoi ministri. Tre sono le caratteristiche che il nuovo piano carceri in stile aquilano presenta. Innanzitutto, è assolutamente inutile nel medio - ma anche nel breve - termine. Da quando gli effetti della legge Bossi-Fini sull’immigrazione, della Fini-Giovanardi sulle droghe e della ex Cirielli sulla recidiva sono andati a pieno regime, la popolazione detenuta in Italia sta crescendo di circa mille unità al mese. Una cifra impressionante, se si pensa che solo pochi anni fa un’associazione come la nostra si diceva preoccupata per una crescita di mille unità all’anno. Ora: dopo cinque mesi e mezzo dal terremoto sono state consegnate a Onna abitazioni per 300 persone. Dopo sei mesi ne sono state consegnate altre, e altre ancora non dubitiamo che si aggiungeranno. Ma potremo mai viaggiare a ritmi di mille posti letto al mese? Così, andando avanti a costruire e basta, senza altro progetto, fino a riempire di casette in legno anche i parchi comunali e distogliendo tutti gli operai della nazione da qualsiasi altro impegno? Difficile perfino per un imprenditore dei miracoli come lui. La seconda caratteristica del nuovo piano carceri improvvisato da Berlusconi è un altro tipo di inutilità, che si manifesta su una distanza di tempo più lunga e si accompagna a un’intrinseca e pervasiva dannosità. Il Consiglio d’Europa, che lavora sull’osservazione di ben 47 Stati membri e sa di cosa si sta parlando, non si stanca di avvisare che la costruzione di nuove carceri, senza altre previsioni volte al contenimento del loro utilizzo, si è sempre storicamente risolta in un parallelo aumento del numero dei detenuti. Se mi danno i denti, il pane poi lo trovo. Se ho spazio, in un modo o in un altro lo riempio. È di poche settimane fa la Conferenza sul sovraffollamento carcerario promossa proprio dal Consiglio d’Europa. I Direttori delle Amministrazioni Penitenziarie europee si sono incontrati a Edimburgo per spiegare quanto e come fossero riusciti a mettere in pratica principi solennemente accettati dai loro Paesi e contenuti in un’apposita Raccomandazione sul sovraffollamento delle carceri e sulla crescita della popolazione detenuta datata 1999. Inutile dire che l’Italia non ha fatto una bella figura. E inutile dire che quella Raccomandazione condannava esplicitamente il ricorso all’edilizia penitenziaria quale soluzione all’affollamento, ispirandosi piuttosto ai principi del diritto penale minimo e del ricorso al carcere quale ultima ratio. Ma c’è ancora una terza e ultima caratteristica del piano carceri post-terremoto che dobbiamo qui prendere in considerazione: esso è terribilmente televisivo. Ed è questa l’unica caratteristica che interessa Silvio Berlusconi. Giustizia: l’allarme degli agenti; tre suicidi in soli cinque giorni di Carlotta De Leo
Corriere della Sera, 2 ottobre 2009
"Tre suicidi in appena cinque giorni. Quattordici in poco meno di due anni. Non si tratta di coincidenze, ma di concreti segnali del profondo malessere dei poliziotti penitenziari sempre più depressi e arrabbiati per le condizioni in cui sono costretti ad operare. È una vera e propria emergenza". Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, è sconvolto dalla notizia che l’agente di polizia penitenziaria Domenico Apicella, 48enne di Serre di Salerno, ha prima ucciso entrambi i genitori ed il cane e poi si è tolto la vita. I morti - Domenica scorsa un assistente capo a Monza si è tolto la vita in caserma. Lo stesso giorno, anche l’omicidio-suicidio di un ex ispettore appena andato in pensione a Venezia. Uomini che condividevano un lavoro stressante e svolto in condizioni quasi di emergenza. "Apicella lo conoscevo personalmente - racconta il sindacalista -. Era un uomo tranquillo che svolgeva il suo lavoro nel carcere di Eboli, uno di quelli in cui la situazione non è nemmeno disperata. Per questo sono scosso e arrabbiato: abbiamo più volte lanciato l’allarme, anche con una manifestazione lo scorso 22 settembre davanti a Montecitorio. Il ruolo di Cassandra non ci fa piacere soprattutto quando si tratta di vite umane. E il silenzio del ministro Alfano ci offende e ci indigna". Le cifre - Sono i numeri ad ancorare le parole. Nelle carceri italiane vivono, o meglio sopravvivono, circa 64.700 detenuti: le strutture, infatti, ne potrebbero contenere solo 43.218. A vigilare su di loro, solo 38.500 divise, cinquemila in meno di quanto sarebbe necessario: "Il risultato - spiega Sarno - è che se va bene, un agente ha la responsabilità di 80-100 detenuti. Se va male, invece, e soprattutto la notte, deve controllare due o tre padiglioni, ovvero dalle 200 alle 450 persone". I dati nel Lazio "raggiungono il paradosso". L’organico nella nostra regione arriva a 5.166 unità, a fronte di un numero previsto di 4136. "Un esubero apparente - aggiunge il segretario - perché negli istituti di vigilanza lavorano solo 3.327 persone. Ne mancano all’appello 1.839 che sono impiegati nei palazzi del potere. Noi valutiamo che almeno 700 di loro facciano gli acchiappamosche, i reggiombrelli o i camerieri nei corridoi ministeriali. La politica dovrebbe riportarli subito al loro servizio nelle carceri". Le carceri - Nelle carceri, appunto, dove "l’ambiente è fetido, le strutture fatiscenti sovraffollate oltre ogni immaginazione e la sopraffazione impera - denuncia Sarno -. Se il detenuto sta bene, sta bene anche l’agente. Ciò che vediamo nelle carceri ogni giorno ci affligge. Il sistema penitenziario sta trasformando la pena in supplizio e il lavoro in tortura". Di fronte a tutto ciò, i lavoratori tornano a chiedere impegni concreti. "Siamo stanchi delle promesse vuote mentre la gente si ammazza ed ammazza - conclude Sarno -. Ionta ed Alfano diano un segno della, loro presenza e si dimostrino capaci di individuare soluzioni immediate. Altrimenti ne traggano le conseguenze e rimettano i rispettivi mandati". Giustizia: Uil; l’insensibilità ed il silenzio del Dap e del Ministro
Comunicato stampa, 2 ottobre 2009
"L’omicidio - suicidio perpetrato, alcune ore fa, da un Assistente Capo di polizia penitenziaria in servizio presso la Casa Reclusione di Eboli è il terzo evento delittuoso che vede coinvolto un appartenente al Corpo nel giro di pochissimi giorni. Davvero troppi per essere semplice coincidenza. Infatti noi riteniamo che non siano coincidenze ma concreti, palesi segnali di un profondo malessere che attraversa i poliziotti penitenziari sempre più depressi e arrabbiati per le condizioni in cui sono costretti ad operare. Sentimenti che si ampliano nel constatare la distanza, il silenzio, l’insensibilità di chi è deputato a gestire, possibilmente risolvere, le notevoli criticità che si abbattono sul personale stremato." Dura la reazione di Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, nell’apprendere la notizia che Apicella Domenico, Assistente Capo di polizia penitenziaria, 48enne di Serre di Salerno ha dapprima ucciso entrambi i genitori, il cane e poi si è tolto la vita "Se davvero il premier Berlusconi vuole dedicare la propria attenzione al mondo penitenziario lasci da parte utopistici ed irrealizzabili progetti e si concentri sull’immediatamente fattibile. Occorre urgentemente porre argine al baratro in cui tutto il personale sta sprofondando. Occorre ridisegnare l’intera Amministrazione Penitenziaria oramai accertatamente incapace di risolvere il benché minimo problema e pertanto inadeguata a rispondere ai bisogni e ad assolvere al proprio mandato. Da tempo abbiamo lanciato l’allarme. Il suicidio, domenica, di un assistente Capo a Monza; l’omicidio-suicidio di un ex ispettore appena andato in pensione a Venezia e la tragedia odierna nel salernitano segnano con il sangue le responsabilità politiche e gestionali di chi aveva , ed ha, il dovere di intervenire e colpevolmente non lo ha fatto e non lo fa. Evidentemente la distanza, l’insensibilità, il silenzio del Dap e del Ministro Alfano continuano a produrre effetti orrendi e nefasti. Siamo stanchi degli appelli e degli allarmi disperati mentre la gente si ammazza ed ammazza. Ionta ed Alfano diano un segno della, loro presenza e si dimostrino capaci di individuare soluzioni immediate. Altrimenti ne traggano le conseguenze e rimettano i rispettivi mandati".
Segreteria Nazionale Uil-Pa Penitenziari Giustizia: quando lo sfollamento diventa pena supplementare di Fiorentina Barbieri (Difensore Civico dei detenuti Associazione Antigone)
Terra, 2 ottobre 2009
"A.B., 69 anni, italiano, ha 4 bypass e patologie collaterali, è stato trasferito da un grande carcere del Centro Italia ad un altro, piccolo e non attrezzato, perché il suo processo si dovrà celebrare in un’altra città, non dov’è il carcere, solo più vicina". Così avevamo scritto ad agosto, denunciando la pesante situazione di Alfredo, che aveva una pena da scontare, ma poi ne stava arrivando anche un’altra e il processo, ancora da celebrare, si sarebbe dovuto svolgere in una città delle Marche. Per questo era stato trasferito, ma non proprio lì, vicino, più o meno. Da un grande carcere romano era finito nel piccolo carcere di un centro abruzzese che, come capienza regolamentare, dovrebbe contenere circa 200 detenuti. Al momento, invece, gli operatori denunciano un organico ridotto e l’aumento del numero dei detenuti, che è arrivato a 310. Alfredo era incappato nel mucchio dei trasferimenti "per sfollamento", quelli che simulano l’alleggerimento del numero dei detenuti, spostandoli dai grandi istituti delle grandi città, più soggetti ad essere osservati, alle piccole carceri, sottratte ad un monitoraggio indiscreto. Lo stato di salute di Alfredo era e resta assai precario e così, in attesa di un processo che tardava, lui aveva già fatto domanda per lasciare quel luogo sprovvisto di attrezzature terapeutiche adeguate e tornare a Roma. Si è poi capito perché quel processo non veniva celebrato: è stato annullato. Alfredo ne è uscito indenne ed ora deve terminare di scontare la pena precedente, quella per la quale stava benissimo (si fa per dire) nel carcere romano. Ma è ancora lì, gravemente sofferente e solo nel piccolo carcere abruzzese, dove l’Amministrazione lo ha trasferito, o sfollato. O dimenticato. Alfredo è persona di una certa cultura. A Roma si era iscritto ai corsi universitari in carcere. Da libero svolgeva un’attività di notevole livello di specializzazione in una importante società e insieme ad altri compagni di detenzione aveva iniziato ad organizzare percorsi di formazione per gli altri detenuti. Sono loro che ce lo hanno segnalato e oggi chiedono di riaverlo tra loro per proseguire nei loro progetti: ci chiedono perché Alfredo debba restare ancora lì, a rischio della sua vita, quali le ragioni di un provvedimento che ha tolto a loro e al loro amico occasioni di essersi utili vicendevolmente. Il criterio è che la pena debba non solo prevedere che il tempo sia sottratto, ma anche sprecato? Perché il trasferimento non viene revocato? Giustizia: a Roma una manifestazione per la libertà di stampa di Emanuele Di Nicola
www.rassegna.it, 2 ottobre 2009
"Altro che farsa, Piazza del Popolo risponderà a Berlusconi". Il presidente della Fnsi Natale presenta l’iniziativa di sabato "contro tutti i conflitti di interesse": adesioni trasversali, 300 pullman dalle Regioni. A difesa dell’art.21 della Costituzione. "Non sarà una farsa ma una manifestazione serissima, Piazza del Popolo darà una risposta a Berlusconi". Così il presidente della Fnsi, Roberto Natale, ha presentato oggi (1 ottobre) la manifestazione nazionale di sabato a Roma (ore 15.30) per la libertà di informazione. Un appuntamento, inizialmente previsto per il 19 settembre, che è stato rinviato a sabato 3 ottobre dopo l’attentato ai soldati italiani in Afghanistan. "Chi temeva che il rinvio facesse sgonfiare la mobilitazione - specifica Natale -, sappia che sono timori infondati. Anzi l’attenzione è cresciuta perché, purtroppo, i problemi della stampa italiana non sono finiti in due settimane". Al contrario si sono aggravati: sono proseguiti gli attacchi del governo, il presidente del Consiglio ha indicato i giornalisti come "farabutti", insomma nel mondo dell’informazione "si respira un’aria pesantissima". Una situazione che arriva da lontano, secondo Natale. "I problemi non iniziano con Berlusconi - sottolinea -, ma riguardano i nodi strutturali irrisolti dell’informazione". In particolare, il problema dei "conflitti di interesse": non solo quello del premier, ma i conflitti di tutti i proprietari di testate italiane. Per questo la manifestazione di sabato avrà carattere generale: non è pensata per sostenere un singolo giornalista, ma riguarda l’intero settore della stampa. "Nessun taglio corporativo", assicura la Fnsi. A dimostrarlo ci sono le adesioni, che vanno da Articolo 21 e Comitato per la libertà ed il diritto all’informazione fino al terzo settore e al mondo cattolico (vedi il blog del 3 ottobre). Hanno aderito anche i partiti dell’opposizione, che però non saliranno sul palco: "Resta una manifestazione autonoma del sindacato unitario dei giornalisti". Il consenso trasversale non deve sorprendere, afferma il presidente, perché è un’iniziativa "nel segno dell’articolo 21 della Costituzione, che non è di parte né tantomeno anti-italiana". Problemi generali, dunque, ma aggravati dagli attacchi di questo periodo. La Federazione già pensava alla manifestazione quando è stato presentato il dl intercettazioni, ricorda Natale, elencando poi gli ultimi episodi contestati: le denunce a Repubblica e Unità, l’operazione contro Avvenire che ha portato alle dimissioni di Boffo, l’appello di Berlusconi in Confindustria, che ha invitato a ritirare la pubblicità sui "giornali disfattisti". Ma anche le conferenze stampa del premier senza risposte, le critiche all’impaginazione dei telegiornali - soprattutto quando si occupano delle proteste operaie, vedi il caso Innse -, infine la situazione della Rai: "Si vuole ricondurre il servizio pubblico all’obbedienza governativa e la colpa è anche dei vertici, nei quali non vediamo nessun amore per l’autonomia". Una logica di "controllo ossessivo", che paradossalmente si applica anche ai programmi premiati dagli spettatori. "Non ci piacciono le sanzioni - fa sapere la Federazione -, ma si critica l’eccesso di polemica mentre la condiscendenza e il servilismo non sono mai oggetto di istruttoria". In questo scenario, ammette, anche i giornalisti hanno la loro responsabilità, ovvero l’autocensura: "Serve un atteggiamento più combattivo nel difendere il valore della notizia". "Dovere di informare, diritto di sapere". Sarà questo lo slogan della manifestazione, totalmente autofinanziata, pensato per coniugare il lavoro dei giornalisti ai diritti dei cittadini. Gli organizzatori si aspettano una piazza piena: arriveranno 300 pullman dalle Regioni, il programma alternerà contributi dal palco a intermezzi musicali. Tra gli altri parleranno il segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, il costituzionalista Valerio Onida e Roberto Saviano, fra gli artisti Teresa De Sio, Marina Rei, Neri Marcorè ed Enrico Capuano. Interverrà il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, in veste di direttore del Comitato per la libertà ed il diritto all’informazione. Piazza del Popolo ricorderà Anna Politkovskaja, la giornalista della Novaja Gazeta assassinata il 7 ottobre 2006, a quattro giorni dal terzo anniversario della morte: sarà l’attrice Jasmine Trinca a leggere alcuni scritti della corrispondente russa. Insomma, non solo giornalisti: si parlerà anche di lavoro, mafia, guerra, immigrazione. E soprattutto della scuola: il corteo nazionale dei precari contro i tagli, che partirà alle 14.30 da Piazza della Repubblica, confluirà poi nella manifestazione dei giornalisti. La Rai non ha ancora deciso sulla copertura televisiva, la Fnsi se la augura: "Speriamo che quello di sabato sia un evento meritevole di attenzione per il servizio pubblico". Genova: il carcere di Marassi diventerà un centro commerciale di Francesco Margiocco
Secolo XIX, 2 ottobre 2009
L’idea è rivoluzionaria: trasformare il carcere di Marassi in un centro commerciale. L’ideatore è autorevole: il governo. La proposta di convertire il penitenziario in un grande shopping hall arriva dal provveditorato alle opere pubbliche, un’emanazione del ministero delle Infrastrutture. Francesco Errichiello, provveditore alle opere pubbliche di Liguria e Lombardia, spiega che "da tempo stiamo cercando di realizzare a Genova un nuovo penitenziario. Assolutamente necessario perché i due esistenti (Marassi e Pontedecimo, ndr.) sono insufficienti. Quello di Marassi, in particolare, è piccolo e malconcio". Per la nuova struttura "abbiamo già individuato - dice Errichiello - diversi possibili siti. Mancano però i finanziamenti necessari". Ecco dunque farsi strada l’ipotesi "shopping center". "Con una semplice variante al piano regolatore, il Comune di Genova - spiega il provveditore - può cambiare la destinazione d’uso del vecchio carcere, autorizzando l’insediamento di una grande area commerciale. A quel punto potremmo facilmente vendere Marassi e, con il ricavato, costruire il nuovo penitenziario". Belluno: ci sono letti a castello anche nelle celle di "isolamento"
Il Corriere delle Alpi, 2 ottobre 2009
Letti a castello nelle celle d’isolamento e 6 detenuti per cella in quelle da 4. Grand hotel Baldenich al tutto esaurito ma si è lontani dalle 5 stelle: camere senza acqua calda, mura che si scrostano, muschio nei bagni di camere e docce. Il carcere scoppia: 150 i detenuti, il limite è 120. L’unica sezione "tranquilla" è quella dei trans: ma anche qui la capienza è coperta all’80%. "Detenuti come carne da macello" tuona il segretario generale della Federazione nazionale sicurezza-Cisl, Roberto Agus, e le guardie penitenziarie con loro: rischiano le stesse malattie considerata la "situazione strutturale d’igiene precaria" che si registra nella struttura carceraria. Continua lo stato di agitazione delle guardie penitenziarie e il sindacato ha scritto a prefetto, capo dell’amministrazione penitenziaria, provveditore regionale, sindacati nazionali, presidente della Provincia. Chiede incontri e di sapere quando parte la ristrutturazione dell’ala di Baldenich, annunciata un anno fa (dal parlamentare Gidoni), di fatto mai partita perché c’era stato solo uno stanziamento di fondi, sulla carta. Sindacato che manderà l’ufficio igiene della Usl in carcere, per le verifiche della precarietà igienica esistente: "Singolare che l’ufficio igiene le consideri agibili". "Nelle celle da due ci sono 4 detenuti, in quelle da 4 ci stanno in 6 e in isolamento sono con i letti a castello: ma ormai sono finiti pure i letti, non ne avremo più se continua così" spiega il sindacalista. "È una vera emergenza ed è chiaro che l’ammassamento crea situazioni di conflitto, quasi quotidiane". L’unica "salvezza sarebbe la ristrutturazione dell’ala, per i detenuti che sono in situazione indecente e per il personale che deve lavorare a contatto con queste persone in situazioni di rischio sanitario. La ristrutturazione? È nel progetto regionale: l’anno scorso si parlò del finanziamento milionario, chiedemmo al provveditore regionale, che cadde dalle nuvole e ci spiegò che Belluno era in progetto ma che non c’era disponibilità di fondi". La Fns dunque "oltre a denunciare la grave situazione nell’istituto bellunese, segnala l’indignazione del personale sia amministrativo che di polizia che, esasperati dall’indifferenza delle istituzioni, urlano a gran voce il loro dissenso". Il carcere, continua Agus nella lettera, "ha raggiunto livelli di sovraffollamento detenuti eccezionali, e per contro il numero del personale di polizia effettivamente in servizio è ridotto per vari motivi al 50% dell’organico, e il personale amministrativo-contabile subisce trasferimenti selvaggi senza sostituzioni, cosa che causa il collasso delle attività contabili". Tra gli amministrativi hanno trasferito due persone ma senza sostituirle: la direzione aveva pur dato l’aut-aut ma il rischio è che si chiuda l’ufficio. E le guardie penitenziarie stanno peggio pure a straordinari: dalle 1500 alle 2000 ore al mese. Altro problema: non ci sono mai gli anticipi per le missioni e spesso sono gli agenti ad anticipare. Il dramma si raggiunge nei piantonamenti o negli aumenti delle traduzioni: per effettuare questi servizi viene prelevato personale dall’interno del carcere. Poi non ci sono più soldi per le traduzioni aeree (oltre i 400 km è comunque un risparmio): si viaggia in furgone, fino in Sicilia, talvolta. Pistoia: carcere disumano; 136 detenuti accatastati in 54 posti
Il Tirreno, 2 ottobre 2009
"È incredibile che la nostra comunità, anche quella locale, qui a Pistoia, tolleri una realtà come questa". Si parla di carcere in generale, e della casa circondariale di Santa Caterina in particolare; e a spendere parole dure e vibranti non è il solito politico di turno in visita dietro le sbarre, ma un avvocato penalista tra i più noti in città, Fausto Malucchi. Il professionista è reduce da una recentissima visita a Santa Caterina in Brana, l’incontro con un suo cliente e un magistrato per la convalida di un arresto. Una visita che l’ha toccato nel vivo, sia per quello che ha visto che per quanto gli hanno raccontato. Una situazione così grave e pesante da sentire il bisogno impellente di parlarne. "I detenuti nel nostro carcere - dice Malucchi - sono più del doppio di quelli previsti (136 contro i 54 previsti, secondo le ultime cifre disponibili, ndr). Ho visto persone sistemate con materassi nella sala colloqui, così per terra. Dormono lì e sono anche costretti a mangiare per terra. Mi hanno raccontato anche di corridoi in cui la situazione è sempre questa. Con i miei occhi ho visto persino un sottoscala che era stato adattato a cella e in cui si trovavano due persone". Sovraffollamento, condizioni limite: il racconto di Fausto Malucchi si può sovrapporre a quelli degli esponenti politici che in agosto hanno varcato la soglia del Santa Caterina, come hanno fatto il primo del mese Anna Maria Celesti, Roberto Benedetti (consiglieri regionali di Forza Italia e An rispettivamente) e Alessio Bartolomei (capogruppo di Forza Italia in Comune) e, a Ferragosto, Daniela Belliti, consigliera regionale Pd. Nonostante questo, le condizioni di vita in carcere non finiscono al centro della discussione, non diventano oggetto di interrogazioni e interpellanze o, magari, di manifestazioni. "Ma ci dimentichiamo - continua Malucchi - che il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha stabilito in 7 metri quadri le dimensioni minime di una cella e in 4 ore almeno la permanenza quotidiana al di fuori di questa. Se questi limiti vengono oltrepassati, non è più carcerazione ma tortura". Il carcere di Pistoia come le terribili carcere turche del film "Fuga di mezzanotte"? "Di certo - prosegue l’avvocato - c’è che i legislatori continuano a produrre provvedimenti che non fanno altro che riempirle di più, le carceri. I politici non so cosa ci stiano a fare in tutto questo. E anche i magistrati, sulle orme di legislatori come i nostri, sembra certe volte ritengano il carcere come la soluzione alla gran parte dei problemi di criminalità. Invece, in queste condizioni, il carcere non può essere un luogo di recupero, diventa invece un luogo di perdizione". L’emergenza carcere - a Pistoia come altrove - non riguarda solo i detenuti, ma anche le guardie carcerarie, che sono clamorosamente in carenza di organico e devono fare i salti mortali per garantire un minimo di controllo dietro le sbarre. "Bisogna tenere conto poi - conclude Malucchi - che il nostro non è un carcere solo per autori di piccoli reati o carcerazioni preventive. Da noi ci sono collaboratori di giustizia importanti, ci sono degli ergastolani. Una situazione tutt’altro che tranquilla". Reggio Calabria: troppi detenuti e sistemi di allarme fuori uso
Quotidiano della Calabria, 2 ottobre 2009
Troppi detenuti e pochi agenti a San Pietro. Sovraffollamento nella Casa Circondariale di Reggio Calabria, il Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) scrive al Prefetto Francesco Musolino, con una nota a firma del segretario locale Franco Denisi e del delegato regionale Antonio Parrilla, e illustra le problematiche del personale di polizia penitenziaria. Se da un lato, infatti, l’organizzazione sindacale ha più volte segnalato la carenza di personale di polizia penitenziaria, sia maschile che femminile, dall’altro l’attuale sovraffollamento dell’istituto, a confronto con la mancanza di poliziotti penitenziari, costringe questi ultimi a gravosi carichi di lavoro con pregiudizio, secondo il Sappe, per la sicurezza dell’Istituto per l’incolumità degli stessi operatori. I dati forniti dal sindacato parlano chiaro. A fronte di una capienza regolamentare di 160 detenuti, e una capienza massima tollerabile di 260, attualmente i detenuti presenti nell’Istituto sono 290. Delle 199 unità di polizia penitenziaria previste dal decreto ministeriale del 2001, invece, sono presenti in 157. Uno squilibrio, giudica il Sappe, che pregiudica la sicurezza e le condizioni di vita all’interno della struttura, dove "non si può certo garantire la gestione del servizio e assolvere le funzioni di controllo e di recupero sociale con trattamenti intramurali efficienti e funzionali". All’organico della Casa circondariale di Reggio Calabria, prosegue il Sappe, mancano 42 unità, in quanto distaccate in altre sedi. Ciò significa che nella sezione detentiva in cui si trovano 130 detenuti ad alta sicurezza, nel turno notturno presta servizio una sola unità di polizia penitenziaria. Anche all’esterno delle mura, la situazione non migliora. La sorveglianza esterna e perimetrale è affidata a due sentinelle, perché le altre due garitte non sono presidiate per mancanza di personale. Oltre a ciò, il sindacato lamenta che il sistema d’allarme non funziona da parecchi anni, e l’agente addetto alla "sala regia" non può controllare i reparti con la videosorveglianza, perché il sistema è in parte obsoleto e in parte non funzionante. Se accadesse qualcosa a un agente all’interno dei reparti, ipotizza il Sappe, nessuno se ne accorgerebbe. Come se non bastasse, vi sono anche doglianze di natura economica tra il personale di polizia penitenziaria. A causa dell’assegnazione del monte ore di lavoro straordinario all’Istituto per l’anno 2009, non vi sarà la possibilità di pagare il lavoro straordinario per l’anno corrente e alcuni anni precedenti. Vi sono poi ritardi semestrali nei rimborsi dei servizi di missioni per il trasporto dei detenuti, e mezzi usurati ormai da migliaia di chilometri. Il Sappe chiede dunque che l’Amministrazione Centrale fornisca risposte concrete alle problematiche, che sono state più volte evidenziate anche dal provveditore regionale e dal dirigente dell’Istituto. A loro il sindacato riconosce alte capacità dirigenziale e una spiccata sensibilità, doti che insieme al comandante La Cava e al personale tutto, ogni giorno vengono prestate con grande spirito di abnegazione. Treviso: col trasferimento dell’Ipm a rischio 40 posti di lavoro
La Tribuna di Treviso, 2 ottobre 2009
La Cgil mette in guardia contro le ipotesi di trasferimento del carcere minorile di Treviso. Con una nota diffusa dalla Funzione pubblica della Cgil si fa riferimento al lento e graduale lavoro di rapporti col territorio costruito e alla salvaguardia di quaranta posti di lavoro. Nei giorni scorsi, la commissione consiliare sociale di Treviso ha approvato un documento (presentato da Bolzonello, con l’appoggio dell’assessore Michielon), che chiede una risoluzione definitiva all’annosa questione riguardante la nuova sede per l’Istituto Penale per i Minorenni. Il documento si è tradotto in una nota inviata al Ministero della Giustizia nella quale si evidenzia la grande necessità di costruire una nuova struttura oppure l’individuazione di una sede più idonea nel territorio interregionale. Questa seconda ipotesi "rischia - a parere della Cgil - di essere peggiore del problema che intende risolvere. In primo luogo, crediamo non sia un dettaglio da poco conto il fatto che per oltre 40 dipendenti, attualmente in forza all’Ipm, bisognerà trovare una ricollocazione professionale in un altro contesto lavorativo, aspetto questo che al momento non pare di semplice soluzione. Inoltre, chiunque sa quanto sia lunga e faticosa la strada per costruire relazioni tra il carcere e il territorio per consentire ai giovani detenuti di studiare, lavorare, curarsi, reinserirsi in modo proficuo nella società". In questi anni al minorile di Treviso, grazie all’impegno del personale dipendente ed alla collaborazione offerta dal territorio, è stato possibile far sì che la struttura sia una delle più dinamiche e innovative sul piano nazionale. L’eventuale spostamento della struttura fuori città cancellerà in un colpo solo oltre vent’anni di lavoro costringendo tutti, compresi i minori, a ripartire da zero". Dunque il problema del carcere di minorile sta tornando d’attualità. Ancona: a Montacuto attivato corso Sirio per periti elettronici
Vivere Ancona, 2 ottobre 2009
Confermata dalla Direzione Generale dell’Usr la prosecuzione del corso "Sirio" per perito elettronico attivato presso la Casa Circondariale di Montacuto. da Direzione Generale dell’Usr. La Direzione Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per le Marche ha confermato anche per il 2009/10 la prosecuzione del corso "Sirio" per il conseguimento del diploma di perito elettronico attivato presso la Casa Circondariale di Montacuto di Ancona, autorizzando il funzionamento delle classi 4a e 5a. Il corso rientra tra le iniziative avviate dal 1997 in favore della popolazione del carcere anconetano dal Centro territoriale permanente operante presso l’Istituto di istruzione superiore "Volterra-Elia" di Torrette. Il provvedimento ribadisce l’attenzione della Direzione scolastica regionale per un’esperienza di indubbio rilievo sociale e formativo che è venuta crescendo negli anni per numero di detenuti coinvolti, quantità di corsi proposti e attivati e soddisfazione degli interessati, testimoniata dall’alta frequenza alle lezioni. Viterbo: problemi di Polizia penitenziaria trattati in Prefettura
www.tusciaweb.it, 2 ottobre 2009
Nella mattinata di ieri, il Prefetto Giacchetti ha convocato, a seguito di richiesta da parte delle organizzazioni sindacali, un tavolo di discussione al quale hanno partecipato, rappresentanti delle sigle sindacali Sappe, Osapp, Cisl, Uil, Sinappe, Cgil, Uspp, Ugl, Fsa, Cnpp, Siappe, Pierpaolo D’andria, direttore della Casa Circondariale ed il neo direttore generale dell’Ausl di Viterbo Adolfo Pipino. Il Prefetto, nel sottolineare il difficile e delicato compito del Corpo di Polizia Penitenziaria, ha ribadito il sincero apprezzamento per il lavoro che gli operatori sono chiamati a svolgere in un contesto di estrema complessità come quello dell’Istituto di Viterbo. Nel corso della riunione sono state rappresentate le gravi problematiche che caratterizzano l’Istituto, in particolare la nota carenza di personale di circa 130 unità a fronte di una presenza di 700 detenuti, il ridotto servizio di sentinella e non da ultimo il passaggio dalla Sanità Penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale . La Casa Circondariale di Viterbo ha infatti una tipologia di soggetti assegnati, molti dei quali caratterizzati da precarie condizioni di salute (basti pensare alle tipologie infettivologiche e psichiatriche), per le quali è auspicabile il coordinamento di un dirigente a tempo pieno rispetto alle attuali tre ore al giorno prestate e più professionisti ed ore mensili in sede. Assicurazioni su tale aspetto sono state rese dal dott. Pipino. Le parti sindacali hanno ribadito che, nonostante le difficoltà rappresentate, il personale della polizia penitenziaria continuerà a lavorare con immutata abnegazione, ma hanno chiesto espressamente che il Prefetto si renda interprete della difficile realtà carceraria viterbese presso le sedi competenti. Il Prefetto nel ringraziare i presenti e in particolare le parti sindacali per la compostezza con cui hanno rappresentato le aspettative degli agenti, ha assicurato che si farà carico di rappresentare superiormente le citate problematiche, manifestando la propria disponibilità ad un nuovo incontro quando emergeranno concreti elementi di novità al riguardo. Genova: concussione; chiesta sospensione direttore carcere
Secolo XIX, 2 ottobre 2009
Il direttore del carcere femminile di Genova Pontedecimo deve essere sospeso dalle sue funzioni. È questa la richiesta di misura cautelare avanzata dai pm Alessandro Bogliolo e Vittorio Ranieri Miniati nell’ambito dell’inchiesta che vede coinvolto Giuseppe Comparone, direttore della casa circondariale, con l’accusa di concussione. Il giudice per le indagini preliminari, Adriana Petri, ha fissato a metà ottobre l’udienza nella quale verrà sentito Comparone e dopo la quale deciderà se accogliere le richieste dei pm. L’inchiesta è partita lo scorso aprile dopo la denuncia di una detenuta di origini marocchine di 28 anni. La donna ha raccontato di essere stata indotta ad avere rapporti sessuali con agenti penitenziari in cambio di varie agevolazioni. La donna, che godeva del beneficio del lavoro esterno a Genova, è stata trasferita nel carcere di Monza. La vicenda sarebbe venuta alla luce durante gli interrogatori ai quali la detenuta è stata sottoposta per essere rientrata in ritardo in carcere dal lavoro. Libro: "Pena e recidiva", uno studio che illustra il caso italiano
Redattore Sociale - Dire, 2 ottobre 2009
Il 6 ottobre a Torino la presentazione del volume di Giovanni Torrente, che offre una descrizione del fenomeno della recidiva penale in connessione al contesto normativo italiano, con riferimenti specifici all’indulto e alla bontà delle pene alternative. "Pena e recidiva, il caso italiano", di Giovanni Torrente (ed. Unicri) è un volume, di un’apprezzabile brevità, che offre una lucida presentazione del fenomeno della recidiva penale in connessione al contesto normativo italiano. Di quest’ultimo è fornita anche un’utile retrospettiva, a partire dalla valutazione originaria nel Codice Rocco fino ai giorni nostri, con l’intermedia riforma del 1974 che ampliò l’area d’intervento valutativo del giudice e poi la legge n. 251 del 2005 "ex Cirielli" che ha ridefinito il trattamento penale e penitenziario dei recidivi in termini più rigidi. L’opera, che verrà presentata a Torino presso il Centro Documentazione Unicri, Vieira de Mello Building, alle ore 17.30 del 6 ottobre, risulta particolarmente attenta su più fronti: il problema di definire giuridicamente la recidiva (sia per lavorare sui dati in maniera congrua che per valutare le conseguenze concrete nel contesto applicativo della legge penale); la considerazione dell’approccio al fenomeno in altri Paesi; il vaglio delle tendenze in una rassegna sulle ricerche empiriche riguardo l’argomento. Parte dello studio si incentra poi sulla relazione tra recidiva e l’indulto del 2006 e su interessanti approfondimenti connessi ai dati relativi alla nazionalità dei recidivi (non è vera la percezione che gli stranieri abbiano un tasso di recidiva più elevato degli italiani); all’area geografica di appartenenza (con l’emersione del dato più consistente in rapporto alla grandezza dell’area urbana di riferimento) e, in particolare, alla situazione piemontese. Ma cosa è emerso? Dati incontrovertibili dimostrano che la recidiva ricorre maggiormente quando il reo non ha fruito nella precedente detenzione di misure alternative al carcere; il tasso di ricaduta è maggiore per le persone che hanno già sperimentato più di una detenzione; sulle conseguenze dell’indulto del 2006, non emergono gli estremi di un aumento dell’insicurezza perché la tendenza alla recidiva non ha subìto un effettivo aumento, tale da ricollegarsi alla precipua scarcerazione dei detenuti beneficiari di quella legge. "Il primo dato da sottolineare è la differenza rilevante fra pena detentiva e misure alternative alla detenzione" ha rimarcato Claudio Sarzotti, curatore del lavoro e attivo con l’Autore nell’esperienza dell’Osservatorio Antigone, associazione presente dagli anni ‘80 sul fronte dei diritti e delle garanzie in diritto e nell’esecuzione penali. Rispetto alla recidiva degli indultati, Sarzotti ha comparato le percentuali di coloro che hanno scontato la pena in carcere e coloro che hanno usufruito di misure alternative alla detenzione. "Il risultato più eclatante è che la percentuale di recidiva per coloro che hanno scontato la pena in carcere è molto più elevata rispetto a chi ha avuto misure alternative, che funzionano molto meglio, evidentemente, rispetto alla pena detentiva. A 5 anni dalla chiusura della pena, l’80% di coloro che hanno scontato la pena in carcere, vi fa ritorno (e questo dimostra il fallimento della funzione rieducativa del carcere), a fronte di un 20% delle misure alternative". Perché un libro di questo tipo, in questo momento gli abbiamo chiesto. "Il libro - risponde Sarzotti - nasce in occasione della ricerca di Antigone. Ma l’indulto è stata una grande occasione mancata per il nostro sistema penale: con esso ci fu un calo vertiginoso delle presenze in carcere, oltre del 50% in poco più di un mese, e lo scopo era quello di servire non solo come misura emergenziale per fare fronte al sovraffollamento, ma come strumento per mettere a punto una nuova politica criminale, cioè un utilizzo minore della pena detentiva carceraria e uno maggiore delle misure alternative. Questo non è successo, anzi si è andati nella direzione opposta: verso un utilizzo maggiore della detenzione con un incremento vertiginoso dell’utilizzo della pena detentiva, tant’è vero che siamo tornati nel giro di pochi mesi ai numeri precedenti all’indulto" un indulto che voleva in qualche modo, aggiunge Sarzotti, risolvere la questione della violazione dei diritti umani dovuta al sovraffollamento. Altro pregio del libro è che sottolinea come la ricerca sui dati possa rivelare aspetti della realtà non sempre noti o comunque non sempre considerati, richiamando, con un linguaggio accessibile, alla necessità di incrementare consapevolezza e coscienziosità nell’ambito delle politiche penali e penitenziarie al fine di una gestione più funzionale dell’esecuzione penale. Immigrazione: i Cie saranno la prossima emergenza nazionale di Andrea Onori
Periodico Italiano, 2 ottobre 2009
Il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni ieri, 30 settembre, scriveva che "da tre giorni 114 immigrati del Cie di Ponte Galeria sono in sciopero della fame per protestate contro le norme anti immigrazione del governo, soprattutto quella che prevede l’allungamento a sei mesi della permanenza nei Centri di clandestini". Marroni dichiara che all’interno del centro ci sono 242 persone, 129 uomini e 113 donne. Gli operatori del Garante hanno riportato che ieri sera gli immigrati in sciopero della fame hanno sigillato le serrature dei cancelli e lanciato oggetti contro gli operatori della Croce Rossa. Un immigrato quarantenne che non voleva partecipare allo sciopero della fame è stato colpito ad una spalla e costretto a ricorrere alle cure dei medici. Come hanno denunciato più volte le associazioni umanitarie gli ex CPT, sono luoghi dove richiedenti asilo, migranti, tossicodipendenti e ex carcerati con condanne di omicidio e stupro condividono la stessa quotidianità, nonostante i loro differenti bisogni. Questa realtà ci fa ben capire che il Cie non è altro che un estensione del sistema carcerario dove convivono normali lavoratori irregolari e persone uscite da anni di carcere in cui hanno appreso le regole carcerarie. Questo crea frequentemente problemi di convivenza tra reclusi. Nei nostri occhi viene vista una sola etichetta, senza pensare e riuscire a capire che ci sono varie facce dei reclusi all’interno dei centri di detenzione. Questi episodi dimostrano palesemente il disagio e la tensione che si respira all’interno del centro di Ponte Galeria. Marroni ha detto: "Ormai anche a Ponte Galeria è arrivata questa tensione, che si respira da giorni nei Cie di tutta Italia" aggiungendo, "È evidente che la norma che prevede un periodo massimo di permanenza nel Cie di 180 giorni sta trasformando questi Centri in vere e proprie carceri. Se continua così saranno i Cie e le carceri la prossima emergenza nazionale". Droghe: movimento per la "liberazione" dei tossicodipendenti di Franco Corleone (Forum Droghe)
Terra, 2 ottobre 2009
Nel mese di agosto il mondo delle carceri, un’umanità abbandonata e disperata, ha fatto sentire la propria voce con una serie di proteste civili e non violente per denunciare una condizione di vita da animali. Il silenzio del governo e dell’amministrazione penitenziaria è stato assordante, tranne alcune dichiarazioni ridicole per rilanciare un impossibile piano di edilizia carceraria per il fantomatico 2012. Nessun progetto di miglioramento anche minimo delle condizioni di vita quotidiana, per assicurare il rispetto della legge e del regolamento penitenziario, è stato attivato. Il quadro è invece allucinante: diminuiscono le risorse per il lavoro, il cibo è scadente, si negano le telefonate agli stranieri, la presenza degli educatori è scarsa e le attività trattamentali languono. Intanto in carcere si continua a morire, per suicidi o decessi senza senso. Il compito che il Dap affida alle direzioni delle carceri si può riassumere in due parole: "piano sardine". Li si impegna a individuare ogni metro quadrato libero per accatastare brande e materassi. Pare proprio che si aspetti una vera rivolta o un episodio di violenza per giustificare l’emergenza repressiva e un fondo speciale per fare affari sulla pelle dei più deboli, con una nuova stagione di carceri d’oro. Anche il mondo che contesta la politica del governo sulla giustizia si è limitato, in questi mesi, a deprecare il sovraffollamento e le sue conseguenze, ma quasi assistendo passivamente alla catastrofe annunciata. Da oggi, con il documento "Le carceri scoppiano: liberiamo i tossicodipendenti", si volta pagina e si cambia registro. Con il sostegno di personalità come don Ciotti, Sandro Margara e don Gallo, la rete della società civile presenta un vero piano carcere per diminuire il numero dei detenuti e restituire alla pena il senso voluto dalla Costituzione. Innanzitutto denunciamo lo scandalo della legge sulla droga che porta sempre più tossicodipendenti in carcere, nel 2008 addirittura il 25% in più, per cui si sono superate le 30mila unità. Carlo Giovanardi, autore della legge, si lava la coscienza ripetendo come una litania che i tossici non devono stare in carcere. Lo sfidiamo sul terreno dei fatti. Sappia il nostro zar antidroga che non dormirà sonni tranquilli perché l’ombra di Banco imperverserà su di lui. Pretendiamo dal governo lo sblocco delle risorse della Cassa ammende (sono soldi dei detenuti!) per "pane e lavoro". Esigiamo un tavolo con Regioni, Sert, comunità, volontariato e magistratura di sorveglianza per applicare la legge sugli affidamenti per i tossicodipendenti e potenziare le misure alternative. Il movimento è partito. Droghe: se le carceri scoppiano… liberiamo i tossicodipendenti
Redattore Sociale - Dire, 2 ottobre 2009
È l’appello lanciato al governo da Forum droghe, Antigone, Coordinamento nazionale dei garanti dei diritti dei detenuti, Gruppo Abele e altre associazioni e comunità di recupero. "Chiediamo solo a Giovanardi di applicare la sua legge". Un appello al sottosegretario di Stato Carlo Giovanardi affinché vengano potenziate le misure alternative alla detenzione che permettono ai tossicodipendenti di uscire dal carcere. Non si tratta di un piano "sovversivo", né di nulla di nuovo, ma semplicemente di applicare "la sua legge sulle droghe - la Fini-Giovanardi per l’appunto - che prevede l’affidamento speciale per i tossicodipendenti la cui pena (inflitta o residua) non sia superiore a 6 anni", spiega Franco Corleone del Forum Droghe che, insieme ad Antigone, al Coordinamento nazionale dei garanti dei diritti dei detenuti, al Gruppo Abele, all’Arci, alla Società della ragione, a Ristretti orizzonti, alla comunità San Benedetto al Porto e alla Conferenza nazionale volontariato e giustizia, si è fatto promotore dell’appello "Le carceri scoppiano: potenziamo le misure alternative, liberiamo i tossicodipendenti". Come dire: un titolo provocatorio ma che fotografa un problema reale e offre una soluzione prevista dalla legge. "Il sovraffollamento delle carceri non è un fatto normale: è una scelta voluta dal governo", continua Corleone. A essere chiamate in causa - secondo i promotori dell’appello - sono "la legge Fini-Giovanardi sulle droghe, quella sull’immigrazione, la legge Cirielli sulla recidiva e i reati di poco conto" come il reintrodotto oltraggio a pubblico ufficiale. "La legge sulle droghe, da sola, riempie la metà dei penitenziari italiani - spiega Corleone -: nel 2008, stando ai dati forniti dalla relazione al Parlamento di Giovanardi, su 92.800 ingressi in carcere ben 30.500 erano tossicodipendenti. Si devono poi aggiungere altre 26.900 persone detenute ai sensi del dpr 309/90, ossia il Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti, per un totale di circa 57.000 detenuti per motivi legati alla tossicodipendenza. Di questi, almeno 10.000 rinchiusi potrebbero usufruire dell’affidamento speciale" previsto dalla legge. In Italia i beneficiari delle misure alternative "si sono ridotti di un quinto: erano 50 mila nel 2005 e oggi sono solo 10 mila", dice Sandro Margara, presidente della Fondazione Michelucci ed ex capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. E pensare che, "con l’affidamento speciale, i casi di recidiva nei tossicodipendenti calano dall’80% al 30%", commenta Stefano Regio del Cnca (Coordinamento nazionale comunità d’accoglienza). Ma non è solo una questione di sovraffollamento: è anche una questione di carenza di organico, di consenso sociale e soprattutto di costi. "Si parla tanto di costruire nuove prigioni ma la risposta non è quella: 10 mila detenuti tossicodipendenti in carcere costano allo Stato 475 milioni di euro contro i 180 milioni di euro che costerebbero in una comunità di recupero", dice Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. "Con la stessa cifra si costruirebbero al massimo tre penitenziari che darebbero spazio a circa 600 detenuti, ma nel 2019 (dieci anni è il tempo medio per costruire una prigione)", fanno sapere i promotori dell’appello. L’appello, presentato oggi alla Camera dei deputati, è stato sottoscritto finora da una trentina di persone tra cui don Ciotti, don Gallo, lo scrittore Sergio Segio (ex Lotta continua), alcuni esponenti della Cgil e del Cnca. Ma ad ascoltare le ragioni dei promotori c’erano anche gli onorevoli Lanfranco Tenaglia (Pd), Roberto Rao (Unione di centro), Federico Palomba (Idv) e il presidente dei Radicali italiani Bruno Mellano. Per adesioni: www.fuoriluogo.it. Droghe: Giovanardi; ma legge colpisce soltanto gli spacciatori
Redattore Sociale - Dire, 2 ottobre 2009
Il sottosegretario risponde alle critiche rivoltegli da Antigone: "Danno dati a casaccio: la legge è equilibrata e colpisce solo gli spacciatori. Nessuno è in carcere solo per consumo". Straniero un terzo degli spacciatori. "Non un solo consumatore di droga è finito il carcere per il solo fatto di aver fatto uso di sostanze stupefacenti: chi va in carcere ci va per aver commesso un qualche reato. Fra questi aumenta il numero degli spacciatori: un terzo del totale è straniero e si tratta in particolare maghrebini e albanesi che operano nelle regioni del nord". Così il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle tossicodipendenze Carlo Giovanardi illustra la situazione delle carceri italiane e risponde alle critiche che gli sono state mosse quest’oggi nel corso della presentazione del Rapporto sul carcere redatto da Antigone. Il giudizio del sottosegretario è netto: "Antigone, come al solito, dà dati a casaccio". Secondo i numeri presentati oggi da Giovanardi - e che in parte aggiornano quelli resi noti da Antigone - nel 2008 i soggetti che complessivamente, cioè per qualsivoglia fattispecie di reato, sono transitati in carcere sono stati 92.800, con un incremento del 2,6% rispetto a quelli del 2007 (90.441). Di questi, ben il 33% (cioè 30.528) erano tossicodipendenti, con un incremento del 25,3% rispetto all’anno precedente, quando i tossicodipendenti in carcere erano stati 24.371. "Non si tratta di persone in carcere perché tossicodipendenti - precisa però Giovanardi - ma di persone in carcere perché coinvolte in reati e che risultavano, poi, anche consumatori di droghe". Forniti anche i dati sugli arresti per spaccio: nel 2007 - secondo quanto riferito da Giovanardi - erano stati 27.490, mentre nel 2008 sono stati 28.522, con un aumento dovuto in gran parte agli stranieri. Nel 2007 gli stranieri segnalati all’autorità giudiziaria erano stati 10.666, nel 2008 sono stati 11.406, cioè il 32,5% del totale". "Facendo le adeguate proporzioni sulla popolazione generale, è evidente che un numero straordinariamente alto, circa un terzo di chi viene arrestato per spaccio, è straniero: in particolare l’aumento si nota nelle regioni del nord e riguarda soprattutto albanesi e maghrebini, comunità che in cui evidentemente c’è una specializzazione verso lo spaccio". "In questo contesto - spiega Giovanardi - è evidente che l’aumento del numero delle persone che entra in carcere in base all’art. 73 del Testo Unico è dovuto ad un aumento del contrasto agli spacciatori". E dunque tale incremento rappresenta una "buona notizia", e sbaglia Antigone invece a interpretare questo dato come un aumento del numero di semplici consumatori che entrano in carcere. Del resto, continua Giovanardi, "non un solo giovane è finito in carcere per il solo consumo: a tre anni dalla legge (la Fini-Giovanardi) non si è visto uno solo degli sconvolgimenti che erano stati previsti, con decine di migliaia di giovani che finivano in carcere semplicemente perché consumavano uno spinello". E anzi, "continuo a chiedere a chiunque registri un solo caso in cui un giovane va in carcere solo perché consumatore di droghe di segnalarmelo al più presto: per il momento, nessuno lo ha mai fatto. Encefalogramma piatto". Per il sottosegretario la normativa è "equilibrata perché colpisce giustamente gli spacciatori, concedendo anche la possibilità di misure alternative che purtroppo non vengono sfruttate adeguatamente: quanto poi ai soggette che commettono furti, rapine, stupri e altri reati e che sono anche tossicodipendenti, è evidente che sono in carcere per aver commesso quei reati, e non per il fatto di essere dei consumatori. Non si può - conclude Giovanardi - darne la responsabilità alla legge sul contrasto delle droghe". Droghe: a Napoli, contro i reati e i decessi, si cercano soluzioni
Redattore Sociale - Dire, 2 ottobre 2009
Esperti e associazioni riuniti per affrontare il problema in uno dei territori che registra il numero più alto di decessi per il consumo di eroina legati a comportamenti devianti. Nel 2008 in Campania le morti connesse all’abuso di stupefacenti sono state 71. Arriva da Napoli l’invito a ridefinire i modelli interpretativi e di intervento sulle dipendenze e per la sicurezza urbana. A lanciarlo esperti, docenti e rappresentanti istituzionali nel corso di un dibattito pubblico organizzato nel capoluogo campano dal Dipartimento di Farmacodipendenze della Asl Napoli 1 Centro, in collaborazione con il gruppo di imprese sociali Gesco e alcune associazioni del territorio. Al centro del confronto, a cui ha partecipato anche lo psichiatra Ambros Uchtenhagen, consulente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, i rischi legati al consumo di droghe e dell’insicurezza urbana in uno dei territori che registra il numero più alto di decessi per il consumo di eroina e molti reati sono causati dai comportamenti devianti connessi all’abuso di sostanze. Nel 2008 in Campania, secondo il rapporto annuale della Direzione centrale per i servizi antidroga (Dcsa), i casi di decesso connessi all’abuso di stupefacenti sono stati 71 (in diminuzione comunque rispetto ai 112 casi del 2007), il 14,17% del totale nazionale, la maggior parte dei quali (37) si è verificata a Napoli. Per quanto riguarda gli accessi al Servizio Tossicodipendenze, secondo l’Osservatorio per le dipendenze della Regione Campania, gli utenti presi in carico dai Sert nel 2008 sono più di 24mila, di cui solo una minima parte di donne; l’eroina rimane la sostanza più diffusa (15.645), segue la cocaina (3.754); i trattamenti con metadone sono stati 13.192, quelli con farmaci sostitutivi 2.503. Hanno fatto ingresso in comunità nell’anno 2008 1.945 persone, il 10% in meno rispetto all’anno precedente. Per il resto, in Campania si confermano i trend nazionali: altissima la percentuale di consumatori di cocaina tra i giovani e gli adolescenti. Proprio considerando l’aumento costante nel nostro paese di consumo di droghe ed alcool tra i giovanissimi in luoghi simbolo come discoteche o rave party dove serpeggia anche una certa confusione tra sostanze legali ed illegali, induce a pensare che sia necessario ridefinire le caratteristiche della comunicazione, della sicurezza ma sopratutto della dipendenza sulla base dei nuovi stili di consumo urbani. "Non è più la dipendenza il paradigma, ma gli stili di consumo - ha sottolineato Stefano Vecchio, direttore del Dipartimento Farmacodipendenze dell’Asl Napoli 1 Centro - Oggi c’è una visione sempre più mercantile delle droghe, si consuma anche se non si è tossicodipendenti e anche in un contesto di piena integrazione sociale, senza motivi reali di disagio". La risposta della Svizzera a tutto questo sta nella "somministrazione controllata" dell’eroina, in stanze del consumo dotate di siringhe sterili, grazie all’aiuto di operatori specializzati. "Repressione, prevenzione, trattamento e riduzione del danno - ha spiegato il direttore del Dipartimento di Psichiatria Sociale all’Università di Zurigo Ambros Uchtenhagen - sono i quattro pilastri di una politica fondata sulla perfetta sintonia tra stato, forze dell’ordine, ospedali, operatori sociali, che dal 1991 hanno capito, anche grazie al ruolo di sollecitazione svolto dai mass media, che solo dialogando tra di loro avrebbero potuto ottenere risultati". Tanti gli effetti positivi di questa sperimentazione: la riduzione del 50% nel consumo di eroina; il calo significativo di comportamenti devianti e criminali; la diminuzione del rischio di contrarre l’Hiv per via endovenosa. Resta da capire come questo modello sia applicabile anche da noi. Canada: detenzione "preventiva" per terroristi, costi alle stelle
Apcom, 2 ottobre 2009
Sessanta milioni di dollari in due anni per cinque sospettati di terrorismo. Sono queste le cifre fornite ieri dal Globe and Mail sul programma di detenzione preventiva messo in atto all’indomani dell’undici settembre da Ottawa nella speranza di sbarazzarsi dei sospetti terroristi nel Paese. Secondo quanto riferito dal quotidiano, i soldi sono stati usati per finanziare azioni legali contro cinque uomini detenuti in base ai certificati di sicurezza. Certificati che hanno dato vita a cinque casi di alto profilo in tribunale prima di diventare obsoleti. Mercoledì un giudice della Corte Federale ha formalmente annullato quello contro Adil Charkaoui, dopo che lo Csis ha detto di non poter provare le proprie accuse contro il cittadino di Montréal con origini marocchine per questioni legate alla sicurezza nazionale. Charkaoui, per parte sua, sta ora pensando alla possibilità di avviare una causa multi milionaria al governo canadese per i sei anni passati in custodia e sotto sorveglianza da parte dell’autorità. Nel frattempo a Ottawa si discute se i risultati dei certificati di sicurezza valgano il prezzo pagato dai contribuenti canadesi.
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