Rassegna stampa 30 marzo

 

Giustizia: mai così tanti detenuti… un "successo" del governo!

di Luigi Manconi (Presidente dell’Associazione "A Buon Diritto")

 

Ristretti Orizzonti, 30 marzo 2009

 

Mai così tanti detenuti. Tra gli "straordinari successi" rivendicati dal proprio governo, Silvio Berlusconi si è dimenticato di citare il dato relativo ai detenuti: in coincidenza con l’apertura del Congresso di fondazione del Popolo della Libertà, nelle carceri italiane la popolazione detenuta ha raggiunto le 61.200 unità. Mai così tanti detenuti nella storia d’Italia.

Questo senza che il Governo, nonostante le promesse fatte e le bugie dette abbia creato un solo posto in più. Quelli messi a disposizione, infatti, sono il risultato delle politiche del governo Prodi. È un po’ come la storia degli sbarchi: dopo che, nel luglio 2008, un Sottosegretario leghista aveva solennemente affermato: "gli sbarchi sono già diminuiti", siamo in presenza dell’incremento maggiore verificatosi nell’ultimo decennio. In altre parole la politica del governo sul carcere e quella sull’immigrazione fa acqua da tutte le parti.

Giustizia: Uil; le carceri sono una polveriera pronta a esplodere

 

Il Velino, 30 marzo 2009

 

"Forse non si è ben compresa la complessità, la gravità e la vera portata della crisi che attraversa il sistema penitenziario italiano". Lo dice in un comunicato l’Unione italiana lavoratori - Pubblica amministrazione Penitenziari (Uil Pa penitenziari). "Sul punto, infatti - si legge nel testo -, registriamo un silenzio tanto assordante quanto innaturale, eppure questa emergenza attiene direttamente alla civiltà del sistema paese. O forse si preferisce volgere lo sguardo altrove per non vedere ciò che offende la coscienza di ogni persona civile".

Secondo Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa, "oramai non siamo solo più nelle condizioni di preoccuparci sulla tenuta del sistema ma dobbiamo cominciare a porci l’interrogativo sul come far fronte all’inevitabile ondata di proteste, se non vere e proprie rivolte, che si manifesterà con l’avvento della prossima stagione estiva.

Noi crediamo che sia giusto informare e denunciare che, oggi, il personale penitenziario non è in grado di poter reggere il prevedibile urto. Per dirla in breve l’emergenza penitenziaria non è più solo una emergenza sociale ma è una vera emergenza sul fronte dell’ordine pubblico". "Alle 17 di ieri - ha spiegato Eugenio Sarno segretario generale della Uil Pa - il dato delle presenze detentive assommava a 60.969 unità (58.331 uomini e 2.638 donne) a fronte di una capienza regolamentare di poco superiore ai 43.000 posti.

Questo continuo ammassare persone all’interno di strutture penitenziarie, molte delle quali obsolete e fatiscenti, determina condizioni di inciviltà inenarrabili. L’esaurimento dei posti letto, l’ozio forzato, l’inadeguatezza strutturale, la mancanza di spazi fruibili aggrava anche le già precarie condizioni igienico-sanitarie. Il trend degli ingressi, con un incremento medio mensile pari a 800 unità, ci porterà a superare quota 63.000 entro il prossimo giugno.

Allora l’attuale collasso si trasformerà in esplosione con le debite, immaginabili, conseguenze. La calma apparente e la mancanza di proteste all’interno delle nostre prigioni sono la prova provata del fuoco che cova sotto le ceneri; è la storia penitenziaria ad insegnarcelo. Com’ è la stessa storia a dirci che in taluni momenti di particolare criticità la criminalità organizzata non perde occasione per gestire e coordinare le proteste e le sommosse. Pur avendo la necessarie professionalità al suo interno l’amministrazione penitenziaria rischia di arrivare impreparata e disorganizzata ad una stagione che si preannuncia torrida".

"Non è la prima volta - ha sottolineato il segretario Uil Pa Eugenio Sarno - che rivolgiamo appelli bipartisan perché la politica presti attenzione al problema in chiave preventiva. Ne discutano e trovino le soluzioni necessarie perché nell’immediato si disinneschi questa bomba pronta a deflagrare. Non è certo con il piano-carceri, pur necessario per l’ammodernamento delle strutture, che si risolvono le attuali difficoltà e criticità.

È una questione di dignità e di civiltà che va risolta anche per via legislativa. Come dimenticare, ad esempio, che ad oggi sono 57 (56 donne e 1 uomo) le persone detenute che hanno con loro bimbi in età inferiore ai tre anni. Bambini costretti, dunque, ad una detenzione ingiusta ed infame. La patria di Cesare Beccaria non può consentire questo scempio del diritto e della dignità. L’annunciata riforma della giustizia non potrà eludere tali cogenti aspetti.

Analogamente vanno individuate risposte normative al blocco del turn-over per il personale penitenziario. Vogliamo sperare - ha concluso il segretario generale Uil Pa, Sarno - che il ministro Alfano sappia far prevalere le ragioni del buon senso e delle reali necessità e convincere i ministri Brunetta e Tremonti a rimuovere gli ostacoli burocratici ed economici perché si possa, finalmente, garantire l’assunzione dei circa 400 educatori penitenziari e l’implementazione degli organici della polizia penitenziaria, che lo stesso ministero della Giustizia ha quantificato in circa 5.000 unità le deficienze attuali. Intanto a normativa vigente per i prossimi pensionamenti (circa 800 nel 2009) sono previste solo un centinaio di assunzioni e per giunta solo dal prossimo anno".

Giustizia: Sappe; più pene alternative, o presto 70.000 detenuti

 

Comunicato stampa, 30 marzo 2009

 

Signor Presidente del Consiglio, Signor Ministro della Giustizia,

il 29 marzo scorso la capienza delle 206 strutture penitenziarie del Paese (161 Case Circondariali, 38 Case di Reclusione e 7 Istituti per le misure di sicurezza) ha registrato la presenza di 61.202 detenuti.

Una numero allarmante, considerato che la capienza regolamentare degli istituti è pari a 43.182 mentre quella tollerabile (che è, sostanzialmente, il mettere due - tre persone laddove dovrebbe starcene una sola) è 63.616 posti. Cifra, quest’ultima, che in un paio di mesi non solo sarà sicuramente superata ma che ragionevolmente si eleverà all’allarmante numero di 70.000 (settantamila!) detenuti presenti nelle carceri italiane entro la fine di quest’anno. Detenuti che potrebbero diventare 100.000 (centomila!) in poco più di tre anni, se non viene invertito il trend dei crescita dei ristretti.

Il 31 agosto 2006, ad esempio, avevamo 38.847 detenuti che, lo stesso giorno del 2008, erano aumentati a 55.831. Ben 17.000 (diciassettemila!) detenuti in due anni. Tutto ciò va a discapito delle condizioni detentive in linea con il dettato costituzionale previsto dal terzo comma dell’articolo 27 e delle condizioni lavorative delle donne e degli uomini del Corpo che lavorano nella prima linea delle sezioni detentive. Un Corpo, quello di Polizia penitenziaria, in cui si registrano carenze di organico pari a oltre 5.500 unità.

Alla luce di questi numeri, si converrà che la questione generale del sovraffollamento penitenziario non può trovare esclusiva risposta nello sviluppo dell’edilizia, come recentemente previsto nel decreto c.d. "milleproproghe" che ha individuato Commissario straordinario ad hoc l’attuale Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta.

Non può trovare esclusiva risposta nello sviluppo dell’edilizia per i tempi lunghi di esecuzione dei lavori e soprattutto per la carenza di risorse umane - di Polizia penitenziaria e del Comparto Ministeri - da impiegare.

A nostro avviso è necessario individuare risorse per prevedere nuove assunzioni nel Corpo - eventualmente rimuovendo gli ostacoli legislativi che impediscono di bandire concorsi nazionali per specifiche sedi regionali - e rimodulare il complessivo sistema sanzionatorio del Paese.

Era da quel provvedimento di indulto del 2006 (del quale usufruirono 27.472 detenuti) che si sarebbe dovuto ripartire. Ma il mondo della politica - e chi allora governava il Paese - ha colpevolmente perso quell’occasione per porre interventi strutturali in materia penitenziaria. Ed oggi siamo esattamente nelle stesse condizioni che determinarono quel provvedimento legislativo. Crediamo allora che si debba concretamente percorrere una nuova politica della pena che, differenziando arrestati e condannati a seconda del tipo di reato commesso in una logica di riorganizzazione dei circuiti penitenziari, preveda una maggiore espansione dell’esecuzione penale esterna (ossia il sistema delle misure alternative, che può essere incentivata offrendo garanzie di sicurezza credibili sia dal giudice che le dispone sia dalla stessa collettività) e l’impiego della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) con compiti di controllo.

E’ da qui, a nostro avviso, che si dovrebbe ricostruire il sistema penitenziario italiano. Ma è opportuno farlo in fretta, vista la costante crescita esponenziale di detenuti. Ci auguriamo che il Governo voglia e sappia raccogliere questa sfida di civiltà. Certo di un Vostro riscontro, porgo cordiali saluti.

 

Il Segretario Generale

Dott. Donato Capece

Giustizia: i Garanti; serve modificare le leggi, non Piano carceri

 

Il Velino, 30 marzo 2009

 

"Una delegazione del Coordinamento dei Garanti delle persone private della libertà personale istituiti a livello comunale e provinciale ha incontrato venerdì scorso 27 marzo il Vicecapo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo".

"I Garanti hanno espresso soddisfazione per la recente modifica dell’art. 67 O.P., che prevede per gli stessi l’accesso agli istituti penitenziari senza previa autorizzazione, come il Coordinamento dei Garanti aveva già richiesto nella passata legislatura al fine di consentire alle figure di garanzia di svolgere il proprio ruolo in autonomia e pari dignità rispetto all’amministrazione penitenziaria.

Nell’incontro i Garanti hanno sottolineato il loro costante impegno nella difesa delle persone detenute, ma hanno espresso grave preoccupazione per il tasso crescente di carcerizzazione e per l’assenza di un progetto di riforme legislative capaci di incidere sulle cause della attuale sovraffollamento, a cominciare dalla ormai dimenticata riforma del codice penale, sino alla modifica delle leggi sull’immigrazione, sulla recidiva e sulla droga, ridimensionando la centralità della risposta penale a qualunque trasgressione, anche non lesiva di interessi primari, e della pena detentiva come unica risposta sanzionatoria adeguata.

I Garanti hanno espresso contrarietà al piano governativo che prevede la costruzione di nuove carceri, se non nei casi in cui ogni intervento di ristrutturazione risulti vano, ritenendo che questa non sia la risposta adeguata al problema del sovraffollamento, anche in ragione di una crescente carenza di personale (educatori, psicologi, agenti di polizia penitenziaria), che rischia di ulteriormente acuirsi in presenza di nuovi istituti sino a vanificare il mandato costituzionale sia per quanto riguarda la finalità della pena sia per l’inammissibilità di trattamenti detentivi inumani e degradanti.

I Garanti chiedono invece che venga data piena attuazione al regolamento penitenziario del 2000, ampiamente disatteso, soprattutto per quanto riguarda le condizioni igienico-sanitarie dei luoghi di detenzione, che venga privilegiata la custodia attenuata, con riferimento alla popolazione femminile e gran parte di quella maschile, composta da tossicodipendenti, persone in stato di disagio sociale e di salute fisica e mentale ,stranieri senza radicamento sul territorio, e comunque autrice di reati che richiedono una risposta adeguata e risocializzante, che vengano superati gli ospedali psichiatrici e la case di cura e custodia, che venga effettuato il massimo sforzo per dare effettività al passaggio della medicina penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, che venga incrementato in modo significativo il lavoro all’interno del carcere.

I Garanti hanno espresso preoccupazioni in merito alla destinazione dei fondi della Cassa delle Ammende a progetti di edilizia penitenziaria, e hanno chiesto che venga rispettata la destinazione ancora presente relativa a progetti per creare opportunità di inserimento lavorativo e miglioramento complessivo delle condizioni di vita dei detenuti, ricevendo assicurazione di particolare attenzione al tema del lavoro intramurario da parte del Dap.

L’incontro è stato positivo per la disponibilità ad una comune riflessione e per la volontà dimostrata dal Vicecapo del Dipartimento di accogliere anche le indicazioni di criticità provenienti dai territori che vedono già operanti i Garanti".

Giustizia: protesta Psicologi Penitenziari in attesa di assunzione

 

Il Velino, 30 marzo 2009

 

Si sono dati appuntamento a Roma, a tre anni esatti dalla conclusione del concorso indetto dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap). Verranno da tutta Italia i 39 psicologi vincitori del concorso, dimenticati e trattati come fantasmi, per incatenarsi domani martedì 31 marzo davanti al ministero della Giustizia in piazza Cairoli e mercoledì 1 aprile davanti a Montecitorio con l’obiettivo di ricordare la loro esistenza alle istituzioni e reclamare il proprio diritto all’assunzione. Lo si apprende da un comunicato stampa.

Da quando è stata pubblicata la graduatoria dei 39 vincitori sul Bollettino ufficiale del ministero della Giustizia il 15 settembre 2006, al termine di un lungo iter selettivo protrattosi da novembre 2004 ad aprile 2006 per ricoprire il ruolo di psicologo penitenziario nelle carceri italiane, su di loro è sceso il silenzio. Sono stati ignorati, sballottati da un’istituzione all’altra con il trasferimento della medicina penitenziaria dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale stabilito con Dpcm del 1 aprile 2008.

Eppure - continua il comunicato - il concorso in questione era stato bandito per far fronte ad accertata necessità di assistenza psicologica più volte denunciata dagli istituti penitenziari e dagli oltre 400 psicologi di cui si avvale il ministero della Giustizia da più di 30 anni con contratti di consulenza esterna il cui costo, come riportato sui siti della Funzione pubblica (relativi agli anni 2006-2007) ammonterebbe a circa un milione di euro annui.

I 39 manifestanti chiedono che il ministero della Giustizia trovi i fondi anche per loro. Invece nel più assoluto spregio dei valori fondanti la nostra Repubblica e sanciti nella Costituzione, i vincitori di concorso continuano ad essere confinati a casa, con dispendio di energie, professionalità e nonostante il lavoro dello psicologo dia un contributo sociale rilevante ai fini della prevenzione del rischio di recidiva.

Giustizia: stupro Caffarella Racs; è innocente, ma senza lavoro

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 30 marzo 2009

 

È durato il tempo di una fiaba la promessa di lavoro per Karol Racs, il romeno innocente marchiato col soprannome di "faccia da pugile", accusato senza uno straccio di prova d’essere stato uno degli stupratori della Caffarella e poi a catena di una seconda violenza sessuale, finché il dna ha detto che gli autori erano altri. Lui aveva sempre negato, indicando persone e luoghi dove aveva passato la serata. Ma le sue parole erano scivolate via come il vento. Non solo non lo credevano ma nemmeno lo ascoltavano. Invece l’hanno preso a botte. Sta scritto nei referti medici stilati all’ingresso in carcere.

Tutti sanno cosa è veramente successo. Nelle redazioni e in tribunale la voce corre. I dettagli passano di bocca in bocca. Ma nessuno pronuncia la parola giusta, quell’unica parola che direbbe tutto e spiegherebbe tante altre cose, per esempio la confessione estorta all’altro protagonista della vicenda, Alexandru Loyos Isztoika, il "biondino". Quella parola che nemmeno esiste nel nostro codice penale. Fatto quasi unico: il reato di tortura non c’è, non perché non esiste il comportamento criminale che lo caratterizza ma perché manca la qualificazione giuridica che lo definisce. Come a dire che la "banca rotta fraudolenta" non esiste, non perché gli imprenditori non scappano con il malloppo ma perché non è previsto il reato che la persegue. Giochi di prestigio, assoluzioni preventive degli apparati.

Racs, dunque, doveva essere il perfetto colpevole con quella faccia lombrosiana segnata da una vita difficile. Orfanatrofio, lavori umili, espedienti, mai reati però. Anonimo tra gli anonimi che affollano le file degli umiliati e offesi. All’uscita dal carcere l’hanno rimesso a nuovo: vestiti, una Mercedes ad aspettarlo, albergo e ristorante per una settimana. Era l’accordo che il suo avvocato gli aveva garantito per l’esclusiva concessa a Porta a porta.

Lì, spaesato più che protagonista, aveva fatto da comparsa alla cerimonia buonista del risarcimento pubblico, ma poi la serata ha preso un’altra piega. Nel parlamentino di Vespa nessuna domanda sulle percosse e solite passerelle per i politici di turno. Il Sindaco Alemanno ha mostrato una sola preoccupazione: onorare l’azione di quella polizia che in questa vicenda ha fatto solo disastri, sommando sofferenza a dolore, moltiplicando le vittime e lasciandosi quasi sfuggire i colpevoli.

La deputata Livia Turco del Pd invece si è domandata dove fosse il punto d’equilibrio tra riconoscimento della sofferenza della vittima e garanzie giuridiche per chi finisce sotto accusa. Come se le due cose fossero incompatibili, come se evitare il coinvolgimento d’innocenti fosse un insulto e non un modo per dare giustizia alla vittima. Parole che hanno reso più chiare le ragioni del silenzio della sinistra in questa vicenda dominata dalle destre, moderate ed estreme, con il decreto sicurezza, le ronde, lo squadrismo, l’odio e il razzismo più sfrenati. La sinistra si è arresa da tempo.

Di fronte alla vittima ha rinunciato alla presunzione d’innocenza. Il paradigma vittimario dilaga, obnubila. Proposta come esperienza unica e incomparabile, la sofferenza della vittima strumentalizzata politicamente assume una visione assoluta, fino a rivendicare una sorta di monopolio del dolore, un’esclusiva narcisistica e perciò concorrenziale verso le altre vittime, fino al negazionismo altrui.

Da qui l’edificazione di una scala di valori che paradossalmente preclude l’altro: la vittima ritenuta immeritevole e socialmente debole. Rinchiusa nella torre d’avorio del proprio dolore, il punto di vista vittimario diventato marketing politico si è trasformato in una tirannia che semina ingiustizie, legittima abusi e fomenta il populismo penale.

E così Racs, vittima negata di tutta la vicenda, ha fatto la fine di Cenerentola: allo scadere della mezzanotte il sogno di una vita normale è svanito. Le diverse offerte di lavoro si sono liquefatte. In particolare quella di Filippo La Mantia, lo chef che aprirà ad aprile un ristorante nel centro di Roma. Il cuoco, che anni fa subì un’ingiusta detenzione, ha dovuto fare retromarcia di fronte alle proteste e alle minacce ricevute.

Tre cameriere si sono licenziate appena saputo dell’arrivo del romeno. Una ditta di facchinaggio ha protestato, sostenendo che c’erano italiani che avevano più diritti. Dall’estero un’agenzia turistica ha fatto sapere che non avrebbe più inviato clienti se Racs fosse stato assunto. Razzismo dilagante? Qualcosa di più e di peggio. Ormai lo spettacolo della cronaca nera annichilisce, spinge a barricarsi in casa, votare i politici che chiedono "legge e ordine", odiare chi sta peggio e adulare chi domina.

Giustizia: il Ministero è premiato per l’uso di energie alternative

 

Ansa, 30 marzo 2009

 

Il Ministero della Giustizia ha ricevuto il riconoscimento per la promozione di progetti per l’utilizzazione di energie alternative in ambito penitenziario. La cerimonia si è svolta oggi nella Sala Zuccari del Senato Dal 2004 - dice una nota - il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sta lavorando per promuovere l’impiego di energie sostenibili "al fine di conseguire forme di risparmio economico attraverso l’utilizzo di energie da fonti rinnovabili e, in generale, per la riduzione dei consumi energetici attraverso progetti e interventi di incremento di efficienza energetica".

Il concorso per l’assegnazione del premio, come riconoscimento ad Amministrazioni pubbliche e imprese private, per i risultati conseguiti nel 2008 nell’attuazione di politica di sostenibilità ambientale, sviluppando progetti specifici a favore della tutela dell’ambiente privilegiando l’offerta o l’acquisto di beni e servizi verdi, è stato promosso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dalla Consip S.p.A.

Il Dap, in particolare, è stato premiato per il Programma nazionale di solarizzazione degli istituti penitenziari, che prevede l’installazione di 5.000 mq di pannelli solari su istituti penitenziari dislocati in tutta Italia, con l’impiego della mano d’opera di detenuti che hanno partecipato a specifici corsi di formazione. Allo stato gli istituti coinvolti nel progetto sono 15, tra cui Roma-Rebibbia, Caltagirone e Terni.

Catania: detenuto 20enne si suicida, era in cella di isolamento

 

Ansa, 30 marzo 2009

 

Un ventenne, Carmelo Castro, detenuto nella Casa Circondariale di piazza Lanza a Catania si è ucciso impiccandosi nella sua cella: è morto dopo il ricovero nel pronto soccorso dell’ospedale Garibaldi. Il giovane - a quanto si è appreso - era in isolamento. Durante un controllo gli agenti penitenziari si sono accorti che aveva messo in atto il suicidio impiccandosi. I soccorsi sono scattati immediatamente, il giovane era ancora vivo ed è stato subito trasferito in ospedale, in condizioni però disperate. E i medici non hanno potuto fare nulla per salvarlo.

Il ventenne era in cella da una settimana, da quando era stato arrestato dai carabinieri della compagnia di Paternò perché accusato di avere assalito, assieme a due presunti complici, una rivendica di tabacchi nel catanese. A permettere la sua identificazione e degli altri due arrestati era stata la visione del filmato del sistema di sorveglianza dell’esercizio. Il giovane, in sede di interrogatorio, si era difeso sostenendo di essere innocente e di essere entrato casualmente nella rivendita di tabacchi assieme ai due rapinatori che non conosceva.

 

Fleres sul decesso a Piazza Lanza (comunicato stampa)

 

"Con rammarico ho appreso dell’ennesimo decesso avvenuto nelle carceri siciliane. Questa volta si tratta di un giovane di appena venti anni, che nella notte tra il 28 ed il 29 marzo u.s., si è tolto la vita. Questa ulteriore morte, ha proseguito il Sen. Fleres, mette ancora una volta in evidenza la carenza o, purtroppo, l’assenza di psicologi che possano adeguatamente seguire il percorso dei detenuti, pertanto, continuerò la mia battaglia affinché si possa dare seguito ai concorsi già espletati per questa particolare figura e per quella degli educatori, indispensabili all’interno degli istituti di pena.

In ogni caso, ha concluso il Sen Fleres, al di là delle ipotesi riguardanti le motivazioni e le modalità che avrebbero determinato il fatto, su cui auspico la tempestiva apertura di un’accurata inchiesta, è necessario porre in essere i dovuti accertamenti ed il mio ufficio, in tal senso, ha già avviato le relative procedure.

 

L’ennesimo scandalo (da Sicilia Live)

 

Un detenuto si è ucciso nel carcere di Catania. Il carcere di Catania è uno dei più turpi istituti di pena in Italia. Non lo diciamo noi, lo dice l’ufficio del garante per i diritti dei detenuti in Sicilia. Il suo massimo dirigente, l’avvocato Lino Buscemi che condivide col garante Salvo Fleres l’onere di una battaglia difficile, ha inserito il carcere di Piazza Lanza nell’elenco delle prigioni che dovrebbero essere immediatamente chiuse. Parliamo del parere di una persona qualificatissima, nell’esercizio delle sue funzioni.

E Catania non è nemmeno il primo caso. A parole siamo tutti d’accordo nella retorica contro lo scandalo delle carceri disumane. La lista è lunga: Favignana, Mistretta, Ucciardone… Nei fatti, continuiamo (noi stampa, noi politica) a trattare i detenuti come se fossero polvere sotto il tappeto. Come se le esistenze che patiscono e si sbriciolano dietro le sbarre appartenessero a un girone infernale, in virtù di una colpa non emendabile. E mentre noi parliamo, i ragazzi in cella non smettono di morire.

Voghera: detenuto 38enne ucciso dal gas; è incidente, o suicidio?

 

La Provincia Pavese, 30 marzo 2009

 

Una vita tra delinquenza, carcere, reati piccoli e grandi, persino la veste di pentito, ma pentito di seconda fila. Una vita che probabilmente Marcello Russo, 38 anni, vogherese, avrebbe avuto una gran voglia di riscrivere, o almeno di riavere nelle mani.

Invece è morto, a 38 anni, nella sua cella del carcere di Prati Nuovi, ucciso - probabilmente - dal gas di una bomboletta di quelle che i detenuti utilizzano per cucinare o per farsi un caffè in cella. Non sarebbe suicidio, secondo le prime notizie filtrate dal carcere di Voghera, forse solo un incidente avvenuto in cella. In ogni caso la procura della Repubblica ha immediatamente aperto un’inchiesta.

Un po’ perché è la norma, un po’ perché sul tavolo del magistrato, l’altro ieri, è arrivata alla nostra redazione una lettera firmata da quattordici detenuti, compagni della sezione nella quale c’era anche Marcello Russo, nella quale si denunciano presunte responsabilità dell’amministrazione penitenziaria. In buona sostanza, lasciano capire esplicitamente che ci sarebbe stato un omesso controllo, una sottovalutazione del rischio che correva Russo nell’utilizzare quel gas e quella bomboletta in cella.

"Posso solo confermare, purtroppo, la morte di Marcello Russo - dice il direttore del carcere, Paolo Sanna -. Per il resto, preferisco non commentare la vicenda poiché sono in corso gli accertamenti della magistratura". La dinamica del fatto, avvenuto lunedì pomeriggio scorso ma reso noto solo ieri, sarebbe la seguente, in sintesi. Marcello Russo è in cella, probabilmente da solo. Si chiude nel bagno per "sniffare" gas dalla bomboletta, una sorta di "sballo" artigianale abbastanza consueto nelle carcere.

Sacchetto di plastica in testa per trattenere il gas, dentro il tubo di gomma, e poi si respira. Un "gioco" pericolosissimo, che stavolta finisce male. Secondo il racconto dei detenuti, uno di loro avrebbe visto o scorto Russo a terra, in bagno, privo di vita, ed avrebbe dato l’allarme. Immediato l’intervento degli agenti di polizia penitenziaria, che hanno chiamato il 118 e avvertito il direttore Sanna.

Purtroppo, non c’era nulla da fare. Marcello Russo era morto. Sulle responsabilità di questo che appare essere un tragico incidente, indagherà la magistratura. Ed è impossibile, per ora, formulare ipotesi. Si può però far riferimento, ancora, alla lettera. Secondo i detenuti "non è stata applicata nessuna forma di prevenzione per impedire al Russo di continuare a far uso di gas, anzi gli venivano fornite bombolette e fornello". Non solo. "Il nostro intento - scrivono i detenuti - è di far conoscere delle realtà sconcertanti che spesso vengono nascoste o camuffate in modo da evitare responsabilità dirette".

È anche vero che vietarne l’uso, per un detenuto, è davvero un provvedimento molto pesante e che taglia di molto la già poca libertà che si ha in carcere. Nello stesso tempo, il ministero della Giustizia aveva da tempo sottolineato i rischi per i detenuti nell’uso di tali bombolette. Comunque sia stata utilizzata, quella bomboletta sembra aver ucciso Marcello Russo. Lo ha ucciso in carcere, quel luogo dove, aveva raccontato lui stesso, si trovava meglio che fuori, in città. Era, per lui, la sua casa. Forse anche per questo è difficile pensare al suicidio.

Reggio Emilia: all’Opg preoccupazioni per salute degli internati

 

Il Domani, 30 marzo 2009

 

Un nuovo ricovero d’urgenza dall’Opg al Santa Maria Nuova riporta in primo piano la situazione critica in cui versa l’ospedale psichiatrico giudiziario reggiano alle prese con il continuo aumento degli internati. Solo venerdì, in poche ore, tre nuovi "ospiti"provenienti da tutto il nord Italia si sono aggiunti ai circa trecento già presenti (la capienza è di 132, quella massima di 256 persone).

L’allarme è stato lanciato da Michele Malorni, segretario provinciale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), preoccupato per la salute degli ammalati e per le condizioni di lavoro degli agenti di sicurezza.

La nuova corsa in ospedale è avvenuta venerdì mattina. Un uomo è stato portato d’urgenza al pronto soccorso del Santa Maria Nuova a causa del rallentamento del battito cardiaco e del conseguente abbassamento della temperatura corporea. Un caso che riporta alla memoria quanto successo solo pochi mesi fa - a fine gennaio - quando un internato è stato ricoverato con una temperatura corporea di circa 24 gradi. Una grave forma d’ipotermia - il Sappe denunciò l’insufficiente riscaldamento della struttura - che si ripete - anche se come effetto secondario di una patologia - nei 26 gradi dell’ultimo ricoverato nel reparto di medicina d’urgenza.

"Siamo preoccupati per le condizioni di salute degli internati - afferma Michele Malorni - e per tutto ciò che ne consegue. Vi sono continui trasferimenti di detenuti ed internati al Santa Maria che molto spesso finiscono per essere ricoverati aggravando la grave carenza di personale e obbligandoci a turni estenuanti". A fronte di questa situazione il Sappe chiede un intervento urgente per assicurare cure adeguate all’interno dell’Opg, maggiore sicurezza, la razionalizzazione delle risorse umane e il contenimento della spesa pubblica.

Conferma le difficoltà in cui versa la struttura anche Valeria Calevro, direttore sanitario dell’Opg. "La situazione è critica e il numero d’internati resta al di sopra della capienza massima. Gli spazi non adeguati, non c’è abbastanza personale e arrivano sempre nuovi pazienti. Lavoriamo a progetti con l’amministrazione e a giugno dovremmo riuscire ad avere nuovi medici ed infermieri. Resta il problema del sovraffollamento che deve essere risolto a Roma dove vengono decisi gli arrivi".

 

Segnali dal Ministero

 

Il Ministero di Grazia e Giustizia ha intenzione di intervenire sul carcere della Pulce. Lo afferma Pietro Negroni, responsabile provinciale sicurezza del Pdl, dopo in colloquio con la senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati. "Il governo si impegna ad accogliere in tempi brevi le richieste avanzate dal Pdl e dai sindacati reggiani, Sappe in prima fila - spiega Negroni -.

L’intenzione espressa dal Ministero è infatti quella di chiudere definitivamente il braccio femminile per usare strutture, spazi e personale per quello maschile. Al fine di rendere nuovamente tollerabile la situazione, inoltre, si provvederà a trasferire ad altre carceri alcune decine di detenuti di media pericolosità". Il Pdl è anche al lavoro per ottenere i fondi necessari al restauro delle strutture e il dislocamento di nuovi agenti di polizia penitenziaria.

Reggio Calabria: il Garante; attenzione all'integrazione sociale

 

www.reggiotv.it, 30 marzo 2009

 

"Obiettivo numero uno", una diversa e sostenibile governance penitenziaria, in sinergia anche con strumenti locali quale il Piano strategico. Questo il senso ultimo del Secondo rapporto del Garante per i diritti dei detenuti (rappresentato, per il Comune di Reggio, da Giuseppe Tuccio).

In conferenza stampa (co-protagonisti il consulente giuridico dell’Ufficio Agostino Siviglia, il viceprefetto Vincenzo Covato e gli assessori al Welfare di Comune e Provincia Tilde Minasi e Attilio Tucci), Giuseppe Tuccio ha posto in rilievo alcuni significativi riconoscimenti.

Intanto, l’esplicita menzione del Garante nel "decreto Mille proroghe" (con cui il Garante entra fra i legittimati ad avere colloqui coi detenuti). Soprattutto, il Comitato nazionale dei Garanti ha deciso che giusto l’ufficio reggino redigerà il disegno di legge destinato a descrivere analiticamente l’attività di tali organi. Accento forte sulla costituzione del Patto penitenziario permanente per Reggio e provincia.

Ma soprattutto sul varo dell’Agis, l’Agenzia per l’inclusione sociale, che ripropone l’antico tema del concreto inserimento anche lavorativo dei reclusi ponendo l’accento su microimprenditorialità, scambio con le imprese attive sul territorio e formazione professionale. Il garante Tuccio ha osservato che inquinamenti mafiosi e crescente "sete di sicurezza" comprimono sempre di più gli spazi volti a solidarietà e reintegrazione nella società.

Quanto a San Pietro, le 106 celle del carcere reggino vedono in atto presenti 241 detenuti, cioè molti di più rispetto alla capienza regolamentare del penitenziario e appena una ventina in meno rispetto all’esubero sopportabile; che però, limitatamente al massimo previsto di 16 presenze femminili, è già sforato (le detenute in atto sono 22). E ammontano a 933 i soggetti coinvolti nel 2008 dal esecuzione esterna; 3mila invece gli interventi di segretariato sociale.

Centrali, nell’esposizione ai cronisti, i temi della qualità di vita del recluso e della qualità della pena da scontare. Assai rilevanti, in questo senso, le prestazioni sanitarie erogate in cella: un tema cui tributare una "corsia preferenziale", anche per via di alcune gravi patologie che spesso li affliggono, dall’Aids alle dipendenze. E sul versante della qualità della pena, il Garante ha assunto per priorità l’istituzione di un Tavolo penitenziario, che accanto all’informazione sulle condizioni dei detenuti sia capace di ventate propositive.

Nuoro: nel carcere di Mamone, due infermieri per 350 detenuti

 

La Nuova Sardegna, 30 marzo 2009

 

C’è aria di trasformazione nel penitenziario di Mamone. Lo dimostrano i muri della sezione che ospita i detenuti rifatti a nuovo. Lo conferma l’infermiere Bachisio Cau che entusiasta per l’arrivo dei finanziamenti che dovranno cambiare e rendere più confortevoli le strutture, lo è di meno pensando alla sua situazione e a quella della collega con la quale, il giovane, si divide il turno di lavoro.

"Ci sono circa 350 detenuti qui dentro - dice Cau - e in due, a giorni alterni, dobbiamo coprire il servizio. Dodici ore quotidiane che, come è capitato questi ultimi giorni, si sono trasformate in 63 ore settimanali visto che la mia collega era in malattia. Situazione questa che si potrebbe verificare spesso - aggiunge - eppure, nonostante le varie richieste scritte alle istituzioni competenti, nulla è cambiato.

Fino a qualche anno fa eravamo quattro infermieri, di cui uno ministeriale e gli a parcella, cioè liberi professionisti e quindi contrattualizzati con ministero della Giustizia. I nostri stipendi fino a giugno verranno assicurati dal Ministero poi non si sa. Da dire, inoltre, che non abbiamo un’assicurazione ma dobbiamo essere noi a tutelarci in questi termini.

A causa dell’assenza di personale siamo costretti a raggiungere il tetto massimo di 200 ore previsti da contratto. Dei quattro colleghi che eravamo, due sono andati via e non sono mai stati sostituiti. Perciò tutto il carico di lavoro grava su due persone che, nonostante tutta la buona volontà e la passione per questo lavoro, rischiano di disinnamorarsi.

È vero - continua l’infermiere - qui ci conosciamo tutti e in 16 anni di lavoro si riesce ad instaurare un rapporto d’amicizia ormai consolidato, ma a lungo andare non basta. Tutto vero - sottolinea Cau - ciò che è stato denunciato dalla Cgil sulla condizione dei medici che lavorano qui dentro. I reclusi dal punto di vista sanitario sono assistiti da un servizio di guardia medica H24 con sei medici. Poi ci siamo noi, due infermieri e il sanitario incaricato che coordina il servizio (anche lui anziché fare le tre ore ne fa sempre di più).

La somministrazione delle terapie sostitutive ai pazienti ex tossicodipendenti dovrebbe essere assicurata (dal maggio 2004) da un infermiere del Serd o convenzionato con la Asl a 48 ore mensili che dovrebbe coadiuvare il medico del presidio. Fino a qualche giorno fa però il suo lavoro lo facevamo noi senza alcuna retribuzione aggiuntiva. L’incentivo, nonostante richiesto e promesso nel corso di un incontro tenutasi a Nuoro coi vertici Asl, che spetta agli operatori del Serd, per gli infermieri del penitenziario è inesistente.

Da sottolineare inoltre - aggiunge il giovane - che oltre ad essere ciò che siamo dobbiamo anche inventarci psicologi visto che anche lo specialista ha poche ore a disposizione per espletare i colloqui. Abbiamo a che fare ogni giorno con persone che minacciano l’autolesionismo per ottenere ciò che vogliono e in queste situazioni siamo letteralmente soli. Per coscienza accetti di fare il factotum e non ti sottrai, altrimenti succederebbe il finimondo. Giusto per rendere l’idea - aggiunge l’infermiere - oltre a tenere efficiente l’infermeria avendo sempre tutti i medicinali a disposizione, dobbiamo anche assicurare il servizio amministrativo riguardante l’area sanitaria".

Perché non bastasse il servizio mensa (gestito da un’impresa esterna) non viene più garantita da qualche giorno, dopo la protesta da parte della polizia penitenziaria (che vista la carenza di personale non riesce a assicurare un servizio minimo di sicurezza all’interno degli ambulatori). "Il tutto come che all’interno della struttura gli unici lavoratori siano loro. Quindi - conclude l’infermiere - se è vero, come affermava il sindacalista della Cgil, che i lavoratori sono la principale risorsa del sistema, sarebbe giusto che la tanto richiesta azione per il rilancio della struttura, con una definizione di organici e servizi adeguati, sinora retti solo grazie ai sacrifici e al senso di responsabilità degli operatori, venga fatta e nel breve periodo prima che la situazione precipiti causando disagi e problemi a tutto il servizio. Vorrei, prima o poi, riuscire a dire alla mia commercialista come e cosa deve considerarmi. Insomma, a quale categoria lavorativa appartengo".

Intanto il 31 marzo è previsto un sit-in di protesta organizzato dai sindacati sul caso Mamone. Il 20 marzo scorso, le organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil, Sappe e Sinappe) hanno avuto un incontro col funzionario del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria in merito alla carenza negli organici, al sovraffollamento che ha determinato insostenibili condizioni di lavoro e messo in discussione l’effettiva esigibilità del diritto alle ferie, riposi e del trattamento economiche per le prestazioni straordinarie imposte agli operatori.

Ebbene, durante l’incontro non è stata fornita alcuna certezza circa l’integrazione della pianta organica ma è stato dato per certo il pagamento delle prestazioni straordinarie ma non è stata data certezza sui tempi per il superamento del sovraffollamento dovuto al trasferimento di detenuti. Da qui la decisione di attuare tutte le iniziative necessarie per sbloccare l’attuale stato di incertezza.

Roma: delegati dell'Unione Camere Penali in visita a Rebibbia

 

Apcom, 30 marzo 2009

 

Una delegazione di Unione Camere Penali Italiane (Ucpi) si recherà oggi in visita alla Casa Circondariale di Rebibbia, a Roma, per valutare le condizioni di vita nel carcere a meno di tre anni dall’indulto. La visita, spiega una nota, avviene nell’ambito delle iniziative organizzate da Ucpi durante la settimana di astensione dalle udienze in segno di protesta per la mancata riforma della giustizia.

Oristano: parte progetto per reinserimento sociale dei detenuti

 

La Nuova Sardegna, 30 marzo 2009

 

L’Agenzia Laore Sardegna, il Prap (Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria), la Casa Circondariale di Oristano e la Casa di Reclusione di Is Arenas (Arbus) hanno avviato un processo di collaborazione e di cooperazione istituzionale e di partenariato per sperimentare, tra le altre cose, percorsi di reinserimento sociale rivolti a detenuti ed ex detenuti.

Il progetto, che coinvolge anche il Gal Montiferru Barigadu Sinis, sarà presentato martedì 31 marzo nel corso di una conferenza stampa che si terrà alle 11 nella Sala Giunta del Comune di Oristano. "È il tentativo di favorire - spiega una nota - concrete opportunità di formazione sia interne che esterne agli istituti e alle colonie penali, di reinserimento sociale per le persone in stato detentivo o in esecuzione penale esterna, o per ex detenuti.

E si cerca di farlo anche attraverso il sistema produttivo interno alle colonie penali, le fattorie sociali e le relative reti di servizio, magari creando le necessarie condizioni per utilizzare con efficacia le risorse dell’agricoltura sociale e l’insieme di risorse comunitarie e nazionali disponibili".

Rieti: il Garante regionale; il nuovo carcere va aperto da subito

 

Ansa, 30 marzo 2009

 

Un carcere nuovo, pronto da un anno. Ma chiuso: manca il personale. Nel frattempo, però, i detenuti restano in un ex monastero nel centro storico. Accade a Rieti, dove questa mattina la commissione Sicurezza del Consiglio regionale del Lazio ha tenuto un’audizione all’interno della struttura "fresca di calce".

"Il ministro Alfano parla di nuove case di custodia da realizzare, ebbene eccone una pronta - ha osservato Luisa Laurelli (Pd), presidente della commissione, nel corso del sopralluogo - La sua apertura risponderebbe al sovraffollamento nel Lazio. Ma sarebbe bene che venga usato per la custodia attenuata, perché è stato progettato per questo". Anna Maria Massimi, consigliere regionale Pd aggiunge: "Santa Scolastica, il vecchio carcere, è inadeguato non ci sono spazi per pregare, fare sport, ricrearsi: all’ora d’aria i detenuti vanno a turno nel cortile per quanto è piccolo. L’apertura della nuova sede non è più rinviabile".

Per arrivarci in tempi stretti Laurelli, Massimi e Mario Perilli (Pd), anche lui all’audizione a Rieti, presenteranno una mozione in Consiglio regionale perché Marrazzo intervenga sul Ministero della Giustizia al fine di sollecitare l’entrata in funzione del nuovo carcere. "Magari si riuscisse ad aprirlo entro giugno - ha detto Perilli - gli ostacoli non sono strutturali, serve invece personale: una quantità di persone in grado di produrre ricadute sull’economia locale. Senza il personale l’apertura è ben lontana da venire".

La direttrice già c’è, ci sono impianti funzionanti, mancano gli allestimenti di spazi comuni come teatro e chiese. Ci sono cucine in ogni "raggio", tv nelle celle. Ma servirebbero subito un centinaio di addetti - in particolare guardie penitenziarie - per iniziare ad aprire un primo reparto del carcere in grado di sostituire l’attuale, passando però da 18 a 34 celle. A regime per i 250 detenuti il personale dovrebbe però superare le 300 unità. "Bisogna sollecitarne l’entrata in funzione - ha detto il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni - l’affollamento delle strutture carcerarie nella regione ha bisogno di una valvola. Se manca il personale, o si fanno i concorsi o si razionalizza".

La presidente Laurelli ha infine ricordato l’impegno finanziario regionale a sostegno dei diritti dei detenuti. Tra fondi delle politiche sociali, dell’assessorato Sicurezza e della formazione, negli ultimi due anni sono stati stanziati quasi dieci milioni di euro, cui si aggiungono i nove per ciascuna annualità per la sanità nelle carceri garantita dalle Asl del Lazio. "La Regione - ha concluso Laurelli - si sta sostituendo a funzioni proprie dello Stato".

Treviso: 380mila euro l’anno, solo per il trasporto dei detenuti

 

La Tribuna di Treviso, 30 marzo 2009

 

A Treviso si spendono 380 mila euro all’anno solo per il trasporto dei detenuti. È uno dei dati, probabilmente il più significativo, emerso durante il primo convegno regionale "Al servizio della società", organizzato dalla polizia penitenziaria di Treviso.

A fare gli onori di casa c’era il segretario nazionale del Sappe (il sindacato autonomo di polizia penitenziaria) Donato Capece. Un incontro che è servito per porre l’accento sulle dinamiche delle forze dell’ordine, senza calcare la mano sulle consuete problematiche (mancanza di organico, stipendi ridotti) ma puntando a intensificare il lavoro degli agenti in collaborazione con i cittadini, facendo conoscere il lavoro della polizia penitenziaria, importante soprattutto in questa fase di crisi economica.

Un incontro partecipatissimo - quasi 300 persone in sala - che si è svolto venerdì sera all’istituto Mazzotti. Il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo ha ricordato l’impegno e il bisogno delle forze dell’ordine, il procuratore Antonio Fojadelli ha ricordato la composizione delle sezioni di polizia giudiziaria. Con loro anche i sindaci o i rappresentanti di vari comuni della Marca, da Gorgo al Monticano a Montebelluna, fino a Preganziol.

"Andrebbero evitate le trasferte inutili, che aumentano solo le spese - spiega Mauro Scipioni, delegato provinciale del Sappe e ispettore capo della polizia penitenziaria di Treviso - e bisognerebbe modificare qualcosa dalla legge Pisanu, servono funzioni diverse per il garantismo dei detenuti, così ci sarebbero più fondi". Presente anche l’Avis provinciale, da sempre partner degli uomini di Santa Bona: molti, infatti, sono donatori di sangue.

Teramo: rimandato di mesi l’arrivo degli 80 detenuti da Pescara

 

Il Centro, 30 marzo 2009

 

L’amministrazione penitenziaria rassicura gli agenti di Castrogno e promette che gli 80 detenuti che dovranno essere trasferiti dal carcere di San Donato (che chiuderà per lavori) non arriveranno subito, ma tra qualche mese. L’annuncio è stato dato nel corso di un incontro che i sindacati, allarmati per il super affollamento del carcere teramano, hanno avuto con i vertici dell’amministrazione penitenziaria.

Gli agenti, inoltre, hanno anche ottenuto la promessa che alla casa circondariale teramana saranno assegnati alcuni poliziotti per far fronte alla grave carenza di personale. "Sono interventi tampone che non risolvono definitivamente le problematiche esistenti", scrive in una nota Giuseppe Pallini , segretario provinciale del Sappe, "ma sono segnali di attenzione da parte dell’amministrazione centrale verso l’istituto teramano da troppo tempo trascurato che ben ci fa sperare per il futuro". Gli agenti, inoltre, hanno strappato la promessa di una contrattazione decentrata per far fronte alla difficile situazione dell’istituto teramano.

Treviso: svolto venerdì il primo Convegno nazionale del Sappe

di Antonella Federici

 

Il Gazzettino, 30 marzo 2009

 

Si è tenuto venerdì sera il primo convegno organizzato dal Sappe, il sindacato di Polizia penitenziaria che vuole farsi conoscere anche dalla gente "comune". A prendere la parola è stato il procuratore della Repubblica di Treviso, Antonio Fojadelli, che ha raccontato come questa particolarissima branca delle forze dell’Ordine abbia avuto per anni una storia travagliata.

Molti i partecipanti all’incontro che si è tenuto nell’aula magna del Turistico Mazzotti, presente il segretario nazionale del sindacato, Capece e il segretario per la Marca, Mauro Scipioni. Fojadelli ha detto che la Polizia penitenziaria "ha assunto un ruolo nuovo, positivo e elevato, che richiede un impegno particolare visto quello che dice la Costituzione".

"La detenzione - dice Fojadelli - deve essere rieducazione del condannato e certo un tempo le cose andavano molto male. I penitenziari erano considerati poco più dei detenuti, da uno Stato che non è mai stato generoso con i suoi dipendenti, ma l’errore di base è stato superato. Oggi ci sono ipotesi di normative che danno alla Polizia penitenziaria compiti di polizia giudiziaria (cioè, quella che lavora per i magistrati della Procura); il loro ruolo insomma non sarà più esclusivamente "custodiale" - del resto non lo è nemmeno ora - ma verterà anche all’accertamento di reati. Danneggiamenti, evasioni, rapporti ma anche investigazione. "L’incontro odierno - ha detto Fojadelli - vuole cercare di capire quale sarà il loro ruolo, i limiti e le potenzialità di una parte della Polizia così poco conosciuta dalla gente".

La Polizia Penitenziaria - hanno spiegato i due sindacalisti - deve avere precisi requisiti professionali, di preparazione psicologica e giuridica; oltre al carico di lavoro che comporta il portare i detenuti dal luogo di custodia ai luoghi di Giudizio. "La Polizia Penitenziaria - ha detto Fojadelli - deve convivere in termini umanamente accettabili con qualunque tipo di detenuto. Da quello in attesa di giudizio al definitivo; dallo stupratore al pedofilo, deve garantirne l’incolumità e sorvegliarne la salute: compiti gravosi anche psicologicamente".

Roma: Pd; sulla sicurezza solo spot. Il Pdl; ma i reati sono in calo

 

Il Messaggero, 30 marzo 2009

 

La situazione a Ostiense è esplosiva, serve un’immediata convocazione del comitato per l’ordine e la sicurezza che ponga al centro la priorità del quartiere che oggi è abbandonato a se stesso nella consapevolezza che ciò che è accaduto questa mattina (ieri, ndr) all’alba sarebbe potuto accadere decine di notti prima".

È quanto chiede il consigliere regionale del Pd Enzo Foschi a proposito dell’accoltellamento avvenuto l’altra notte a Ostiense. "Il quartiere Ostiense - aggiunge - è la realtà di Roma che fa squarcio tra tanta propaganda sulla sicurezza dei cittadini". "Mentre nasce il Pdl, la libertà dei cittadini di poter girare in sicurezza nelle città è confiscata dall’incapacità di questa maggioranza di mettere in atto una politica che tuteli la vivibilità".

Incalza Jean Leonard Touadi, esponente del Pd e responsabile della Sicurezza nella passata amministrazione capitolina. "Il tema della sicurezza che è stato oggetto di una pesante strumentalizzazione da parte della destra durante la campagna elettorale un anno fa, si sta rivelando il tallone di Achille di Berlusconi e della Lega.

Gli episodi di Roma e Milano sono solo gli ultimi episodi di una catena impressionante di fatti di cronaca che stanno destando sempre più un clima di allarme sociale. Chiediamo al governo di smettere con gli spot e gli slogan e di dare risposte strutturali e tangibili. Perché tutti sanno che la sicurezza si garantisce con misure che vanno al di là dei militari in città", conclude la nota.

"I fondi in bilancio destinati alla Sicurezza, dimostrano l’importanza che l’Amministrazione capitolina e il sindaco Alemanno attribuiscono al ripristino della legalità a Roma. Gli ultimi dati sulla vivibilità della nostra città hanno dimostrato un chiaro calo dei reati". Replica il presidente della commissione capitolina alla Sicurezza Fabrizio Santori.

"Eventi come quello dell’altra notte dunque - aggiunge - non possono che catturare la nostra massima attenzione, ma le importanti operazioni di sicurezza portate avanti anche nella giornata di oggi (ieri, ndr) dalle forze di Polizia, ad esempio a piazzale dei Partigiani e gli sgomberi di tre accampamenti abusivi nell’ambito dell’attività di controllo delle aree goleari del Tevere e dell’Aniene e di nodi di scambio, sono la prova tangibile, che smentisce con i fatti le accuse dell’opposizione".

Una guerra dei coltelli che deve essere stroncata, visto che a Roma andare in giro con il coltello in tasca sta diventando un’abitudine". Ha dichiarato infine Luigi Camilloni, presidente dell’Osservatorio Sociale. "Quando il 16% degli omicidi in Italia avviene per lite o per futili motivi, quindi una vera e propria mattanza vuol dire che esiste una tendenza all’aggressività diffusa e dove i luoghi di ritrovo, come i bar, spesso si tramutano in spazi di violenza e di contesa - prosegue - La Capitale non è terra di nessuno o forse dei molti che pensano che Roma sia quella dell’epoca imperiale e dei gladiatori. Vanno trovate delle soluzioni rapide a questo fenomeno che sta assumendo toni preoccupanti".

Immigrazione: proposta di legge per Albo di Mediatori culturali

di Serena Fiorletta

 

Il Salvagente, 30 marzo 2009

 

Mediatori culturali: chi sono, che fanno, serve davvero un Albo professionale per raccoglierli? Certamente sì, stando alla proposta di legge presentata da parlamentari di schieramenti opposti, primo firmatario dall’Aldo Di Biagio, eletto nelle liste del Pdl, intitolata "Delega al Governo per l’istituzione dell’albo dei mediatori interculturali", presentata alla Camera alla presenza, tra gli altri, da Fabio Porta del Pd, cofirmatario della proposta, da Franco Pittau, responsabile del Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes e da Luciano La Gamba, presidente del Sei-Ugl, il sindacato degli emigrati immigrati.

 

Parla un "mediatore" di Rebibbia

 

Cristobal viene dal Messico, è in Italia dal ‘92 e fa il mediatore nel carcere romano di Rebibbia, "non è un ambiente facile, ma ormai sempre più spesso il mediatore è impiegato in ambiti di pubblica sicurezza". Peccato ci racconta Cristobal "che sia spesso vista come una figura marginale, il cui unico compito è quello di mediazione linguistica".

Secondo il nostro mediatore, il compito quotidiano di chi fa questo lavoro è molto più complesso nel fornire informazioni che vadano dal paese di provenienza a quello di accoglienza, "il nostro compito, oltre che linguistico e generalmente culturale, è anche quello di promuovere cittadinanza. Il mediatore deve mettere la persona nelle condizioni di capire e formulare un progetto di cittadinanza nel paese in cui si trova a vivere, ad esserne parte attiva e non sempre straniero".

 

A volte si comportano da ospiti non da cittadini

 

Il ruolo del mediatore emerge così in tutta la sua ambiguità e difficoltà, si fa da tramite ma si è anche nella condizione difficile da riscattare di eterni immigrati. Secondo Cristobal il migrante in posizione regolare ha inoltre gli stessi problemi di un italiano e deve, quindi, rendersi più cittadino attivo coinvolto in quelle che sono le difficoltà del paese in cui si trova a vivere. "Spesso gli stranieri stessi si comportano da ospiti, senza preoccuparsi delle questioni politiche del paese che li accoglie, anche in questo senso bisogna fare mediazioni tra realtà molto differenti che vanno dalla Romania al Bangladesh".

In questa paralisi il mediatore promuove anche questi diritti e lo fa a partire dalla necessità di un riconoscimento ufficiale della propria professionalità.

 

"C’è consapevolezza che serviamo"

 

"Bisogna dire che le istituzioni sono sempre più consapevoli della funzionalità e professionalità dei mediatori, in particolar modo nell’ambito della giustizia e della sanità, ad esempio in carcere non si può farne a meno, più del 40% dei detenuti è straniero". Secondo Cristobal la proposta è interessante ed è attesa da molto tempo, "quello di cui abbiamo più necessità è un riconoscimento del nostro lavoro, c’è confusione su quella che è l’identità del mediatore". I mediatori vorrebbero però essere parte attiva di questa proposta, "sarebbe necessario che ci consultassero su quello che è il nostro lavoro e sulle difficoltà che incontriamo, a volte anche al livello di formazione, essendo di generazioni differenti"

All’articolo 2 del testo si fa riferimento alla "definizione di un percorso formativo comprendente una formazione di base comune a tutti i mediatori interculturali su comunicazione e su legislazione del lavoro, comprese salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, e una formazione specialistica relativa alle norme tecniche e specifiche di ogni settore, area socio-sanitaria, area educativa e scolastica, sicurezza e giustizia, lavoro dipendente e autonomo, emergenza e prima accoglienza, risparmio e finanze".

Passare quindi dalla fase dell’improvvisazione a quella della programmazione per quanto riguarda la mediazione culturale. Chi opera, magari già da anni, con i cittadini stranieri deve vedere valorizzata la propria professionalità attraverso un percorso formativo a garanzia anche dell’immigrato utente. Occorre quindi predisporre dei percorsi formativi standard validi su tutto il territorio nazionale. È poi fondamentale che le parti sociali definiscano un Protocollo di intesa per il riconoscimento della figura del mediatore culturale all’interno dei contratti collettivi di lavoro di riferimento.

 

Conoscere anche la cultura italiana

 

La proposta di legge individua anche i requisiti per l’iscrizione all’Albo, senza la quale non si potrà esercitare la professione. Bisognerà conoscere la lingua e la cultura italiana così come lingua e cultura di almeno un paese straniero. Richiesta anche una laurea in discipline umanistiche, sociali o linguistiche, o, se manca il titolo, la dimostrazione di aver acquisito comunque conoscenze "idonee ed equivalenti" nei Paesi d’origine.

Al governo si chiede di istituire con dei decreti legislativi l’"Albo dei mediatori interculturali" e l’"Albo delle associazioni di mediazione interculturale" e di armonizzare la normativa già esistente. Dovrà poi essere definito un percorso formativo, che coinvolgerà soggetti istituzionali ma anche parti sociali e terzo settore.

 

La crisi si riverbera sul Terzo settore

 

L’idea di un Albo professionale è qualcosa in cui i mediatori speravano non essendo mai riusciti ad ottenere niente più che dei generici registri, "l’importante è che questa proposta diventi operativa, soprattutto che ci siano concretezza anche nel senso di finanziamenti ai progetti che vengono finanziati poco e male".

Cristobal ci tiene a sottolineare che la crisi riguarda tutto il terzo settore e le condizioni di povertà e precariato in cui questo versa, "la precarietà e lo sfruttamento sono generalizzati, è un contenitore che non ha legittimità sociale, abbandonato da un vuoto politico". Un vuoto politico che va da destra a sinistra che lascia tutti gli operatori del terzo settore a lavorare in condizioni difficoltose, "quando si parla di immigrazione l’unico interlocutore serio è la Chiesa, lo Stato fa ben poco al livello concreto".

Usa: libertà vigilata per i detenuti che seguono corso letteratura

 

Il Foglio, 30 marzo 2009

 

Sul fatto che i libri cambino la vita si può discutere fino allo sfinimento. L’esperienza insegna che meno uno legge più crede alla favola. Come se l’avvicendarsi di storie e personaggi funzionasse da vaccino: alla fine si capisce che noi siamo qui, i libri stanno lì, e per diventare migliori - se questa è l’intenzione - servono interventi più radicali. Erano di diverso parere Robert Waxler e Robert Kane - professore di letteratura inglese all’università del Massachusetts il primo, giudice di Corte suprema il secondo - quando inventarono, nel 1991, il programma Changing Lives Through Literature.

Oggi praticato in otto stati americani, concede la libertà vigilata ai carcerati che si impegnino a frequentare un seminario di letteratura. Per un semestre, in ragione di due volte al mese, facendo con diligenza i compiti a casa. La "Recherche" può funzionare come e meglio del braccialetto elettronico che avverte la polizia quando il condannato si allontana dal perimetro stabilito, riassume Leah Price in un articolo sul New York Times (molti lettori coatti di Marcel Proust sarebbero d’accordo, purché protetti dall’anonimato garantito ai testimoni a rischio).

Durante la riunione, riferisce l’articolista, i soci del singolare club del libro discutono un racconto di T. C. Coraghessan Boyle, con un occhio particolare alle questioni che hanno a che fare con responsabilità. A differenza dei soliti club, i partecipanti sono tutti maschi: guardie, ladri e professore di letteratura riuniti attorno allo stesso tavolo. La vocazione educativa prevede infatti che anche i responsabili della libertà vigilata possano trarre profitto dalla lettura, o almeno dal dibattito che ne segue. Esistono anche seminari per sole donne, seminari misti, e seminari improvvisati per occasioni particolari: una trentina di festaioli ubriachi penetrati nella casa-museo del poeta Robert Frost con intenzioni vandaliche furono condannati dal giudice a frequentare un seminario su "The Road Not Taken".

Le lodevoli intenzioni e i risultati più che soddisfacenti - se dobbiamo dar retta agli esperti - non riescono però a cancellare l’orribile verità. Lettura & commento sono considerati una punizione: più lieve di altre, ma sempre di punizione si tratta. I libri servono per migliorarsi, per emendarsi, per guardarsi dentro, per liberarsi dalle cattive abitudini. Funzionano come il programma dei "Dodici passi" adottato dagli alcolisti anonimi o dai maniaci dello shopping. Sostituiscono la buona condotta. Garantiscono uno sconto sulla pena. Vietato leggerli per svago e distrazione. E che a nessuno venga in mente, neanche per sbaglio, la parola evasione. Per quella, c’è la lima nella pagnotta.

Iraq: soldato Usa condannato, uccise quattro detenuti iracheni

 

Asociated Press, 30 marzo 2009

 

La corte marziale di una base americana a Vilsek, in Germania, ha condannato per omicidio premeditato il sergente americano Joseph Mayo, accusato di aver ucciso quattro detenuti iracheni nella primavera del 2007. Non riconosciuta l’imputazione di ostruzione del corso della giustizia durante l’incidente avvenuto mentre il soldato era impegnato in Iraq. Il sergente, 27 anni, originario di Fort Bragg, North Carolina, rischia l’ergastolo. Il verdetto sarà reso noto in giornata.

 

 

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