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Giustizia: diritti in Italia e Europa; l'intervista a Mauro Palma
www.linkontro.info, 20 maggio 2009
Proseguiamo la nostra serie di conversazioni con Mauro Palma. Oggi parliamo dello stato in cui versa la giustizia in Italia, la sua disorganizzazione, la lentezza dei processi, le cose da fare per adeguarla almeno ai livelli europei.
Lei sa a quante e quali procedure di infrazione è sottoposta l’Italia per la sua disorganizzazione giudiziaria e per la lentezza dei processi. Quali sono, secondo lei, i motivi principali di questo stato di crisi ormai dichiarato in cui versa la giustizia in Italia? È un settore sul quale non sono stati fatti adeguati investimenti, per motivi probabilmente politici. Il Ministro Castelli si vantava di non voler investire su una macchina fallimentare come la giustizia: durante la sua amministrazione ci sono stati tagli drastici agli organici e alle risorse, e con gli ulteriori tagli al personale e alla risorse stabiliti dalla Legge 133, molti uffici giudiziari sono a rischio chiusura.
E quali sono gli investimenti necessari e come dovrebbero essere attuati per portare la giustizia italiana almeno al pari del livello europeo? Ci vuole un progetto serio. Un nuovo modello organizzativo che metta al centro il servizio al cittadino e una modernizzazione che passa per l’informatizzazione. Le notifiche telematiche ed il processo telematico sono una buona cosa, ma bisogna investire sull’informatica, reinternalizzare i servizi ad oggi esternalizzati come l’assistenza informatica e la verbalizzazione; le risorse destinate all’informatica sono assolutamente insufficienti e saranno ancora inferiori con i tagli della 133 nei prossimi anni. Bisogna fare sì che ci sia personale sufficiente a far funzionare gli uffici; anche in questo la legge 133 penalizza il ricambio generazionale con il blocco del turnover. I lavoratori sono pochi, lavorano in cattive condizioni e inoltre sono profondamente demotivati perché da anni attendono il riconoscimento professionale che solo a loro nel comparto stato è stato negato. Così non si va da nessuna parte, presto alcuni uffici saranno costretti a chiudere: bisogna fare nuove assunzioni. Inoltre bisognerebbe riformare la geografia giudiziaria e razionalizzare le risorse. Anche dal punto di vista normativo sono necessarie delle riforme per snellire le procedure, ma non è pensabile fare una riforma unilateralmente, magari con l’intenzione di stravolgere la costituzione e minare l’indipendenza della magistratura; bisogna coinvolgere tutti gli operatori, magistrati, avvocati e personale amministrativo. Mi risulta che sono tutti disponibili e propositivi. Solo così si può fornire un servizio adeguato agli altri paesi europei.
Ma in momento di crisi chiedere soldi e personale non è inutile? Affatto. Recentemente anche Confindustria ha messo in evidenza come la lentezza della giustizia influisca negativamente sull’economia e sugli investimenti. È un settore delicato il cui buon funzionamento può favorire anche l’economia del paese. Inoltre il diritto alla giustizia, costituzionalmente garantito, è indice del funzionamento di una democrazia. Ad oggi è difficile per un cittadino italiano ricevere questo servizio in tempi brevi, ciò non è all’altezza degli altri paesi europei. C’è stato un richiamo del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che è intervenuto per richiamare l’Italia sull’eccessiva lungaggine delle procedure giudiziarie e sollecitare una pronta riforma. È una necessità per il paese e la sua democrazia ed è una necessità anche per l’Europa.
Quale sarà il suo impegno su questo particolare tema? La potestà legislativa, la responsabilità per una riforma condivisa e funzionale appartiene integralmente al Parlamento ed al Governo Italiano. Ciò nonostante credo sia fondamentale che nel Parlamento Europeo vi siano forze politiche che sostengano innanzitutto l’esigenza di una riforma che risponda agli interessi generali dei cittadini. 10 milioni di cause pendenti, tempi per i processi che si allungano vertiginosamente, danno il senso di un diritto alla giustizia ormai, nei fatti, negato ai cittadini italiani. Tutte i progetti di riforma che il centro destra sta mettendo in campo sembrano non essere rispondenti a questo fondamentale obiettivo. Dal Parlamento Europeo il mio personale impegno affinché le riforme, ormai indispensabili, rispondano a questo bisogno. Giustizia: libro di Olga D’Antona, distribuito in carceri e scuole
Apcom, 20 maggio 2009
Un libro distribuito dal Governo nelle carceri e nelle scuole per ricordare la figura di Massimo D’Antona, giurista assassinato dalle Br dieci anni fa. La presidenza del Consiglio dei ministri affida il ricordo del giuslavorista al volume dedicato al marito da Olga D’Antona, vedova di Massimo, un "servitore dello Stato". "Dieci anni fa - il 20 maggio 1999 - il professor Massimo D’Antona fu assassinato dalle Brigate Rosse - si legge in una nota di Palazzo Chigi - mentre usciva da casa per recarsi al ministero del Lavoro di cui era Consigliere. Era un professore di riconosciuto prestigio che aveva messo la Sua competenza e la Sua esperienza al servizio dello Stato. La stessa sorte fu riservata qualche anno dopo ad un altro professore, Marco Biagi, anche lui impegnato, come D’Antona, nella riforma del mercato del lavoro". "Nel triste anniversario, la presidenza del Consiglio dei ministri - prosegue il comunicato - ricorda la figura e l’opera del Professor D’Antona per riproporne l’esempio all’opinione pubblica in un momento difficile della vita nazionale e come monito contro la violenza e contro ogni tentativo di attentare alla coesione sociale. E lo fa con l’ausilio del libro che a D’Antona ha dedicato la moglie Olga, oggi Deputato al Parlamento. "Troppo spesso le storie di terrorismo sono state raccontate dagli autori del crimine, io ho voluto raccontare che cosa succede dalla parte di chi il crimine lo ha subito con una perdita incolmabile e irreversibile". Così scrive Olga D’Antona nella lettera con la quale accompagna le copie del libro che oggi saranno consegnate, a cura della presidenza del Consiglio dei ministri, nelle scuole e nelle carceri italiane. "Proprio tra gli studenti e tra i detenuti - scrive ancora Olga D’Antona - ho trovato l’ascolto più attento, la condivisione più sentita: per questo è nato in me il desiderio di far sì che la biblioteca di ogni scuola e di ogni penitenziario disponga di una copia di questo libro". "Con questo spirito la presidenza del Consiglio dei ministri - si legge ancora nella nota - ha diffuso il libro di Olga D’Antona nelle scuole e nelle carceri italiane, per rendere omaggio alla memoria di un servitore dello Stato e per riproporne a tutti l’attualissima lezione". Giustizia: condanna a Mills, si fece corrompere da Berlusconi di Emilio Randacio
La Repubblica, 20 maggio 2009
Il suo silenzio è costato 600 mila dollari. Un investimento davvero fruttuoso, visto che la "reticenza" di David Mills ha impedito che il Tribunale milanese scoprisse le reali responsabilità di Silvio Berlusconi nei procedimenti in cui è stato coinvolto a partire dalla fine del 1994. "Il fulcro della reticenza di Mills in ciascuna delle deposizioni - scrivono oggi i giudici - , sta nel fatto che egli aveva ricondotto solo genericamente a Fininvest, e non alla persona di Silvio Berlusconi, le proprietà delle società offshore, in tal modo favorendolo in quanto imputato in quei procedimenti". È questo il pilastro su cui si basa la condanna a 4 anni e mezzo di carcere per l’imputato Mills. Ecco spiegato il verdetto del 17 febbraio scorso emesso dal presidente della Decima sezione penale, Nicoletta Gandus (giudici a latere Caccialanza e Dorigo) e che, senza l’entrata in vigore del Lodo Alfano, lo scorso 23 luglio, avrebbe portato a una condanna in primo grado certa per il Cavaliere. Trecentosettantasei pagine in cui la Gandus ripercorre tutte le vicende giudiziarie che hanno coinvolto il premier a partire da metà degli anni Novanta. Dalle mazzette alle Fiamme Gialle, ai dieci miliardi di vecchie lire versati al Psi di Bettino Craxi, per finire alle scatole cinesi create per coprire le reali quote nella Pay tv di Telepiù violando la legge Mammì. David Mackenzie Mills, le operazioni, i titolari dei conti, i responsabili degli illeciti, li conosceva tutti, essendo stato lui a creare i percorsi per renderle invisibili. E per i giudici "l’attività che Mills aveva svolto per il gruppo Fininvest, ed in particolare la creazione della società offshore e la loro riconducibilità a persone a lui note diverse da coloro che ne erano i formali intestatari, risultano in modo incontrovertibile". E chi, dopo la sentenza emessa tre mesi fa dalla Corte, scommetteva sul fatto che con la condanna di Mills non fosse ancora provato il ruolo preminente di Berlusconi nella corruzione, si deve ricredere. Per la Gandus, lo scomparso manager Fininvest Carlo Bernasconi, "non aveva alcun proprio motivo per determinarsi a un regalo di tale entità". Perché "più circostanze concrete descritte nel procedimento fanno di Bernasconi persona che agiva in nome e per conto di Silvio Berlusconi". Quei 600 mila dollari altro non sono che "una compensazione e un riconoscimento dell’osservanza dell’accordo", pagati "su disposizione di Silvio Berlusconi. I giudici, inoltre, condannando Mills, quantificano in 250 mila euro l’entità del danno d’immagine subito dallo Stato, "in considerazione del tipo di reato", e anche perché il "prestigio e la considerazione pubblica dello Stato, nell’espressione della Presidenza del Consiglio, portatore di un interesse costituzionalmente qualificato all’integrità della sua immagine, sono stati gravemente pregiudicati". "La lettura della motivazione non riesce in alcun modo a superare le perplessità che già avevamo nutrito nel momento della condanna - replica il legale di Mills, Federico Cecconi -. La sentenza bellamente sorvola quelli che erano gli elementi fondamentali che il dibattimento doveva accertare. La motivazione non dice e non può dire che vi sia stata una somma di denaro percepita dall’avvocato Mills proveniente da Fininvest o da soggetti a essa riconducibili. Non lo dice e non lo può dire e ogni altro ragionamento è un puro atto di fede. Non è accettabile", conclude Cecconi, che presenterà appello. Ma il tempo stringe, entro il marzo 2010 arriverà, infatti, la mannaia della prescrizione. Giustizia: una politica "prigioniera" dei processi di Berlusconi di Federico Geremicca
La Stampa, 20 maggio 2009
E adesso, purtroppo, si può affermare che quel che fino a ieri era solo una deduzione logica (se esiste un corrotto, esisterà pure un corruttore!) da oggi è una circostanza giudiziariamente accertata: l’avvocato David Mills, condannato a 4 anni e 6 mesi per corruzione in atti giudiziari, agì "da falso testimone per consentire a Silvio Berlusconi e al gruppo Fininvest l’impunità dalle accuse o, almeno, il mantenimento degli ingenti profitti realizzati". È questo, infatti, quel che scrivono i giudici milanesi nelle motivazioni della sentenza di condanna emessa nel febbraio scorso nei confronti dell’avvocato Mills: una sentenza - ora è possibile affermarlo - che avrebbe colpito anche Berlusconi, se la sua posizione non fosse stata stralciata dal processo dopo l’approvazione del cosiddetto lodo Alfano (legge varata nel luglio scorso e che impedisce di portare in giudizio le quattro più alte cariche dello Stato durante il loro mandato). Dicevamo "purtroppo": e non soltanto perché le motivazioni della sentenza milanese non sono certo tra quegli avvenimenti capaci di inorgoglire un Paese (e perfino - crediamo - gli elettori di Silvio Berlusconi). Ma anche perché quel che è andato in scena, dal momento in cui quelle motivazioni sono state rese pubbliche, corrisponde a un copione già assai noto. E, potremmo aggiungere, tristemente noto: da una parte il premier che definisce scandalosa la sentenza, attacca i giudici e avverte che "quando avrò tempo andrò a riferire in Parlamento e vedrete cosa dirò"; dall’altra le opposizioni che, con accenti diversi (si va dall’accusa al premier di piduismo alla più ragionevole richiesta di rinunciare allo "schermo" del lodo Alfano), tornano a cavalcare un già sperimentato "antiberlusconismo giudiziario", provando a modificare il corso delle cose in vista del voto del 6 e 7 giugno. Nulla di particolarmente edificante, insomma. E sarà pure retorico aggiungerlo: ma davvero nulla di edificante, proprio nel momento in cui è di ben altro clima che il Paese avrebbe bisogno. D’altra parte, non c’è nulla di cui ci si possa sorprendere. È da quindici anni esatti, dalla "discesa in campo" di Silvio Berlusconi (1994), che cittadini, commentatori, forze politiche, intellettuali e chi più ne ha più ne metta, si azzuffano intorno ai processi istruiti nei confronti del Cavaliere. Quindici anni di condanne, assoluzioni, appelli e prescrizioni che hanno reso venefica l’aria nel Paese. Le opposizioni ci hanno naturalmente messo del loro, in ragione dei toni apocalittici e degli argomenti (per altro rivelatisi elettoralmente improduttivi) che hanno spesso usato; ma non può esservi alcun dubbio intorno al fatto che la responsabilità maggiore gravi sul presidente del Consiglio, in virtù di una scelta che fu fin dall’inizio definita sciagurata: e la scelta - come spesso sottolineato in passato - è quella di aver deciso di difendersi "dai" processi, piuttosto che "nei" processi. È tutto questo - intendiamo il comportamento dell’uno e la propaganda degli altri - che in fondo ha reso tutti noi, il Paese insomma, prigionieri dei processi di Berlusconi: prigioniera la politica in senso lato, l’informazione nel suo complesso, prigioniero il Cavaliere - naturalmente - e perfino le opposizioni. Che hanno ormai da anni come cartina di tornasole della propria identità, e come fattore spartiacque per alleanze e rotture, proprio il giudizio e l’intensità della polemica nei confronti di Berlusconi. E tutto ciò, nonostante sia ormai quasi matematicamente dimostrato che inchieste e sentenze rafforzano elettoralmente il premier, capace di compattare e motivare i suoi sostenitori con la tesi "c’è un complotto di giudici e comunisti contro di me". Per questo, in realtà, la rituale difesa che il centrodestra ha fatto ieri di Berlusconi ("Giustizia a orologeria in vista delle elezioni") appare poco sentita, oltre che offensiva nei confronti dei giudici. Piuttosto, è un altro meccanismo a orologeria che si è messo in moto da ieri e che deve - questo sì - preoccupare davvero: ci riferiamo all’intervento che il presidente del Consiglio ha intenzione di svolgere di fronte alle Camere. Ci pensi bene, il premier, prima di andare nelle aule del Parlamento e muovere da lì il suo j’accuse nei confronti di un organo costituzionale; eviti di aprire nuove crisi, come quelle già troppe volte sfiorate col Capo dello Stato; fornisca al Paese la sua versione dei fatti con il necessario senso di responsabilità. Insomma, non dia vita a nuovi scontri. Ne sia certo: il Paese apprezzerebbe assai di più. Giustizia: Ucpi; il tentativo di riforma stroncato da ostilità Csm
Adnkronos, 20 maggio 2009
"La storia della riforma della giustizia, o meglio delle mancate riforme, è sempre stata questa: ogni tentativo è stato troncato dall’ostilità della magistratura". Lo afferma Oreste Dominioni, presidente dell’Unione delle camere penali, al programma web Klauscondicio, intervistato da Klaus Davi, aggiungendo che "una magistratura forte, che sia ostile, comporta che poi, in un modo o nell’altro, venga raggiunto un accordo, o un equilibrio, sia esso tacito o no, con il potere politico, per il quale quelle riforme non desiderate dalla magistratura associata o da chi ne controlla le posizioni forti, non vengano attuate". "Vi sono grandi temi dibattuti lo scorso anno sul riordino organico della giustizia, ad esempio -prosegue Dominioni- la necessaria riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, su cui tutte le forze e istituzioni politiche si sono pronunciate. Su questo, i tempi sono scaduti, in quanto una riorganizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura richiede una legge costituzionale e questa non sarà possibile entro luglio 2010, data a cui corrisponde la scadenza dell’attuale Csm. Quindi non si è più in grado di fare una riforma che permetta di avere il nuovo Csm rinnovato. In generale quella che si prefissava come nuova politica non è uscita da una condizione di subalternità alla magistratura". Quanto, poi, al disegno di legge sulle intercettazioni, per Dominioni "se non è morto, è moribondo". Sul disegno di legge Alfano sulle intercettazioni telefoniche, Dominioni aggiunge che "probabilmente era stimolato soprattutto dalla grande e fondata preoccupazione del ceto politico di tutelarsi dalle pesanti e illegittime invasività che venivano da questo strumento. Grazie al self control delle procure e dei giudici, che erano i principali colabrodo, ma non i soli, oggi pare che la situazione in questi termini sia sotto controllo, con il rientro nei ranghi delle esternazioni e dell’uso esterno delle intercettazioni". Giustizia: Ucpi; elezione magistrati, non sarebbe uno scandalo
Adnkronos, 20 maggio 2009
"L’elezione dei pubblici ministeri dal popolo non è certo un’idea scandalosa e illiberale, visto che appartiene a paesi di consolidata democrazia. Ma la riforma autentica, alla portata della cultura giuridica italiana, è quella della separazione delle carriere, come sottolineato dall’onorevole Consolo". Lo afferma il vicepresidente dell’Unione Camere Penali Italiane, Renato Borzone. Giustizia: falsi certificati; carcere per i medici non è una novità di Roberto Giovannini
La Stampa, 20 maggio 2009
Chissà, magari qualcuno si metterà paura. Nel testo del decreto legislativo sul pubblico impiego il ministro Renato Brunetta sembra introdurre persino la galera per i pubblici dipendenti rei di aver consegnato certificati medici falsi, o per i medici che attestino una malattia non vera. Attimi di panico, ansia nelle sedi sindacali, e poi tutto si chiarisce: nessuna novità, nessuna nuova pena, nessun nuovo reato ma soltanto l’ennesimo spauracchio made in Brunetta. Infatti, un articolo del testo della delega - che peraltro adesso dovrà essere trasmesso al Cnel per l’esame delle parti sociali, alle Camere e poi approvato dalla Conferenza Unificata prima di entrare in vigore - ribadisce quanto previsto dal codice penale già oggi: chi al termine di un processo penale venisse condannato da un magistrato per il reato di "truffa ai danni dello Stato" (non basterà certo un’azione disciplinare o amministrativa) potrà subire la condanna prevista appunto dall’articolo 640 del Codice Penale per questo reato. Ovvero, la reclusione da uno a cinque anni e una multa da 400 a 1.600 euro. Del resto, sarebbe stato molto curioso se attraverso un decreto legislativo si fosse tentato di introdurre un cambiamento al Codice Penale. Con una certa astuzia, e sempre allo scopo di mettere paura a quelli che definisce "fannulloni", il ministro della Pubblica Amministrazione non ha fatto altro che dedicare dunque l’intero articolo 55-quinquies del decreto alle "false attestazioni e certificazioni". Il testo semplicemente ricorda quanto previsto dal Codice Penale, e poi argomenta che "il dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia" viene punito con multa e carcere da uno a cinque anni. Stessa sorte spetta sulla carta al medico o ad altri complici. Sulla carta: perché sarà il magistrato, titolare dell’azione penale, ad avviare eventualmente l’azione e poi svolgere il processo. Se l’imputato sarà condannato, se gli verrà riconosciuto il reato di "truffa ai danni dello Stato", la pena sarà davvero quella. Ma lo sarebbe stata comunque. Diverso è il discorso per quanto riguarda invece il cosiddetto "danno patrimoniale". Qui Brunetta ha stabilito che il dipendente condannato (oltre alle conseguenze disciplinari e penali) dovrà rimborsare non solo lo stipendio illegittimamente percepito da "falso malato", ma persino una somma per "danno d’immagine". Infine - ma anche questa non è una novità - una sentenza definitiva di condanna per "falso certificato" (ovvero, "truffa ai danni dello Stato") comporterà la radiazione del medico sleale dall’albo, il licenziamento per giusta causa se dipendente pubblico, la decadenza dalla convenzione se convenzionato con il Sistema Sanitario Nazionale. Anche qui, era già tutto previsto da anni dalle leggi che regolano gli Ordini professionali e la medicina pubblica. Nel complesso, il decreto come anticipato prevede una stretta sui provvedimenti disciplinari e le sanzioni, con un catalogo di infrazioni particolarmente gravi per le quali è previsto il licenziamento. La risoluzione del rapporto di lavoro è, ad esempio, prevista in caso di ripetizione di assenze ingiustificate; per ingiustificato rifiuto di trasferimento; per false dichiarazioni ai fini dell’assunzione o della progressione in carriera; per "prolungato insufficiente rendimento". Novità sono in arrivo anche per i procedimenti disciplinari e il loro rapporto con il procedimento penale: solo i procedimenti più complessi potranno essere sospesi in attesa del giudizio del tribunale. Giustizia: Palma e Margara; condizioni di carceri si complicano
Ansa, 20 maggio 2009
"Il carcere in Europa cresce un po’ dappertutto, ma il ritmo con cui cresce in Italia è altamente preoccupante: attualmente è di mille detenuti al mese, mentre, ad esempio in Spagna, Austria o Inghilterra siamo intorno ai 350-400. In Francia cresce quasi ai livelli italiani". Lo ha detto il presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, Mauro Palma, a proposito della situazione carceraria in Italia. "Sulla questione detentiva - ha spiegato, a margine di un incontro organizzato da Sinistra per Firenze su Città e carcere - fino a qualche tempo fa, potevamo dire che l’Italia era nella media dei Paesi dell’Europa occidentale; adesso la situazione sta degradando in maniera abbastanza spaventosa". Sulla possibilità, invece, di realizzare le cosiddette "carceri galleggianti" su navi ormeggiate in alcuni porti italiani, Palma ha affermato: "Se da noi le procedure fossero molto rapide, potrei anche accettare delle strutture temporanee, ma il problema è che a Strasburgo l’Italia è sempre condannata per la lentezza e la lunghezza delle procedure; questi periodi nelle navi - ha concluso - diventano periodi lunghi e allora sorge il problema grosso". All’incontro ha partecipato anche Alessandro Margara, presidente della Fondazione Michelucci ed ex direttore generale del Dap, che sulla questione delle "carceri galleggianti" come contrasto al sovraffollamento, ha detto: "Tutto questo fa parte delle battute: su queste esperienze non hanno insistito né negli Stati Uniti, né nel Regno Unito, evidentemente qualche cosa non funziona". "Penso - ha aggiunto - che, progressivamente, la possibilità di organizzare tutti i servizi nell’ambito di una situazione bloccata in questo modo sia molto complicato". Rispondendo poi ai giornalisti in merito alle parole del ministro della Giustizia, Angelino Alfano che, oggi a Palermo, aveva detto di volere "ridurre a poche strutture altamente specializzate i luoghi di detenzione per i detenuti al 41 bis", Margara ha commentato: "Hanno detto qualcosa di sinistro, altamente specializzate è sinistro, mi allarma. In America gli altamente specializzati vengono fatti sotto terra, nelle rocce". "Ignorano totalmente - ha continuato - tutto quello che ha detto la Corte Costituzionale sul 41 bis. Questo discorso del carcere duro è un’invenzione che è stata fatta contro quelle indicazioni che vengono dalle sentenze costituzionali, che dicono che la vita all’interno deve essere abbastanza normale". Presente, tra gli altri, anche Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, che è intervenuto sulla situazione nel carcere fiorentino di Sollicciano: "Ho avuto conferma proprio oggi - ha detto - che le presenze sono arrivate a 957. Ogni giorno aumentano verso quella cifra, i mille detenuti, che secondo me è la cifra che sarà l’emergenza totale". Corleone, infine, ha confermato che inizierà uno sciopero della fame nel momento in cui si arriverà a mille detenuti a Sollicciano. Giustizia: per il piano-carceri serve 1 miliardo di €, dai privati di Simona Scarane
Italia Oggi, 20 maggio 2009
Il governo ha varato il piano di edilizia carceraria ma per dargli gambe sarà necessario il contributo di fondi privati facendo ricorso a forme di partenariato pubblico privato. In particolare per costruirne ex novo una decina nei prossimi tre anni, così come stabilito dalle linee del piano, i privati dovranno investire all’incirca un miliardo. Risorse che potranno venire anche dalla possibilità di permute di aree secondo quando ha fatto sapere, ieri, il sottosegretario alla giustizia, Giacomo Caliendo, intervenendo alla seconda edizione di "Infrastructure Day", convegno sulla "Edilizia sanitaria, scolastica e penitenziaria. Le opere fredde fra realtà, vincoli e prospettive del mercato", organizzato da ItaliaOggi e dallo studio legale Dla Piper. E una prima ricognizione in tal senso è stata fatta, ha riferito, Caliendo, con l’Ance, l’associazione nazionale dei costruttori edili, e Confindustria. Ma, il project finance sulle opere cosiddette fredde, come carceri, scuole, ospedali, che permette alle pubbliche amministrazioni di costruire opere pubbliche senza incidere sul patto di stabilità, è necessario un equo ritorno economico per gli investitori. Il problema dell’equity resta ancora cruciale dopo che, la parte normativa è stata corretta, di recente, anche se non completamente, per eliminare gli ostacoli maggiori in materia di contenzioso, autorizzazioni, ricorsi con sospensione dei lavori oltre che sul rischio di costruzione che viene trasferito ai privati, come ha illustrato Giorgia Romitelli partner di Dla Piper. Sul problema della quota dell’equity (azioni fornite dai promotori del project) è intervenuto Massimo Ponzellini, presidente di Impregilo ma anche neo presidente della Banca Popolare di Milano, proponendo l’ipotesi di lavoro di garanzie assicurative sulle opere da realizzare in project finance per incentivare l’equity. Oggi, ha spiegato Ponzellini, la quota di equity nelle operazioni di project finance è più pesante, salita com’è dall’iniziale 10-15% al 40%, (il rimanente, all’incirca il 60%, sceso dall’iniziale 80%, è il capitale di debito, obbligazioni ottenute da un pool di banche). E se fondi di investimento individuano la "necessità di coinvolgere investitori istituzionali come i fondi pensione, di lunga durata, come ha evidenziato Fabio Albano partner di Clessidra infrastrutture sgr, e le banche, come ha fatto capire chiaramente Marco Ruju, di Biis, gruppo Banca Intesa, che visti i tempi di crisi come gli attuali pensa anche agli enti parastatali, come l’Inps, ecco che diventa necessaria una sorta di garanzia assicurativa, ha ipotizzato Ponzellini, che come Impregilo sta lavorando alla modernizzazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, per incentivarne la partecipazione. Questione rilevante che merita un approfondimento come ha sottolineato Federico Sutti, regional managing partner Dla Piper. Le opere fredde, ospedali, carceri, uffici, scuole, sono quelle per le quali la p.a. paga un canone per l’utilizzo della struttura e dei servizi che il concedente eroga, e "con una corretta gestione sono in grado di garantire il ritorno dell’investimento", ha sottolineato Duilio Allegrini condirettore generale Cofathec, non nascondendo, però, le difficoltà in Italia, per mancanza di regole, tempi certi e contenziosi. Il primato, nelle opere fredde, come gli ospedali, e nelle opere calde, come le autostrade (per le quali l’investitore recupera l’investimento attraverso i ricavi dei pedaggi per un determinato numero di anni di gestione stabilito dalla concessione pluridecennale), spetta al Veneto, in Italia, regione pilota che ha da poco inaugurato, a dicembre, il passante di Mestre, e prima ancora, un paio di anni fa il nuovo ospedale di Mestre realizzati in project finance. E che, secondo quanto ha illustrato il segretario regionale della sanità e sociale della regione, Giancarlo Ruscitti, sta lavorando alla costruzione di nuovi ospedali in project finance nei piccoli centri e a una nuova sede dell’ospedale di Padova. Ma nel confronto con l’esperienza inglese, illustrata da Michael Davis, asset management director Catalyst Lend Lease Limited, che ha partecipato al primo project finance ospedaliero in Italia, a Brescia, l’Italia deve ancora molta strada. Secondo quando ha specificato Davis le opere fredde, come ospedali, scuole, uffici, ripagano l’investimento dei provati attraverso la gestione dei servizi, siano essi le tecnologia diagnostiche nei moderno ospedali inglesi realizzati da Leand Lease, oppure le attività extra-scolastiche e i campus nel partenariato pubblico-privato, o le fonte di energie rinnovabili. Un terreno, questo dell’ammodernamento dell’edilizia scolastica, e il raggiungimento dell’efficienza energetica e del risparmio energetico con l’adozione di nuove tecnologie di illuminazione a basso consumo, che vede impegnata la provincia di Milano, secondo quanto ha specificato Giacomo Gatta, direttore centrale istruzione e edilizia della Provincia di Milano, in autofinanziamento e con il contributi della regione Lombardia. Ma anche su questo terreno, il governo ha stanziato 1,2 miliardi per l’ammodernamento dell’edilizia scolastica che, ha ammesso Gatta, è una cifra esigua distribuita sul territorio che rende il "ricorso alla finanza di progetto", ha sostenuto, "un passaggio obbligato", oltre che la ricerca di fondi Ue. Giustizia: interrogazione; sprechi e disservizi in sistema carceri
Imgpress, 20 maggio 2009
Intervento della Senatrice Donatella Poretti, parlamentare Radicali - Partito Democratico. Il Ministro Angelino Alfano ha dichiarato di volersi occupare dell’emergenza dell’enorme sovraffollamento carcerario con un piano urgente di nuova edilizia penitenziaria. Su questo progetto, però, il Governo non è andato oltre la fase di annuncio. Il sovraffollamento, invece, cresce con un ritmo vertiginoso di circa mille detenuti in più ogni mese, mentre i nuovi istituti potrebbero entrare in funzione non prima dei prossimi cinque anni. Nel contempo gli sprechi nella gestione del patrimonio immobiliare carcerario sono stati tanti nel corso degli anni, a spese dell’ignaro contribuente e a testimonianza del business che i diversi Governi hanno realizzato sulla sacrosanta esigenza di garantire spazio vitale minimo a chi è incarcerato. Una situazione più volte denunciata da segnalazioni della stampa. In questi giorni si è aggiunto un servizio della trasmissione tv "Striscia la notizia" sul nuovo carcere di Lecce, dove non ci sono detenuti ma solo il personale. Poi c’è la "perla" del carcere di Irsina in Basilicata, costruito e pagato ma mai entrato in funzione, nonché un’importante inchiesta del quotidiano "il Giornale" dell’ottobre 2007, dove sono stati passati in rassegna tutti i casi (più di 40 in tutta la penisola) di sprechi e disservizi con carceri costruite e non o parzialmente funzionanti. In questi giorni si è aggiunto l’allarme del Segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) su più di 40 istituti già costruiti e abbandonati, e sul fatto che, nell’annunciare il piano carceri, il Ministro e il Dap non abbiano parlato di assumere nuovo personale di Polizia penitenziaria (corpo già oggi sotto organico di ben 5.500 unità). Anche l’Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori), in questi giorni ha rilevato che "mentre si stanziano fondi per nuove strutture, non si attivano quelle esistenti e il cittadino contribuente continua a pagare tasse salate per mantenere in piedi uno Stato inefficiente e spendaccione". Per avere chiare risposte su questa situazione e su un piano carceri che rischia di configurarsi come l’ennesimo sperpero di danaro pubblico ad uso dell’ennesimo provvedimento spot del Governo, insieme al senatore Marco Perduca, ho rivolto un’interrogazione al Ministro della Giustizia chiedendo di sapere: - quali provvedimenti siano previsti nel "piano carceri" per sanare la situazione e per impedire che ulteriore denaro pubblico sia speso inutilmente; - se non si intenda armonizzare l’impiego degli Agenti di Polizia penitenziaria e del personale in servizio con l’attuale distribuzione della popolazione detenuta, e se non si preveda di aumentare gli organici di tali figure professionali e in che numero; - quali provvedimenti si intenda adottare per rimediare all’insostenibile sovraffollamento carcerario attuale, fino all’entrata in funzione dei nuovi istituti di pena; - quali spiegazioni può dare il Ministro a proposito dello stato di ogni singolo carcere segnalato dall’articolo de "il Giornale", e se siano già in corso, o non si intenda avviare, azioni civili o penali nei confronti degli eventuali responsabili degli sprechi e disservizi denunciati. Giustizia: mancanza di fondi, 20mila agenti senza straordinari
Adnkronos, 20 maggio 2009
Questo mese 20mila agenti della Polizia Penitenziaria avranno una decurtazione del 30 per cento sullo stipendio. È quanto denuncia l’Organizzazione sindacale autonoma della Polizia Penitenziaria (Osapp), che spiega come da un controllo effettuato dalla segreteria generale de sindacato "abbiamo appreso che l’Amministrazione Penitenziaria, questo mese, per la prima volta negli ultimi 15 anni, non retribuirà le prestazioni straordinarie effettuate nel mese di marzo ai Poliziotti Penitenziari di oltre 100 carceri italiani". Leo Beneduci, il leader del sindacato rileva che si tratta di prestazioni "non pagate non per problemi burocratici ma per mancanza di fondi". L’Osapp lamenta come "stanno venendo al pettine quei nodi già da tempo preannunciati. I detenuti aumentano di 1.000 unità al mese e di Personale di Polizia Penitenziaria in servizio ce n’è sempre meno (può essere assunto solo il 10% del corrispettivo che va in pensione), tutto questo - aggiunge Beneduci - quando i fondi per straordinari, appunto, sono stati ridotti dell’8% dall’ultima finanziaria". Il sindacato considera "assurdo che uno stato democratico e moderno, debba far affidamento alla prestazione straordinaria per gestire una situazione carceraria come la nostra, ma visti i numeri, non ci stupiamo più di nulla. Negli ultimi mesi - prosegue il segretario generale - si è visto anche di peggio, il declino è iniziato con l’immediata sospensione di tutti i piani ferie degli agenti che prestano servizio nelle sezioni". Per Beneduci la situazione "non può non far tornare alla mente le parole di un Ministro della Giustizia che prospetta una realtà carceraria modello, moderna, ormai risolta con un piano carceri a dir poco inadeguato. L’unico modello che ci troviamo di suggerire al Guardasigilli, e a Ionta come Capo del Dap, è quello del secondino, ovvero quel detenuto - conclude - a cui, perché più anziano o di maggiore fiducia, possano essere affidate le chiavi delle celle e la vigilanza delle sezioni quando il Personale di Polizia Penitenziaria non c’è, come accadrà sempre più spesso". Giustizia: Tomaselli (Pd); navi-prigione sono una stravaganza di Salvatore Tomaselli (Senatore Partito Democratico)
Asca, 20 maggio 2009
Davvero al Governo Berlusconi non manca la fantasia: se solo la si mettesse al servizio del bene del paese.... l’ultima stravaganza è l’ipotesi, contenuta nel piano straordinario che il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), Franco Ionta, ha consegnato nei giorni scorsi al Ministro della Giustizia Angelino Alfano, di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri italiane con "la previsione di strutture penitenziarie galleggianti" da collocare all’interno dei porti di diverse città. Non solo tale ipotesi non è stata smentita, ma siamo di fronte anche ad una precisa individuazione di possibili città che ospiteranno tale "soluzione", tra queste Brindisi, Bari, Molfetta. Se il piano di Ionta avrà il "placet" del governo, l’Italia adotterà una soluzione già messa in pratica negli ultimi 20 anni in Paesi come Stati Uniti (la prima chiatta-prigione fu ormeggiata a New York nell’89, lungo il fiume Hudson), la Gran Bretagna (la nave-prigione Weare è stata ancorata dal 1997 al 2005 nella baia di Porland, in Dorset), e più recentemente l’Olanda. Tutte esperienze che hanno funzionato poco e male, a volte in maniera disastrosa, per l’inadeguatezza degli spazi da destinare ad aria, socialità e lavoro per garantire diritti essenziali dei detenuti, per le difficoltà di colloquio per familiari e avvocati, per ragioni di sicurezza oltre che di igiene, per la difficoltà degli stessi operatori penitenziari a svolgere con efficacia il loro lavoro. Insomma, un altro spot, un’altra soluzione all’insegna della improvvisazione, quindi, ultimi della serie in materia di sicurezza! Nessuna smentita, ad oggi! Nessuna dissociazione dai parlamentari pugliesi e dagli amministratori del Pdl. Nessun commento dal Sindaco Mennitti: ma Brindisi non doveva essere la città che rinasceva grazie al suo porto? Un’altra scemenza contro cui ci batteremo perché davvero Brindisi, il suo porto, la sua economia marittima possano conoscere una nuova stagione di sviluppo e di crescita, respingendo progetti così astrusi ed inaccettabili. Giustizia: dopo la Riforma, quanto vale la salute dei detenuti? di Roberto Dupplicato
http://saperi.forumpa.it, 20 maggio 2009
La tutela sanitaria dei 62 mila detenuti nei 205 penitenziari italiani dal primo ottobre dell’anno scorso è gestita dal Sistema Sanitario Nazionale e non più dal ministero della Giustizia. Per favorire una migliore convivenza si parla di "minima sicurezza" per i detenuti che hanno commesso reati meno gravi. Questo perché nelle nostre carceri mancano 17 mila posti letto e i problemi psicologici e sanitari dovuti alla convivenza impongono una riflessione sul sistema carcerario. La tutela sanitaria dei 55 mila detenuti nei 205 penitenziari italiani dal primo ottobre è gestita dal Sistema Sanitario Nazionale e non più dal ministero della Giustizia. Tra i 50 articoli della bozza di riforma della giustizia si parla anche di "minima sicurezza" da scontare in penitenziari prefabbricati per i detenuti che hanno commesso reati meno gravi. Questo perché nelle nostre carceri mancano 17 mila posti letto e i problemi psicologici e sanitari dovuti alla convivenza impongono una riflessione sul sistema penitenziario. In cella ci si trova d’innanzi a degli estranei con cui bisogna condividere uno spazio molto piccolo. Entro le prime dodici ore di detenzione ogni detenuto si sottopone a visita medica. Al momento dell’ingresso in carcere tutti i farmaci in possesso del detenuto vengono sequestrati, è quindi importante dichiarare subito i problemi di salute o l’eventuale sieropositività, per ricevere tempestivamente le cure o gli alimenti adeguati. "I problemi di convivenza - spiega Francesco Ceraudo, presidente dell’Associazione dei medici penitenziari e direttore per la Toscana del Dipartimento per la salute in carcere - accrescono il disagio psicologico e le possibilità di ammalarsi di malattie come la tubercolosi africana". Nel 1990 i reclusi erano 25 mila, oggi siamo a quota 55 mila. Solo il 20% dei detenuti sono sani, il 15% soffre di depressione e di altri disturbi psicologici, più di mille detenuti hanno contratto il virus dell’Hiv e un detenuto su cinque vive in condizioni di tossicodipendenza. Il disagio psicologico nasce dalla difficoltà di abituarsi a vivere in regime di privazione di libertà. Ad aggravare questa situazione ci sono le difficili condizioni sanitarie. Gli spazi piccoli richiedono un rispetto totale dell’igiene, una virtù rara quando in ogni cella si vive in sei o sette persone. "La prevenzione in carcere - scrive un’altra detenuta di San Vittore - è impraticabile. La nostra salute è minacciata continuamente da stress e tensione, e poi c’è il problema dei piccoli spazi. Il bagno viene a coincidere con la cucina e il tavolo è a circa un metro dalla turca, non credo che l’Asl concederebbe l’abitabilità in queste condizioni". È compito dello Stato italiano, secondo l’articolo 32 della Costituzione, garantire cure gratuite nel rispetto del diritto del detenuto e nell’interesse della collettività. Ceraudo sta provando a convincere i detenuti a fare i test di positività sulle malattie infettive per evitare il contagio. "Solo il test sulla sifilide è obbligatorio - sottolinea Francesco Ceraudo -, su tubercolosi, hiv, epatite B ed epatite C cercheremo di spiegare ai detenuti che è nel loro interesse, oltre che giustificato per fini medico-legali, cercare in tutti i modi di evitare il contagio. Medici e infermieri che lavorano negli istituti penitenziari hanno il difficile compito di tutelare ogni giorno il diritto alla salute". Secondo Giulio Starnini, ex presidente di Medicina penitenziaria e direttore del reparto di Medicina protetta dell’Ospedale Del Colle di Viterbo, dal punto di vista clinico le carceri sono "osservatori privilegiati per capire cosa succederà nella comunità esterna tra qualche anno". Starnini ricorda come "negli anni successivi al ‘68 nelle carceri italiane c’erano già i primi casi di dipendenza da eroina, fenomeno che poi è stato conosciuto in tutta la nostra società. Nel 1984, in carceri di grandi città come Roma o Milano, cominciavano ad esserci i primi casi di contrazione del virus dell’Hiv, a quei tempi considerato come una malattia d’oltreoceano che colpiva solo gli omosessuali e che a distanza di un anno è diventata la peste del secolo". Tutte le regioni a statuto speciale invece gestiscono come meglio credono la tutela sanitaria dei detenuti. Su di loro c’è il pressing dei direttori. "La complessità delle cure mediche in carcere - dice Nunziante Rosalia, direttore dell’Opg di Barcellona Pozzo si Gotto - richiede una alta specializzazione del personale. Anche la sola "sindrome da prigionizzazione" presuppone problematiche più complesse e richiede quindi una professionalità accentuata". La riflessione sulla funzione rieducativa della pena ci porta oggi a riconsiderare il concetto stesso di reclusione. "La certezza e la giustizia della pena - sottolinea Nunziante Rosalia - deve essere alla base di tutto il procedimento ma la reclusione potrebbe essere sostituita da percorsi alternativi. Per i reati meno pesanti si potrebbe dare una pena di impronta civilista, oppure si potrebbe puntare su una nuova edilizia penitenziaria, pensata stavolta per rendere gli istituti moderni e vivibili". I disagi colpiscono anche i dipendenti della polizia carceraria, i medici, chi si occupa della pulizia dei locali e i parenti in visita. "Le condizioni igieniche e sanitarie - spiega il senatore Filippo Berselli, presidente della Commissione Giustizia del Senato - sono disumane e inaccettabili. L’esempio di Bolzano, dove i detenuti non hanno praticamente spazio per l’ora d’aria è sintomatico. Accettabili condizioni igienico sanitarie delle carceri sono da considerarsi come obiettivo minimo per una democrazia". Le condizioni di vita. È questo il problema centrale della privazione della libertà. Il luogo di detenzione prova a descriverlo con una lettera Monica Pardo Cases, una detenuta spagnola a San Vittore, un carcere dove quattro detenuti su cinque sono stranieri. "C’è un’umidità incredibile - scrive Monica -, mura scrostate e poca luce solare, sembra un cimitero nel quale buttano i fantasmi". Sardegna: isola ritorna "pattumiera" del sistema penitenziario
Agi, 20 maggio 2009
"Ancora una volta la Sardegna torna ad essere pattumiera della delinquenza italiana e internazionale. La Destra italiana per non smentire la sua tradizione nell’usare la Sardegna come terra di saccheggio di risorse, di discarica di rifiuti più o meno radioattivi, come luogo di esercitazioni militari per gli scenari di guerra, con il suo ministro della Giustizia Alfano propone ennesimi soprusi". È il commento del consigliere regionale dei Rossomori Claudia Zuncheddu alla proposta di creare, nelle nuove carceri Cagliari e Sassari, bracci speciali per circa 400 posti da riservare a detenuti in regime di 41 bis. "I detenuti da carcere speciale in Italia sono circa 600 e - osserva la Zuncheddu - tutti esponenti della criminalità mafiosa, (dalla n’drangheta, alla Camorra) legata alla delinquenza internazionale che con i suoi traffici: dalla droga, alla prostituzione, ai rifiuti, hanno inquinato il tessuto economico e sociale di diverse parti del mondo, per non parlare di quello italiano. Già la magistratura si è occupata nel Nord-Est della Sardegna di infiltrazioni mafiose e camorriste inerenti la speculazione edilizia. Non sono più gossip le dichiarazioni della stampa internazionale che denuncia l’arrivo degli interessi della mafia russa sulle nostre coste. I sardi non sono disponibili a far si che la Sardegna diventi come l’Italia, devastata dalla criminalità organizzata, che crea instabilità sociale, insicurezza per la civile convivenza e inquinamenti dei tessuti economici già fortemente mortificati dalla grave crisi. Che Alfano organizzi a casa sua, fuori dalla Sardegna, la giusta detenzione dei malavitosi. Noi siamo d’accordo che le carceri diventino più umane, come luoghi di reale rieducazione e reinserimento e che i detenuti sardi scontino le pene in Sardegna, per proteggerli da infiltrazioni delinquenziali ben più forti - conclude l’esponente dei Rossomori - e per alleviare i disagi e le sofferenze delle stesse famiglie". Invito tutte le forze politiche che hanno a cuore il benessere della Sardegna ad una forte presa di posizione affinché si eviti quest’ennesimo sopruso nei confronti del popolo sardo.
Carcere duro a Cagliari e Sassari (La Nuova Sardegna)
Ci saranno anche le nuove carceri di Cagliari e Sassari tra i penitenziari in cui si pensa di concentrare i circa seicento detenuti in regime di 41 bis (il cosiddetto "carcere duro"). Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, avalla la proposta già annunciata un paio di mesi fa dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Franco Ionta, di individuare strutture detentive specializzate. Ma annuncia pure che non sarà riaperto il carcere dell’Asinara. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha illustrato a Palermo il "pacchetto" di norme contenute nell’articolo 2 del ddl sicurezza, approvato il 14 maggio scorso dalla Camera, che "rappresenta il più grosso sistema di contrasto alla mafia dai tempi di Giovanni Falcone al ministero della Giustizia". "Nel piano straordinario delle carceri - ha spiegato Alfano - vogliamo ridurre a poche strutture altamente specializzate i luoghi di detenzione per i detenuti al 41 bis". E allo stesso tempo il ministro ha confermato che non saranno riaperte l’Asinara e Pianosa, che fino al ‘98 hanno ospitato i più pericolosi boss di Cosa Nostra. Ma dal momento che il ddl sicurezza prevede un giro di vite del 41 bis da scontarsi "in istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari", nel piano carceri si fa accenno al fatto che nelle due nuove carceri di Cagliari (da 550 posti) e Sassari (430 posti), da completare entro la fine dell’anno prossimo, ci saranno due padiglioni da 180 posti per i detenuti in 41 bis. Il piano consegnato all’inizio di maggio al Guardasigilli prevede la costruzione di 46 padiglioni in altrettanti vecchi istituti e di 21 nuovi penitenziari (tra cui anche Oristano e Tempio Pausania). Le nuove norme contro la criminalità organizzata, oltre al carcere duro, prevedono anche misure personali e patrimoniali più incisive per aggredire i mafiosi e i loro patrimoni. Misure che saranno "la base per il G8 giustizia, in cui l’Italia - sottolinea Alfano - esporterà nel mondo un modello di contrasto alla criminalità organizzata". Alfano ha auspicato che le norme antimafia "diventino legge al più presto possibile". E fra queste nuove disposizioni vi è l’innalzamento della durata del 41 bis: "La durata massima è stata innalzata a quattro anni, da due, la proroga potrà essere biennale anziché annuale ed è stato introdotto il 391 bis che punisce fino a 5 anni chi consente a un condannato al 41 bis di comunicare con l’esterno". Un provvedimento che "più duro non poteva essere fatto", perché come lo stesso ministro afferma "sfiora i diritti della Costituzione". Alfano ha osservato come in precedenza le norme antimafia siano state "figlie delle stragi", mentre adesso "abbiamo fatto queste leggi non sull’onda dell’emozione ma sulla rotta di ciò che ritenevamo giusto fare, e ne siamo lieti". Al procuratore nazionale antimafia è stata data l’autorità per coordinare indagini sulle misure di prevenzione, mentre sono stati ampliati i poteri a prefetti e questori. È stato inoltre creato un albo nazionale dei beni confiscati alla criminalità organizzata per consentire una gestione più efficiente e una assegnazione più rapida alle associazioni. Il ministro ha spiegato infine che è stata introdotta la possibilità di irrogare "misure patrimoniali applicabili indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto", e inoltre, "la responsabilità delle società e degli enti, sull’esclusione dalla partecipazione agli appalti pubblici delle aziende che avendo subito estorsioni non denunciano". Venezia: detenuti protestano, per suicidio e epidemia di scabbia
Il Gazzettino, 20 maggio 2009
"I soldi non si inventano": risponde così il Provveditore per il sistema penitenziario del Triveneto Felice Bocchino alle notizie di infezioni come la scabbia, contenute nel documento inviato al ministro della giustizia dai detenuti di Santa Maria Maggiore di Venezia. Da alcuni giorni i detenuti manifestano pacificamente, battendo sulle porte di ferro del carcere, per le condizioni di detenzione. Causa scatenante della protesta è stata il suicidio di un detenuto immigrato, ma la protesta verte soprattutto sull’eccesso di presenze. I detenuti sono in tutto 310, il triplo della presenza regolamentare. "I posti sono quelli che sono, certe situazioni vanno evidentemente a discapito dei detenuti e del personale - spiega il Provveditore - abbiamo un numero di detenuti di gran lunga superiore a quelli che potremmo detenere, carenze di organico e carenza di fondi: è ovvio che il tutto incide". "Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - afferma Bocchino - ha subito un taglio pari a 133 milioni di euro, tutto questo è una conseguenza diretta. Se rispetto al fabbisogno di uno mi danno 0,20, è evidente che si crea una situazione di difficoltà, se a me ne danno meno sono costretto a distribuire meno: i soldi non si inventano".
Polizia penitenziaria "allo stremo": venerdì la protesta a Padova
Una manifestazione di protesta è stata organizzata dai sindacati della polizia penitenziaria per il 22 maggio davanti alla Casa di Reclusione di Padova. "Il personale oramai è allo stremo - rileva Francesco Lauriola, Uil Penitenziari -. Si effettuano turni impossibili e la direzione nega i riposi settimanali e le ferie". Il sindacalista sostiene che direzione del carcere costringerebbe il personale "allo straordinario, ma non lo paga; ci manda in missione e non ci paga. Si parla di aprire a settembre nuovi capannoni per le cooperative che offrono lavoro ai detenuti, ma dove prenderanno il personale per la vigilanza?". Lauriola ricorda che dovrebbe esserci un organico di 435 persone: "ma siamo solo 360, di cui una cinquantina per le traduzioni, 22 distaccati al Provveditorato, una ventina in altre sedi e altri servizi tra cui scorta, tutela e vigilanza al sottosegretario Casellati". Milano: San Vittore è al collasso e a Bollate intere sezioni vuote di Andrea Galli
Corriere della Sera, 20 maggio 2009
Nel carcere di San Vittore due reparti sono chiusi. Devono essere ristrutturati, non arrivano i finanziamenti, rimarranno chiusi a lungo. A causa della chiusura dei due reparti, la capienza regolare si è abbassata a 700 unità. A San Vittore vivono in media 1.450 detenuti. Nel carcere di Bollate, da mezzo anno è pronto un padiglione da 350 posti con due sezioni da tre piani ciascuna. Mancano gli agenti. Il ministero ne ha raccolti una ventina e li ha spediti a Bollate. Restano pochi, gli agenti. Consentono l’operatività di appena i due primi piani. E "a breve", sostengono i sindacati della polizia penitenziaria, "chiuderanno pure quelli, poiché le guardie saranno destinate ad altri istituti". Oppure decideranno di tornare nel natio e meno costoso sud. Il padiglione di Bollate è costato oltre 10 milioni. È stato creato per ospitare due categorie (da prelevare all’inizio da San Vittore, per "alleggerirlo"): i collaboratori di giustizia, e poi stupratori e pedofili, che devono starsene in reparti tutti per loro. La convivenza con altri detenuti può essere piena di vendette, ritorsioni, punizioni, e altre cose peggiori. Bollate è un istituto modello: giovane (ha nove anni), fuori città, fabbrica progetti culturali, percorsi artistici, tornei sportivi per i detenuti. A volte, qualche vita perduta torna a germogliare. Sui motivi della riuscita del modello Bollate, ci sono le intuizioni del provveditore regionale alle carceri lombarde Luigi Pagano e la odierna guida della direttrice Lucia Castellano. Il padiglione è sul retro della struttura. Ha una forma a elle. Si scorge percorrendo la strada che porta alla zona industriale di Bollate. C’è una prostituta, giovane, con gli occhi chiari, seduta su una sedia a bordo strada. Di fronte a lei, una strada di terra che sale fino a costeggiare la bretella autostradale. La strada non ha ingresso, ed è incustodita; oltre la bretella si alzano, massicci, i muri del carcere. Ora, che l’emergenza del pianeta-carcere abbia toccato anche Bollate suona strano. Pagano è un cultore del mattone dopo mattone. Dice: "I problemi? Ci sono, certo. Ma siamo abituati a lavorare per risolverli". Ma quando diventerà completamente operativo il padiglione di Bollate? Quando il Governo troverà una soluzione? Mesi fa, le organizzazioni sindacali avevano scritto al ministro della Giustizia Angelino Alfano: "L’annunciata apertura del nuovo padiglione sembra essere subordinata all’invio in missione di personale extraregione. Il rischio concreto che avvertiamo è che quel personale non arrivi ". La scorsa settimana, il Governo ha annunciato la possibilità, per combattere il sovraffollamento, di "carceri galleggianti", enormi cittadelle-chiatte al largo di città portuali. Il commento di Leo Beneduci, a capo del sindacato Osapp, sindacato molto tosto: "Siamo in mare di guai". Dal primo giorno di vita dell’istituto, don Angelo Sfondrini, 65 anni, originario della vicina Rho, è il cappellano. Dal suo osservatorio privilegiato, vede l’incremento "tremendo" di detenuti con problemi di droga: "Tra chi la spaccia e chi la usa, sono un terzo del totale. Tanti. Cocaina? No. Anche eroina". Qualche guardia in servizio a San Vittore, e abbiamo ascoltato persone per niente drastiche e tendenti al pessimismo più totale, confida di aver paura: "Stiamo precipitando". Pagano chiude con un ringraziamento. A chi? "Agli agenti. Davvero. Sono sincero. Senza di loro, a Bollate, non saremmo riusciti ad aprire nemmeno quei due piani del padiglione". Foggia: denuncia dell’Osapp; 4-5 persone, nelle celle "singole"
Ansa, 20 maggio 2009
Penitenziario di Foggia al collasso, con 750 reclusi. È quanto denuncia l’Organizzazione Sindacale Autonoma della Polizia Penitenziaria al termine di una assemblea sindacale tenutasi presso la Sala Conferenza all’interno del Carcere. Segnalata la gravissima e non più sostenibile situazione di ultrasovraffollamento delle Sezioni e Reparti detentivi la cui capienza ben oltre i limiti di guardia avrebbe ad oggi raccolto circa 750 reclusi tra cui Gruppi di etnie e delinquenziali di ogni specie. In un cella dove di solito è ospitata una persona, verrebbero accampate e ristrette al limite della sopportazione umana ben quattro, cinque arrestati. Un solo agente della Polizia Penitenziaria, particolarmente nelle giornate festive dove il personale è numericamente ridotto,una sezione detentiva con ben oltre 140/150 reclusi è affidata alla Vigilanza e controllo di un solo agente. Il penitenziario la cui costruzione risale ad oltre un trentennio a Foggia con diverse diramazioni detentive interne, verrebbe affidato alla vigilanza di solo 300 Agenti di cui circa 50 presso il settore Nucleo Traduzioni e Scorte, e 30 agenti della Polizia Femminile dislocate in vari compiti istituzionali. In questi giorni proprio a causa delle candidature politiche,provinciali e locali l’organico di polizia si sarebbe ulteriormente ridotto di circa 100 poliziotti. Pertanto, servono per la sede di Foggia urgentemente almeno 150 unità anche in distacco o con trattamento di missione provenienti dalle sedi con meno sofferenza di servizio. Un solo agente, nelle giornate delle visite e colloqui detenuti con famigliari, è costretto a controllare tre/quattro sale contemporaneamente piene di utenti. L’Osapp chiede l’apertura urgente di un Tavolo di confronto Nazionale al Dipartimento sulle segnalate problematiche e carenza di personale di Polizia, l’invio urgente di un contingente di 150 uomini anche prelevati dal Gom, adeguati stanziamenti finalizzati a surrogare iniziative che migliorino la vita e la qualità lavorativa degli Agenti Penitenziari,della Caserma in uno stato pietoso come edilizia e pulizia. L’Osapp annuncia lo stato di agitazione della Polizia Penitenziaria nella sede di Foggia e non esclude ulteriori azioni esterne finalizzate ad attirare l’attenzione delle Autorità competenti tra cui anche il simbolico gesto di incatenarsi ai cancelli del Penitenziario quali scudo umano alle sofferenze dei poliziotti. Savona: il consiglio comunale approva progetto nuovo carcere
Asca, 20 maggio 2009
Il Consiglio Comunale ha votato all’unanimità un ordine del giorno presentato dalla Quinta Commissione consiliare permanente presieduta dal Consigliere Pietro Li Calzi in merito ai lavori di costruzione di una nuova Casa Circondariale a Savona. L"ordine del giorno è frutto di un dibattito costruttivo tra tutte le componenti del Consiglio e prende atto del perdurare delle drammatiche condizioni del carcere Sant"Agostino di Savona che è stato più volte denunciato anche dal Sappe, il sindacato degli agenti di polizia penitenziaria. "Rilevato che a tutt’oggi continua il ritardo sull’esecuzione dei lavori previsti per il nuovo carcere - è scritto nell’Ordine del giorno - e constatate le gravi ripercussioni non solo sull’ospitalità carceraria ma anche per tutti coloro che all’interno della struttura lavorano o soggiornano, il Consiglio Comunale dà mandato al Sindaco di intervenire con la massima decisione presso le Istituzioni e gli Enti preposti, ed in particolare presso il Ministero di Giustizia, affinché intervengano con urgenza per dare avvio ai lavori di costruzione del nuovo carcere, per risolvere una insostenibile situazione divenuta insostenibile". Il sindaco Federico Berruti, che non ha potuto votare l’Ordine del giorno per partecipare al Memorial Day 2009 - "Per non dimenticare", organizzato dal Sindacato Autonomo di Polizia in Piazza Mameli in occasione dell’anniversario della strage di Capaci, ha sottolineato "condivido completamente lo spirito dell’Ordine del giorno. Ci impegneremo tutti insieme per risolvere un problema che persiste da troppi anni". Gorgona: prossima apertura di un acquario curato da detenuti
Ansa, 20 maggio 2009
È confermata - e c’è da dire per fortuna visto da quanti anni il caso va avanti - l’apertura per la fine di quest’anno dell’acquario Diacinto Cestoni di Livorno. La struttura è di 3.000 mq di superficie espositiva, con 65 vasche per circa 1.000 mc di acqua (divisa fra vasche espositive e curatoriali), 2 gallerie espositive e aule didattiche. Un acquario non solo attento alla ricostruzione degli habitat naturali degli animali, alla loro salute, ma anche all’ambiente e in particolare al consumo energetico dell’intero edificio. Il "Cestoni", infatti, è dotato di pannelli fotovoltaici e solari. Ed è in cantiere uno studio sulla geotermia a bassa entalpia per ottenere circa 60% di energia. Un progetto, quello dell’acquario, che risponde alla necessità di divulgazione scientifica e archeologica - grazie alla collaborazione del Cibm (Centro Interuniversitario di Biologia marina) - ma anche artistica, con le mostre momentanea che verranno allestite all’interno, ambientale e sociale. Prevista anche una sede distaccata presso il carcere dell’Isola di Gorgona dove sarà costituito un centro di studi e di recupero di specie a rischio, gestito con i detenuti del carcere. Roma: appello detenuti, per votare Mauro Palma alle europee
www.linkontro.info, 20 maggio 2009
Si tratta di una novità. I detenuti si organizzano per votare e far votare un candidato che si occupa di diritti umani delle persone private della libertà. Lo stesso hanno fatto le associazioni che si occupano di detenzione. Ai detenuti condannati a più di cinque anni è vietato votare. A volte gli rimane addosso questa condizione anche dopo la fine della pena perché scatta la pena accessoria dell’interdizione legale. Gli altri detenuti, quelli condannati a pene brevi o in regime di custodia cautelare, possono farlo. Antigone nella scorsa legislatura presentò, primo firmatario Giuliano Pisapia, un disegno di legge per garantire l’elettorato attivo a tutti coloro che hanno espiato per intero la pena. "Ora - afferma Mauro Palma - dobbiamo assicurare a coloro che hanno diritto di voto la possibilità di poterlo esercitare effettivamente". Ecco l’appello dei detenuti: "Invitiamo tutti i nostri amici detenuti che hanno la possibilità di votare, invitiamo parenti, amici, conoscenti, invitiamo chiunque abbia a cuore il rispetto dei diritti umani all’interno delle carceri a votare Mauro Palma, candidato indipendente nelle liste di Sinistra e Libertà, collegio Lazio-Marche-Toscana-Umbria, alle prossime elezioni europee. Mauro Palma da oltre trent’anni si batte per il rispetto dei diritti dei detenuti. È presidente del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa. È stato tra i fondatori dell’associazione Antigone, di cui è oggi presidente onorario. Votare Mauro Palma significa contribuire a portare all’attenzione dell’Europa la battaglia per i diritti di chi vive in quei luoghi purtroppo spesso oscuri che sono le carceri". Terni: in vendita, per beneficenza, i quadri dipinti dai detenuti
Ristretti Orizzonti, 20 maggio 2009
Sarà inaugurata giovedì 21 maggio alle ore 10 presso la sezione arte contemporanea del Museo diocesano di Terni, in via XI Febbraio 8, la mostra "In piccoli spazi di tempo". Trenta le opere in esposizione realizzate durante le attività di laboratorio dai detenuti reclusi nell’area protetta della Casa Circondariale di Terni. La mostra resterà aperta il 21-22-23 maggio dalle 16 alle 19, mentre sabato 23 maggio alle ore 16, a chiusura della mostra, le opere saranno vendute in un’asta di beneficenza il cui ricavato sarà destinato al Fondo di solidarietà delle chiese umbre per le famiglie disagiate. Da diversi anni l’esperienza dell’arte in carcere, promossa dalla Caritas diocesana e dall’associazione di volontariato "San Martino" all’interno della Casa Circondariale di Terni, è divenuta un’importante forma espressiva che i detenuti apprezzano e alla quale partecipano con sempre maggiore interesse, tanto che ha permesso di organizzare questa mostra-mercato di beneficenza. "In piccoli spazi di tempo" raccoglie le emozioni dei detenuti, vissute nel laboratorio artistico durante la socializzazione e l’evoluzione relazionale, mentre si apprendono le tecniche del disegno e del colore. Rispettarsi, smussare alcune parti spigolose del proprio carattere, superare i pregiudizi e antipatie, sostenersi scambiarsi informazioni e pareri, a volte, per loro è difficile ma i colori, i pennelli, le tele i fogli di carta aiutano tanto e tante volte in questi "piccoli spazi di tempo". I colori sono coinvolgenti, arrivano alla loro coscienza e accendono la luce delle emozioni positive, della gratificazione e dei sani proponimenti. Da questo processo, è nato anche il loro desiderio di sentirsi utili nel sociale, proponendo di mettere in vendita alcuni loro lavori pittorici per un fine benefico.
In piccoli spazi di tempo (Comunicato Ufficio Stampa Casa Circondariale)
Apre giovedì 21 maggio, con inaugurazione alle ore 10,30, la Mostra di Opere pittoriche realizzate dai detenuti della Casa Circondariale; si terrà presso il Museo Diocesano di Terni in via XI febbraio n. 4, dal 21 al 23 maggio ore 16.30 - 19.30, si concluderà sabato 23, con l’Asta di beneficenza alle ore 16.30. Le opere ed i prodotti esposti, (quadri, ceramiche, olio, pasticceria) tutti realizzati all’interno dell’istituto di pena, saranno messi in vendita e il ricavato sarà devoluto in beneficenza in favore del Fondo di solidarietà delle Chiese Umbre per le famiglie in difficoltà. Negli orari di apertura della mostra sarà possibile acquistare ceramiche, olio e pasticceria. I quadri, invece, saranno venduti all’asta che si terrà sabato 23. L’iniziativa, organizzata dalla Direzione dell’Istituto Penitenziario, dalla Caritas Diocesana, dall’ Associazione di volontariato San Martino e dall’Arci Ora D’Aria, nasce dal desiderio dei detenuti, che hanno frequentato il laboratorio artistico allestito nel carcere, di promuovere un’iniziativa benefica. La direzione del carcere da molti anni porta avanti e diffonde le esperienze creative che vi si realizzano, offrendo anche ai cittadini esterni la possibilità di ammirare i suoi capolavori. L’arte come forma visiva che si sostituisce al linguaggio parlato e scritto, permette la visibilità dei desideri, dei traumi, delle aspirazioni e delle inquietudini degli uomini e per un po’ si allontana dalla mente, l’ombra del reato e della pena, per recuperarne coscienza, senso e umanità. Interverranno il Vescovo Mon. Paglia, il Prefetto Dott. Marchione, il Sindaco On. Raffaelli, l’Assessore Regionale alle politiche Sociali Damiano Stufara, il Provveditore Regionale dall’Amministrazione Penitenziaria Dr.ssa Ilse Rusteni. Si allega l’invito e si chiede alla cortesia di Codesto Organo di Informazione di dare risalto alla notizia e di intervenire. Bergamo: concerto Enrico Ruggeri, per le detenute e le agenti
L’Eco di Bergamo, 20 maggio 2009
Un’agente di custodia è una sua fan sfegatata ed Enrico Ruggeri non ha fatto altro che rispondere alla sua chiamata. È nato così l’incontro di martedì 19 maggio del cantante italiano con le detenute del carcere di via Gleno. "Le detenute del carcere hanno chiesto di me, parte tutto da loro, io sono solo il terminale. Molte ascoltavano le mie canzoni - racconta Ruggeri -. Ne ho scritta una che s"intitola "Lettera dal carcere", cantata anche da Fiorella Mannoia. Credo dunque che l"idea sia nata da un insieme di cose". Ruggeri ha quindi visitato il carcere e cantato con la sua fan. Poi ha ascoltato le storie di alcune detenute che, sul palco con lui, hanno letto alcuni pensieri, raccontando loro esperienze ed emozioni. "Non è la prima volta che varco la soglia di una casa di pena - ha raccontato Ruggeri -. Sono stato a San Vittore quando era direttore Pagano. Ho tenuto un piccolo concerto insieme ad Andrea Mirò, la mia compagna. Anche a Bergamo ci sta che canti qualche canzone. So che le detenute hanno preparato qualcosa con la loro insegnante di musica". Sono esperienze forti per un cantautore. "Ne ho fatte diverse, negli anni, da solo e con la Nazionale cantanti. Sono stato al carcere minorile di Cagliari, a Pescara, a San Vittore. La sensazione è sempre quella: tutte queste visite, tra ospedali, e altro, sono di grande impatto emotivo". Dopo l’album "Rock Show", "L’Ultima follia di Enrico Ruggeri" è un cofanetto di tre dischi. "Un triplo per andare avanti - commenta la scelta -, uno sberleffo alla crisi. Visto che si vendono pochi dischi, ho moltiplicato quei pochi per tre. Credo che in questo momento uno possa davvero fare quel che gli pare, tanto non cambia granché. Sono al 26° album: so per certo che non ho fatto un disco da un milione di copie e al tempo so che non scomparirò". Libri: "Figli della società, carcere... devianza e conflitto sociale"
La Nuova Sardegna, 20 maggio 2009
Sarà presentato venerdì, alle 18, nella sala conferenze della biblioteca gestita dalla coop La memoria storica, il libro di Paolo Pisu dal titolo "Figli della società: Carcere, devianza e conflitto sociale". L’autore, competente in politiche comunitarie, già sindaco di Laconi dal 1995 al 2005 è tra i fondatori del comitato per la lingua e la cultura dei sardi; nel 2004 è stato eletto consigliere regionale per Rifondazione Comunista. Tra le altre sue pubblicazioni è da ricordare "Storia del partito comunista in Sardegna". L’opera che analizza la condizione carceraria nasce dopo un approfondito excursus storico sull’evoluzione della finalità della pena, che dovrebbe essere costituzionalmente garantita e tesa alla rieducazione. L’argomento trattato esamina il panorama carcerario in Italia con particolare attenzione alla realtà sarda, soffermandosi sul lavoro svolto dall’amministrazione regionale, e come con impegno sia riuscita a creare strutture finalizzate al sostegno e al reinserimento sociale dei detenuti. L’autore descrive inoltre alcune esperienze che dimostrano come sia realmente possibile creare delle alternative al carcere e come, invece, alcuni pregiudizi impediscano di valutare e negare l’inefficienza dell’attuale sistema penale, impedendo così di intraprendere strade diverse e più efficaci. Alla presentazione dell’opera interverranno il vescovo della diocesi di Ales-Terralba monsignor Giovanni Dettori, Giampiero Farru, responsabile regionale di Sardegna solidale, il segretario provinciale della Cgil Giampaolo Lilliu, l’ex detenuto Graziano Mesina e Pierluigi Farci, direttore del carcere di Oristano e della colonia penale di Is Arenas. Immigrazione: Berlusconi; Cie come lager meglio respingimenti di Liana Milella
La Repubblica, 20 maggio 2009
Berlusconi se lo lascia sfuggire all’Aquila dopo aver parlato a lungo con il presidente della commissione Ue Barroso. "I Cie? Assomigliano molto a campi di concentramento". E non basta perché aggiunge: "Tanto che il Parlamento li ha bocciati". Sberleffi dell’opposizione a parte (il Pd Minniti "il premier si commenta da solo", l’Idv Donadi "è un colossale mistificatore", il pd Bressa "è in stato confusionale"), il Cavaliere parla quasi come la Chiesa. Basta leggere l’ultima uscita di monsignor Marchetto, il segretario del Pontificio consiglio per i migranti, che critica di nuovo la politica del governo sull’immigrazione. "L’attuale restringimento dell’accesso regolare ai paesi sviluppati spinge molti a cercare vie irregolari". E in polemica con il ministro degli Interni Roberto Maroni: "Si fa spesso ricorso a politiche più severe, a maggiori controlli alle frontiere. È un approccio ristretto e limitato che rischia di mettere in pericolo la vita delle vittime". Marchetto non è solo, i gesuiti del Jesuit refugee service, l’organizzazione che aiuta i rifugiati, apre a Roma una mostra fotografica sul coraggio dei richiedenti asilo per dimostrare che "le politiche guidate dalla paura violano i diritti dei profughi". Ma Maroni non ci pensa neppure a fare marcia indietro sui respingimenti dei barconi verso la Libia e tantomeno sui Cie. Anzi, avrebbe voluto che il ddl sicurezza, che ne porta la permanenza da due a sei mesi, fosse definitivamente approvato al Senato prima delle europee, la Lega ci ha provato, ma se ne parlerà solo dopo. Intanto Maroni lavora con i libici. Eccolo a Tripoli per incontrare il suo omologo al-Obeidi. Non strappa ancora il sì, pur assai sperato, per localizzare subito oltre Mediterraneo una commissione mista (Italia, Unhcr, Ue) per esaminare lì le domande di asilo degli immigrati respinti, ma rafforza la linea dei respingimenti. Il governo di Gheddafi prende tempo in vista delle doppia visita in Italia del leader africano, vuole capire bene quale sarà il ruolo dell’Unhcr. Il nostro ministro lancia allarmi, media, guarda soprattutto all’Europa. In Libia, dai servizi segreti, ha ricevuto la conferma di un sospetto: "Sono state intercettate 150 telefonate dai barconi dirette in Italia per ottenere assistenza". E ancora: "È l’ulteriore prova che nel racket dei clandestini sono coinvolti gli italiani". Mentre è a Tripoli arriva la conferma che i trafficanti si stanno riorganizzando per aggirare l’accordo con la Libia sui respingimenti: la guardia costiera algerina ha intercettato un’imbarcazione e nelle isole Pelagie sono stati registrati quattro mini sbarchi di gommoni e piccole imbarcazioni che non provenivano più dalla Libia, ma da zone più a Est. Sul tavolo dei libici Maroni spende la carta europea: "La Ue chiacchiera tanto ma poi lascia soli i paesi ad affrontare il problema. Ci aspettiamo adesso che la commissione batta un colpo". Dall’Italia Barroso risponde proponendo un incontro per il 10 giugno. Berlusconi scriverà alla presidenza ceca, ma conferma la linea dura di Maroni: "Meglio respingerli subito che metterli nei Cie". Nei campi di concentramento, appunto. Immigrazione: richiesta di asilo non blocca l’iter di espulsione di Debora Alberici,
Italia Oggi, 20 maggio 2009
La richiesta di asilo per motivi politici non blocca la procedura di espulsione. Sono infatti validi l’ordine di allontanamento del questore e il decreto del prefetto perché la procedura amministrativa non si sospenda. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 11264 del 14 maggio 2009. La prima sezione civile ha quindi confermato il decreto di espulsione adottato dal prefetto di Roma nei confronti di un extracomunitario che aveva presentato istanza per diventare rifugiato politico. L’uomo si era opposto al provvedimento prefettizio di fronte al giudice di pace che, però, gli aveva dato torto. Contro questa decisione lui ha fatto ricorso in Cassazione ma senza successo. Secondo la Corte, infatti, "in pendenza di altro ricorso volto a ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato politico in favore dello straniero, non deriva l’obbligo di sospensione del procedimento di espulsione per lo straniero". La ragione della decisione presa dai giudici di legittimità sta nella natura "obbligatoria" del provvedimento amministrativo di espulsione. Infatti, dicono gli Ermellini richiamando un principio più generale, "in tema di disciplina dell’immigrazione, poiché il provvedimento di espulsione dell’extracomunitario è obbligatorio e a carattere vincolato, il giudice ordinario è tenuto unicamente a controllare l’esistenza al momento dell’espulsione dei requisiti di legge che ne impongono l’emanazione, senza che sia possibile configurare un obbligo di sospensione necessaria del relativo procedimento qualora ne sia pendente un altro nel quale si controverta dell’esistenza dei presupposti idonei a legittimare l’adozione del relativo decreto". L’extracomunitario ha perso anche sull’altro motivo del ricorso con il quale chiedeva che venisse sospesa la procedura di espulsione perché nel paese di origine era soggetto a continue persecuzioni. Ciò perché il motivo è stato presentato per la prima volta in Cassazione e la Corte lo ha dichiarato, come tale, inammissibile. In proposito, si legge nelle brevi motivazioni, "la seconda censura è inammissibile nella parte in cui si deduce che non era consentita l’espulsione verso uno stato in cui lo straniero poteva essere oggetto di persecuzione perché nuova". Immigrazione: Toscana; legge regionale a favore integrazione
Ansa, 20 maggio 2009
Ha preso il via ieri nell’aula del Consiglio toscano la discussione sulla proposta di legge regionale sull’immigrazione che, se approvata, detterà nuove norme per l’accoglienza, l’integrazione partecipe e la tutela dei cittadini stranieri in Toscana. Il testo di legge, nei suoi 37 articoli, tocca temi diversi come il lavoro, la sanità, l’istruzione, le politiche abitative, secondo norme ispirate - questo è l’intento dichiarato - a principi di uguaglianza e pari opportunità per i cittadini stranieri che si trovano sul territorio toscano. La nuova legge nasce per rispondere a una realtà che vede, al gennaio 2008, 275.149 immigrati regolari nella regione Toscana, pari al 7,5% della popolazione, contro il 6,44% del 2007 e con un aumento costante e più rilevante rispetto ad altre zone del Paese. Fra i punti più rilevanti, vi sono la valorizzazione dei titoli professionali acquisiti nei Paesi d’origine, la rappresentanza nelle organizzazioni imprenditoriali, il coordinamento delle Istituzioni e degli Enti locali, il sostegno e il rafforzamento della rete di sportelli informativi, l’insegnamento della lingua italiana. Inoltre, la legge punta sul rispetto delle differenze religiose, riserva un’attenzione particolare ai soggetti deboli (richiedenti asilo e rifugiati, minori e donne in stato di gravidanza, vittime di tratta e sfruttamento, detenuti).
Per i clandestini cure mediche e interventi socio-assistenziali
E ancora: assistenza socio-sanitaria urgente e indifferibile anche per gli stranieri senza permesso di soggiorno, prevenzione delle mutilazioni genitali femminili, promozione della convivenza interculturale, accesso al servizio civile regionale. Secondo l’attuale articolo 2, per i cittadini stranieri "titolari di permesso di soggiorno, per richiesta di asilo, status di rifugiato, protezione sussidiaria o ragioni umanitarie", sono previsti interventi specifici di assistenza e accoglienza. Mentre per l’articolo 18, tutte le "persone dimoranti" nel territorio regionale, "anche se prive di titolo di soggiorno", possono fruire degli "interventi socio-assistenziali urgenti e indifferibili, necessari per garantire il rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti ad ogni persona in base alla Costituzione ed alle norme internazionali".
Diritto di voto amministrativo ai residenti
Altri aspetti rilevanti del testo finale della proposta di legge riguardano la partecipazione alla vita pubblica dei cittadini stranieri residenti e, in particolare l’estensione del diritto di voto amministrativo. Si prevede anche un più omogeneo funzionamento delle Consulte e dei Consigli degli stranieri presenti in molti Comuni. La legge promuove e sostiene il diritto alla salute dei cittadini stranieri, "come diritto inviolabile della persona", per questo promuove l’utilizzo di mediatori culturali nei servizi di primo accesso alle prestazioni sanitarie", così come "l’adozione di piani mirati alla prevenzione e alla sicurezza sui luoghi di lavoro".
Potenziamento dei servizi relativi al rilascio del permesso di soggiorno
È garantito il sostegno della rete regionale di sportelli informativi, con il supporto nelle procedure di rilascio, rinnovo o conversione dei titoli di soggiorno e la richiesta di cittadinanza, nonché il ricorso al Difensore civico regionale. Si promuove l’accesso a interventi di assistenza nella cura di minori, per le cittadine straniere madri "che risultino prive di una rete familiare di sostegno" e per i minori non accompagnati si prevedono progetti di tutela e affidamento, anche tramite i "centri-affidi". Immigrazione: Modena; i soldati restano nel Cie, altri sei mesi
La Gazzetta di Modena, 20 maggio 2009
Alfredo Mantovano, sottosegretario per l’interno, ha incontrato gli esponenti modenesi del Pdl modenese, tra i quali i candidati per il Comune e la coordinatrice Isabella Bertolini, per presentare il pacchetto sicurezza, approvato da poco alla Camera e che continua a suscitare forti polemiche. Mantovano ha illustrato i punti fondamentali su cui si fonda la nuova normativa. Le direttrici seguite dal "pacchetto" sono essenzialmente quattro: sicurezza urbana, immigrazione clandestina, criminalità mafiosa e sicurezza stradale. Per quanto riguarda la sicurezza urbana, spiega Mantovano, "il governo ha già da tempo fornito le amministrazioni comunali di un ottimo strumento quali sono le ordinanze di sicurezza urbana. Ad oggi quasi mille ordinanze sono state emanate in tutta Italia, segno, questo, della loro utilità nel contrastare il degrado urbano - dichiara il sottosegretario -. La sinistra non utilizza questo strumento perché tra i vari virus di cui è ammalata uno di benaltrismo, ha questa capacità di dire sempre che i problemi sono ben altri". Sul fronte immigrazione Mantovano sostiene che il reato di clandestinità non ingolferà le carceri perché è una misura adottata per espellere con più facilità gli irregolari. Sull’estensione del periodo di detenzione nei Cie fino a 180 giorni, ha spiegato che "misura è necessaria per assicurarsi che gli irregolari non continuino a circolare per le strade prima dell’espulsione". Per il contrasto alla mafia, Mantovano ricorda che questo governo sta utilizzando al meglio lo strumento della confisca dei beni e critica l’antimafia delle parole "capace solo di finanziare associazioni. Preferiamo l’antimafia dei fatti, colpire le mafie al cuore sottraendo loro i beni accumulati illegalmente". Il sottosegretario ha anche chiarito che a Modena - dove da anni si chiedono "rinforzi" - sono già arrivati 25 agenti in più: "Purtroppo, vista l’età media degli agenti, si prevedono molti pensionamenti che andranno ad incidere sugli organici". Mantovano ha comunque assicurato che Modena avrà tutte le attenzioni possibili, non sarà dimenticata. Nel Cie continuerà a essere presente l’esercito: l’idea di La Russa a Mantovano piace e il governo pensa di continuare su questa strada prolungando di altri sei mesi l’incarico dei militari. A precedere l’intervento di Mantovano, le parole di Andrea Leoni del Pdl, il quale ha criticato la giunta sulla mancata applicazione di certe norme che, se attuate, avrebbero impedito a Modena di diventare la terza città italiana per immigrazione clandestina. La Bertolini dopo aver elogiato il lavoro del governo e l’approvazione del pacchetto sicurezza, ha preferito non commentare le dichiarazioni di Andrea Galli sulla necessità dei blitz militari "come in Somalia" per mettere in sicurezza la città. A conclusione della visita modenese il sottosegretario ha fatto un sopralluogo a piedi al Tempio, una delle zone di Modena percepite dai cittadini come maggiormente insicure. "Questa zona già la conoscevo - ha dichiarato Mantovano - Ho visto cose di gran lunga peggiori, penso alle zone ad alta densità mafiosa dove il degrado è anche urbanistico e il controllo del territorio totale, ma la concentrazione di diverse etnie fa sentire i cittadini circondati e nonostante i dati ci mostrino un forte diminuzione dei reati, la percezione dell’insicurezza cresce perché alcune amministrazioni non riescono a governare un fenomeno recente come quello dell’immigrazione". Olanda: pochi detenuti e il Governo decide di chiudere 8 carceri
Ansa, 20 maggio 2009
La riduzione del tasso di criminalità ha portato il ministero della Giustizia ad annunciare la chiusura di diverse strutture, con un taglio di 1.200 posti di lavoro. Celle sempre più vuote nei Paesi Bassi, dove a causa della riduzione dei tassi di criminalità il governo ha annunciato la chiusura di diverse prigioni. Il ministero della Giustizia olandese prevede la chiusura di ben 8 penitenziari con il conseguente taglio di 1.200 posti di lavoro nel sistema penitenziario nazionale. Situazione totalmente in controtendenza rispetto agli anni ‘90, quando il numero delle carceri non era invece sufficiente per rispondere alle esigenze nazionali. Ma la situazione è cambiata. Oggi il piccolo Regno nordeuropeo può accogliere un totale di 14mila persone ma il numero dei detenuti si ferma a 12mila. Risultato: il viceministro della Giustizia, Nebahat Albayrak, ha annunciato la chiusura di otto penitenziari, con la perdita di 1.200 posti di lavoro su 10.600. L’operazione rappresenta per le casse dello Stato un risparmio di circa 160 milioni di euro annuali. Intanto, per limitare gli effetti sull’occupazione di questa riduzione dei detenuti, i Paesi Bassi hanno deciso di accogliere centinaia di prigionieri provenienti dal vicino Belgio, dove il numero dei penitenziari è invece insufficiente. La prigione di Tilbourg, nell’Olanda meridionale, dovrebbe ricevere nel 2010 circa 500 detenuti belgi per un periodo di circa due anni, nell’attesa che Bruxelles costruisca nuove prigioni. Per questo, Belgio e Paesi Bassi firmeranno probabilmente "entro un mese" un particolare trattato, ha detto ancora Albayrak. Per il funzionamento del penitenziario, il Belgio dovrà però sborsare circa 30 milioni di euro. Stati Uniti: espulsione per immigrati irregolari che sono detenuti
Ansa, 20 maggio 2009
Anche gli Stati Uniti da anni sono alle prese con il problema dell’immigrazione clandestina che proviene soprattutto dal Sud America. L’amministrazione Obama ha deciso di rafforzare le misure, già adottate dal presidente Bush, per controllare lo status degli immigrati finiti in prigione, anche quelle locali. Il programma potrà portare ad un aumento delle deportazioni di immigrati che hanno commesso crimini e verso i quali era stato già emesso in precedenza un ordine di deportazione. La mossa riflette la linea dell’amministrazione e del Congresso democratico di adottare il polso di ferro con gli immigrati senza documenti che commettono crimini piuttosto che con quelli che rispettano la legge. Barack Obama si è già impegnato a cercare di arrivare entro la fine dell’anno ad una riforma dell’immigrazione che preveda una sanatoria per i 12 milioni circa di stranieri - in gran parte dal Messico e dall’America Centrale - che vivono e lavorano da anni negli Stati Uniti senza documenti. Il programma prevede un sistema di controllo incrociato tra i database degli uffici immigrazione con quelli dei diversi dipartimenti di polizia: meccanismo che, entrato già in vigore per i detenuti delle prigioni federali e statali, ancora non è adottato nelle piccole prigioni locali. Il progetto pilota partirà il prossimo ottobre in 48 contee per espandersi in tutto il Paese entro il 2012. Per Janet Napolitano, ministro per la Sicurezza Interna, ‘è molto chiaro’ che la priorità è deportare gli immigrati senza documenti che hanno commesso crimini. ‘Noi siamo molto seri su questo e vogliamo portarlo a termine’ le ha fatto eco David Price, il democratico che guida la commissione per la sicurezza interna della Camera precisando che le deportazioni scatteranno dopo che il detenuto avrà completato la sua pena negli Stati Uniti. Grazie alle politiche di immigrazione sempre più rigide, il numero di immigrati clandestini arrestati dalle autorità americane lungo il confine con il Messico è calato negli ultimi mesi del 24 per cento, portando il totale al livello più basso dal 1975. Lo ha reso noto l’ufficio statistiche della Border Patrol, la polizia federale di frontiera americana. L’aumento della presenza di forze dell’ordine lungo il confine e l’installazione lungo buona parte del confine di barriere anti-immigrati, sono tra le cause della netta riduzione degli arresti. Ma le autorità federali americane ritengono che la crisi economica che colpisce gli Stati Uniti sia anche una delle altre cause responsabili nella diminuzione del flusso di clandestini verso nord e di conseguenza degli arresti lungo il confine. La mancanza di posti di lavoro e la diminuzione delle opportunità negli Usa, secondo gli esperti, stanno scoraggiando l’afflusso illegale dal sud. Tra l’ottobre 2008 e il febbraio scorso, la Border Patrol - riferisce il Los Angeles Times - ha arrestato 195.399 immigrati clandestini, un quarto in meno dello stesso quadrimestre di un anno prima. Le proiezioni indicano che gli Usa quest’anno totalizzeranno circa 550.000 arresti di clandestini lungo la frontiera con il Messico, la cifra più bassa dal 1975.
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