Rassegna stampa 21 maggio

 

Giustizia: la Lega e l'Idv parlano a un'Italia in cerca di sicurezza

di Ilvo Diamanti

 

La Repubblica, 21 maggio 2009

 

L’Atlante Politico di Demos registra e conferma tendenze già osservate negli ultimi mesi, fra gli elettori. Poco allegre per il centrosinistra e soprattutto per il Pd. Al di là delle specifiche stime di voto, il clima d’opinione sembra premiare tutte le principali scelte del governo e tutte le azioni del premier. Anche le più discusse e discutibili.

Dai respingimenti delle imbarcazioni cariche di immigrati, approvate da oltre 2 italiani su 3 (da 4 su 10 fra gli elettori del Pd e dell’Idv), alle vicende personali e familiari di Berlusconi. Quasi 8 italiani su 10 pensano che il divorzio annunciato e le amicizie femminili del premier siano fatti suoi e di sua moglie. Va detto che il sondaggio è stato condotto prima della sentenza sul caso Mills, che accusa il premier di corruzione. Anche se dubitiamo che possa scuotere un elettorato largamente immune dal vizio dell’indignazione.

L’emergenza-terremoto, invece, ha esercitato effetti positivi sulla popolarità del governo. Da ciò l’impressione che l’esito delle prossime elezioni europee sia già scritto. Una replica - dai toni più forti - del risultato di un anno fa. Le elezioni europee, tuttavia, non sono mai davvero prevedibili.

Perché hanno effetti politici nazionali, ma le loro conseguenze istituzionali riguardano, appunto, il contesto europeo. Per questo sono caratterizzate da un tasso di astensione più elevato del consueto (il 30%, cinque anni fa). Per questo molti elettori usano criteri di scelta diversi. Votano (oppure non votano) in modo più "libero" che in altre consultazioni. Meno attenti alla logica del voto utile e maggiormente disposti, invece, a esprimere un voto a elevato valore simbolico.

Che suoni come minaccia, avvertimento oppure auspicio. Per questo, in particolare, conviene guardare anche "dentro" alle coalizioni, dove si gioca una partita altrettanto importante di quella "fra" le coalizioni. In particolare, occorre fare attenzione alla sfida lanciata da Antonio Di Pietro al Pd ma anche a quella, altrettanto esplicita, della Lega contro il Pdl. Di Pietro alle elezioni di un anno fa aveva raggiunto il 4,4%.

Oggi, secondo Demos, è quasi raddoppiato. Mentre il Pd è sceso di 7 punti percentuali. Insieme, Pd e Idv raggiungono a fatica il dato ottenuto un anno fa dal Pd da solo. Ma oggi l’Idv costituisce un quarto dei voti di quest’area politica. Circa un terzo rispetto alla base elettorale del Pd. Non un settimo (e anche meno) come un anno fa.

Diverso è il caso della coalizione che sostiene il governo. Il cui partito di riferimento, il Pdl, non sembra aver perduto consensi. Anzi, li sta allargando. Ma la Lega, rispetto a un anno fa, è cresciuta maggiormente. Secondo le stime di Demos, avrebbe superato il 10%, come solo nel 1996 le era capitato. Quando si era presentata da sola contro tutti, agitando la bandiera della secessione. Una minaccia che, in seguito, però, l’avrebbe sospinta ai margini del sistema politico e dell’elettorato. Oggi invece agisce da alleata inquieta, ma fedele, del Pdl.

Sta al governo e al tempo stesso assume atteggiamenti da opposizione. E sembra trarne un doppio beneficio. Lega e Idv, quindi, corrono per rafforzare il loro ruolo nella politica del paese ma anzitutto nelle due coalizioni. Mirano a diventare i veri punti di riferimento della maggioranza e dell’opposizione. Soggetti che dettano l’agenda e impongono il linguaggio della politica nazionale.

La Lega, d’altronde, oggi è divenuta portabandiera del tema della sicurezza; in modo aggressivo. Rivendica l’autodifesa personale e delle comunità locali. Oggi le ronde. Domani, magari, la liberalizzazione della vendita delle armi. Seguendo il modello americano. Ha, inoltre, assunto il ruolo di guida della lotta contro l’immigrazione clandestina. Anzi, diciamo pure: contro l’immigrazione tout-court.

Intanto, ha conquistato il federalismo fiscale. Il suo marchio di fabbrica. Ma oggi sembra maggiormente interessata ad apparire garante della sicurezza e della paura. Perché non c’è domanda di sicurezza senza paura. E viceversa. In questo modo, conta di scavalcare il confine "naturale" del Nord padano. Il Po, appunto. Perché la paura non ha confini.

L’Idv di Di Pietro assorbe e intercetta almeno una parte di questo sentimento. La domanda di sicurezza. Perché, a differenza del Pd, non ha remore a esprimere un linguaggio securitario contro la criminalità comune e l’immigrazione clandestina. Inoltre, pratica la linea della fermezza antiberlusconiana. Senza se e senza ma. Fa l’Opposizione inflessibile. Sempre pronta a manifestare apertamente e rumorosamente la protesta contro il governo. In modo da sottolineare la timidezza degli alleati e da coprire la voce del leader democratico Dario Franceschini.

Così, sullo spazio politico, i due partiti sono scivolati via dal centro. Oggi il 50% degli elettori leghisti si colloca a destra. Nel Pdl, invece, un terzo. Per cui la Lega è più a destra del Pdl (dove sono confluiti gli elettori di An). L’Idv, anch’essa, tempo fa, vicina al centro, se ne è allontanata. Il 33% dei suoi elettori oggi si dicono di sinistra, il 34% di centrosinistra. Solo l’8% di centro. Fa concorrenza alla Lega, per linguaggio e inflessibilità (non per i riferimenti di valore). Ma anche alla sinistra radicale. Lega e Idv, per questo, giocano una partita importante: per sé, per la propria area, per il sistema politico italiano. Di cui ambiscono ad assumere la leadership. Minoranze dominanti di un paese "contro".

Giustizia: dopo sentenza Milss polemiche tra Berlusconi e Anm

 

La Stampa, 21 maggio 2009

 

"Una sentenza scandalosa che è esattamente il contrario della verità" scritta da "giudici estremisti di sinistra". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi dal palco dell’assemblea di Confindustria a proposito del caso Mills.

"La giustizia penale è una patologia nel nostro sistema. I giornali oggi dicono che non è possibile criticare i giudici, ma criticare i giudici è un diritto di ogni cittadino". Aggiunge poi il premier dal palco dell’assemblea di Confindustria. A questo passaggio la platea applaude. Berlusconi afferma così la sua determinazione a fare la riforma della giustizia: "Metteremo tutto il nostro impegno nella riforma della giustizia penale e non ci fermeremo fino alla divisione delle carriere".

Il premier rilancia infine la proposta di un ddl d’iniziativa popolare per dare più poteri al presidente del Consiglio: "La legislazione va cambiata, perché il presidente del Consiglio non ha nessun potere", "tutti i poteri ce li ha il Parlamento, che però è pletorico". Ma per snellire il Parlamento e "arrivare a questo ci sarà bisogno di un disegno di legge di iniziativa popolare, perché non si può chiedere ai capponi e ai tacchini di anticipare il Natale".

 

L’Anm: stop a metodi distruttivi della democrazia

 

"Tutti coloro che hanno a cuore le regole della convivenza democratica e il principio di separazione dei poteri, dovrebbero intervenire per fermare questo metodo distruttivo del confronto democratico". Così all’Agi, il segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati Giuseppe Cascini commenta il nuovo attacco che il premier Silvio Berlusconi ha lanciato dal palco di Confindustria contro i "giudici estremisti di sinistra".

"Noi - ha ricordato Cascini - abbiamo detto che questo tipo di aggressioni nei confronti dell’autorità giudiziaria e delle sue decisioni contrasta con i principi fondamentali dello Stato democratico e di diritto. Purtroppo registriamo un crescendo di toni e di invettive che non vorremmo mai ascoltare da chi ha responsabilità di governo. Questo non è un problema dei magistrati, è un problema dei cittadini e del Paese".

Giustizia: ricordate Andreotti? l’arbitro non va mai fischiato

di Carlo Federico Grosso

 

La Stampa, 21 maggio 2009

 

Andreotti è stato, in passato, ingiustamente accusato di attività mafiosa (Palermo) e d’omicidio volontario (Perugia). Nel corso dei due giudizi, che durarono anni, mai pronunziò una parola contro i magistrati; anzi, dichiarò sempre rispetto e fiducia nei confronti della giustizia. Lo statista democristiano conosceva bene le regole del gioco. Guai se avesse messo in dubbio l’onestà del giudice chiamato a giudicarlo: sarebbe stato un attacco intollerabile allo Stato di diritto ed all’organizzazione democratica del Paese, una delegittimazione inaccettabile di uno dei poteri dello Stato.

Molto diverse sono state ieri l’altro, e nuovamente ieri, le reazioni di Berlusconi alle motivazioni della sentenza che ha condannato per corruzione l’avvocato Mills. "È una sentenza semplicemente scandalosa", ha scandito il premier, "per di più uscita prima delle elezioni in modo puntualmente programmato". Durissimo è stato, in particolare, l’attacco personale, reiterato, al presidente del collegio che ha emesso la sentenza: "L’ho ricusato perché dichiaratamente di parte e prevenuto", ha affermato il primo ministro.

"Una vergogna. Andrò in Parlamento a chiarire la verità dei fatti ed a dire ciò che penso di certa magistratura politicizzata". Le parole del presidente del Consiglio sollevano un problema di merito e un problema di forma. Nel merito, non v’è dubbio che ciascuno di noi sia legittimato a non condividere il contenuto delle sentenze e pertanto a criticarle. Nessuno, ritenendo che una sentenza sia ingiusta, è tuttavia autorizzato a cadere automaticamente nell’aggressione e nella contumelia personale, ad accusare di comportamenti disonesti il magistrato che l’ha giudicato, a delegittimarlo ed a delegittimare insieme con lui l’intero ordine giudiziario. A maggior ragione non è autorizzato a farlo il presidente del Consiglio, che, unitamente alle altre massime cariche istituzionali, dovrebbe essere ancora più attento al rispetto delle regole e dello Stato di diritto.

Non so dire, perché non conosco gli atti processuali, se la condanna dell’avvocato Mills si fondi su solidi elementi d’accusa, come sembrerebbe arguibile dalla lettura della sentenza, o se abbia ragione chi, come Berlusconi, sostiene che la verità sia tutt’altra: che i denari percepiti da tale avvocato costituiscono la giusta retribuzione di prestazioni professionali e che non c’è stata, in due processi che interessavano Fininvest e la sua proprietà, nessuna falsa testimonianza da parte di costui. Comunque stiano le cose, c’è in ogni caso, oggi, una sentenza emessa, a conclusione di un processo regolare, da tre giudici legittimamente nominati; una sentenza che, fino a prova contraria, deve essere pertanto rispettata come ogni altra sentenza. Nei suoi confronti vi può essere critica ragionata, contumelia mai.

Un giudice d’appello potrà d’altronde rileggere le carte e giudicare i fatti in modo diverso, assolvendo Mills. Così prevede il nostro sistema di giustizia, modello di garantismo e di tutela dei diritti dell’imputato. Lo stesso Berlusconi, ieri l’altro, ha d’altronde dichiarato che quando il processo riprenderà "ci sarà comunque una assoluzione totale". Perché, dunque, tanta acrimonia contro la sentenza di primo grado? Perché tanta aggressione nei confronti del giudice che l’ha pronunciata? Perché, soprattutto, le risposte sprezzanti a chi, nella conferenza stampa, gli ha domandato per quale ragione, allora, non rinunciava all’immunità del lodo Alfano, consentendo a un eventuale magistrato non prevenuto di giudicarlo in scienza e coscienza?

So che un buon numero di lettori di questo giornale è convinto che Berlusconi sia stato vittima di persecuzioni giudiziarie e ritiene che sia ora di finirla con le accuse e i processi penali a suo carico: lo si lasci lavorare in tranquillità per il bene del Paese. È un’opinione che merita attenzione, come quella, contrapposta, di chi ritiene invece che egli, protagonista d’illiceità e prevaricazioni d’ogni genere, sia stato, e sia soprattutto oggi a causa del lodo Alfano, oggetto di odiosi privilegi giudiziari.

Al di là di tali divergenze, su di un profilo si dovrebbe, peraltro, tutti convenire. Se un Paese si dota di un sistema di regole di convivenza, e prevede che determinati arbitri garantiscano la loro osservanza, non è consentito a nessuno reagire con il vituperio e l’aggressione se un arbitro decide in modo contrario ai suoi auspici o ai suoi interessi. Se così accadesse, e diventasse norma nella reazione popolare, si dissolverebbero regole, arbitri e lo stesso Paese.

Giustizia: la nuova condanna allunga il "carcere preventivo"

di Debora Alberici

 

Italia Oggi, 21 maggio 2009

 

Il carcere preventivo si allunga in caso di condanna dell’imputato in un altro procedimento. Infatti la sentenza irrevocabile per un reato connesso stoppa la retrodatazione della custodia cautelare. La Cassazione con sentenza n. 20780 del 18/5/09, ha dato risposta negativa al quesito "se la regola della retrodatazione dei termini di custodia cautelare possa operare quando per i fatti oggetto della prima ordinanza, emessa in altro procedimento, sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna".

A rimettere la questione è stata la quinta sezione penale. Dopo aver analizzato le diverse posizioni della giurisprudenza sul punto i giudici sono arrivati alla conclusione che "la disciplina, prevista dall’art. 297 c.p.p. in tema di cosiddette contestazioni a catena, della retrodatazione dei termini di durata della custodia cautelare relativi alla misura disposta con ordinanza successiva, non opera quando per i fatti di cui alla prima ordinanza l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato ancor prima dell’adozione della seconda misura". Non potrà godere del beneficio della retrodatazione dei termini di custodia cautelare un imputato siciliano coinvolto in una inchiesta per spaccio di stupefacenti.

Il tribunale di Palermo aveva respinto la sua richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia, confermando la decisione del Gip. Contro questa decisione l’uomo ha fatto ricorso in Cassazione sostenendo che si trattava di una contestazione a catena e che, nonostante la condanna definitiva per uno dei due fatti, avrebbe dovuto usufruire delle della retrodatazione dei termini. Ma la Cassazione non ha condiviso la tesi.

Giustizia: manifestazione nazionale della polizia penitenziaria

 

Ansa, 21 maggio 2009

 

I sindacati della Polizia Penitenziaria hanno proclamato lo stato di agitazione della categoria e indetto una manifestazione nazionale di protesta che si terrà a Roma il 17 giugno in concomitanza con la celebrazione della Festa del Corpo. Lo annuncia il Sappe che ha organizzato la protesta insieme con l’ Osapp, la Fns Cisl, la Uil PA e la Fp Cgil (tutti insieme "rappresentano più del 90% del personale").

E intanto lo stesso sindacato in una nota torna a chiedere un incontro col ministro della Giustizia Angelino Alfano sulla "grave situazione penitenziaria nazionale": serve "con urgenza un confronto" per arrivare a un "progetto ad ampio respiro utile a deflazionare le attuali, gravissime criticità che attanagliano il sistema penitenziario e il personale di Polizia Penitenziaria". Aperta la polemica con Franco Ionta, commissario straordinario per le carceri e capo dell’Amministrazione penitenziaria, per aver "ignorato le richieste di incontro delle Segreterie nazionali dei Sindacati", nonostante - sottolinea il Sappe - i suoi stessi uffici dipartimentali abbiano stimato a 5.500 le carenze di organico del Corpo.

Giustizia: Uil; sulle carceri il silenzio di governo e opposizione

 

Comunicato Uil, 21 maggio 2009

 

"Avevamo riposto molto più di una speranza nell’appello lanciato il 15 maggio scorso insieme a Cgil - Cisl - Sappe e Osapp al Ministro Alfano perché convocasse le rappresentanze sindacali per riprendere il confronto sulle criticità del sistema penitenziario e per favorire una eventuale ripresa delle relazioni sindacali al Dap.

Invece dobbiamo prendere atto, con molta preoccupazione, del suo silenzio. Silenzio che potremmo anche interpretare come l’impossibilità a fornire risposte certe, concrete, risolutrici. Insomma un silenzio di resa"

Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari, commenta amaramente la mancata convocazione da parte del Ministro della Giustizia e tratteggia una situazione di quotidiana emergenza che investe il sistema-carcere e che potrebbe portare a breve a rivolte e a manifestazioni di protesta.

"Ogni giorno insieme al sovrappopolamento aumentano anche le situazioni di crisi. Con la stagione estiva aumentano anche gli allarmi per la situazione igienico-sanitaria. A Venezia, in queste ore, i detenuti protestano per la scabbia e le incivili condizioni detentive. In tanti altri istituti si moltiplicano i segnali di insofferenza.

Non siamo ancora alle rivolte ma i segnali ci sono tutti. Anche le difficoltà di approvvigionamento dei farmaci determinatesi dopo il passaggio della Sanità Penitenziaria al Ssn è un fattore moltiplicatore di tensioni interne. È cosa nota e risaputa l’elevatissimo numero di casi di epatite, cui si coniuga l’alta percentuale di detenuti affetti da patologie infettive e virali. Insomma un quadro davvero preoccupante. Per questo è legittimo parlare di allarme sanitario".

Anche sul versante del personale la situazione non appare migliore. "Come avevamo preventivato al personale si cominciano a negare ferie e riposi settimanali. Su tutto il territorio sono è stato indetto lo stato di agitazione. Domani a il personale protesterà ed è solo l’inizio di una moltitudine di manifestazioni già programmate.

Il personale è sfiancato e sfiduciato. Non solo è costretto a turni interminabili e a rinunciare ai diritti elementari, quanto deve subire anche la beffa della mancata retribuzione delle prestazioni di lavoro straordinario. Insomma si lavora di più (e male) ma si guadagna di meno. Nelle buste paga di questo mese i poliziotti penitenziari hanno trovato l’amara sorpresa di retribuzioni parziali dello straordinario svolto". La Uil Penitenziari aveva inviato nelle settimane scorse un dossier a diversi politici per denunciare l’insostenibile situazione, ma ad oggi nessuna risposta

"Il Pres. Gianni Letta, come solito, ha mostrato alta sensibilità e ha ritenuto onorarci di una risposta che testimonia, quantomeno, una attenzione. Attenzione che ascriviamo, però, alla sfera personale e non a quella istituzionale. L’inerzia e l’immobilismo del Governo sul fronte carceri, infatti, afferma una conclamata insensibilità al problema. Non è certo solo con il piano-fantasma dell’edilizia penitenziaria che si possono affrontare le emergenze in atto.

Stante il perdurare dell’attuale situazione la manifestazione del 17 giugno, organizzata in concomitanza con la celebrazione della Festa del Corpo di polizia penitenziaria, non potrà non assumere anche il carattere di una contestazione dura.

Ancor più - sottolinea Sarno - sconcerta il silenzio da parte dei partiti di opposizione. Franceschini, Casini e Di Pietro sono stati puntualmente informati e aggiornati sulla situazione penitenziaria ma non hanno mai detto una parola su quella che sarà una vera emergenza sociale tra qualche settimana.

Forse non hanno ben presente il dramma che si sta consumando al di la delle mura. Quelle mura sempre più barriere fisiche che separano quelli di dentro da quelli di fuori. Quelle mura sempre più aree delimitanti di quelle che sono, evidentemente, vere e proprie discariche umane. Discariche del disagio di cui si preferisce non occuparsi, volgendo lo sguardo altrove".

Veneto: il Provveditore; la situazione delle carceri è "esplosiva"

 

Giornale di Vicenza, 21 maggio 2009

 

Nel carcere di S. Pio X i detenuti sono in numero sempre maggiore. L’allerta ieri è stato lanciato dal Provveditore del sistema penitenziario del Triveneto, Felice Bocchino, il quale ha sostenuto, senza mezze parole, che la situazione nelle carceri venete "è esplosiva, con un grande eccesso di detenuti sulla capienza regolamentare".

A seguirlo il direttore della casa circondariale di Vicenza, Fabrizio Cacciabue, nel corso del convegno ospitato ieri mattina nella sede della Camera di commercio in corso Fogazzaro.

"A tutt’oggi - ha precisato il direttore - all’interno di S. Pio X ci sono 345 detenuti. La struttura ne potrebbe contenere 146 e il 75 per cento delle 117 celle previste come singole sono, normalmente, occupate da tre detenuti". Nella maggior parte dei casi si tratta di immigrati, ma la struttura di via Della Scola ospita ancora molti pentiti di mafia.

A preoccuparsi i sindacati, la Cgil in primo piano con Sergio Merendino il quale sostiene che "la situazione è drammatica, grave e contemporaneamente molto delicata anche perché non ci sono vie d’uscita all’orizzonte. Più volte abbiamo denunciato come la vivibilità all’interno di S. Pio X sia molto precaria, non solo per i detenuti ma soprattutto per gli agenti di custodia, già sott’organico rispetto agli standard che il carcere dovrebbe avere, figuriamoci se i reclusi sono il triplo".

In pratica gli agenti lavorano dalle 10 alle 12 ore al giorno, molti fanno turni doppi, i riposi arrivano dopo un paio di settimane. "Senza contare - prosegue il rappresentante della Cgil - il problema delle tradotte: una volta il servizio lo svolgevano i carabinieri, venivano in carcere prendevano il detenuto e lo portavano in tribunale. Ora gli agenti penitenziari hanno anche quest’incombenza per cui non solo il lavoro aumenta, ma in condizioni sempre più precarie e instabili".

Ma torniamo alle parole del Provveditore del Veneto il quale ha ribadito che si è superata la soglia del tollerabile: "Dove c’è capienza regolamentare di 96 individui - ha affermato - possiamo ospitarne 110, ma, se arriviamo a 150, diventa grave. In Veneto la capienza regolamentare è di 1.706 uomini e 200 donne, per complessive 1900 unità. In realtà siamo oltre 3.000: una situazione - conclude il provveditore - a dir poco esplosiva". E provvedimenti per ora non ce ne sono.

Campania: il Garante; più di 2.000 i detenuti oltre la capienza

 

Ansa, 21 maggio 2009

 

Carceri sempre più sovraffollate in Campania: a fronte di una capienza regolamentare di 5.328 posti, nei 18 istituti penitenziari della regione trovano posto, dati aggiornati al 23 marzo scorso, 7.565 detenuti.

Il dato è emerso dalla relazione annuale inviata al Consiglio regionale dal garante dei detenuti, Adriana Tocco, che presiede l’ufficio istituito sette mesi fa. Dalla relazione emerge come emblematico il caso del carcere napoletano di Poggioreale, dove a fronte di una capienza di 1.387 unità si registrano allo stato 2646 reclusi.

"Un sovraffollamento - si sottolinea - in tendenziale ulteriore incremento e che nella sua abnorme evidenza finisce per assurgere a paradigma del basso profilo di efficacia riscontrabile nell’opera di cura e rieducazione del detenuto, prevista dalla Costituzione, dispiegata nell’ambito della funzione primaria della custodia".

"In un simile contesto - osserva il garante dei detenuti - temo non sia azzardato scorgere un nesso causale con quelli che il Ministero della Giustizia definisce eventi critici, ossia i suicidi, i tentati suicidi, gli atti di autolesionismo ed i ferimenti posti in essere e registrati nel circuito penitenziario campano, dal momento che la loro frequenza maggiore si concentra negli istituti con il maggiore indice di affollamento".

Quanto ai numeri, dati questi relativi al 31 dicembre del 2008, i detenuti campani risultano divisi in 6905 uomini e 280 donne con 906 stranieri, circa il 12,5% della popolazione carceraria, provenienti soprattutto da Marocco, Nigeria, Romania e Albania.Il documento sullo stato della detenzione in Campania sarà consultabile per intero da domani sul sito del Consiglio regionale.

Sardegna: i sindacati protestano contro arrivo detenuti 41-bis

di Pier Giorgio Pinna

 

La Nuova Sardegna, 21 maggio 2009

 

Da zero a trecento detenuti sottoposti al carcere duro. Il quadro della popolazione dietro le sbarre in Sardegna sembra destinato a cambiare. Eppure, sindacati a parte, per ora pochi si sbilanciano sull’idea di trasformare l’isola in una roccaforte per reclusi pericolosi.

Il direttore generale del dipartimento per gli Affari di giustizia è l’ex deputato sardo Giampaolo Nuvoli. Ieri pomeriggio ha avuto modo di parlare col ministro: "Il piano-carceri ha bisogno di un approfondimento - ha riferito Angelino Alfano all’ex parlamentare - Il fatto che a Sassari e a Cagliari vengano creati due padiglioni da destinare a reclusi sottoposti a particolare regime di vigilanza è un’evenienza. La verificheremo comparandola con altre situazioni nazionali. È invece sicuro che né l’Asinara né Pianosa riapriranno come penitenziari".

La tendenza ipotizzata è comunque quella di trasferire in Sardegna, almeno metà delle oltre 600 persone a cui in Italia si applica l’articolo 41 bis. Non sarà un ritorno al passato. O, almeno, non lo sarà alle stesse condizioni. L’Asinara resterà appunto un parco, del tutto off limits per l’amministrazione penitenziaria. Badu ‘e Carros è fuori gioco: non ha chance per riaccogliere capimafia, camorristi, esponenti della ‘ndrangheta.

Ma le nuove carceri di Sassari (nella frazione di Bancali) e di Cagliari (nella vicina Uta) potrebbero diventare le punte di diamante di una gestione che punta isolare i reclusi di maggior peso concentrandoli in complessi supersicuri piuttosto che suddividerli in diverse case di reclusione. Se gli orientamenti di massima verranno confermati, i guai non mancheranno. E non saranno di semplice soluzione. Ecco perché. I dettagli, intanto: restano tutti da definire. Come si vede, sono addirittura possibili dietrofront.

All’Ora X per l’eventuale trasferimento in Sardegna, poi, mancano parecchi mesi, oltre che molti soldi per completare i penitenziari. Sempre da indiscrezioni emerge però che saranno i due capoluoghi sardi a doversi fare carico della questione. Metà dei detenuti a rischio (circa 150) andrebbe a Bancali, l’altra metà a Uta.

"Continuare a parlare di altre prospettive senza un serio confronto sindacale mi pare sbagliato", osserva Roberto Picchedda, segretario regionale Uil per pubblico impiego e comparto sicurezza. Che aggiunge: "La dirigenza rifiuta il dialogo. Per questo abbiamo chiesto le dimissioni del capo dipartimento, il presidente Franco Ionta. Ci ha fatto dire che non pensa proprio di assecondare la nostra richiesta. Ma noi in questa fase sono troppe le difficoltà del corpo per affrontarne di nuove".

Stando ad assicurazioni romane, i due penitenziari in costruzione saranno ultimati entro il 2010-2011. Sassari, dovrebbe ospitare più o meno 400 detenuti, compresi "i 41 bis". Cagliari un po' di più: 550 (anche in questo caso con quelli da collocare nel padiglione per i reclusi più pericolosi). In questo momento la popolazione carceraria sarda è di 2.133 unità (e nessuno di loro, giova ribadire, è sottoposto a carcere duro).

A sorvegliare i reclusi, oltre che a garantire gli spostamenti verso le aule di giustizia e i trasferimenti da una casa di reclusione a un’altra, pensano 1.174 poliziotti penitenziari. Somma nella quale rientrano 200 agenti distaccati per servizio nell’isola dal continente, contro un organico complessivo di 1.324 previsto nelle piante ministeriali. Un numero che i sindacati considerano assolutamente inadeguato.

Tanto che su questo punto, e su numerosi altri legati alla operatività, hanno avviato una durissima vertenza col ministero della Giustizia. In campo, con un fronte unitario, i rappresentanti di tutte le sigle: Sappe, Osapp, Sinappe, confederali Cgil-Cisl-Uil, Uspp per l’Ugl. E se i dirigenti dell’amministrazione penitenziaria, con il loro Sidipe, continuano a seguire i problemi non da poco che li toccano, la guerra ministero-sindacati si preannuncia aspra.

Dice Aldo Curcio, segretario regionale della Cgil-Ps che come appartenente alla polizia giudiziaria ha cumulato una lunga esperienza nel settore: "Non si capisce da dove verranno i fondi per pagare la fine dei lavori nelle nuove case di reclusione: non ci sono più soldi, tutte le spese per la sicurezza sono state tagliate. Che cosa si pensa di fare, poi, per evitare i pericoli d’infiltrazioni mafiose, che rispetto a quelli in atto si moltiplicheranno? Tutti, inoltre, ricordiamo che cosa succedeva in Sardegna quando camorristi e capi della ‘ndrangheta e di Cosa Nostra dovevano raggiungere le sedi abituali dei processi a loro carico: Napoli, Reggio Calabria, Palermo. Li accompagnava un viavai di uomini della vigilanza. Un domani le scorte dovranno aumentare.

E chi fornirà uomini in così gran numero? A Sassari e ad Alghero gli agenti della Ps e i poliziotti penitenziari sono già sottodimensionati. Ecco, mi domando: come si sopperirà a carenze già evidentissime allo stato attuale?". Pochi nell’isola hanno in effetti dimenticato i rischi legati alla presenza nelle carceri sarde di pezzi da novanta come Luciano Liggio a Nuoro, di Totò Riina in un bunker blindato di Fornelli sorvegliato con le telecamere 24 ore su 24, la scuola di vita delinquenziale per reclusi sardi messa su da esponenti di primo piano della criminalità organizzata.

E come scordare le rivolte che in cella hanno visto protagonisti proprio alcuni di questi personaggi tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta? Certo, da allora, molte cose sono cambiate. Ma non per questo i timori e l’allarme sono adesso meno accentuati. Anzi. E per capirlo basta pensare a come l’effetto-indulto nell’isola sia cessato da tempo e a come le carceri sarde siano di nuovo sovraffollate, in un sistema che si avvicina al collasso.

Ecco perché il sindacalista Roberto Picchedda insiste: "Non ci sono da risolvere solo i problemi degli organici. Lavoriamo in condizioni di rischio e di bassa qualità operativa. Esistono ancora gravi lacune nell’edilizia carceraria. Abbiamo già parlato di queste emergenze, oltre che con Franco Ionta, con parlamentari sardi e consiglieri regionali. Finora abbiamo ottenuto 28 poliziotti penitenziari in più rispetto agli oltre 300 che mancano. Ma se un domani arriveranno i detenuti da sottoporre al 41 bis vogliamo un direttore in ogni istituto dell’isola (ce ne sono 6 in meno), la stabilizzazione del personale distaccato dalla penisola e almeno 200 nuovi posti in organico".

Lazio: nel parco di Aguzzano una struttura per madri detenute

 

Iris, 21 maggio 2009

 

"Siamo ora nella fase operativa e bisogna stringere i tempi per realizzare una casa per le detenute di Rebibbia con bambini di età compresa fra 0 e 3 anni. I soldi sono stati stanziati dalla Regione in bilancio, le istituzioni locali sono d’accordo, bisogna solo avviare la ristrutturazione della struttura già individuata che si trova all’interno del Parco di Aguzzano".

Così Luisa Laurelli, presidente della commissione Sicurezza della Regione Lazio e candidata alle elezioni europee per il Partito democratico che oggi ha partecipato ad un incontro sul tema con il garante dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni e l’assessore capitolino alla Politiche sociali Sveva Belviso. Il progetto vede infatti la collaborazione di Regione Lazio, Comune di Roma e ministero della Giustizia.

La casa, meglio definita Icam (istituto di custodia attenuata per madri detenute) verrà realizzata in un casale situato all’interno del Parco di Aguzzano, nel V Municipio. La Regione ha stanziato 450 mila euro per la ristrutturazione dell’edificio che è in buone condizioni e potrà ospitare fino a 10 persone adulte. Una struttura del genere esiste dal 2006 a Milano. "Dobbiamo smettere - ha detto Laurelli - di tenere bambini incolpevoli dietro le sbarre. Questa ingiusta detenzione incide sul loro sviluppo psicofisico. Nell’Icam i bimbi non vedranno più agenti in divisa o camici bianchi, né sentiranno rumore di metallo e chiavi. E le loro mamme potranno frequentare corsi di formazione e istruzione".

Venezia: la direttrice; detenuti stretti come bestie e senza igiene

di Nadia De Lazzari

 

La Nuova di Venezia, 21 maggio 2009

 

"Nel carcere maschile di Santa Maria Maggiore la situazione è disperata. Abbiamo triplicato le presenze: oggi i detenuti sono 310, la percentuale degli straneri è elevata, oltre il 70%. Vivono ammassati come le bestie. Ai reclusi mancano anche dentifrici, spazzolini, carta igienica, perfino gli stracci per pulire la cella".

La denuncia pubblica, puntuale e rigorosa è della direttrice Gabriella Straffi: da sabato scorso i detenuti "protestano pacificamente" e battono con oggetti metallici sui portoni di ferro, a cadenza regolare, dalle 15.30 alle 16 e dalle 19.30 alle 20. A Venezia le motivazioni dei detenuti trovano l’adesione anche di tutti gli operatori carcerari. Il comandante di reparto Daniela Caputo: "Abbiamo problemi di ordine e di sicurezza".

I detenuti hanno inviato al magistrato di sorveglianza e al ministro di Giustizia una nota, dove evidenziano alcuni punti irrinunciabili: sovraffollamento del carcere con eccessiva riduzione degli spazi individuali, mancanza di accessori per l’igiene personale e delle celle, citando casi di infezioni virali e infestazioni da scabbia.

Seguono la riduzione del numero degli educatori, assistenti sociali e psicologi, la mancanza di lavoro e di corsi professionali, lo scaglionamento per gruppi delle 4 ore di passeggio solare, con fruizione personale ridotta a 90 minuti. La comandante Caputo prosegue: "La scorsa settimana abbiamo fatto richiesta di sfollamento di almeno 30 reclusi. La situazione è esplosiva. Gli spazi sono stati ideati per un’ottantina di persone. Le motivazioni della protesta dei reclusi sono reali: qualcuno più facinoroso ha degenerato. Hanno danneggiato i blindi (portoni di ferro, ndr), le brande lanciandole contro i muri, il pentolame. Stiamo cercando di tenere con loro un dialogo perché siamo dalla loro parte".

Nel frattempo ieri la Sinappe (Sindacato di polizia penitenziaria) ha incontrato la direttrice in una riunione protrattasi per 5 ore. Il segretario nazionale del Triveneto e della Lombardia Antonio Guadaluppi spiega: "Siamo rammaricati che nulla si dica su un potenziamento del personale di polizia penitenziaria.

La sicurezza parte dal numero dei poliziotti che possono garantire all’interno delle strutture lo svolgimento regolare delle attività". Il cappellano don Antonio Biancotto sottolinea: "Sabato scorso i no-global hanno protestato fuori dal carcere, ma hanno acceso una miccia in un fienile: trovino forme più intelligenti, in questo modo non si aiutano i carcerati che sono gli unici a pagare in prima persona. Non è giusto. Il loro è un comportamento irresponsabile, bambinesco, ipocrita. In carcere c’è gente responsabile che si sta battendo per un trattamento umano dei detenuti. Su questo punto siamo tutti d’accordo. Le forme della battaglia devono essere altre: bisogna unirsi. Tutti i cappellani d’Italia sono d’accordo che le norme del governo sono troppo restrittive. Tutto questo non ha senso".

La direttrice Straffi riprende commossa l’argomento: "Noi riusciamo a seguire la struttura fino al doppio, il triplo è troppo. Se continua questa affluenza dovremo sistemare in terra i materassi. Quando c’è sovraffollamento ci sono anche problemi sanitari. Mi trovo assolutamente concorde con le richieste dei detenuti.

Facciamo il possibile per procurare quello che è doveroso erogare. Per un sopravvenuto taglio di fondi abbiamo dovuto ridurre le attività lavorative del 30%. Da tempo ho segnalato la situazione e chiesto lo sfollamento di 30 detenuti. Temo che non sarà accolto né nel Triveneto né in altre carceri dove le situazioni sono ancora peggiori". "In queste situazioni", conclude la direttrice, "bisogna ascoltare i bisogni dei reclusi: se ci fosse lavoro, e quindi piccole entrate, i disagi sarebbero attenuati.

Finora sono stati corretti e responsabili nella loro protesta. Mi sentirei già fortunata se la popolazione si stabilizzasse. Il rapporto personale/detenuti è troppo basso". E, intanto, Straffi annuncia la ristrutturazione di un nuovo reparto: a fine anno si potranno sistemare 30 reclusi con maggiore comodità di tutti. La direttrice lancia un appello alla città: "Offriteci dentifrici, spazzolini, saponi, carta igienica, stracci, detersivi, tute. Ne abbiamo estremo bisogno".

Modena: "sfollamento" di 150 detenuti, 40 nuovi agenti in arrivo

 

Bologna 2000, 21 maggio 2009

 

Una forte ed immediata risposta del Ministero della Giustizia alle richieste avanzate nelle scorse settimane dall’Onorevole Isabella Bertolini. Sono in arrivo quaranta unità di personale in più, che andranno a rinforzare in modo significativo l’organico della Polizia Penitenziaria in servizio al carcere di Modena, per portare il numero di agenti previsti dalle attuali 226 a 267 unità.

Non solo, oltre all’arrivo degli agenti è stato disposto il trasferimento di 150 detenuti in altre strutture per risolvere il problema di sovraffollamento dalla casa circondariale. I 40 agenti (venti alla volta) verranno destinati al termine dei corsi di formazione della Polizia Penitenziaria, che si concluderanno rispettivamente ad ottobre 2009 e l’altro per gennaio 2010.

I dati dell’intervento straordinario del Governo per il carcere di Modena sono contenuti in una comunicazione (inviata per conoscenza all’Onorevole Bertolini dalla Segreteria particolare del Ministro Alfano) del Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e illustrati dalla parlamentare del Pdl in una conferenza stampa che si è tenuta questa mattina presso il carcere di Modena.

"Si tratta di una risposta straordinaria, concreta e veloce alle istanze che, dopo i recenti incontri avuti con i responsabili del sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, avevo portato personalmente all’attenzione del Ministro Alfano. Dopo anni di mancate risposte - sottolinea l’Onorevole Isabella Bertolini del Popolo della Libertà - la soluzione della difficile situazione del carcere di Modena è già realtà grazie all’eccezionale impegno del Governo. La risposta dell’Esecutivo ha superato ogni aspettativa e di questo siamo estremamente orgogliosi.

Si tratta di un risultato senza precedenti sia per il carcere di Modena che per l’intera città. Il trasferimento dei detenuti, che affollavano il carcere, e il prossimo potenziamento strutturale dell’organico di ben 40 unità risolvono l’emergenza in cui si trovava il carcere di Modena. Il Governo di centro destra sta facendo in poche settimane ciò che i governi nazionali e locali di sinistra non sono riusciti a fare. Sono grata al Ministro Alfano che ha voluto dimostrare così la sua particolare attenzione nei confronti di Modena".

"Di fronte ad un risultato di questa incredibile portata - ha affermato il Candidato Capolista del Pdl per i Comune di Modena Andrea Leoni, presente alla conferenza stampa, - è sempre più evidente l’incapacità e l’inadeguatezza degli enti locali governati dalla sinistra che anche di fronte all’appello lanciato nei giorni scorsi dall’Onorevole Isabella Bertolini, perché dessero il loro contributo per migliorare le condizioni di vita e di sicurezza all’interno del carcere, si sono fatti di nebbia.

Il Governo ha parlato con i fatti sbugiardando le chiacchiere strumentali di un Sindaco che si è totalmente disinteressato dei problemi del carcere e di chi ci lavora. Mi impegnerò perché il Sindaco Pighi la smetta di fare finta di niente e collabori al miglioramento delle condizioni in cui devono lavorare gli agenti della Polizia penitenziaria ai quali va tutto il nostro ringraziamento per il delicato lavoro che svolgono tutti i giorni".

Reggio Emilia: Sappe; sostituire "arresti brevi" con lavori sociali

 

Asca, 21 maggio 2009

 

Favorire misure alternative al carcere impiegando i detenuti in lavori socialmente utili. Questa la soluzione al sovraffollamenti dei penitenziari proposta da Michele Malorni, segretario provinciale del Sappe - Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria.

Pulce e Opg sono al collasso con 672 ospiti a fronte di una capienza tollerabile di 400 unità. Manca tutto: personale, fondi per le spese e celle, tanto da costringere la direzione a sistemare tre detenuti per ogni camera di sicurezza. Un sovraffollamento che favorisce il diffondersi di malattie e aumenta il rischio di incidenti. L’ultimo ieri notte all’1,30, quando tre extracomunitari si sono picchiati selvaggiamente per futili motivi colpendosi con sgabelli di legno finendo tutti in infermeria con prognosi da 10 a 15 giorni.

A complicare la situazione contribuisce il continuo turnover di circa "cento detenuti, per lo più irregolari - scrive Malorni - che vengono tratte in arresto e poi rimesse "legittimamente" in libertà dopo al massimo 96 ore. Questa inutile attività lavorativa, oltre a ripercuotersi negativamente sull’organizzazione della struttura penitenziaria a causa dell’implosione di questi giorni, di cui siamo testimoni, agisce negativamente sullo stress psicofisico del personale delle cinque Forze di polizia e su un inutile dispendio di risorse umane e materiali dei diversi uffici, Procura e Tribunale compresi". Da qui la proposta di impiegare queste persone in lavori socialmente utili. Non solo, "per motivi di opportunità" il sindacato chiede anche che "gli istituti penitenziari restino chiusi dalle 24 alle 8".

Firenze: sul diritto di voto per i detenuti, manca l'informazione

 

Ansa, 21 maggio 2009

 

In carcere dilaga il non voto. Da Sollicciano hanno fatto richiesta solo in 20 su quasi mille detenuti. "I mezzi di comunicazione devono informare di più".

Il partito dell’antipolitica vince dietro le sbarre. L’ultimo dato che rivela il numero dei detenuti interessati a partecipare al voto delle prossime elezioni, è sconfortante. Al carcere di Sollicciano solo in 20, su un totale di 950 detenuti, hanno chiesto di poter esercitare il proprio diritto di voto il l 6 e 7 giugno.

La mancanza di informazione - Da tempo Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti nel Comune di Firenze, porta avanti la battaglia per avere maggiore informazione dentro le strutture. L’appello è rivolto sia alla direzione del carcere di Sollicciano che alla commissione detenuti. ma anche un messaggio rivolto agli organi di informazione: "i media dovrebbero diffondere nelle carceri tutte le informazioni sulle modalità dell’esercizio del diritto di voto", ha spiegato Corleone. "Il diritto di voto - ha continuato - rappresenta per i detenuti l’esercizio della partecipazione alla vita democratica e ha un profondo significato strategico di non separatezza del mondo del carcere da quello della società. Ma soprattutto testimonia l’affermazione del diritto di cittadinanza comune". Nelle elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008, il numero dei detenuti che votò in carcere fu ancora addirittura inferiore a quello che si prevede per quest’anno: solo 16 persone.

Comunicato stampa. In data odierna nel carcere di Sollicciano, vi sono state 4 nuove richieste per l’esercizio del diritto di voto da parte dei detenuti, per un totale di 24 richieste.

Il Garante dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio di Amministrazione della Rai, Dott. Paolo Garimberti, per sollecitare una informazione radio - televisiva, che possa illustrare le modalità per esercitare concretamente il diritto di voto, da parte di coloro che si trovano reclusi.

Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, dichiara: Il diritto di voto per i detenuti rappresenta l’esercizio della partecipazione alla vita democratica, e ha un profondo significato strategico di non separatezza del mondo del carcere da quello della società. Ma soprattutto testimonia l’affermazione del diritto di cittadinanza comune. Da tempo ho sollecitato la Direzione del carcere di Sollicciano e la Commissione detenuti a fare opera di informazione presso tutti i detenuti, per superare le obiettive difficoltà burocratiche per rendere effettivo questo diritto.

Ad oggi a Sollicciano con una presenza di oltre 950 detenuti, hanno richiesto di poter esercitare il voto, 20 persone. È un numero estremamente esiguo (alle elezioni politiche de 13-14 aprile 2008, votarono 16 detenuti). Rinnovo pertanto la richiesta pressante di un impegno di informazione in carcere, ma richiedo anche, che gli organi di informazione della carta stampata e delle radio-tv, diano tutte le informazioni sulle modalità dell’esercizio del diritto di voto.

Al Presidente del Consiglio di Amministrazione della Rai, dott. Paolo Garimberti. Caro Garimberti, Le scrivo, nella mia veste di Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze. Assieme agli altri Garanti presenti in molte città italiane già in precedenza, abbiamo sollecitato l’Amministrazione Penitenziaria a compiere tutti gli atti per garantire l’esercizio del diritto di voto ai cittadini detenuti presso gli appositi seggi speciali, istituiti nelle carceri.

Il problema contro cui ci scontriamo è costituito dalla scarsa informazione delle procedure che i detenuti devono compiere, per essere messi nelle condizioni di poter esercitare il diritto di voto (domanda al Sindaco, certificazione del Direttore del carcere, risposta del Sindaco e formazione dell’elenco degli aventi diritto).

Ho visto in televisione l’informazione che viene fornita sulle modalità di voto; in particolare ho apprezzato l’illustrazione della richiesta che deve essere effettuata dai cittadini malati o con gravi handicap per richiedere l’assistenza per il voto.

Non sarebbe possibile che venissero anche illustrate le modalità per l’esercizio del diritto di voto da parte di diverse migliaia di cittadini detenuti che hanno ancora questo diritto di cittadinanza particolarmente significativo? La ringrazio per quanto potrà fare e Le invio i più cordiali saluti.

 

Franco Corleone

Genova: la nursery è una cella, lo spazio giochi... un’altra cella

di Donata Bonometti

 

Secolo XIX, 21 maggio 2009

 

La nursery è una cella, lo spazio giochi è un’altra cella, la saletta sociale è una terza cella. Il parlatorio è una specie di acquario con tre postazioni di sicurezza, con telecamere, uno specchio unidirezionale, sette tavolini uno addosso all’altro. Mamma va da papà in carcere portando il bambino in braccio o attaccato alle gambe: che piange o vede piangere, che vorrebbe uscire, ma uscire vuol dire perdere la presenza di quel genitore in una condizione strana, dolente. Che muove emozioni forti.

Quel genitore che scompare dietro il clangore di una porta massiccia. Di questi tempi in cui la primavera non ha paura di spargere fioriture anche nei fazzoletti di verde del carcere, nella casa circondariale di Chiavari dove mesi fa si è conclusa la ristrutturazione di uno spazio interno che era rovi e discarica, i bambini figli di detenuti non si incontrano più nei parlatori ma in questo nuovo giardino.

Che ha una fontana con i pesci e qualche gioco per i più piccoli. Non è l’Eden ma è cielo, acqua ed erba. Che assorbono l’emozione di incontri e congedi, attutiscono traumi. Non solo. Questa piccola ma importante iniziativa, fa il paio con un servizio di consulenza psicologica che è in atto a Chiavari, ottanta uomini reclusi, e a Pontedecimo, 70 donne e 80 uomini detenuti, per sostenere la genitorialità.

La Provincia di Genova, che ha finanziato anche l’area verde di Chiavari, ha fatto proprio questo progetto di consulenza per genitori, in sinergia e in totale accordo con le direzioni delle carceri. Ci crede molto Milò Bertolotto, l’assessore che recentemente ha visitato a Milano la struttura Icam, una sezione di custodia attenuata per madri detenute, tra stanze senza sbarre e arredi carichi di colori. Intimità, se pur sorvegliata. Vorrebbe, come Provincia, organizzare uno spazio così ma d’altro canto il carcere è proprietà del Ministero, ci devono essere accordi. Aggiunge l’assessore Bertolotto.

"Esiste una legge, la 40 del 2001 "Misure Alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori", ma il numero che ne usufruisce è davvero esiguo. Questo accade per motivazioni legate alle singole posizioni giuridiche ma anche motivazioni legislative generali. Sono infatti escluse le donne in attesa di giudizio, le donne senza fissa dimora, le donne condannate per reati legati alle droghe per le quali è più alta la possibilità di reiterazioni del reato"

In Liguria la cella è l’unico spazio praticabile per quel rapporto madre figlio che nei primi anni dà l’impronta al resto della vita. A Pontedecimo i bambini che rimangono in cella con le mamme, attualmente sono tre e nel recente passato ci sono stati anche due fratellini. Familiarizzano con le divise delle guardie carcerarie, vanno all’asilo ogni mattina con un educatore del Comune. Lo stesso che li porta al parco giochi di Bolzaneto. Questi piccoli entrano ed escono dalla normalità alla straordinarietà, vagolando in uno stato di patologica confusione. D’altro canto la loro presenza crea, dicono gli operatori del carcere, una sorta di atmosfera rarefatta che fa bene al cuore di tutti.

Quando si spalanca per questi bambini il portone del carcere, quando raggiungono l’età del distacco, cioè i tre anni, ecco che lo strazio segna punte quasi insostenibili "Prepariamo le mamme alla separazione, ma quel momento resta sempre tremendo. È il non sapere quel che capita ai loro bimbi che le riduce in prostrazione.

Nella migliore delle ipotesi i bimbi finiscono in una comunità, altri vanno in adozione, se la gravità del reato porta a questa decisione. Le straniere temono la lontananza, il mare che le separa" così racconta Chiara Bellini psicologa e psicoterapeuta cui la Provincia di Genova e l’assessore Milò Bertolotto ha affidato questo progetto di alta civiltà che è il sostegno ai genitori detenuti. Continua "Si tratta di donne che hanno sovente problemi con la giustizia, almeno quelle che io ho avvicinato, per amore degli uomini, magari deprivate culturalmente e con una forte dipendenza dall’uomo". Amore criminale, come recita una attuale trasmissione tivù sul tema, piuttosto seguita.

Nelle carceri lavorano già psicologi e operatori del sociale, (numeri esigui a Marassi si parla di 4 educatori per 700 detenuti), questa è una iniziativa in più puntata sul genitore recluso. ""Ma io non ci credo che tu sei qui a lavorare...è una delle frasi ricorrenti dei bambini al padre o alla madre che sconta la pena. Insegniamo a dire al proprio figlio: sono qui perché ho sbagliato... dopo un primo rabbioso sconforto il rapporto riprende quota". E ancora la psicologa: "Passano mesi prima che possano incontrare i figli.

I detenuti ritengono a volte di non informarli, quindi di non vederli, sperando che una volta scarcerati sia un capitolo chiuso per tutti. Ma per i bambini, che da un giorno all’altro non vedono più il padre o la madre, è una condizione di abbandono terribile". Milò Bertolotto racconta di un detenuto "che mi ha personalmente detto.

"Non voglio che mio figlio venga a Marassi nell’ora dei colloqui perché oltre ad essere imprigionato il corpo lo sono anche i sentimenti". Molti di loro sono stati figli di detenuti, quindi conoscono l’opprimente desiderio di un genitore incarcerato e dall’altra ricordano il proprio dolore di bambino che ha visto sparire il padre o la madre per poi ritrovarlo dietro un vetro...". Ancora, in finale, la psicoterapeuta riferisce le parole di una donna del Ghana, che ha perso i contatti con la sua prole. "Faccio finta di non aver avuto mai bambini. Se no muoio".

Pisa: l'ex manager; ero a pezzi, salvato da umanità dei detenuti

di Giovanni Parlato

 

Il Tirreno, 21 maggio 2009

 

Il giorno dopo. Il giorno dopo la sentenza di assoluzione, Enrico Desideri, l’ex direttore generale dell’azienda ospedaliera universitaria pisana, è a Roma. Una riunione di lavoro. Sono passati quasi tre anni da quel primo pomeriggio di giugno quando la polizia giudiziaria lo aspettava fuori dalla mensa per caricarlo in macchina e portarlo al Don Bosco. Contro di lui, la Procura di Pisa aveva scelto la dura strada del carcere.

Da quel giorno, una persona - poi ritenuta innocente lunedì scorso dalla sentenza emessa dal giudice Alberto Panu - veniva sbattuta in una cella. Da quel giorno, la vita di Enrico Desideri - in un attimo - è caduta in un vortice. Un mondo capovolto: da persona rispettabile a presunto criminale, dalle firme ai documenti sotto il flash dei fotografi a quelle stesse mani premute sul tampone dell’inchiostro per prendere le impronte digitali. Ad Enrico Desideri, abbiamo chiesto di raccontare quei giorni. Qual è stato il momento di maggiore sconforto? "Quando mi hanno comunicato l’ordine di custodia cautelare". Dove le è stato notificato?

"Stavo pranzando alla mensa. Quando sono uscito, c’erano i carabinieri ad aspettarmi". È stato portato subito in carcere? "No, prima siamo andati nel mio ufficio. Hanno cominciato a frugare, nel frattempo io terminavo di leggere la posta". Avrà subito avvisato i familiari. "Certo, i carabinieri sono andati pure presso la mia abitazione. Naturalmente, ho chiamato anche gli avvocati". Cosa ha pensato della magistratura in quel momento?

"Che faceva bene a indagare. Dentro di me ero tranquillo. Che guardassero dove volevano". Non aveva mai pensato che l’inchiesta potesse sfociare nel suo arresto? "La Procura mi convocò per essere interrogato, ma il mio avvocato era malato e non poteva accompagnarmi. E lo feci presente. Dopo, non sono stato più cercato. Avevo chiesto di essere ascoltato. Prima dell’arresto, c’erano stati già dei sequestri di documenti all’interno della direzione ospedaliera". Poi, il trauma del carcere... "Meno di quello che si possa immaginare. Ci sono rimasto dieci giorni e undici notti. Il carcere è un ambiente molto solidale. Non sapevo niente, come si faceva a chiedere il pranzo o qualsiasi altro genere d’aiuto". Divideva la cella con qualcuno? "Stavo in una cella singola".

I detenuti sapevano che lei era il direttore dell’ospedale? "Sì, si è sparsa la voce. E in continuazione mi chiedevano pareri medici. Dopo il terzo-quarto giorno, l’ora d’aria si era trasformata in un ambulatorio a cielo aperto. Chi mi chiedeva del ginocchio che gli faceva male, chi era preoccupato per una macchia sulla pelle e così via. C’è una grande umanità all’interno di questi spazi". Quindi, era, come dire, una specie di autorità fra i detenuti? "Mah, non so. C’era chi mi faceva avere il caffè. E ricordo un detenuto che faceva una pasta asciutta buonissima". È rimasto in contatto con qualcuno di loro? "Quando sono uscito dal carcere, ho aiutato qualcuno. Attraverso le famiglie, ho fatto avere un aiuto economico.

Adesso, però, non sono più in contatto con nessuno di loro". Al Don Bosco, c’è stata una persona che, in particolare, l’ha aiutata? "Sì, una suora. Il sostegno religioso in quei giorni è stato fondamentale. Quella suora mi è stata vicino, come stava vicino agli altri. Una suora bravissima". Poi, l’uscita dal carcere. Un altro momento di grande emotività con i familiari e i giornalisti fuori. "Sì, la famiglia mi aspettava. Fuori pioveva e io avevo in spalla il mio sacco d’indumenti". Per tutto quanto ha subito, farà causa allo Stato?

"Non lo so, non è il momento per pensare a questo. Ora è il momento di gioire. Ho ricevuto una grande solidarietà allora come ora. Da quando sono uscito dal carcere, ho ricevuto 600-700 lettere o cartoline con tanto di francobollo. Solidarietà da amici, colleghi, partiti di destra e di sinistra. Questo dimostra che, intorno all’orrore per quanto ho sofferto, si è intessuta una rete amicale e sociale vecchia e nuova che mi ha aiutato a non avere momenti di abbattimento". Si è mai chiesto: forse ho sbagliato in qualcosa.

"Ho avuto la sfortuna di incappare in un evento eccezionale che, nel nostro mestiere, si chiama errore medico. È successo un qualcosa di analogo nel mondo della giustizia. Con queste parole non voglio accusare la magistratura perché non è così". Alla fine del processo, lei e il procuratore Di Bugno vi siete stretti la mano. "Di Bugno ha fatto il suo mestiere e lo ha fatto senza alcuna acredine. Certamente, avrei stretto la mano più volentieri al giudice, ma era già andato via".

Genova: indagine su detenuta fatta abortire dopo abusi sessuali

di Graziano Cetara

 

Secolo XIX, 21 maggio 2009

 

Le porte del carcere si sono aperte almeno una volta per consentire a una detenuta di uscire. Ma non era libertà quel trasferimento di qualche ora in ospedale (in una clinica oppure nel laboratorio di un medico compiacente) nel cuore della notte. Era la conseguenza di una scelta, obbligata dalle circostanze, di porre fine a una gravidanza non voluta, frutto dell’incontro proibito tra una donna agli arresti e una guardia penitenziaria.

C’è anche un aborto tra gli episodi al centro dell’inchiesta della Procura di Genova sul carcere di Pontedecimo, sui presunti favori sessuali pretesi dalle detenute in cambio di agi e più libertà. L’ipotesi di reato formalizzata dal procuratore capo Francesco Lalla è pesantissima: concussione, dove il prezzo del presunto ricatto imposto dagli agenti, in questo caso, era il sesso. Sarebbero già quattro le persone iscritte nel registro degli indagati (fra loro il poliziotto coinvolto nell’aborto), al termine d’una prima fase di inchiesta condotta dalla sezione giudiziaria della polizia di Stato.

Otto gli appartenenti alla Penitenziaria ascoltati in questi ultimi giorni come persone informate sui fatti. E con loro sono state interrogate almeno tre detenute ed ex detenute. Una è stata fatta arrivare, sotto scorta, dal carcere di Napoli dove si trova attualmente. Le altre due si trovano tuttora a Pontedecimo. Le loro "confessioni", sulle quali il segreto è assoluto, si aggiungono a quelle della donna di origine marocchina i cui racconti hanno dato impulso all’inchiesta che, ora, è arrivata a una svolta e potrebbe registrare entro poche settimane sviluppi a dir poco imbarazzanti. "È vero, ho fatto sesso con persone che lavorano nel carcere in cambio di favori".

Sono stati tre i colloqui nei quali Z.E., 28 anni, oggi reclusa a Monza, aveva alzato il sipario sul presunto scandalo che da quasi un mese fa tremare l’istituto di pena. Accuse sorrette in parte dal sequestro d’un cellulare (quello che era in uso alla giovane quando usciva per raggiungere il posto di lavoro) e dalle dichiarazioni di un altro detenuto, sulla cui (completa) attendibilità si gioca buona parte degli accertamenti. Sebbene adesso gli addebiti siano stati in qualche modo corroborati da nuovi verbali.

Roma: Alemanno; già 3.794 multe a prostitute e 1.213 ai clienti

 

Ansa, 21 maggio 2009

 

3.794 multe a prostitute, 1.213 multe a clienti, 3.523 fermi per controllo, 5.007 verbali emessi, 60 minori tolti dalla strada. Questi i dati al 19 maggio 2009 diffusi dal sindaco di Roma Gianni Alemanno intervenuto al convegno sulla tratta dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.

I dati partono dal 15 settembre 2008, data dell’ordinanza firmata dal sindaco. "A Roma eravamo giunti a incredibili livelli di virulenza del fenomeno - ha detto Alemanno - . Le strade delle città erano diventate un giardino zoologico a cielo aperto di esseri umani". Questa per il sindaco l’immagine di Roma prima dell’ordinanza che si basa sul principio della punibilità del cliente e della prostituta.

"A poche settimane dall’ordinanza - ha detto - la situazione è profondamente cambiata anche se non è risolta". Il sindaco ha ricordato che "una legge che agisce in questa direzione in modo sistematico è la giusta prosecuzione di questa azione". "So che l’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII chiede di più (chiede la punibilità dei clienti anche nei luoghi chiusi ndr) e credo che questo punto vada affrontato nell’iter parlamentare".

Macomer (Nu): sabato un convegno del volontariato carcerario

 

La Nuova Sardegna, 21 maggio 2009

 

Diritti dei detenuti e ruolo del volontariato nelle carceri. Questo il tema del convegno regionale "Volontariato carcere Giustizia" che si terrà sabato a Macomer nel salone della parrocchia Sacra Famiglia di Nazaret. Interverranno direttori e operatori penitenziari. L’inizio dei lavori è fissato per le ore 9. Il convegno andrà avanti per l’intera mattinata. Lo organizzano la Delegazione regionale della Caritas, la Conferenza regionale volontariato Giustizia e l’associazione Cappellani carceri sarde.

Il programma prevede in apertura una relazione di Elisabetta Laganà, presidente della Conferenza nazionale del volontariato giustizia la quale parlerà dei diritti dei detenuti e della costituzione italiana. Seguirà l’intervento di Giampaolo Muresu, delegato regionale dei cappellani delle carceri sarde, che parlerà sul tema "Il volontariato nelle carceri della Sardegna". Interverrà ancora Giampaolo Cassitta, dirigente dell’Ufficio detenuti e trattamento Prap, il quale si soffermerà sul ruolo del volontariato con una relazione su "Quale collaborazione con l’Amministrazione penitenziaria".

Seguiranno gli interventi dei direttori e operatori penitenziari e il dibattito di approfondimento dei temi trattati. É prevista la presenza al convegno degli assessori regionali alla Sanità e Politiche sociali, Antonello Liori, e alla Pubblica Istruzione, Lucia Baire, del provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Francesco Massidda, del direttore del centro di Giustizia minorile per la Sardegna, Sandro Marilotti, e del direttore regionale della Caritas, Roberto Sciolla.

Nell’ambito dell’incontro, che si propone di scandagliare il mondo carcerario in tutte le sue sfaccettature e di dare risposte ai tanti interrogativi su cosa sia giusto fare per rendere le carceri luoghi di rieducazione e di reinserimento sociale, si affronteranno tanti aspetti del problema. Si parlerà, della situazione attuale delle carceri sarde, di misure alternative alla detenzione e del volontariato all’interno delle strutture carcerarie. Fra i temi del convegno gli articoli della riforma carceraria che parlano di rieducazione e trattamento del detenuto e della partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa.

Eboli (Sa): oggi la presentazione del libro "Lo sguardo corto"

 

Agi, 21 maggio 2009

 

Oggi, giovedì 21 maggio alle ore 11.00, presso la sede dell’Icatt di Eboli (via Castello 10), è stato presentato il libro "Lo sguardo corto" (Storie di vita nelle case di pena), a cura di Leandro Limoccia e Teresa Lombardo, edito dal Formez. Il libro documenta l’inchiesta condotta nel 2007 dagli autori nelle carceri campane. È un lungo viaggio dietro le sbarre di diversi istituti di pena della regione, per comprendere le condizioni di vita delle persone detenute, le relazioni tra carcere e territorio, le politiche di mediazione penale e di reinserimento nella vita sociale e lavorativa e la generale organizzazione attuata, con l’obiettivo di ripensare il sistema carcere come luogo di opportunità e inclusione sociale.

Alla presentazione sono intervenuti Marco Villani, direttore del Formez; Tommaso Contestabile, provveditore all’Amministrazione Penitenziaria Campania; Stefano Anastasia, presidente dell’associazione Antigone; Massimo Brancati, segretario della Fiom; don Tonino Palmese, vicepresidente dell’associazione Libera; Franco Roberti, procuratore capo di Salerno; Adriana Tocco, garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. I lavori, coordinati da Rita Romano, direttrice dell’Icatt, sono stati conclusi dall’assessore alle Politiche Sociali della Regione Campania Alfonsina De Felice.

Teatro: Padova; domani il laboratorio del Tam-Teatrocarcere

 

Il Mattino di Padova, 21 maggio 2009

 

Venerdì alle 18.30 al Teatro Maddalene per la rassegna Tam/Teatrocarcere va in scena "Volario-Teatro Civile" (uccelli liberi e uccelli in gabbia), ovvero il laboratorio di teatro (nella foto) realizzato con le persone detenute al Due Palazzi e con allievi attori del Tam. L’ingresso è libero ma è consigliata la prenotazione: tel. 334.7685121 o "paola@tamteatromusica.it". Si tratta di un primo studio del laboratorio "Volario - Teatro Civile", condotto da M. Cinzia Zanellato e Andrea Pennacchi, che nasce dall’incontro tra il gruppo di persone detenute di Tam Teatrocarcere e un gruppo di giovani allievi attori di Tam/Oikos officina delle arti sceniche.

Il laboratorio nasce con l’intento di creare dei percorsi di conoscenza, tra la realtà carceraria e l’esterno, tramite occasioni di lavoro teatrale comune. Il gruppo di attori/detenuti è per la maggioranza di origine straniera. Questa condizione di detenzione e di appartenenza culturale diversa crea un doppio isolamento alle persone. Da qui la necessità di attivare un percorso artistico per favorire un incontro interculturale, di socializzazione e di costruzione di relazioni per le persone detenute al di fuori del proprio nucleo di appartenenza.

Un’esperienza di Teatro Civile, inteso come territorio in cui temi sociali dialogano con l’arte, e che si articola sull’intreccio di un percorso teatrale, di apprendimento dei linguaggi scenici, con un percorso di confronto artistico e umano tra gli attori-liberi e il gruppo di detenuti-attori del Due Palazzi. Il testo messo in scena è "il verbo degli uccelli" di Farid ad-din’Attar, uno dei più celebri poeti mistici persiani che visse tra il 1100 e il 1200.

A partire dal testo i due gruppi, detenuti e allievi attori, hanno creato materiali scenici che sono divenuti territorio di scambio e condivisione mediante momenti di lavoro comune nel carcere Due Palazzi e al Teatro Maddalene. La presentazione al pubblico prevede la visione di alcuni brani teatrali nati dall’esperienza, con la presenza in scena di tre detenuti/attori (che hanno avuto la possibilità di ottenere il permesso premio) e il gruppo di giovani, e a seguire, un incontro/dialogo delle persone detenute con il pubblico.

Immigrazione: l'appello vescovi; no a "cacciata" ed "apartheid"

di Orazio La Rocca

 

La Repubblica, 21 maggio 2009

 

"Respingere coloro i quali cercano di raggiungere l’Italia significa ricacciarli sulle sponde africane lungo le strade della fame e della morte che già conoscevano". Nuovo severo richiamo dei vescovi italiani contro la "politica dei respingimenti" varata dal governo italiano. Richiamo a cui fa eco, con analoghe critiche, anche il settimanale Famiglia Cristiana in un editoriale nel numero oggi in edicola che nel criticare i recenti provvedimenti legislativi in materia di immigrati lancia l’allarme per la "deriva xenofoba" in cui sta scivolando il nostro paese e accusa quanti in Parlamento hanno fatto del "migrante un nemico per un pugno di voti in più".

La nuova critica ai "respingimenti"in perfetta sintonia con quanto già denunciato sullo stesso tema nei giorni scorsi dal vescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per i migranti arriva da un editoriale pubblicato dall’ultimo numero del Sir (Servizio informazione religiosa), l’agenzia stampa della Conferenza episcopale italiana. Ne è autore monsignor Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente della Commissione Cei peri problemi sociali e del lavoro, che bolla anche come "inedito apartheid" la recente idea leghista di riservare a Milano tram solo per italiani.

"I naufraghi del mare di questi giorni scrive tra l’altro il vescovo con i loro stracci e i loro occhi ci interrogano sulla nostra "crisi" e sulle nostre pubblicità tese a farci consumare di più e di tutto... non tutti erano bisognosi di asilo, non tutti santi, ma poveri lo sono di certo e sono stati cacciati come fu respinto Cristo".

Per il settimanale Famiglia Cristiana "il reato di clandestinità" introdotto dal decreto sicurezza "crea le condizioni perché i migranti vengano messi fuori dal consorzio umano", e spinge l’Italia verso una"pericolosa deriva xenofoba" che deve "preoccupare tutti, i cattolici in particolare", invitati ad essere più solidali ed attenti verso gli immigrati. "L’indifferenza e il gelo della chiusura avverte infatti il periodico paolino soffiano anche nelle parrocchie.

Possibile che i cattolici facciano prevalere la paura e un "pacchetto propaganda" sui principi evangelici?". Ed ancora: "Con il voto di fiducia sul pacchetto sicurezza il Parlamento è stato espropriato della libertà di coscienza su un tema molto delicato che riguarda la vita di uomini, donne e bambini" respinti verso la Libia, "ignorando i più elementari diritti d’asilo di chi fugge da guerra, tortura e, spesso, da una condanna a morte".

Intanto, ieri sera, il cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi, alla trasmissione di Raitre Che tempo che fa di Fabio Fazio si è augurato che "la politica sugli immigrati non ceda alla paura", ma si faccia invece "promotrice di progetti grandiosi" a favore di quanti "chiedono solo di essere aiutati".

Immigrazione: 4.350 persone denunciate per "tratta", nel 2008

 

Redattore Sociale - Dire, 21 maggio 2009

 

I dati del dipartimento di Pubblica sicurezza. Cirillo: "Rafforzare i rapporti con gli stati delle organizzazioni criminali, come Romania, Nigeria, Albania e Cina". Un protocollo per colpire i "reati spia", come il furto di documenti.

"Nel 2008 sono state 4.350 le persone delle più svariate nazionalità denunciate e arrestate dalle forze dell’ordine". A renderlo noto il vice capo del dipartimento di Pubblica sicurezza, Francesco Cirillo, intervenuto questa mattina a Roma al convegno sulla tratta organizzato dall'associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. "In questo momento - ha proseguito il prefetto - le forze dell’ordine stanno puntando non solo alla cooperazione internazionale ma anche alla sottoscrizione di alcuni particolari protocolli di intesa".

Sul piano della cooperazione - ha precisato Cirillo - "stiamo rafforzando i rapporti con gli Stati da cui provengono quelle organizzazioni criminali che, in accordo con le organizzazioni italiane, portano le persone nel nostro Paese, ovvero Romania, Nigeria, Albania e Cina". Per quanto riguarda invece i protocolli d’intesa, "uno verrà siglato con il ministero delle Pari opportunità e avrà l’obiettivo di creare un numero verde nazionale per la protezione di tutte le vittime di violenza: quindi non solo prostitute, ma anche persone sottoposte ad altre forme di violenza come lo stalking o gli abusi in famiglia".

Mentre l’altro, che sarà siglato tra il dipartimento della Pubblica sicurezza e la Direzione nazionale antimafia, intende colpire i grandi trafficanti di esseri umani attraverso quei reati spia, come per esempio il furto di documenti, che nascondono la tratta degli esseri umani. "Insomma - ha concluso Cirillo - è nostra intenzione andare al cuore del problema senza fermarci sulla soglia".

Brasile: sezioni per detenuti omosessuali; associazioni contrarie

 

Ansa, 21 maggio 2009

 

L’amministrazione penitenziaria di Sao Joaquim de Bicas, nello stato brasiliano di Minas Gerais ha ideato un progetto per evitare le aggressioni sessuali agli omosessuali in carcere: una sezione soltanto per loro.

Secondo quanto ha assicurato la responsabile del progetto, Walkiria La Roche, che lavora per la Segretaria per lo Sviluppo di Minas Gerais, non si tratta di concedere privilegi per gli omosessuali, ma di evitare rischi. "La violenza purtroppo esiste, ma la salute viene prima". Secondo la donna gay, lesbiche, bisessuali, sono le principali vittime di violenza sessuale nelle carceri, e quindi sono esposti alle infezioni da malattie sessualmente trasmissibili.

Inoltre, il direttore della Fondazione per i diritti dei gay Triangulo, Miguel Angel Sanchez, assicura che questa misura "è un marchio" per gli omosessuali. Secondo lui, la soluzione è migliorare la sicurezza nelle carceri per evitare la violenza sessuale "senza discriminazioni tra gli eterosessuali e i gay". La sezione per i gay di Sao Joaquim de Bicas accoglie attualmente 37 reclusi.

Stati Uniti: democratici bloccano piano chiusura di Guantanamo

 

Apcom, 21 maggio 2009

 

I democratici dicono no al piano di Barack Obama di chiusura del Centro di detenzione di Guantanamo, annunciando che non voteranno il finanziamento fino a quando l"amministrazione non avrà fornito un soddisfacente piano sulla sorte dei detenuti. I democratici hanno anche annunciato che respingeranno la richiesta di finanziamento di 80 milioni di dollari (58,7 milioni di euro) chiesti dai dipartimenti della giustizia e della difesa per il trasferimento dei 240 detenuti dalla base statunitense nell’isola di Cuba.

Hanno anche annunciato che si opporranno a qualsiasi trasferimento di detenuti finché il piano complessivo non sarà stato presentato. Se alcuni senatori, come il numero due dei democratici del senato Dick Durbin hanno presentato il no come un rinvio di qualche mese soltanto, altri hanno lasciato chiaramente intendere che non vogliono che prigionieri attualmente detenuti a Guantanamo siano portati sul suolo statunitense per esservi giudicati o per scontare una pena in carcere.

"Noi non li vogliamo qua intorno" ha detto il capo della maggioranza democratica Harry Reid. I senatori seguono i membri della camera dei rappresentanti minacciando di paralizzare l"amministrazione Obama, che conta di chiudere entro gennaio il carcere di Guantanamo, divenuto il simbolo degli abusi della guerra contro il terrorismo dell’amministrazione Bush. Nelle ultime settimane, il ministro della giustizia Eric Holder aveva cercato di rassicurare i parlamentari scettici, ma il congresso non sembra essere convinto e potrebbe costringere l’amministrazione a mantenere in funzione il centro di detenzione.

 

 

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